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Autore: ChocoCat    17/12/2016    2 recensioni
REVISIONE IN CORSO
"Hermione raccolse la borsetta di perline dalla sedia accanto alla propria e si avviò verso il piano di sopra per entrare nella prima camera che avesse trovato. Si ritrovò davanti al letto sfatto di Ron; sul davanzale della finestra c’era una boccia di vetro vuota, il vecchio Deluminatore e la sua bacchetta. I ricordi la sommersero; in quella stanza, strategie, ansie, affetti, paure, e ancora gioie, disappunto, e amori senza fine…"
Seguiamo le vicende di una Hermione che sta per cambiare definitivamente la rotta della propria vita (e se non lo sapete ancora, sappiate che non andrà come previsto!), un vivace Ronald pronto a tutto - anche a un'avventura nella jungla nera in mezzo ai ragni-, una Ginevra alle prese con il vaiolo magico brasiliano e un passato pronto a ribollirle contro, un Seamus con il suo più grande sogno inconfessato, ed infine... Harry, che dovrebbe avere la mente vuota e non sentire mal di testa da un bel po', ma è risaputo... nella vita... non si sa mai cosa ci aspetta!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Il trio protagonista, Luna Lovegood, Michael Corner, Seamus Finnigan | Coppie: Harry/Hermione
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Keepsake Tales'
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Dal capitolo precedente:

Raccolse rapidamente una giacca dall’appendiabiti – poteva essere solo di Percy, vista la taglia e lo stile ricercato – e si avviò a grandi passi, spostando le sedie, verso la porta aperta sul cortile.
“Ron! Dove stai andando?” chiese Ginny, terrorizzata.
Ecco, stava per espiare tutte le sue colpe per aver voluto rispolverare un vecchio sogno dimenticato nel cassetto. Ci siamo. È la fine.
“Non ti preoccupare, non dirò niente a Harry. Non voglio toglierti il piacere di dirglielo di persona. Vado a spiegargli perché me ne sono andato ieri sera. Almeno lui capirà. Dì a mamma che avevo da fare.” Fece qualche passo senza voltarsi e si dileguò.
Si era smaterializzato.



38.

Fianco a fianco per Diagon Alley, Harry ed Hermione fendevano la calca. Harry era imbacuccato in una sciarpa di lana rossa e oro poco adatta alla stagione, e continuava ad allargarsela con fastidio mentre a ogni passo Hermione si voltava e gliela sistemava con impazienza. C’era un vento quasi tiepido ad accarezzare la pelle, un dannato sollievo per Harry, che si trascinava teso dietro alla ragazza, come se non avesse scelto personalmente di essere lì, ed effettivamente avrebbe preferito essere altrove; a cercare quei dannati Serpeverde, per esempio. Era l’unica cosa alla quale fosse riuscito ad aggrapparsi dopo la scomparsa di Ginny. Li odiava già, e i sentimenti gli erano parsi ricambiati. Quella schifosa della Greengrass l’aveva preso in giro e lui nemmeno sapeva chi fosse fino al giorno prima. Tutto quell’astio nei suoi confronti…
Sorseggiò il caffè dalla tazza di carta che avevano preso da Florian. Hermione gli aveva davvero pagato il caffè. Non che navigasse nell’oro, lui lo sapeva. Era semplicemente troppo preoccupato per il resto, per rendersi conto di aver appesantito le sue finanze. Si sentì un po’ in colpa, ma si ripromise che le avrebbe pagato il prossimo caffè. Un’occasione avrebbero finito per trovarla, no? Fra un disastro e l’altro…
Avevano appena lasciato Rexford alle cure di Daniel Haroche e, sebbene Hermione fosse certa delle sue qualità di Medimago, avrebbe preferito mille volte essere presente se il ragazzo si fosse svegliato, per cui camminava a piccoli passi svelti, e quasi Harry non le stava dietro. Per qualche motivo lui sembrava particolarmente lento, un po’ confuso, forse preoccupato, e aveva dovuto richiamarlo più volte alla sua attenzione. Quando lei si fermò davanti all’erboristeria cedendogli il suo bicchiere di caffè da asporto – con molta panna e molto caramello –, Harry si arrestò accanto a lei, interrogandola con lo sguardo. Era sospettoso da quando lo aveva addobbato come di un albero di Natale appena prima di uscire, e di certo non era per il freddo.
“Aspettami qui.” Gli rispose lei, facendo scampanellare la porta.
“Herm, un attimo.” Le tese il portafogli, che lei spinse indietro più volte, prima di accettarlo per accelerare le cose. “Per il caffè. Dai.”
“Torno fra un attimo.”
Harry non si scompose, e attese svogliatamente che facesse ritorno con una busta di carta piena di ingredienti freschi. Lei frugò e gli offrì un tubo di pomata. Lui scoppiò a ridere. Era una specie di crema coprente per le cicatrici.
“Sul serio? L’ultima volta che ho controllato non avevo più brufoli da almeno sei anni.”
“È per la tua voglia, Harry.” Borbottò lei, arrossendo. Harry non aveva nessun brufolo, naturalmente. Era solo terribilmente pallido, ma lo era sempre stato.
“Ti ringrazio, non credevo di averne bisogno…”
La buttò sul ridere. Hermione a volte era fin troppo premurosa.
“Mi aiuti tu? Non so nemmeno dove diamine sia questa voglia.”
Lei gli fece cenno di sì. Lo spinse in un luogo un po’ più appartato, dove la gente non li avrebbe urtati se fossero stati fermi in mezzo alla strada.
“Togliti la sciarpa.”
“Grazie al ciel… ah, che mani fredde!” esclamò, sobbalzando.
“Vedi di stare immobile.”
“Stavo soffocando con questa sciarpa. C’è veramente caldo oggi. Sai, la signora Weasley è tanto cara, ma… la lana mi fa prudere un sacco. Non mi è mai piaciuta.” Borbottava così serenamente che lei, a una spanna dal suo viso, sorrideva sotto i baffi.
Quando Harry abbassò lo sguardo e trovò il suo naso a punta così vicino, si sentì un po’ strano. Come se non fosse
giusto esserle tanto vicino. Ma non osò allontanarsi. Rimase fermo, a disagio, mentre lei gli picchiettava il collo con i polpastrelli e manteneva una dura espressione corrucciata.
“Ecco fatto. Dovrebbe bastare fino alla tua prossima doccia. Mi raccomando, rimettila frequentemente, non posso fare niente di più per te. La pozione ha bisogno di almeno due settimane per maturare.”
Alzò lo sguardo accigliato e trovò Harry occupato a studiare il suo viso. I suoi occhi avevano una sfumatura chiaramente diversa. Come un riflesso vitreo, ed era assurdo non averlo mai notato prima.
Fece per allontanarsi di scatto, ma lui la precedette, e la spinse al muro, la bocca tanto vicina alla sua che sentì l’alito caldo solleticarle la pelle. Sembrava avesse l’intenzione di… baciarla?
“Harry, che cosa stai…” sbottò subito.
Harry parve sovrappensiero. I suoi occhi tornarono di color verde bottiglia. Gli occhi buoni di Harry. Harry il suo migliore amico. Harry il buono. Harry?
“Harry?”
“Uh. Scusami, Hermione.”
“Andiamo, presto, prima che…” lo agguantò per la giacca, ma lui rimase fermo, e lei, ancora intrappolata, dovette restare ad ascoltarlo.
“Senti, Hermione.” Disse, come se non fosse successo niente, “Non è che mi spiegheresti la faccenda? Perché io personalmente non ci vedo niente di male ad avere una voglia sul collo. Non mi sembra che sia chissà che diavoleria malvagia… ma non vorrei sbagliarmi. Non è una specie di marchio, vero? Mi hai fatto preoccupare.”
Hermione, ancora turbata, rispose con un filo di voce:
“La voglia è l’espressione fisiopatologica di un tuo desiderio recondito, che sembra essere legato a un qualche incantesimo, perché altrimenti non si manifesterebbe – ne esistono di diversi colori, a seconda del tipo di desiderio. È un’aberrazione, ovviamente, altrimenti saremmo tutti cosparsi di macchie fino a diventare multicolore: appare solo sulla pelle delle persone che soffrono di un bisogno… impellente… e non lo risolvono per bene, ovvero che tentano di usare la magia in modo improprio… per esempio…” e si fermò, non aveva preso fiato fino a quell’istante. Arrossì vistosamente. All’improvviso il comportamento di Harry le era parso più chiaro. Poverino, per prendersela con lei non doveva più avere il controllo sulla sua mente…
“Per esempio?” la incalzò lui, avvicinandosi un po’ di più, senza rendersi conto di tenere in una morsa stretta entrambi i suoi avambracci fra le mani.
“Per esempio, se tu cercassi di, uhm, ignorare con delle pozioni amnesiache i tuoi sentimenti per una ragazza, o se prendessi delle pozioni soporifere per dormire e non pensarci troppo, o se tentassi di infatuarti di un’altra con la magia…”
“Ho capito.”
Harry si allontanò in preda a un fremito profondo. I suoi sogni ricorrenti! Mentre Hermione tirava un sospiro di sollievo, lui prese a camminare avanti e indietro, con le sopracciglia contratte e le labbra assottigliate in un’espressione di astrazione analitica. La ragazza si spostò un ciuffo disordinato dalla fronte e portò la mano alla bocca per mordicchiarsi le unghie. Vedere Harry così sovrappensiero… era chiaro. Lui doveva sapere cosa gli stava succedendo, ma, sebbene l’argomento fosse parecchio imbarazzante, Hermione sentì una punta d’inquietudine e di offesa: era la prima volta che non parlava con lei per confidarsi. E se avesse avuto dei problemi con Ginny? No, impossibile… le era sembrato così innamorato, quando avevano parlato di lei. E così preoccupato… Harry interruppe il filo dei suoi pensieri, avvicinandosi di nuovo, con gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
“Hermione, c’è altro che dovrei sapere?”
L’urgenza nella sua voce confermò ogni suo dubbio.
“Sì. Tutta la comunità magica sa cosa significa. È meglio non essere visto in giro con quella roba.”
“Cosa rappresenta il rosa?” le chiese, con un accenno di timore, mentre le guance gli diventavano porpora.
Lui sapeva.
“La passione inespressa.”
“Ridicolo.”
Harry scoppiò a ridere in modo leggero, mentre gli angoli delle labbra tornavano invece rapidamente a piegarsi verso il basso. Ora fissava la sua migliore amica come a soppesare quanto lei potesse aver indovinato dei suoi pensieri. L’imbarazzo era tale da spingere entrambi a guardare altrove. Hermione si decise a muoversi per prima, quel siparietto era durato fin troppo, gli diede una spinta sul petto e scartò a destra, facendogli cenno di seguirla.
“Avanti, non c’è tempo da perdere.”
“Cosa vorresti dire?”
“Che quella macchia diventerà sempre più grande, fino a farti diventare rosa dalla testa ai piedi, e poi rosso. E tu non vuoi che il mondo intero sappia che sei sessualmente frustrato.”
“Cos…”
Lei lo prese per mano e si smaterializzò.

Una volta davanti alla porta di casa, Harry comincio a trafficare con le chiavi. Aveva la testa altrove. Doveva assolutamente capire chi aveva instillato quei maledetti ricordi nella sua mente. Per colpa di quella persona, stava rischiando la salute mentale.
Hermione, dietro alle sue spalle, gli regalò un’occhiata sconsolata. Era così agitata per quella faccenda. Com’era potuto succedere? Ora avevano un mucchio di cose a cui pensare: Ginevra scomparsa, Harry in preda a chissà quale ossessione di cui non voleva sapere assolutamente nulla, il ragazzo francese fra i piedi, l’auror Grant più di là che di qua sul divano di Harry e la possibilità di scovare i colpevoli, e non ultimo quel disgraziato del suo fidanzato…
Il suono delle chiavi nella toppa la fece abbandonare contro la parete dell’antro: una volta aperta, avrebbero avuto un miliardo e mezzo di cose da affrontare, e lei non aveva la più pallida idea di quale sbrogliare per prima.
All’ultimo scatto nella toppa, però, il ragazzo si voltò e la sorprese a guardarlo preoccupata.
Vide i suoi pensieri volare via e lasciare spazio all’espressione assillante di Harry.
“Hermione, stai tranquilla.”
“Oh, non dirmi di stare tranquilla Harry Potter.” Alzò gli occhi al cielo.
“Che cosa c’è, adesso?” si apprestò a dire lui, che cominciava a sentire puzza di litigata.
“Ne hai parlato con qualcuno, Harry?” sbottò lei, stupendo anche se stessa.
“Di che cosa?”
“Non fare il finto tonto con me.”
“Ok, sì Hermione.” Replicò lui, con gli occhi che saettavano per evitare il suo sguardo “Con Ron. E gli avevo detto di non parlartene. Non prendertela con lui. È colpa mia.”
Penoso.
Facevano ancora comunella alle sue spalle come dei ragazzini. E lei aveva anche il coraggio di preoccuparsi per loro! Hermione, su tutte le furie, smise di rivolgergli la parola, gli prese di mano la chiave ancora nella toppa e girò, poi spalancò la porta e si premurò di darle una spinta per chiuderla proprio mentre entrava Harry.
“Non puoi prendertela perché ne ho parlato con lui, Hermione! Dai, per favore! Non sarai mica…”
“Gelosa?” si voltò a fulminarlo lei.
Certo che lo era. Come poteva pensare di affidarsi a Ronald e non a lei? Pensava che lui avrebbe trovato una pozione? Che avrebbe anche solo
cercato una pozione? Quell’indicibile gnomo da giardino, quell’insofferente babbeo, quel…


“Ehm, ragazzi…”
Daniel, con i capelli biondi arruffati che sbucavano da un berretto e un sorriso radioso stampato in faccia uscì dalla cucina e cercò di intromettersi, con le mani aperte e volte verso di loro, in segno di pacificazione. Harry stava per dirgli che ne aveva abbastanza sia di lei che di lui, che del ragazzo più morto che vivo sul divano, ma si fermò come se qualcuno avesse premuto il tasto stop. Smise perfino di respirare. C’era qualcuno nascosto dietro il mago francese.
“Ciao Harry.”
“Ginny…?”
Si precipitò a stringerla, scansando Daniel come un fantoccio. Le stampò una scia infinita di baci sulle labbra, preso com’era dall’emozione, ma avvertì rapidamente che qualcosa non andava, e sentì l’entusiasmo scemare bruscamente.
“Ron è stato qui, ma aveva da fare in Accademia, Harrì.” Intervenne Daniel, cercando di farsi piccolo piccolo.
Hermione, da lontano, osservò le spalle di Ginny sciogliersi quasi istantaneamente. Si avvicinò e guardò a lungo l’amica negli occhi; le prese le mani e le strinse. Si guardarono a lungo, senza una parola, e si abbracciarono.
“Mi dispiace di non essere tornata subito. Ho avuto dei problemi… e ho dovuto risolverli. Tutto qui. Sto benone.” Non era del tutto vero. Si stringeva i gomiti nelle mani in maniera spasmodica, e si torturava le labbra guardandoli tutti negli occhi a turno. Harry sembrava non vedere altro che Ginny. Il suo sguardo, tuttavia, l’attraversava senza fermarsi. Nessuna rifrazione. Pareva confuso.
“Ti spiace spiegare?”
“Preferirei parlarne con te in privato.”
Harry lanciò un’occhiata al francese.
“E va bene. Daniel, scommetto che non vedi l’ora di tornare in Brasile? Andiamo in Accademia a chiudere il caso. Ci sono pattuglie, oltre alla nostra, che stanno lavorando senza sosta e, ecco, insomma, Ginny è visibilmente qui. Voglio dire…”
“Ho già preparato le mie cose.”
“Ottimo… Ginny, io… mi aspetterai qui? Insieme a Hermione?”
Lanciò un’occhiata fulminea all’amica che annuì risentita, prima di ricordarsi il motivo della loro litigata.
“Hermione, per la, ehm, cosa… di cui parlavamo prima.”
“Me ne occuperò stasera a casa. A meno che tu non voglia farlo sapere a tutto il mondo.”
Suonava tremendamente come una minaccia, così Harry salutò frettolosamente Ginevra, ancora incredulo, e fece strada a Daniel Haroche per condurlo finalmente fuori dai quattro muri del suo appartamento.


39.

Il Ministero della Magia brulicava di gente, lavoratori impettiti di ogni sorta, stormi di messaggi svolazzanti, ed era intimamente concorde alla sua versione precedente l’avvento del Signore Oscuro. Che la tranquillità fosse tutta scena, comunque, era difficile a dirsi.
Forse era più facile tornare alla normale quotidianità per la maggior parte delle persone.
La vita doveva andare avanti. Alcune categorie di maghi, soprattutto quelli meno fortunati, avevano accettato di buon grado la fine della psicosi, e l’idea che un potente mago “bianco”, come il giovanissimo Potter, fosse pronto a sacrificarsi contro la sua nemesi e a sconfiggerla era tutto sommato accattivante. Risaltavano fra gli altri perché indossavano, in segno di rispetto e gratitudine, un indumento qualsiasi di color verde smeraldo, e poteva trattarsi di una sciarpa elegante come di un vistoso cappello di velluto.
Non fu difficile immettersi nella mischia, ma il fiume di corpi non si fermava mai, soprattutto verso le undici del mattino, l’orario dell’imprescindibile pausa caffè. Era da anni che Seamus non metteva piede nel centro nevralgico del mondo magico. Era basso, tenace, avanzava a spalle larghe e con la testa bassa, ma sembrava impossibile andare contro la corrente. Dopo qualche spintone si decise a mettersi in disparte per osservare una pergamena stropicciata, masticando parole colorite. Non si accorse che qualcuno lo aveva seguito fino a quell’istante e cercava di attirare la sua attenzione.
“Cerchi qualcosa?”
Il signor Weasley, alto, stempiato, con una piccola spilla verde a forma di quadrifoglio appuntata nella veste da mago, gli sorrideva con garbo. Seamus lo trovò tremendamente invecchiato. Perfino il suo sorriso sembrava tirato in una ragnatela di piccole pieghe carnee.
Spiccavano, nel pallore del viso, i suoi occhi grigi, incredibilmente luminosi. Ridevano. Ricordavano tremendamente quelli di Ron, e un istante dopo quelli dei gemelli Weasley, in un modo familiare, tenero e un po’ amaro.
“È così bello incontrarla, signor Weasley! Come sta? È un pezzo che…”
Un leggero tremolio della voce passò inosservato nel suo sincero entusiasmo.
Seamus si zittì, imbarazzato. “Mi dispiace, io… dopo tutti questi avvenimenti…”
“Finnegan, rilassati. È una giornata bellissima, oggi.” Lo prese per le spalle e gli tolse la pergamena di mano, osservando con le sopracciglia corrucciate una serie di indicazioni scritte da qualcuno che doveva aver avuto molta fretta. “Lascia che ti accompagni. È per di qua. Devi sapere, ragazzo, che mia figlia è tornata a casa da sola. Non so se mi spiego.”
A Seamus quasi cadde la mandibola.
Stava per congratularsi, ancora scioccato, stupefatto, quando il mago lo spinse in una stanza senza preavviso.
Il ragazzo starnutì convulsivamente, guardandosi attorno. Sembrava un ripostiglio molto, molto polveroso.
“Ginny! E… sta bene?”
“Sembra che stia bene. Ho avuto il permesso di tornare a casa oggi, pare che sia arrivata stamattina presto. Probabilmente organizzeremo una piccola cena, niente di che, stasera, con Molly e i ragazzi. Vorresti passare a salutare qualcuno?”
Seamus non ci pensò due volte.
“Ma certo!” disse, ancora leggermente a disagio.
Si guardava attorno, ma il signor Weasley non dava segni di volergli spiegare il perché del luogo in cui si trovavano. Sembrava felice in un modo quasi folle. E se non volesse veramente aiutarlo? E se avesse capito qualcosa, se Seamus si fosse fatto sfuggire involontariamente qualcosa? Cosa gli avrebbero fatto?
“Tranquillizzati, ragazzo. Non dirò a nessuno che sei venuto qui. Stai cercando qualcosa che non dovresti, e tu lo sai.” Gli disse, grave, il signor Weasley.
I suoi occhi non ridevano più.
“Si, io… ehm.”
“So che sei stato accettato all’Accademia. Riguarda un’inchiesta?”
“Eh… si, proprio così, signore.”
“Facciamo così, dato che non mi dispiacerebbe vederti dare un paio di calci nel sedere a Ronald – giusto educativi, sia chiaro – e a Harry, ti darò una mano. Prometti che non ne parlerai con nessuno?”
“Certamente.”
“Allora affare fatto. Non una parola, intesi?”
“Chiaro.” Ridacchiò nervosamente.
Il signor Weasley puntò la bacchetta sulla pergamena e gli scarabocchi divennero una mappa perfettamente leggibile dei sotterranei del Ministero. Il sollievo si fece strada nel cuore di Seamus.
“Grazie davvero, non so come ringraziarla.”
“A stasera.”
Il signor Weasley uscì per primo dalla stanza. Seamus si ritrovò solo con la mappa fra le mani. Adesso, doveva sbrigarsi.

40.

Harry, ancora sotto shock per aver rivisto Ginny, lasciò Daniel in balia degli Auror, che si prodigarono a trovare un modo per rispedirlo in missione il più rapidamente possibile. Imboccò così solo le scale per il piano terra dell’Accademia con un passo galoppante. Gli era parsa così cambiata, così… lontana. Forse, se possibile, ancora più selvatica. Probabilmente non si era più tagliata i capelli. Sembrava in forma, non più deperita della volta precedente, in cui era tornata dal Brasile per una breve pausa e doveva aver perso almeno sei o sette chili. No, aveva le guance colorite, la bocca stretta in una smorfia indignata, e quei suoi occhi erano tristi e in tempesta. Quasi non si accorse del bolide che avanzava verso di lui salendo le stesse scale: lo scansò all’ultimo, riconoscendo Seamus sotto al cappuccio.
“Ehi, amico.”
“Seamus, che ci fai qui?”
Si fermarono, entrambi, a qualche scalino appena di distanza, prima dell’urto. Harry rimuginò rapidamente sulle possibili ragioni della presenza della nuova recluta ai piani alti, ma non trovò assolutamente niente. Strano.
“E tu, che ci fai qui?” contro-domanda.
Nascondeva qualcosa.
“Ginny sta bene, ci aspetta a casa. Sto andando proprio a raggiungerla, ho solamente dovuto avvisare le varie pattuglie.”
“Oh. Grandioso. Capisco.”
“Grandioso? Seamus, che ti prende?”
“Niente, amico. Devo proprio salire. Mi ha convocato Dawlish. Mi scuserai con Ginny se passo a salutarla un altro giorno, ora devo andare.”
Harry si materializzò immediatamente davanti alla porta di casa, in preda a dubbi infimi come serpenti in una cesta: cominciò ad avere un gran mal di testa. Troppi intrecci, troppi ostacoli.
Gli aprì Ginevra.
“Harry.”
“Ginny.”
Si chiuse la porta alle spalle, indietreggiando, prendendole la mano e attirandola verso di sé.
“Come stai?”
Lei non oppose resistenza, ma non si avvicinò più di tanto. All’improvviso, cominciò a tremarle il mento.
“Mi dispiace tanto, Harry. Sono un mostro.”
Si infilò sotto alle sue braccia e lo strinse, aggrappandosi alla maglia, singhiozzando in silenzio. Harry alzò lo sguardo e trovò quello di Hermione. Sembrava estranea a ciò che aveva davanti, i loro corpi intrecciati, i lunghi capelli di rame che brillavano sotto al faretto dell'ingresso, l'appendiabiti triste e appesantito accanto a loro, il muro bianco, tetro, la luce che sporcava ogni cosa in prospettiva: ricambiava la lunga occhiata senza voce, e Harry si sentì a sua volta spettatore. Chi erano loro? Chi era Ginevra Weasley, oggi? Chi era Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, il Marchiato, il frustrato con le voglie violacee? E chi era quella damigella che li guardava, da dietro la frangia tutta onde, con un’espressione emozionata e senza tempo?

41.

“…Corner si è costituito.”
“Chi diamine è Corner?”
“Un ex Corvonero del mio anno scolastico. Sarà sottoposto a giudizio la settimana prossima.”
“Per?” lo incalzò il ragazzo, con una voce un po’ nasale, in uno scatto rabbioso, da dietro la maschera.
“Pare che avesse dei contatti a Notturn Alley. È un lavoratore stagionale, si occupa di materie prime e rifornisce erboristi e fattucchieri di bacchette un po’ dappertutto. Pare che quegli stessi contatti lui non li abbia mai denunciati, pur avendone la possibilità, e ora dovrà spiegare perché, visto che è venuto tutto a galla quando è esploso Magie Sinister’s. Era un tipo a posto, a scuola. Frequentava molto Ginevra Weasley, ma non saprei dire se fossero in contatto già prima del viaggio in Brasile.”
“Potrebbe interessarci sapere anche questo.”
“Ah davvero?” Seamus cominciò a perdere la pazienza. “Sentite, non mi piacciono granché i vostri modi.”
“Ci sta minacciando? Ci sta minacciando.”
“Ti sbagli, non mi interessano i conflitti, ma non mi fanno paura. Voglio solo farla pagare a chi è dietro a tutto questo.”
“Il giustiziere di Godric.” Lo canzonò l’altro.
“Falla finita, muso oblungo. C’è altro che vorreste sapere o no? Ho da fare.”
“Sì. Cosa ne pensa Dawlish?”
Seamus fremette, ma non rischiò:
“Dawlish ha collegato un paio di piste a Londra con il traffico sud americano. È convinto di sapere chi ci sia dietro, ma non me l’ha voluto dire esattamente. In effetti, chiacchierare di dossier confidenziali con una recluta neonata con una manciata di giorni di servizio alle sue spalle ha dell’inverosimile. Spero che ne siate entrambi coscienti.”
“Va bene. Noi dobbiamo restare discreti per qualche tempo, non vogliamo destare sospetti in qualche mente particolarmente debole e bacata, e mi riferisco ai tuoi amici ficcanaso. Fai in modo che non succeda, e tutto andrà come si deve. Ci aggiorniamo non appena avrai nuove notizie.”
“Come vi contatto?”
“Ti contatteremo noi.”
“Alla prossima.”
Seamus si calò il cappuccio e uscì dal vicolo buio. Apprezzò la luce giallastra dei lampioni, un po’ meno il vento che lo investì. Quella sera sarebbe tornato a casa a piedi: avevano convenuto così, e poi aveva molte cose a cui pensare.



   
 
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