Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato
Segui la storia  |       
Autore: crazy lion    20/12/2016    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Anche stavolta in anticipo, eccomi con un altro aggiornamento. Posterò il capitolo 65 venerdì. Sì, ho deciso di metterne uno in più prima delle vacanze e degli esami. Perché? Semplice: perché quello finirà con una suspense pazzesca!
I love you all <3
 
 
 
 
 
 
sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
but it's never enough
cause my echo, echo
is the only voice coming back
my shadow, shadow
is the only friend that I have
(Jason Walker, Echo)
 
 
 
 
 
 
64. VUOTO E SOLITUDINE
 
Andrew uscì dal cimitero la sera, quando il custode lo avvertì che stava per chiudere. Non si era nemmeno reso conto di quanto tempo era passato. Il funerale era finito alle 15:30 e adesso erano le 19:00. Era rimasto davanti alla tomba della sorella come in trance, immergendosi nei ricordi e facendosi sovrastare da essi, credendo per tutte quelle ore che lei fosse tornata. Quando aveva sentito la voce del custode, però, era stato riportato alla realtà e il "salto" che aveva fatto era stato grande. Non voleva vedere nessuno, né chiamare Demi, né tantomeno sentire alcuna voce. Tutto quello che gli restava da fare era tornare a
casa.
Una volta rientrato, udì i miagolii dei suoi gatti. Li vide scendere le scale e andargli incontro. Erano felici di vederlo quando tornava e, come sempre, anche quella volta iniziarono a girargli attorno alle gambe. Andrew sentiva le loro codine sfiorargli le caviglie e li prese in braccio, portandoli con lui sul divano.
"Siete grandi" disse. "Non ci state più tutti e due sulle mie gambe."
La sua voce era roca, quasi non la riconobbe.
I gattini si sistemarono sulle sue cosce. Poco dopo cominciarono a fare le fusa. Quelle coccole gli facevano bene. Gli animali sono fantastici, i gatti in particolare. Era questo che Andrew pensava. Gli animali ci fanno compagnia quando stiamo male, cercano di tirarci su il morale quando ce l'abbiamo a terra e, soprattutto, non ci giudicano, non ci dicono che dobbiamo reagire quando non ce la sentiamo, né cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Non che Andrew avesse paura di essere giudicato, soprattutto in quel momento. Se qualcuno si fosse permesso di farlo, di dirgli che non avrebbe dovuto soffrire così, lui gli avrebbe urlato contro. Aveva il diritto di soffrire. Carlie era appena morta, maledizione! Lui pensava di aver perso tutta la sua vita. Il fatto era che, ora come ora, non voleva essere aiutato. Sì, prima con Demi si era sentito meglio, ma adesso non voleva nemmeno lei accanto. La amava, la adorava con tutto il cuore, ma per il momento desiderava restare da solo e non sapeva per quanto tempo questo suo bisogno sarebbe durato. Non voleva superare il suo dolore, perché pensava che sentirsi meglio sarebbe stato difficile, se non addirittura impossibile. Chi avrebbe potuto riempire il vuoto che aveva nel cuore? Nessuno. Non era ancora pronto per capire che, in realtà, una sofferenza così grande si poteva superare, se non del tutto, in gran parte e tornare, lentamente e con i propri tempi, a vivere. Questa è una consapevolezza che si raggiunge solo con il tempo e dopo aver sofferto moltissimo.
Dopo poco i gatti si addormentarono e lui si alzò e li mise delicatamente nella loro cuccia, per non svegliarli.
Andò in camera e aprì un cassetto. Lì teneva tantissime fotografie di lui e sua sorella. Erano tutte in disordine e, per anni, i due si erano divertiti a guardarle per ricordare com'erano stati da bambini. Andrew si era ripromesso più volte di metterle a posto in un album, ma tra il lavoro e la sua vita frenetica e incasinata non aveva mai avuto tempo per farlo; o, anche quando l'aveva trovato, era sempre stato troppo stanco per mettersi all'opera. Prese una foto a caso e la guardò: Carlie era molto piccola, avrà avuto più o meno due anni e lui, che a quel tempo ne aveva otto, la teneva in braccio. Erano tutti e due felici e sorridenti e si trovavano su un prato, quasi sicuramente il giardino di casa loro, dov'erano cresciuti con i genitori, la stessa nella quale lui viveva adesso. Si commosse nel rivedere quella fotografia e non sapeva nemmeno lui cos'avrebbe dato per riavere Carlie.
Si buttò sul letto e cominciò a piangere. Prima le lacrime scesero lente, poi sempre più copiose. In pochissimo tempo inzuppò il cuscino, sentendo un forte dolore allo stomaco e un fortissimo mal di testa, causati da quel pianto a singhiozzi. Si addormentò così, scoperto e ancora
vestito.
Il giorno dopo si alzò presto e fece uscire i gatti.
Poco dopo chiamò lo studio legale per far sapere che non sarebbe andato al lavoro.
"Andrew," gli disse il suo capo, "se vuoi puoi prenderti qualche settimana di ferie. Hai appena subito una gravissima perdita e capisco che tu non ce la faccia a lavorare."
"Grazie, Janet" le disse lui gentilmente.
Janet era una donna molto più anziana di lui, un avvocato competente e molto comprensiva con i suoi dipendenti.
"Torna quando te la senti" gli disse e poi si scusò aggiungendo che doveva lavorare.
"Okay, vai tranquilla."
"Se hai bisogno di qualsiasi cosa, fammelo sapere."
"Sì, grazie; ti chiamerò se mi servirà qualcosa o se avrò bisogno di parlare. Ciao, Janet."
Fatta quella telefonata, sicuro che dallo studio legale nessuno l'avrebbe disturbato per un po', staccò il telefono e spense il cellulare. Non voleva sentire quei suoni fastidiosi. L'avrebbero riportato alla vita ed era proprio ciò che lui non voleva.
Si rimise a letto e restò lì tutto il giorno. Non si alzò nemmeno per mangiare. Il giorno seguente fece la stessa cosa, ma si alzò per farsi un piccolo piatto di minestra e per aggiungere del cibo e dell'acqua alle ciotole dei gatti. Jack e Chloe, capendo che c'era qualcosa che non andava, non uscivano quasi più di casa. Stavano quasi tutto il giorno nella camera del loro padrone, mettendosi sul suo letto a fare le fusa, leccandolo, oppure girellando per la stanza. Uscivano solo per mangiare, bere e fare i bisogni nella lettiera.
Il mattino successivo Andrew sentì bussare alla porta e anche quello era uno dei rumori che lo riportavano alla vita. Si alzò e si avvicinò all'ingresso.
"Chi è?" chiese, stancamente.
"Andrew, sono Demi. Come stai?"
"Non bene Demi, per niente" rispose, con voce grave.
"Posso entrare?"
"No, non voglio vedere nessuno."
"Ho portato anche le bambine."
"Ti ho detto di no, cazzo! Si può sapere qual è il tuo problema? Vieni qui, mi chiedi di entrare, io te lo nego e insisti anche? Perché non mi lasci in pace?"
"Voglio solo starti accanto" disse la ragazza.
Andrew sentì la sua voce incrinata. Molto probabilmente stava piangendo; ed era solo colpa sua e dell'irruenza con la quale le si era rivolto.
"Non ho bisogno di nessuno, Demi" continuò, duro. "Tornare a vivere non mi interessa, non so nemmeno se voglio sopravvivere. Non so cosa desidero. Niente, forse. Per ora voglio restare da solo e basta. Sto troppo male per il momento. Non farei altro che rattristarvi e poi non ho nessuna voglia di parlare."
Detto questo tornò in camera sua, senza nemmeno ascoltare la ragazza che, per un po', continuò ad insistere, finché capì che lui non la stava più a sentire e se ne andò, in
lacrime.
Il giorno dopo era Pasqua, quell'anno veniva a marzo, molto presto, ma Andrew non fece nulla di particolare. Non andò nemmeno in chiesa, cosa stranissima perché lui era abbastanza credente e teneva molto alle ricorrenze religiose.
La stessa situazione che si era verificata con Demi si ripresentò i giorni successivi, quando a bussare alla porta di Andrew furono altri suoi cari amici o semplici conoscenti, tra i quali Joe e Selena, o colleghi di lavoro, preoccupati per la sua salute. Mandò via tutti in malo modo, dal primo all'ultimo, anche coloro che minacciarono di buttare giù la porta se non avesse aperto.
Quando la sofferenza che proviamo è insopportabile ci comportiamo in modi strani, diversissimi da quelli abituali e facciamo o diciamo cose che, se stessimo bene, non ci sogneremmo
nemmeno.
Andrew passò i restanti giorni di marzo e tutto il mese di aprile a letto, alzandosi solo per mangiare e nutrire i gatti. Non aprì mai le finestre della sua camera per far cambiare l'aria. L'ambiente puzzava di chiuso, ma lui non sentiva nemmeno quell'odore. Non gli importava più di niente. Quasi non si ricordò del suo compleanno, il 30 aprile, ma anche quel giorno non fece nulla di diverso dagli altri. Quella situazione perdurò anche per quasi tutto il mese di maggio. Ogni tanto pensava a Demi, al fatto che l'amava, che loro due stavano insieme e che lei doveva essere preoccupatissima e soffrire moltissimo per lui, ma, per quanto provasse per lei quel sentimento sincero, non riusciva a trovare dentro di lui la forza per telefonarle. Nemmeno l'amore che provava era capace di farlo ritornare a vivere. Demi, dal canto suo, cercava di capire e, con pazienza, aspettava. Era molto preoccupata e agitata, ma cercava di non trasmettergli la sua ansia. Ogni tanto gli mandava un messaggio oppure era lei a chiamarlo al cellulare, che l'uomo aveva riacceso, ma le loro telefonate erano brevi, più che altro perché Andrew non aveva voglia di parlare e, d'altra parte, si sentiva un idiota e un insensibile, provando un enorme senso di colpa. Si informava comunque su come stessero lei e le bambine e le diceva che la amava. Ecco, quel:
"Ti amo"
Andrew lo pronunciava con un tono diverso. Era come se quelle due parole ridessero al suo cuore e alla propria anima un po' di vita e Demi lo percepiva. Ne era talmente felice che a volte piangeva di gioia, in silenzio. Significava che, nonostante tutti i suoi problemi, Andrew non si voleva allontanare da lei.
"Ho solo bisogno di tempo," le diceva "e non voglio che tu mi veda in queste condizioni."
"Andrew, io capisco tutto, però due persone che si amano si dovrebbero aiutare anche in momenti così difficili, no? Io vorrei solo venire da te e abbracciarti. Potrò anche restare in silenzio, se vuoi, ma almeno permettimi di stringerti un momento, di farti sentire che ci sono!"
Fu solo verso la fine di maggio che, finalmente, Andrew le rispose:
"Tra qualche giorno, forse. Abbi ancora un po' di pazienza, Demi. Ti farò sapere io. Ti amo!"
Tranne quando si alzava per rispondere al cellulare o per mangiare e andare in bagno, restava o a letto o seduto sul divano, a fissare il soffitto o a piangere, immergendosi nei ricordi e in quel dolore che lo invadeva, che ormai sembravano essere diventati la sua sola vita. Cercava comunque anche di muoversi ogni tanto e di fare delle passeggiate in casa, per evitare che il suo corpo ne risentisse e che, per il troppo stare a letto, non si formassero piaghe da
decupito.
Chiamò il suo capo per sapere come procedevano le cose in ufficio e lei gli disse che tutto andava bene, che altri avvocati erano riusciti a risolvere complicati casi dei quali anche Andrew era a conoscenza.
"Tu come stai?" gli chiese poi la donna.
Sembrava che tutti volessero sapere questo. Andrew sbuffò.
"Domanda di riserva?" chiese, con voce impastata dal sonno.
"Non ce l'ho" rispose Janet, sorridendo appena,
"Diciamo che credo che starò a casa fino alla fine del mese, se per te non è un problema."
"No, non ti preoccupare."
Andrew sapeva che quelle "ferie" non gli venivano pagate, ma per il momento non se ne preoccupava. Aveva avuto il diritto ad alcuni giorni di congedo, dopo il lutto della sorella, ma erano stati solo tre ed ora quella pausa che si era preso si stava prolungando. Janet era stata molto gentile a concedergliela. Un altro capo forse l'avrebbe direttamente sbattuto fuori. La ringraziò infinitamente per questo. Per quanto concerneva la sua situazione finanziaria, Andrew aveva parecchi soldi in banca, con il suo lavoro guadagnava molto bene e non era di certo il denaro il suo problema. Salutò Janet e poco dopo chiamò Demi. Sentiva il bisogno di scusarsi.
"Pronto?" chiese la voce della ragazza, allegra.
"Pronto? Demi, sono Andrew."
"Amore mio! Come ti senti?" gli chiese subito, preoccupata e cambiando tono.
"Non bene. Sono a casa. Non faccio altro che stare qui.
"Andrew, mi hai fatta preoccupare tantissimo in questo periodo! Non sai quanto sono stata male nel sapere che a volte non rispondevi alle mie chiamate, né al cellulare, né a casa."
Demi non era riuscita a trattenersi, stavolta. Non voleva più nascondergli i suoi sentimenti a riguardo.
"Mi dispiace tantissimo! Non avevo voglia di sentire nessuno e non li riaccendevo spesso." Il tono di Andrew era grave, lugubre. Demi pensò di non averlo mai sentito così giù di morale. "Come posso farti capire che sono davvero dispiaciuto e farmi perdonare?"
"Non devi fare niente, Andrew! Sento dalla tua voce che sei sincero, solo ti chiedo di non fare più una cosa del genere e di non escludermi così tanto dalla tua vita, okay? Per favore, te lo domando con il cuore! Mi hai fatta stare davvero male."
Demi non avrebbe voluto farlo sentire in colpa, perché sicuramente era questo che lui provava adesso, ma non voleva che il suo fidanzato continuasse a stare sempre da solo. Andrew, dal canto suo, capì che forse aveva esagerato un po' e promise che non si sarebbe più comportato a quel modo.
"Se te la senti," riprese allora Demetria, "vengo a casa tua e parliamo di Carlie o di quello che vuoi tu."
Il suo cuore batteva forte e sentiva dentro di lei un dolore fisico, dato dalla preoccupazione.
"Non adesso amore, scusa. Comunque ti ho pensata tantissimo. Ti amo, Demi! Anche se in questo periodo mi sono allontanato da te e dal resto del mondo e se ho trattato malissimo molti, te compresa - cosa della quale mi scuso infinitamente -, non ho mai smesso di provare questo sentimento."
"Anch'io ti amo, Andrew!" esclamò la ragazza, cominciando a piangere.
"No, ti prego, altrimenti fai piangere anche me!"
"Hai bisogno di farlo, ce l'abbiamo tutti e due."
Piansero un po', restando in silenzio e ascoltando solo i loro respiri.
"Come stanno le bambine?" le domandò Andrew, per cambiare argomento.
"Bene; crescono" disse e sorrise.
Hope aveva sedici mesi, mentre Mackenzie aveva compiuto sei anni qualche giorno prima.
"Salutamele" sussurrò l'uomo. "Fai gli auguri a Mackenzie da parte mia, anche se in ritardo."
"Te ne sei ricordato!"
"Sì, certo. Avete festeggiato, immagino."
"Io avrei voluto, ma è stata lei a dire di no."
"Perché?"
Andrew era stupito.
"Ha detto che non se la sentiva, dato che tu stavi male. L'ha capito anche se io non le ho più detto niente, se non che tua sorella era volata in cielo. Ho provato a convincerla, ma non c'è stato nulla da fare, così dopo tantissimi tentativi ho desistito. Sai com'è Mackenzie, è testarda."
Mi ricorda qualcuno, pensò Andrew con un lieve sorriso.
In quel momento Hope scoppiò a piangere.
"Ora devo andare!" esclamò Demi, dispiaciuta di dover riattaccare.
"Non ti preoccupare, anch'io vado. Ci sentiamo domani, ti chiamo io. Ti amo, non dimenticarlo."
"Ti amo anch'io."
Per un momento, parlando con Demi, Andrew aveva sentito un po' meno il vuoto e la solitudine che gli riempivano il cuore.
Nei giorni successivi rifiutò gli altri, numerosi inviti che gli vennero fatti da amici e colleghi che bussarono per chiedere di entrare. Lui li lasciò venire dentro, ma quando iniziavano a parlare di uscire tutti insieme, cercava sempre di cambiare discorso, o di dire subito che, se la loro intenzione era quella di invitarlo a pranzo o a cena, lui non
voleva. Telefonava a Demi ogni sera e parlavano per un bel po'. Una sera la ragazza andò a trovarlo. Cenarono insieme con una pizza e guardarono un film, parlando del più e del meno, soprattutto delle bambine. Andrew evitò di parlare della sorella. Non voleva farlo ogni momento. Cercava, invece, di pensare ad altro per provare a stare meglio, anche solo per un po'. Demi avrebbe voluto che le parlasse del suo dolore, ma sapeva di non poterlo costringere ad aprirsi, se lui non lo desiderava.
Finita la cena, Andrew si rabbuiò.
"Che c'è?" gli chiese Demi, alzandosi dalla sedia.
Fece il giro del tavolo e lo raggiunse, appoggiandogli una mano calda sulla spalla destra. Lo sentì rigido, teso.
"Sono contento di essermi sentito meglio, stasera e sono sicuro che anche Carlie lo sarà, vedendomi, dal Paradiso."
"Sì, ma allo stesso tempo ti senti in colpa per essere stato bene, vero?"
Non c'erano né rabbia, né fastidio, né tristezza in quella domanda, bensì un'infinita, profonda comprensione.
"Mi dispiace Demi. So che te l'ho detto tante volte, ma lo penso davvero. Non voglio che tu creda che non mi ha fatto piacere la tua compagnia, perché è tutto il contrario, solo che il dolore non è scomparso, capisci? Forse si è acquietato, però; e questa è già una grande cosa, per me."
"Non volevo farti star male con la mia domanda, amore!" gli rispose, baciandogli dolcemente la testa, mentre lui prendeva una delle sue mani e la stringeva forte. "Ti posso capire, almeno fino ad un certo punto. Nonostante non abbia mai avuto un buon rapporto con mio padre, il fatto che sia morto ha lasciato un vuoto in me. Era pur sempre mio padre; e certo, non ho sofferto tanto quanto tu ora stai facendo con Carlie, ma se ricordi, anch'io per un po' ho voluto stare da sola e quando qualcuno voleva incontrarmi o passare del tempo con me provavo questa duplice sensazione di benessere da una parte e colpa dall'altra. Sì, colpa, proprio per il fatto di essere stata bene" gli spiegò.
Allora lei lo capiva! Lo faceva davvero.
"Mi sento come se dentro di me ci fosse una guerra tra questi due sentimenti, o sensazioni, non so come si possano chiamare" riprese Andrew, guardandola negli occhi, mentre i loro visi quasi si sfioravano. "In questa battaglia nessuno vince, né perde. Le forze sono pari; e so che posso essere solo ed esclusivamente io a decidere quale avrà la meglio, ma non penso di essere pronto."
"Ci vorrà molto tempo, Andrew, ma sono sicura che tu ce la farai. Sei forte, hai coraggio da vendere! Vuoi che ti lasci solo e che ci vediamo un'altra volta?" gli chiese, con dolcezza.
"Sì, per favore."
Andrew la accompagnò alla porta, dove i due si salutarono con un abbraccio e un bacio. Non c'era bisogno di parole, tra loro, in quel momento. Sapevano di amarsi e i gesti dicevano
tutto.
A parte quei pochi momenti di distrazione, Andrew si rifugiava continuamente nei ricordi, soprattutto la sera e la notte. Il dolore che provava era così forte che era difficile persino per lui definirlo nella sua mente. Pensava che fosse un mostro che lo mangiava dall'interno, partendo dalla testa e arrivando fino al cuore, logorandoglielo lentamente. Quando poi, quella terribile sofferenza che l'aveva ferito già così tanto, arrivava all'anima, ciò che provava era troppo doloroso per poterlo anche solo pensare.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato / Vai alla pagina dell'autore: crazy lion