Dal
capitolo precedente:
Raccolse rapidamente una giacca
dall’appendiabiti – poteva essere solo di Percy, vista la taglia
e lo stile ricercato – e si avviò a grandi passi, spostando le
sedie, verso la porta aperta sul cortile.
“Ron! Dove stai
andando?” chiese Ginny, terrorizzata.
Ecco, stava per espiare
tutte le sue colpe per aver voluto rispolverare un vecchio sogno
dimenticato nel cassetto. Ci siamo. È la fine.
“Non ti
preoccupare, non dirò niente a Harry. Non voglio toglierti il
piacere di dirglielo di persona. Vado a spiegargli perché me ne sono
andato ieri sera. Almeno lui capirà. Dì a mamma che avevo da fare.”
Fece qualche passo senza voltarsi e si dileguò.
Si era
smaterializzato.
38.
Fianco
a fianco per Diagon Alley, Harry ed Hermione fendevano la calca.
Harry era imbacuccato in una sciarpa di lana rossa e oro poco adatta
alla stagione, e continuava ad allargarsela con fastidio mentre a
ogni passo Hermione si voltava e gliela sistemava con impazienza.
C’era un vento quasi tiepido ad accarezzare la pelle, un dannato
sollievo per Harry, che si trascinava teso dietro alla ragazza, come
se non avesse scelto personalmente di essere lì, ed effettivamente
avrebbe preferito essere altrove; a cercare quei dannati Serpeverde,
per esempio. Era l’unica cosa alla quale fosse riuscito ad
aggrapparsi dopo la scomparsa di Ginny. Li odiava già, e i
sentimenti gli erano parsi ricambiati. Quella schifosa della
Greengrass l’aveva preso in giro e lui nemmeno sapeva chi fosse
fino al giorno prima. Tutto quell’astio nei suoi
confronti…
Sorseggiò il caffè dalla tazza di carta che avevano
preso da Florian. Hermione gli aveva davvero pagato il caffè. Non
che navigasse nell’oro, lui lo sapeva. Era semplicemente troppo
preoccupato per il resto, per rendersi conto di aver appesantito le
sue finanze. Si sentì un po’ in colpa, ma si ripromise che le
avrebbe pagato il prossimo caffè. Un’occasione avrebbero finito
per trovarla, no? Fra un disastro e l’altro…
Avevano appena
lasciato Rexford alle cure di Daniel Haroche e, sebbene Hermione
fosse certa delle sue qualità di Medimago, avrebbe preferito mille
volte essere presente se il ragazzo si fosse svegliato, per cui
camminava a piccoli passi svelti, e quasi Harry non le stava dietro.
Per qualche motivo lui sembrava particolarmente lento, un po’
confuso, forse preoccupato, e aveva dovuto richiamarlo più volte
alla sua attenzione. Quando lei si fermò davanti all’erboristeria
cedendogli il suo bicchiere di caffè da asporto – con molta panna
e molto caramello –, Harry si arrestò accanto a lei,
interrogandola con lo sguardo. Era sospettoso da quando lo aveva
addobbato come di un albero di Natale appena prima di uscire, e di
certo non era per il freddo.
“Aspettami qui.” Gli rispose lei,
facendo scampanellare la porta.
“Herm, un attimo.” Le tese il
portafogli, che lei spinse indietro più volte, prima di accettarlo
per accelerare le cose. “Per il caffè. Dai.”
“Torno fra un
attimo.”
Harry non si scompose, e attese svogliatamente che
facesse ritorno con una busta di carta piena di ingredienti freschi.
Lei frugò e gli offrì un tubo di pomata. Lui scoppiò a ridere. Era
una specie di crema coprente per le cicatrici.
“Sul serio?
L’ultima volta che ho controllato non avevo più brufoli da almeno
sei anni.”
“È per la tua voglia, Harry.” Borbottò lei,
arrossendo. Harry non aveva nessun brufolo, naturalmente. Era solo
terribilmente pallido, ma lo era sempre stato.
“Ti ringrazio,
non credevo di averne bisogno…”
La buttò sul ridere. Hermione
a volte era fin troppo premurosa.
“Mi aiuti tu? Non so nemmeno
dove diamine sia questa voglia.”
Lei gli fece cenno di sì. Lo
spinse in un luogo un po’ più appartato, dove la gente non li
avrebbe urtati se fossero stati fermi in mezzo alla strada.
“Togliti
la sciarpa.”
“Grazie al ciel… ah, che mani fredde!”
esclamò, sobbalzando.
“Vedi di stare immobile.”
“Stavo
soffocando con questa sciarpa. C’è veramente caldo oggi. Sai, la
signora Weasley è tanto cara, ma… la lana mi fa prudere un sacco.
Non mi è mai piaciuta.” Borbottava così serenamente che lei, a
una spanna dal suo viso, sorrideva sotto i baffi.
Quando Harry
abbassò lo sguardo e trovò il suo naso a punta così vicino, si
sentì un po’ strano. Come se non fosse giusto
esserle tanto vicino. Ma non osò allontanarsi. Rimase fermo, a
disagio, mentre lei gli picchiettava il collo con i polpastrelli e
manteneva una dura espressione corrucciata.
“Ecco fatto.
Dovrebbe bastare fino alla tua prossima doccia. Mi raccomando,
rimettila frequentemente, non posso fare niente di più per te. La
pozione ha bisogno di almeno due settimane per maturare.”
Alzò
lo sguardo accigliato e trovò Harry occupato a studiare il suo viso.
I suoi occhi avevano una sfumatura chiaramente diversa. Come un
riflesso vitreo, ed era assurdo non averlo mai notato prima.
Fece
per allontanarsi di scatto, ma lui la precedette, e la spinse al
muro, la bocca tanto vicina alla sua che sentì l’alito caldo
solleticarle la pelle. Sembrava avesse l’intenzione di…
baciarla?
“Harry, che cosa stai…” sbottò subito.
Harry
parve sovrappensiero. I suoi occhi tornarono di color verde
bottiglia. Gli occhi buoni di Harry. Harry il suo migliore amico.
Harry il buono. Harry?
“Harry?”
“Uh. Scusami,
Hermione.”
“Andiamo, presto, prima che…” lo agguantò per
la giacca, ma lui rimase fermo, e lei, ancora intrappolata, dovette
restare ad ascoltarlo.
“Senti, Hermione.” Disse, come se non
fosse successo niente, “Non è che mi spiegheresti la faccenda?
Perché io personalmente non ci vedo niente di male ad avere una
voglia sul collo. Non mi sembra che sia chissà che diavoleria
malvagia… ma non vorrei sbagliarmi. Non è una specie di marchio,
vero? Mi hai fatto preoccupare.”
Hermione, ancora turbata,
rispose con un filo di voce:
“La voglia è l’espressione
fisiopatologica di un tuo desiderio recondito, che sembra essere
legato a un qualche incantesimo, perché altrimenti non si
manifesterebbe – ne esistono di diversi colori, a seconda del tipo
di desiderio. È un’aberrazione, ovviamente, altrimenti saremmo
tutti cosparsi di macchie fino a diventare multicolore: appare solo
sulla pelle delle persone che soffrono di un bisogno… impellente…
e non lo risolvono per bene, ovvero che tentano di usare la magia in
modo improprio… per esempio…” e si fermò, non aveva preso
fiato fino a quell’istante. Arrossì vistosamente. All’improvviso
il comportamento di Harry le era parso più chiaro. Poverino, per
prendersela con lei non doveva più avere il controllo sulla sua
mente…
“Per esempio?” la incalzò lui, avvicinandosi un po’
di più, senza rendersi conto di tenere in una morsa stretta entrambi
i suoi avambracci fra le mani.
“Per esempio, se tu cercassi di,
uhm, ignorare con delle pozioni amnesiache i tuoi sentimenti per una
ragazza, o se prendessi delle pozioni soporifere per dormire e non
pensarci troppo, o se tentassi di infatuarti di un’altra con la
magia…”
“Ho capito.”
Harry si allontanò in preda a un
fremito profondo. I suoi sogni ricorrenti! Mentre Hermione tirava un
sospiro di sollievo, lui prese a camminare avanti e indietro, con le
sopracciglia contratte e le labbra assottigliate in un’espressione
di astrazione analitica. La ragazza si spostò un ciuffo disordinato
dalla fronte e portò la mano alla bocca per mordicchiarsi le unghie.
Vedere Harry così sovrappensiero… era chiaro. Lui doveva sapere
cosa gli stava succedendo, ma, sebbene l’argomento fosse parecchio
imbarazzante, Hermione sentì una punta d’inquietudine e di offesa:
era la prima volta che non parlava con lei per confidarsi. E se
avesse avuto dei problemi con Ginny? No, impossibile… le era
sembrato così innamorato, quando avevano parlato di lei. E così
preoccupato… Harry interruppe il filo dei suoi pensieri,
avvicinandosi di nuovo, con gli occhi alla stessa altezza dei
suoi.
“Hermione, c’è altro che dovrei sapere?”
L’urgenza
nella sua voce confermò ogni suo dubbio.
“Sì. Tutta la
comunità magica sa cosa significa. È meglio non essere visto in
giro con quella roba.”
“Cosa rappresenta il rosa?” le
chiese, con un accenno di timore, mentre le guance gli diventavano
porpora. Lui
sapeva.
“La
passione inespressa.”
“Ridicolo.”
Harry scoppiò a ridere
in modo leggero, mentre gli angoli delle labbra tornavano invece
rapidamente a piegarsi verso il basso. Ora fissava la sua migliore
amica come a soppesare quanto lei potesse aver indovinato dei suoi
pensieri. L’imbarazzo era tale da spingere entrambi a guardare
altrove. Hermione si decise a muoversi per prima, quel siparietto era
durato fin troppo, gli diede una spinta sul petto e scartò a destra,
facendogli cenno di seguirla.
“Avanti, non c’è tempo da
perdere.”
“Cosa vorresti dire?”
“Che quella macchia
diventerà sempre più grande, fino a farti diventare rosa dalla
testa ai piedi, e poi rosso. E tu non vuoi che il mondo intero sappia
che sei sessualmente frustrato.”
“Cos…”
Lei lo prese
per mano e si smaterializzò.
Una volta davanti alla porta di
casa, Harry comincio a trafficare con le chiavi. Aveva la testa
altrove. Doveva assolutamente capire chi aveva instillato quei
maledetti ricordi nella sua mente. Per colpa di quella persona, stava
rischiando la salute mentale.
Hermione, dietro alle sue spalle,
gli regalò un’occhiata sconsolata. Era così agitata per quella
faccenda. Com’era potuto succedere? Ora avevano un mucchio di cose
a cui pensare: Ginevra scomparsa, Harry in preda a chissà quale
ossessione di cui non voleva sapere assolutamente nulla, il ragazzo
francese fra i piedi, l’auror Grant più di là che di qua sul
divano di Harry e la possibilità di scovare i colpevoli, e non
ultimo quel disgraziato del suo fidanzato…
Il suono delle chiavi
nella toppa la fece abbandonare contro la parete dell’antro: una
volta aperta, avrebbero avuto un miliardo e mezzo di cose da
affrontare, e lei non aveva la più pallida idea di quale sbrogliare
per prima.
All’ultimo scatto nella toppa, però, il ragazzo si
voltò e la sorprese a guardarlo preoccupata.
Vide i suoi pensieri
volare via e lasciare spazio all’espressione assillante di
Harry.
“Hermione, stai tranquilla.”
“Oh, non dirmi di
stare tranquilla Harry Potter.” Alzò gli occhi al cielo.
“Che
cosa c’è, adesso?” si apprestò a dire lui, che cominciava a
sentire puzza di litigata.
“Ne hai parlato con qualcuno, Harry?”
sbottò lei, stupendo anche se stessa.
“Di che cosa?”
“Non
fare il finto tonto con me.”
“Ok, sì Hermione.” Replicò
lui, con gli occhi che saettavano per evitare il suo sguardo “Con
Ron. E gli avevo detto di non parlartene. Non prendertela con lui. È
colpa mia.”
Penoso.
Facevano ancora comunella alle sue spalle
come dei ragazzini. E lei aveva anche il coraggio di preoccuparsi per
loro! Hermione, su tutte le furie, smise di rivolgergli la parola,
gli prese di mano la chiave ancora nella toppa e girò, poi spalancò
la porta e si premurò di darle una spinta per chiuderla proprio
mentre entrava Harry.
“Non puoi prendertela perché ne ho
parlato con lui, Hermione! Dai, per favore! Non sarai
mica…”
“Gelosa?” si voltò a fulminarlo lei.
Certo che
lo era. Come poteva pensare di affidarsi a Ronald e non a lei?
Pensava che lui avrebbe trovato una pozione? Che avrebbe anche solo
cercato
una pozione? Quell’indicibile gnomo da giardino, quell’insofferente
babbeo, quel…
“Ehm, ragazzi…”
Daniel, con i
capelli biondi arruffati che sbucavano da un berretto e un sorriso
radioso stampato in faccia uscì dalla cucina e cercò di
intromettersi, con le mani aperte e volte verso di loro, in segno di
pacificazione. Harry stava per dirgli che ne aveva abbastanza sia di
lei che di lui, che del ragazzo più morto che vivo sul divano, ma si
fermò come se qualcuno avesse premuto il tasto stop. Smise perfino
di respirare. C’era qualcuno nascosto dietro il mago
francese.
“Ciao Harry.”
“Ginny…?”
Si precipitò a
stringerla, scansando Daniel come un fantoccio. Le stampò una scia
infinita di baci sulle labbra, preso com’era dall’emozione, ma
avvertì rapidamente che qualcosa non andava, e sentì l’entusiasmo
scemare bruscamente.
“Ron è stato qui, ma aveva da fare in
Accademia, Harrì.” Intervenne Daniel, cercando di farsi piccolo
piccolo.
Hermione, da lontano, osservò le spalle di Ginny
sciogliersi quasi istantaneamente. Si avvicinò e guardò a lungo
l’amica negli occhi; le prese le mani e le strinse. Si guardarono a
lungo, senza una parola, e si abbracciarono.
“Mi dispiace di non
essere tornata subito. Ho avuto dei problemi… e ho dovuto
risolverli. Tutto qui. Sto benone.” Non era del tutto vero. Si
stringeva i gomiti nelle mani in maniera spasmodica, e si torturava
le labbra guardandoli tutti negli occhi a turno. Harry sembrava non
vedere altro che Ginny. Il suo sguardo, tuttavia, l’attraversava
senza fermarsi. Nessuna rifrazione. Pareva confuso.
“Ti spiace
spiegare?”
“Preferirei parlarne con te in privato.”
Harry
lanciò un’occhiata al francese.
“E va bene. Daniel, scommetto
che non vedi l’ora di tornare in Brasile? Andiamo in Accademia a
chiudere il caso. Ci sono pattuglie, oltre alla nostra, che stanno
lavorando senza sosta e, ecco, insomma, Ginny è visibilmente qui.
Voglio dire…”
“Ho già preparato le mie cose.”
“Ottimo…
Ginny, io… mi aspetterai qui? Insieme a Hermione?”
Lanciò
un’occhiata fulminea all’amica che annuì risentita, prima di
ricordarsi il motivo della loro litigata.
“Hermione, per la,
ehm, cosa… di cui parlavamo prima.”
“Me ne occuperò stasera
a casa. A meno che tu non voglia farlo sapere a tutto il
mondo.”
Suonava tremendamente come una minaccia, così Harry
salutò frettolosamente Ginevra, ancora incredulo, e fece strada a
Daniel Haroche per condurlo finalmente fuori dai quattro muri del suo
appartamento.
39.
Il Ministero della Magia
brulicava di gente, lavoratori impettiti di ogni sorta, stormi di
messaggi svolazzanti, ed era intimamente concorde alla sua versione
precedente l’avvento del Signore Oscuro. Che la tranquillità fosse
tutta scena, comunque, era difficile a dirsi.
Forse era più
facile tornare alla normale quotidianità per la maggior parte delle
persone.
La vita doveva andare avanti. Alcune categorie di maghi,
soprattutto quelli meno fortunati, avevano accettato di buon grado la
fine della psicosi, e l’idea che un potente mago “bianco”, come
il giovanissimo Potter, fosse pronto a sacrificarsi contro la sua
nemesi e a sconfiggerla era tutto sommato accattivante. Risaltavano
fra gli altri perché indossavano, in segno di rispetto e
gratitudine, un indumento qualsiasi di color verde smeraldo, e poteva
trattarsi di una sciarpa elegante come di un vistoso cappello di
velluto.
Non fu difficile immettersi nella mischia, ma il fiume di
corpi non si fermava mai, soprattutto verso le undici del mattino,
l’orario dell’imprescindibile pausa caffè. Era da anni che
Seamus non metteva piede nel centro nevralgico del mondo magico. Era
basso, tenace, avanzava a spalle larghe e con la testa bassa, ma
sembrava impossibile andare contro la corrente. Dopo qualche spintone
si decise a mettersi in disparte per osservare una pergamena
stropicciata, masticando parole colorite. Non si accorse che qualcuno
lo aveva seguito fino a quell’istante e cercava di attirare la sua
attenzione.
“Cerchi qualcosa?”
Il signor Weasley, alto,
stempiato, con una piccola spilla verde a forma di quadrifoglio
appuntata nella veste da mago, gli sorrideva con garbo. Seamus lo
trovò tremendamente invecchiato. Perfino il suo sorriso sembrava
tirato in una ragnatela di piccole pieghe carnee.
Spiccavano, nel
pallore del viso, i suoi occhi grigi, incredibilmente luminosi.
Ridevano. Ricordavano tremendamente quelli di Ron, e un istante dopo
quelli dei gemelli Weasley, in un modo familiare, tenero e un po’
amaro.
“È così bello incontrarla, signor Weasley! Come sta? È
un pezzo che…”
Un leggero tremolio della voce passò
inosservato nel suo sincero entusiasmo.
Seamus si zittì,
imbarazzato. “Mi dispiace, io… dopo tutti questi
avvenimenti…”
“Finnegan, rilassati. È una giornata
bellissima, oggi.” Lo prese per le spalle e gli tolse la pergamena
di mano, osservando con le sopracciglia corrucciate una serie di
indicazioni scritte da qualcuno che doveva aver avuto molta fretta.
“Lascia che ti accompagni. È per di qua. Devi sapere, ragazzo, che
mia figlia è tornata a casa da sola. Non so se mi spiego.”
A
Seamus quasi cadde la mandibola.
Stava per congratularsi, ancora
scioccato, stupefatto, quando il mago lo spinse in una stanza senza
preavviso.
Il ragazzo starnutì convulsivamente, guardandosi
attorno. Sembrava un ripostiglio molto, molto polveroso.
“Ginny!
E… sta bene?”
“Sembra che stia bene. Ho avuto il permesso di
tornare a casa oggi, pare che sia arrivata stamattina presto.
Probabilmente organizzeremo una piccola cena, niente di che, stasera,
con Molly e i ragazzi. Vorresti passare a salutare qualcuno?”
Seamus
non ci pensò due volte.
“Ma certo!” disse, ancora leggermente
a disagio.
Si guardava attorno, ma il signor Weasley non dava
segni di volergli spiegare il perché del luogo in cui si trovavano.
Sembrava felice in un modo quasi folle. E se non volesse veramente
aiutarlo? E se avesse capito qualcosa, se Seamus si fosse fatto
sfuggire involontariamente qualcosa? Cosa gli avrebbero
fatto?
“Tranquillizzati, ragazzo. Non dirò a nessuno che sei
venuto qui. Stai cercando qualcosa che non dovresti, e tu lo sai.”
Gli disse, grave, il signor Weasley.
I suoi occhi non ridevano
più.
“Si, io… ehm.”
“So che sei stato accettato
all’Accademia. Riguarda un’inchiesta?”
“Eh… si, proprio
così, signore.”
“Facciamo così, dato che non mi
dispiacerebbe vederti dare un paio di calci nel sedere a Ronald –
giusto educativi, sia chiaro – e a Harry, ti darò una mano.
Prometti che non ne parlerai con nessuno?”
“Certamente.”
“Allora
affare fatto. Non una parola, intesi?”
“Chiaro.” Ridacchiò
nervosamente.
Il signor Weasley puntò la bacchetta sulla
pergamena e gli scarabocchi divennero una mappa perfettamente
leggibile dei sotterranei del Ministero. Il sollievo si fece strada
nel cuore di Seamus.
“Grazie davvero, non so come
ringraziarla.”
“A stasera.”
Il signor Weasley uscì per
primo dalla stanza. Seamus si ritrovò solo con la mappa fra le mani.
Adesso, doveva sbrigarsi.
40.
Harry, ancora sotto shock
per aver rivisto Ginny, lasciò Daniel in balia degli Auror, che si
prodigarono a trovare un modo per rispedirlo in missione il più
rapidamente possibile. Imboccò così solo le scale per il piano
terra dell’Accademia con un passo galoppante. Gli era parsa così
cambiata, così… lontana. Forse, se possibile, ancora più
selvatica. Probabilmente non si era più tagliata i capelli. Sembrava
in forma, non più deperita della volta precedente, in cui era
tornata dal Brasile per una breve pausa e doveva aver perso almeno
sei o sette chili. No, aveva le guance colorite, la bocca stretta in
una smorfia indignata, e quei suoi occhi erano tristi e in tempesta.
Quasi non si accorse del bolide che avanzava verso di lui salendo le
stesse scale: lo scansò all’ultimo, riconoscendo Seamus sotto al
cappuccio.
“Ehi, amico.”
“Seamus, che ci fai qui?”
Si
fermarono, entrambi, a qualche scalino appena di distanza, prima
dell’urto. Harry rimuginò rapidamente sulle possibili ragioni
della presenza della nuova recluta ai piani alti, ma non trovò
assolutamente niente. Strano.
“E tu, che ci fai qui?”
contro-domanda.
Nascondeva qualcosa.
“Ginny sta bene, ci
aspetta a casa. Sto andando proprio a raggiungerla, ho solamente
dovuto avvisare le varie pattuglie.”
“Oh. Grandioso.
Capisco.”
“Grandioso? Seamus, che ti prende?”
“Niente,
amico. Devo proprio salire. Mi ha convocato Dawlish. Mi scuserai con
Ginny se passo a salutarla un altro giorno, ora devo andare.”
Harry
si materializzò immediatamente davanti alla porta di casa, in preda
a dubbi infimi come serpenti in una cesta: cominciò ad avere un gran
mal di testa. Troppi intrecci, troppi ostacoli.
Gli aprì
Ginevra.
“Harry.”
“Ginny.”
Si chiuse la porta alle
spalle, indietreggiando, prendendole la mano e attirandola verso di
sé.
“Come stai?”
Lei non oppose resistenza, ma non si
avvicinò più di tanto. All’improvviso, cominciò a tremarle il
mento.
“Mi dispiace tanto, Harry. Sono un mostro.”
Si
infilò sotto alle sue braccia e lo strinse, aggrappandosi alla
maglia, singhiozzando in silenzio. Harry alzò lo sguardo e trovò
quello di Hermione. Sembrava estranea a ciò che aveva davanti, i
loro corpi intrecciati, i lunghi capelli di rame che brillavano sotto
al faretto dell'ingresso, l'appendiabiti triste e appesantito accanto
a loro, il muro bianco, tetro, la luce che sporcava ogni cosa in
prospettiva: ricambiava la lunga occhiata senza voce, e Harry si
sentì a sua volta spettatore. Chi erano loro? Chi era Ginevra
Weasley, oggi? Chi era Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, il
Marchiato, il frustrato con le voglie violacee? E chi era quella
damigella che li guardava, da dietro la frangia tutta onde, con
un’espressione emozionata e senza tempo?
41.
“…Corner
si è costituito.”
“Chi diamine è Corner?”
“Un ex
Corvonero del mio anno scolastico. Sarà sottoposto a giudizio la
settimana prossima.”
“Per?” lo incalzò il ragazzo, con una
voce un po’ nasale, in uno scatto rabbioso, da dietro la
maschera.
“Pare che avesse dei contatti a Notturn Alley. È un
lavoratore stagionale, si occupa di materie prime e rifornisce
erboristi e fattucchieri di bacchette un po’ dappertutto. Pare che
quegli stessi contatti lui non li abbia mai denunciati, pur avendone
la possibilità, e ora dovrà spiegare perché, visto che è venuto
tutto a galla quando è esploso Magie Sinister’s. Era un tipo a
posto, a scuola. Frequentava molto Ginevra Weasley, ma non saprei
dire se fossero in contatto già prima del viaggio in
Brasile.”
“Potrebbe interessarci sapere anche questo.”
“Ah
davvero?” Seamus cominciò a perdere la pazienza. “Sentite, non
mi piacciono granché i vostri modi.”
“Ci sta minacciando? Ci
sta minacciando.”
“Ti sbagli, non mi interessano i conflitti,
ma non mi fanno paura. Voglio solo farla pagare a chi è dietro a
tutto questo.”
“Il giustiziere di Godric.” Lo canzonò
l’altro.
“Falla finita, muso oblungo. C’è altro che
vorreste sapere o no? Ho da fare.”
“Sì. Cosa ne pensa
Dawlish?”
Seamus fremette, ma non rischiò:
“Dawlish ha
collegato un paio di piste a Londra con il traffico sud americano. È
convinto di sapere chi ci sia dietro, ma non me l’ha voluto dire
esattamente. In effetti, chiacchierare di dossier confidenziali con
una recluta neonata con una manciata di giorni di servizio alle sue
spalle ha dell’inverosimile. Spero che ne siate entrambi
coscienti.”
“Va bene. Noi dobbiamo restare discreti per
qualche tempo, non vogliamo destare sospetti in qualche mente
particolarmente debole e bacata, e mi riferisco ai tuoi amici
ficcanaso. Fai in modo che non succeda, e tutto andrà come si deve.
Ci aggiorniamo non appena avrai nuove notizie.”
“Come vi
contatto?”
“Ti contatteremo noi.”
“Alla
prossima.”
Seamus si calò il cappuccio e uscì dal vicolo buio.
Apprezzò la luce giallastra dei lampioni, un po’ meno il vento che
lo investì. Quella sera sarebbe tornato a casa a piedi: avevano
convenuto così, e poi aveva molte cose a cui pensare.