Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    20/12/2016    8 recensioni
"-E tu Perona?!- le chiese Kobi, sporgendosi verso di lei.
-Io?!- domandò, sgranando gli occhioni neri, prima di scrollare le spalle -Oh beh io ci penserò quest’anno! Magari trovo qualcosa di motivante!- disse, con un sorriso che era tutto un programma, girandosi verso le amiche che sapevano bene di cosa stesse parlando.
Senza che nessuno lo sapesse, Perona era già diventata qualcosa alla Raftel High School. Da mesi ormai il suo blog andava alla grande e sempre più studenti chiedevano aiuto alla misteriosa quanto famosa Miss Puck, senza restare quasi mai delusi nelle proprie attese.
Ma non aveva bisogno di vantarsi, le andava bene così. Finché avesse avuto Miss Puck, non sentiva il bisogno di essere nessun altro, a parte se stessa."
A grande richiesta, il seguito di Miss Puck, dieci anni dopo.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drakul, Mihawk, Perona, Portuguese, D., Ace, Trafalgar, Law/Margaret | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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-Ehi Zoro!-
-Cos… Merda!!!- esclamò il verde portando una mano sulla testa nel punto dove l’aveva pestata con violenza contro lo scaffale nel sollevarsi di scatto.
-Oh scusa! Ti sei fatto male?- domandò Perona correndo verso il fratello per accertarsi che non si fosse tagliato.
-Oh no! No, no! È stato piacevole!- commentò con sarcasmo. Cercò di alzarsi ma si ritrovò costretto in ginocchio e Perona che lo esaminava tra i capelli con perizia, alla ricerca di tracce rosse tra le ciocche color menta. -Ehi, sto bene tranquilla.- la rassicurò con un tono più dolce, sorridendo un po’ storto.
Certe volte le sembrava di voler così bene alla sua sorellina da rischiare di esplodere di tutto quell’affetto. Non che lo avrebbe mai detto ad alta voce ma a volte aveva l’impressione che la cosa fosse evidente solo guardandolo, il che non lo faceva impazzire se c’era in giro altra gente ma finché erano solo loro due non era un problema.
Le afferrò il polso e si liberò gentilmente dalla sua stretta prima di rimettersi in piedi e arruffarle i capelli, una mera scusa per guadagnare ancora qualche istante e ammirare quanto quel fagottino rosa e dalla lingua lunga fosse diventata grande e bella. Una donna ormai.
-Ehi!- lo richiamò dopo alcuni secondi Perona, leggermente rossa sulle guance. -Smetti di fissarmi così!-
-Così come?-
-Come se dovessi entrare in convento domani.- ribatté incrociando le braccia sotto il seno.
Zoro scacciò il pensiero che forse sarebbe stato più tranquillo se Perona fosse davvero stata in procinto di entrare in convento e si schiarì rocamente la gola. -Mi cercavi?-
Perona annuì. -Volevo solo chiederti di portare anche dell’acqua, sai, per Margaret. Con la gravidanza beve come una spugna.-
-Uh? Certo nessun problema solo che ho già due bottiglie di vino da portare, se puoi aiut…- fece per chiederle ma il trillo del timer del forno lo interruppe.
-Oh accidenti!- mormorò la rosa, dispiaciuta. -Devo sfornare i fagottini di spinaci! Scusa!-
La porta della cucina si aprì, quel tanto che bastava per permettere alla testa di Drakul di fare capolino. -Ragazzi serve una mano?-  
-Capiti al momento giusto!- lo accolse Zoro, mentre Perona infilava il guanto da forno e apriva con cautela lo sportello, lasciando disperdere il vapore prima di avvicinarsi ulteriormente. -Puoi prendere un paio di bottiglie d’acqua?-
Per tutta risposta, Drag entrò in cucina, dirigendosi deciso verso il frigo ma la porta non fece in tempo a socchiudersi che venne spalancata un’altra volta, questa volta da Robin. -Sono pronti i fagottini?- s’informò.
-Li sto sfornando giusto ora.- l’avvisò Perona, trasportando la leccarda sul bancone della cucina.
-Aspetta che ti aiuto.- si offrì subito, entrando nella stanza e recuperando senza esitazione un piatto da portata su cui disporre le piccole sfogliatine salate.
-Papà mi aiuti ad aprire il vino prima di portarlo di là?- chiese Zoro, fermando il padre che si stava già dirigendo per tornare in salotto, dove la sua famiglia al completo, gli amici di Zoro, gli amici di Perona, Pen, Rebecca, i coniugi Portuguese e il collega di Margaret, Marco, erano riuniti per una piccola festa pre-natalizia. -Non vorrei mai che Rufy scambiasse i tappi di sughero  per stuzzichini e rischiasse di soffocare come l’altra volta. Di ospedali ne ho visti a sufficienza quest’anno.- borbottò rude.
Perona sobbalzò appena a quelle parole ma si tranquillizzò subito, consapevole che Zoro non si riferiva solo all’episodio della primavera scorsa, ma anche alla nascita di Demon e Eris, ai vari controlli a cui si era dovuto sottoporre durante i mondiali di kendo e al malore che aveva colto Sanji quando aveva scoperto che Violet era rimasta incinta ad appena un mese dal matrimonio. E sospettava che di fronte alla reazione del proprio migliore amico anche suo fratello avesse ceduto al desiderio paterno e che lui e Nami stessero provando ad avere un bambino, se non ci erano riusciti già visto che, curiosamente, quella sera Nami non aveva toccato una sola goccia di alcool. Sorrise discreta ma divertita, e per un attimo la somiglianza con Olivia e di conseguenza con Robin fu impressionante ma nessuno se ne rese conto, tutti indaffarati ad aiutarsi a vicenda.
Per alcuni secondi fu solo il rumore di stoviglie e il chiacchiericcio che proveniva dal salotto, filtrato dalla porta, finché una voce non proruppe nuovamente nella stanza e l’uscio fu spalancato di nuovo.
-Robin!- Un suono acuto e prolungato riempì la cucina e quattro teste scattarono verso Law che, il volto impassibile ma una luce lievemente disperata negli occhi, cullava inutilmente il fagottino agganciato al suo petto da una fascia per neonati. -Credo voglia mangiare.- sentenziò, usando il suo tono da chirurgo pur di suonare padrone della situazione.
La sua gemella, però, non gli diede la minima soddisfazione. -L’ho allattato venti minuti fa.- rispose, continuando a decorare il piatto dei fagottini. -Sai che non faccio l’allattamento a richiesta.-
-Okay. Però allora dovresti prenderlo, con me non si calma.-
-E con Rufy?-
-Sta sfidando Usopp a chi riesce a infilarsi le cannucce più in profondità nelle narici, non glielo lascio neppure sotto minaccia.- affermò lapidario e mortalmente serio.
-E Pen?- propose Perona -Con lui si tranquillizza sempre.-
Law sospirò sconfortato. -Sta facendo da giudice alla sfida.-
Robin gli lanciò una divertita occhiata. -Io non mi arrenderei se fossi in te. In fondo è tutta esperienza, Law. Devi cominciare ad allenarti.- ribatté e nessuno provò neppure a trattenersi dal ridacchiare, facendo sbuffare il maggiore dei fratelli Mihawk.
-Non è che non voglio tenerlo, ma si sta logorando le corde vocali così!- insistette.
-Lo sai Law, se non ti conoscessi direi che sei terrorizzato da un bambino.-  rincarò la dose Zoro e il moro si produsse in una falsa risata.  
-Vedremo quando toccherà poi a te.- aggiunse poi, tornando serio e atono, e poco ci mancò che il verde si strozzasse con la propria saliva.
-Fatela finita e datelo al nonno, su.- intervenne Drag, pulendosi le mani in uno strofinaccio prima di avvicinarsi al suo primogenito con le braccia tese e pronte ad accogliere il bebè. Si agganciò con cura la fascia per neonati sulla spalla e dopo pochi attimi di ritmico dondolio il pianto di Demon cominciò a diminuire, fino a scomparire del tutto.
Soddisfatto e senza smettere di cullare il piccolo, Drakul sollevò lo sguardo sui propri figli che avevano smesso di fare ciò che stavano facendo e lo guardavano ammirati e anche un po’ inteneriti. -Anche voi adoravate quando ero io a cullarvi, sapete?-
-Papà non rovinare il momento, dai.- lo ammonì Zoro e i suoi fratelli scoppiarono in una sonora risata, con non poco disappunto del capofamiglia.
-Sì, Zoro, scherza pure. Intanto da chi è che correvi quando avevi gli incubi?-
Zoro si strinse nelle spalle, stappando finalmente la bottiglia. -Da mamma. Era Perona che veniva da te quando faceva un brutto sogno. O era Law?- dubitò, aggrottando le sopracciglia.
-Era Law. Perona non ha mai avuto incubi.- gli ricordò Robin. -Papà forse non dovresti cullarlo così forte.-
-Tecnicamente li aveva, solo che per lei sognare zombie e fantasmi non è un brutto sogno ecco.- ridacchiò Law, rubando uno sformatino che avanzava. -Non è con la pasta di pane vero?- chiese conferma alla sua gemella, che negò con il capo.
-Certo che così mi fate sembrare ancora più strana però!- protestò Perona, portando le mani sui fianchi.
-Papà davvero! Dovresti rallentare un po’!- ritentò di nuovo Robin.
-Tranquilla, so che quel faccio. E poi a Demon piace tanto, vero cucciolo?-
-Perona, tu sei strana.-
-Ho detto “più strana”, Zoro.-
-Ma guarda quanto è bello questo bambino! Tutto il non…-
Un suono gutturale non granché bello a sentirsi interruppe il raro momento di esternazione emotiva di Drag che si irrigidì quando il suo amato nipotino rigurgitò la poppata con mezz’ora di ritardo, tutta sulla sua camicia. Nessuno fiatò o si mosse finché Drakul non girò il capo verso i propri figli, tenendo il bambino a distanza di sicurezza dalla sua stessa produzione. -Un aiutino, magari?-
-Oh sì! Certo!-
-Arriviamo!-
-Prendo dell’acqua!-
-Ecco dallo a me!- scattarono in simultanea i quattro ragazzi.
Zoro non perse tempo ad agganciarsi il nipotino al petto e aiutare Robin a ripulirlo mentre Perona si occupava della camicia del padre. -Meglio se te la cambi eh.- ci tenne a precisare mentre ripuliva la stoffa con un tovagliolo di carta.
-Ah Perona, quasi dimenticavo.- le disse Law, tendendole un altro tovagliolo stavolta di stoffa e inumidito. -Ace ti cercava.-
Non fece nemmeno in tempo a finire la frase, a “Ace” le guance di sua sorella avevano già preso colore e un sorriso radioso si era disegnato sul suo volto.
-Okay, grazie.- mormorò, abbassando per un attimo gli occhi al pavimento, in un mix di imbarazzo e felicità. -Ora tanto torno di là, devo portare i fagottini.- aggiunse, tornando verso il bancone, per sottolineare con i fatti le proprie parole.
Ma qualcosa nei suoi movimenti era improvvisamente diverso. Aggraziata Perona lo era sempre ma ora sembrava quasi veleggiare a qualche centimetro da terra, i suoi movimenti erano armoniosi come una danza, nonostante sembrasse lievemente in trance, persa in chissà quali pensieri, o forse precisamente per quel motivo. Era così innamorata da dare quasi fastidio.
-Qualcosa non va?- domandò Drakul, osservando il più grande dei suoi figli con un’occhiata in tralice.
-No nulla.- mugugnò Law e Drag sollevò un sopracciglio.
-Dovresti essere felice per lei.-  
Law si girò di scatto verso il padre, scottato dalle sue parole. -Lo sono! Oh accidenti…- imprecò contro se stesso. -Sono felice per lei, davvero è solo che… non… non stanno correndo troppo? Insomma sono ancora piccoli per essere già così innamorati! E poi Ace che la cerca sempre, sembra quasi ossessionato!-
Il sopracciglio di Drakul si inarcò ancora di più, in ciò che era senza dubbio la traduzione in alfabeto muto di “Senti da che pulpito” e, cosa strana, Law non ebbe la minima difficoltà a interpretarlo. -Papà dico davvero.-
Drag lo osservò ancora per una manciata di secondi e poi tornò serio e passò un braccio intorno alle spalle di suo figlio. -Ace non è ossessionato, è solo protettivo. Molto protettivo e non è che noi possiamo giudicarlo. Sarebbe quanto meno ipocrita e poi è sempre stato così. Però quello che c’è di là e cerca tua sorella come un disperato è lo stesso Ace che è cresciuto in questa casa, che conosci da quando è bambino. Solo più uomo e irrimediabilmente innamorato. E non è una cosa che si controlla o si misura e tanto meno c’è un’età in cui è più giusto essere più innamorati o esserlo di meno. E tanto perché tu lo tenga a mente, avevi solo due anni più di Ace quando hai perso la testa per Margaret.-
Law guardò suo padre con incredulità, inclinando appena la schiena all’indietro. -Wow.- commentò. Considerato come aveva reagito alla notizia del fidanzamento della piccola sette mesi prima non si aspettava certo tanta ragionevolezza. Sapeva che Boa era intervenuta in favore della giovane coppia ma mai avrebbe immaginato che sarebbe riuscita a fare un lavoro del genere e non certo perché non ne fosse in grado ma perché, se da qualcuno Law aveva ereditato la propria testardaggine, non era stato certo da sua madre. -Cavoli papà, non pensavo che ti avrei mai visto così rilassato al riguardo.- lanciò ancora un’occhiata a Perona, che stava uscendo dalla cucina dietro a Robin, con un cenno di ringraziamento a Zoro per averle tenuto la porta aperta. -Quindi per te questa situazione è perfettamente okay?-
Un breve silenzio seguì la domanda di Law, mentre, spalla contro spalla, padre e figlio osservavano la piccola di casa sparire alla loro vista.
-Assolutamente no. Se la tocca lo uccido.-

 
§

 
-Aaaaah che bella serata!- sospirò Rufy con soddisfazione, sedendosi sul divano di casa sua con suo figlio ben assicurato al proprio collo.
Robin gli lanciò un’occhiata dall’ingresso, sorridendo con affetto e amore. Rimaneva sempre colpita, per non dire esterrefatta, da quanto Rufy fosse bravo a maneggiare loro figlio o, per meglio dire, i bambini in generale. Anche con Eris era fantastico, tanto che Monet non si faceva problemi ad affidargliela anche per tempi prolungati.
Doveva ammettere che il confronto con sua cugina le stava dimostrando ogni giorno di più che, nonostante i suoi buoni propositi, era una madre più apprensiva di quanto le sarebbe piaciuto ammettere ma non era per chissà che irrazionale paura.
Aveva fatto una buona gavetta con Perona e aiutare a crescerla aveva significato per la maggior parte del tempo impedire a Law, Zoro e suo padre di spiarla, tenerla sotto una campana di vetro e tarparle involontariamente le ali. Ragion per cui sapeva che non sarebbe diventata una mamma chioccia, complice anche il carattere di Rufy, così ottimista e convinto che tutto sarebbe andato sempre e comunque per il meglio.
No, il suo voler stare tanto con suo figlio, il suo affidarlo ad altri per brevi intervalli, il suo reclamarlo con puntualità era semplice desiderio di godere di ogni istante.
Lei lo aveva provato sulla propria pelle quanto la vita potesse essere imprevedibile e dolorosa ma non rimpiangeva nulla del tempo in cui sua madre era ancora viva. Olivia aveva saputo come lasciare il proprio segno in lei, così profondamente che Robin avvertiva ancora il suo caldo abbraccio, concretamente e costantemente. Se Robin non aveva rimpianti, ma solo il rammarico di non poterle parlare se non attraverso la loro quercia, era perché Olivia aveva saputo farle sentire il proprio amore fino all’ultima goccia e fino all’ultimo respiro.
Se n’era andata sorridendo, Olivia, e quel sorriso Robin non lo avrebbe dimenticato mai. Se le fosse accaduto qualcosa, voleva che suo figlio crescesse con lo stesso senso di completezza che l’aveva accompagnata per tutta la vita nonostante la perdita di un genitore e voleva andarsene con la stessa serenità della sua mamma. Ecco perché cercava di passare con Demon tutto il tempo che poteva fintanto che era ancora un bebè.
Ma, oltre a questo, ciò che Robin desiderava per il suo bambino era un padre su cui poter fare affidamento. Un padre presente e amorevole, un padre che avrebbe saputo consigliarlo e consolarlo, un punto di riferimento solido come una roccia. Proprio come il suo.
E, osservando dalla soglia del loro salotto Rufy cullare, coccolare e parlare con Demon, pensò che non avrebbe potuto desiderare nulla di meglio o di diverso. Era tutto lì, sul loro sofà rosso e viola. Ed era perfetto.
-Scommetto che ti sei divertito anche tu, vero?- Rufy chiese a Demon, regalando a suo figlio uno di quei suoi giganteschi e solari sorrisi per cui Robin aveva perso la testa. 
-Puoi giurarci.- rispose per il piccolo, staccandosi dallo stipite e raggiungendoli sul divano. -Pensa che ha anche vomitato sulla camicia di papà.- gli disse, ridacchiando, mentre si accoccolava al suo fianco.
Rufy le passò un braccio intorno alle spalle, spostando lo sguardo da lei a Demon con un infinito orgoglio negli occhi. -Hai vomitato addosso al nonno? Shishishishi! Sei proprio mio figlio!-

 
***

 
Vedere Zoro nervoso o agitato era una rarità. Tutti nella sua famiglia sapevano celare molto bene quello stato d’animo e solo chi molto bene li conosceva era in grado di riconoscere i gesti rivelatori di ciascun Mihawk.
Perona si mordeva il labbro inferiore fino a martoriarselo, per suo padre era il colletto della camicia che si aggiustava compulsivamente, Law tamburellava con le dita tatuate su qualunque superficie disponibile e così forte da rischiare di dislocarsele, mentre Robin si lisciava i pantaloni o la gonna con le sue immancabili classe e discrezione. 
Di tutta la famiglia il tic nervoso di Zoro era indubbiamente il più discreto di tutti. Senza nemmeno accorgersene, sollevava la mano destra e si stringeva il braccio sinistro all’altezza dove solitamente portava legata la sua bandana durante gli allenamenti. Era nato come gesto scaramantico quando era ancora un bambino.
Ricordava come fosse ieri il momento in cui l’aveva ricevuta. Olivia gliel’aveva legata al braccio poco prima del suo primissimo incontro ufficiale di kendo. Aveva solo otto anni e Olivia gli aveva assicurato che la bandana lo avrebbe sempre protetto e da quel giorno Zoro non se n’era mai più separato. Pur di non sciuparla aveva preso l’abitudine di legarsela in testa per assorbire il sudore solo quando l’allenamento si faceva più pesante e difficile del normale o quando decideva di provare a superare i propri limiti.
Quel piccolo quadrato di stoffa nera aveva vent’anni, i riflessi verde petrolio si erano sbiaditi ma per Zoro restava qualcosa di così insostituibile che c’era un solo possibile scenario in cui riusciva a immaginare di separarsene. Lo stesso possibile scenario a causa del quale la sua mano destra continuava a stringersi intorno al suo braccio sinistro.
Lanciò l’ennesima nervosa occhiata verso la porta chiusa del bagno, misurando il corridoio a grandi passi. Quanto ci metteva?!
Quando in macchina Nami gli aveva confessato cos’aveva intenzione di fare, una volta tornati a casa dopo la festa di Natale a casa Hancock-Mihawk, Zoro aveva cominciato a sudare freddo e sentirsi eccitato al tempo stesso. Ma ora avrebbe voluto che Nami lo avesse avvisato a cose già fatte perché quell’attesa lo stava distruggendo.
Un nuovo grugnito, di nuovo una stretta intorno al braccio. -Mocciosa?!-
Lo stomaco gli si accartocciò quando, anziché ricevere risposta, la chiave della porta del bagno scattò girando nella propria toppa. Zoro trattenne il fiato e lasciò la mano destra là dov’era, posata sul braccio sinistro, mentre la porta si apriva piano mostrandogli Nami, ferma sulla soglia e con un’espressione un po’ delusa sul volto.
Aveva una mano ancora sulla maniglia mentre l’altra, abbandonata lungo il fianco, stringeva un bastoncino di plastica lungo e sottile, che si inspessiva un po’ a un’estremità, su cui era applicata una placchetta.
-Ehi?- la chiamò più dolcemente avanzando di un passo. Nami sollevò il capo e allungò il braccio per tendergli il test di gravidanza, sconfortata. Zoro lo prese in mano con un piccolo sospiro, dispiaciuto e deluso a sua volta e, meccanicamente, abbassò gli occhi sulla placchetta.
Non che ci fosse bisogno di controllare, la reazione di Nami parlava da sola ma anche così non poté non provare una punta di fastidio di fronte a quel maledetto segno “più” rosa che camp…
Aspetta! Che aveva appena pensato?! Segno… Segno “più”?!
Fu il suo turno di sollevare la testa, di scatto, solo per trovare Nami che gli sorrideva con il sorriso più bello, radioso, felice e innamorato che le avesse mai visto dipinto in volto. Confuso, Zoro spostò gli occhi da Nami al test di gravidanza e di nuovo a Nami. -Tu… Tu… Noi…-
-Siamo incinti.- confermò la rossa, contenendo a stento l’emozione solo per liberarla tutta un attimo dopo in una melodiosa risata, quando Zoro l’abbracciò, sollevandola da terra e facendola vorticare.
In quel preciso momento due pensieri attraversarono la mente di Zoro. Che amava da morire la sua donna e che era meglio che cominciasse a prepararsi psicologicamente all’idea di cambiare pannolini.
 

 
***

 
-Grazie.- soffiò Margaret da sopra la propria spalla, mentre Law l’aiutava a sfilarsi il cappotto. Con le mani posate sul pancione di cinque mesi, si diresse verso il salotto mentre Law faceva una sosta in cucina per bere un bicchiere d’acqua. Sapeva che ne avrebbe portato uno anche a lei perché, come non mancava mai di ricordargli, era molto importante tenersi idratata nel suo stato.
Sorrise con affetto, accarezzando si il ventre attraverso il maglione. Chiedere a Law di non preoccuparsi tanto era impensabile e lo sapeva. Ma non dubitava che sarebbe stato un padre meraviglioso. Forse un po’ apprensivo, certo, ma pur sempre meraviglioso.
Sapeva, anche senza bisogno che glielo dicesse, che aveva paura di non essere all’altezza. Sapeva, anche senza bisogno di vederlo, che se fosse stata femmina sarebbe stato geloso e i ragazzi che le sarebbero ronzati intorno non avrebbero avuto vita semplice. D’altra parte era pur sempre figlio di suo padre.
Ma ciò che Law tendeva a dimenticare era che era anche figlio di sua madre. Negli anni aveva avuto modo di vederlo  alle prese con Perona e quella primavera, quando la piccola era finita in ospedale, aveva dato il meglio di sé come fratello e come persona. Anche se non era stata presente, il racconto di Robin le era bastato. E doveva ammettere che, pur desiderando sopra ogni cosa che il bambino fosse sano al di là poi del suo sesso, in cuor suo sperava che fosse femmina.  
Un protettivo abbraccio e due labbra appena un po’ umide d’acqua sul collo interruppero il flusso dei suoi pensieri. Margaret portò subito le mani su quelle di Law ora appoggiate al suo pancione e girò il capo per poterlo guardare anche se un po’ di sbieco.
-Sei sicuro che non vuoi chiedere a Caimie il sesso? Ti ho già detto che non è un problema e poi sono io quella a cui piacciono le sorprese.- sussurrò, strusciando la punta del naso contro la guancia del moro.
Law negò piano con il capo. -Lo scopriremo insieme.- affermò dolce ma deciso. -Piuttosto hai pensato a qualche nome?-
-Mmmh… E tu?-
-Qualcuno sì, ma non sono convinto.-
-Vediamo…- mormorò Margaret, guardando il soffitto mentre rifletteva. -Se fosse maschio potremmo chiamarlo Duval.- propose, girandosi di nuovo a guardarlo. Faticò a trattenere una risata quando vide la sua espressione. -No?! Okay allora… che ne dici di Penguin?-
-Margaret!- la ammonì lui, spostando le mani sui suoi fianchi con un ghigno sadico.
Margaret sobbalzò per il solletico. -Okay, okay, la smetto!- si arrese, ridacchiando. Si rigirò tra le sue braccia e agganciò le mani intorno al suo collo, guardandolo innamorata. -Però se fosse femmina, avrei una preferenza.- gli disse, parlando sul serio nonostante il sorriso ancora disegnato sul volto.
-Dimmi.- la invitò lui, accarezzandole i capelli.
Margaret prese un profondo respiro, gli occhi incollati al suo viso per studiare la sua reazione. -Olivia.-
Law si immobilizzò, travolto da un turbine di emozioni, con la mano ancora immersa tra le sue ciocche bionde e, lentamente, tornò a guardarla in viso, gli occhi un po’ lucidi e la bocca leggermente schiusa.
-Se sei d’accordo ovviamente.-
-Io…- la voce lo abbandonò per un attimo, mentre cercava un modo di esprimere ciò che stava provando in quel momento. La mano scese tremante ad accarezzarle il lobo, la mandibola e il collo. Law deglutì a vuoto e la guardò intensamente negli occhi. -Io non credo di essere in grado di esprimere a parole quanto ti amo, Margaret.-
 
 
***
 
 

Con passo felpato Boa si avvicinò da dietro e si addossò alla schiena di suo marito, posandogli un bacio sul braccio. Senza staccare gli occhi dal panorama oltre la finestra, Drag alzò la mano e accarezzò la guancia di sua moglie, che aveva reclinato il capo sulla sua spalla e si stava rilassando con un profondo respiro.
-Contento della festa?- chiese, gli occhi socchiusi.
Drag continuò ad accarezzarla con il dorso della mano. -È andata anche meglio di quanto sperassi. Temevo che Roger se la sarebbe data a gambe levate. Chi l’avrebbe mai detto che avrebbe finito la serata a cantare e ballare sul tavolo insieme a Dofla e con addosso il suo boa?-
Boa rise divertita e risollevò il capo, immergendo le dita nelle ciocche che ricoprivano la nuca del suo uomo. Scivolò sotto il suo braccio per sgusciargli davanti e addossare la schiena al suo petto. -Anche tu sei stato una sorpresa.- commentò reclinando appena il capo all’indietro e Drag corrugò le sopracciglia perplesso. -Hai minacciato Ace di morte una volta sola.- spiegò divertita mentre suo marito mandava gli occhi al cielo.
Drag la strinse più forte, tirandosela contro ancora di più e immergendo il naso nei suoi capelli al profumo di sandalo. Come sempre quando si rendeva conto di quanto amasse Boa, il suo cuore tremò di gioia e di inevitabile senso di colpa.
Aveva creduto che mai avrebbe saputo amare un’altra donna così. Aveva creduto che per il resto dei suoi giorni avrebbe amato solo e soltanto Olivia. Ma amare Boa con ogni cellula del proprio corpo non significava che avesse dimenticato il suo primo grande amore e aveva più di un motivo, al di là del suo desiderio che fosse così, per credere che fosse stata proprio Olivia a mandargliela. Da quando Boa era entrata a tuttotondo nelle loro vite le cose avevano preso ad andare sempre meglio e per Drag non poteva essere un semplice caso. Come dal suo punto di vista non era un semplice caso il cielo bianco che proiettava una luce candida su Raftel.
-A cosa stavi pensando?- domandò Boa, rilassandosi nel calore delle sue braccia.
-Guardavo il cielo.- rispose Drag, piegando appena il busto per appoggiare il mento sulla spalla di sua moglie. -Credo che stia per nevicare.-
 
 
***

 
Richiuse con cautela la porta alle proprie spalle e sorrise famelico, prima di avvicinarsi a lei, prenderla tra le braccia e baciarla con passione. Perona si aggrappò a lui senza una protesta, emettendo solo un lieve mugugno di piacere quando Ace spinse la propria lingua tra le sue labbra.
Andarono avanti alcuni minuti senza parlare, ansimando tra un bacio e l’altro per riprendere aria, finché non si ritrovarono, non sapevano neppure loro come, sdraiati sul letto a una piazza e mezza di Perona. A malincuore, Ace si impose di calmarsi prima di superare il punto di non ritorno e perdere del tutto il controllo. Sapeva di stare già rischiando molto a dormire lì di nascosto ma quando Perona glielo aveva chiesto in un sussurro, mentre la aiutava ad impilare dei piatti da portare in cucina, non era stato fisicamente in grado di dire di no. Era come se il suo apparato fonatorio non fosse in grado di articolare la parola.
Sapeva che non era un problema per i suoi. Disgraziato com’era, Rouge si era abituata a non vederlo proprio tornare certe sere e si era rassegnata al carattere irrequieto del figlio, consapevole che se avesse provato a cercarlo lo avrebbe senz’altro trovato a casa di questo o quell’altro amico, tutti ragazzi bravi e affidabili anche se un po’ casinisti. Senza contare poi, che di certo suo padre avrebbe gradito un po’ di intimità con la moglie.
Era piuttosto certo che anche Boa avesse intuito qualcosa quando aveva cominciato ad attardarsi, inventandosi una scusa dietro l’altra per rimanere lì anche dopo che gli ultimi invitati se n’erano andati, ringraziando per la bella festa. Il solo rischio e problema di dormire lì di nascosto, nella stessa stanza e nello stesso letto con Perona, era Drag.
Ma Ace amava il pericolo, amava mettersi in gioco e, soprattutto, amava Perona e quindi eccolo lì, sul letto con lei, sopra di lei, a fare appello a tutto il proprio autocontrollo per trattenersi dal divorarla. Anche lei però, era proprio necessario essere così bella?
Le sorrise, con la fronte appoggiata alla sua, e poi si lasciò cadere al suo fianco con un sospiro. Perona si accoccolò immediatamente contro di lui, entrambi con lo sguardo puntato al soffitto, in silenzio, a godere semplicemente della presenza l’uno dell’altra e a respirarsi a vicenda.
Non sapeva da quanto erano lì e da quanto Ace la stava accarezzando distrattamente sul fianco quando Perona sollevò un braccio e simulò con la mano il movimento di un aeroplano.
-Lo sai, quando da bambini mi hai detto che tuo padre pilota gli aerei io volevo chiederti se poteva portarmi con lui una volta. Perché siccome tutti mi dicevano che mamma era in cielo, io pensavo che così sarei potuta andare a trovarla.- mormorò nella penombra. Ace le posò il palmo sulla guancia e Perona si abbandonò al contatto, chiudendo gli occhi.
-Ora ho capito perché mi stavi sempre così appiccicata alle elementari.- la prese in giro dopo alcuni secondi di silenzio per sdrammatizzare.
Perona riaprì gli occhi, sorridendo furba. -Io starti appiccicata? Guarda che sei fuori strada. Non è mica colpa mia se ovunque andava Sabo c’eri anche tu.-
Ace sgranò gli occhi indignato ma non riuscì a trattenere un sorriso divertito. -Ah è così eh?!-
-Oh sì che è così!-
-E io che pensavo di averti rubato il cuore già allora.-
-Mi spiace ferire il tuo orgoglio ma io ero cotta di Kidd all’epoca.- rispose con un guizzo provocatorio negli occhi.
-Ma senti tu questa!- esclamò Ace, avvolgendola con entrambe le braccia e stringendola protettivo. -Vedi te se me lo devi venire a dire adesso che Kidd è diventato un gorilla! Come faccio a sfidarlo per il tuo amore, ora?-
-Ah perché invece alle elementari avevate la stessa stazza, vero?!- continuò a prenderlo in giro, voltandosi sul fianco per poterlo guardare negli occhi.
-Non so se lo hai guardato bene di recente ma se dovesse darmi un cazzotto adesso probabilmente finirei in coma.- Perona soffocò la risata contro il petto di Ace, aggrappandosi alla sua maglietta. -Ma sono curioso, quando hai smesso di struggerti per l’aitante rosso e hai perso la testa per il meno muscoloso ma indubbiamente più affascinante, simpatico e travolgente me?- proseguì il moro, facendola ridere ancora più forte.
Perona si schiarì la gola prima di sollevare il capo e rispondere. -Credo sia stato il giorno in cui hai sfidato Robb per salvare Kumachi. Sei stato così coraggioso.- mormorò con un sospiro melodrammatico prima di tornare più seria pur senza smettere di sorridere. -Non sai quanto ero spaventata quella volta. Ho sempre visto Kumachi come il guardiano che mamma mi ha lasciato per vegliare su di me. Se gli fosse successo qualcosa non sarei mai riuscita a perdonarmelo.-
Ace la guardò intensamente, sperando di riuscire a trasmetterle con lo sguardo tutto l’amore che provava per lei, prima di piegare il collo per poterla baciare a fior di labbra. -Io penso che sia lei stessa a vegliare su di te. Sono certo che non ha mai smesso di proteggerti e di osservarti da lassù. Sono certo che è fiera di te e che ti sta guardando anche ora, in questo preciso momento.-
Perona lo ascoltò attentamente, gli occhi un po’ lucidi per l’emozione e si morse il labbro inferiore prima di prendere un profondo respiro. -Questo potrebbe essere un problema.- ammise e Ace si accigliò perplesso. -Non credo di volere che nessuno dei miei genitori assista a quello che sta per succedere.-
Ancora più confuso, Ace sbatté le palpebre e scosse la testa. -Perché, cos’è che sta per succedere?!-
Ma quando Perona tornò a guardarlo negli occhi, con i suoi così grandi e densi e sinceri, Ace seppe la risposta senza bisogno di sentirla e un turbinio di emozioni lo travolse. Tutto il sangue gli andò per un attimo al cervello e poi confluì al basso ventre, mentre lo stomaco gli si contraeva in piacevoli spasmi di eccitazione e nervosismo. La guardò con gli occhi sgranati e brillanti di emozione e si sollevò appena con il busto per poterle prendere il viso tra le mani. -Perona…- mormorò, la voce improvvisamente roca e incerta. -…Sei sicura?-
-Sono settimane che ci penso.- rispose senza esitare, continuando a martoriarsi il labbro inferiore, emozionata tanto quanto lui. -Non voglio più aspettare. Io…-
Non riuscì a finire quando Ace si avventò di nuovo sulla sua bocca, più famelico che mai e tornò a sovrastarla, i boxer e i pantaloni che già tiravano, sempre più stretti. Si staccò e la guardò negli occhi perso e innamorato. -Non voglio farti male.-
Perona scosse la testa con decisione. -So che la prima volta non è tutta rose e fiori ma se è con te sarà perfetto comunque vada.- sussurrò prima di ricominciare a baciarlo, lasciandosi prendere sempre più, lasciandosi spogliare dalle sue mani tremanti e inesperte, lasciandosi andare tra le sue braccia e nel suo calore.
Fuori i fiocchi di neve avevano iniziato a scendere silenziosi sulla città.    
 
 
§

 
Si rigirò tra le coperte con un mugugno soddisfatto, godendosi il calore delle lenzuola di flanella che compensavano la leggera maglietta di cotone che indossava a mo’ di pigiama. Inspirò a pieni polmoni, consapevole che suddetta maglietta non era il suo usuale pigiama ma che si trattava della maglietta di Ace e che quindi era impregnata del suo odore. Odore che Perona sentiva ovunque, nel suo letto, sul cuscino, sulla propria pelle, dopo che lei e Ace avevano fatto l’amore la notte appena trascorsa.
Un’ondata di pura felicità la pervase, nonostante fosse ancora in dormiveglia, a quel pensiero. Lei e Ace avevano fatto l’amore e quello sarebbe stato solo il primo amplesso di una lunga serie e, se era vero ciò che Nojiko le aveva detto riguardo al fatto che dopo la prima volta le cose potevano solo migliorare, visto com’era andata la loro di prima volta Perona non vedeva l’ora di provare di nuovo.
Ora, l’unica incongruenza che il cervello di Perona non poté fare a meno di notare mentre la sua padrona tornava alla realtà, svegliandosi lentamente, era che non avvertiva alcun peso accanto a sé nel letto. E, anche se l’odore di Ace era ovunque, se Ace fosse stato fisicamente presente sarebbe dovuto essere molto più intenso.
Un po’ a malincuore, Perona si riscosse dal torpore che l’avvolgeva e aprì gli occhi. La testa girata verso la finestra di camera sua, la prima cosa che vide fu Nekozaemon sul davanzale, intento a guardare fuori. Il che non sarebbe stato strano se solo non fosse stata certa che il micio dormiva sul divano al piano di sotto quando la sera precedente lei e Ace si erano intrufolati di soppiatto nella stanza.
A meno che Nekozaemon non fosse diventato capace di aprire le porte da solo, perché il gatto potesse entrare qualcuno aveva necessariamente aperto la porta. E a meno di non essere diventata sonnambula quel qualcuno non era di certo lei. Il che voleva dire che, mettendo insieme tutti i pezzi, Ace era probabilmente uscito dall’area di sicurezza che camera sua rappresentava e, improvvisamente vispa, gli occhi di Perona schizzarono verso la radiosveglia a forma di fantasma che faceva bella mostra di sé sul comodino accanto alla lampada.
Inorridì quando il suo timore divenne realtà. Era presto, troppo presto. Suo padre non era ancora uscito per andare al dojo a quell’ora e se Ace non stava più che att…
-Torna qui!!! Disgraziato!!! Che cosa ci fai in giro per casa mia mezzo nudo?!?!-
La porta di casa si spalancò e si richiuse con violenza per due volte a distanza ravvicinata e Perona scattò in piedi, inciampando nelle lenzuola, per precipitarsi alla finestra, dove Nekozaemon la salutò con un miagolio e una piccola fusa. Meccanicamente, Perona lo accarezzò sulla schiena soffice ma senza staccare gli occhi dal giardino, ricoperto da un sottile manto bianco come il resto della città, il fiato sospeso. Dovette attendere solo pochi istanti per vedere Ace correre lungo il vialetto di casa sua scalzo e con solo i boxer addosso, seguito a ruota da suo padre, ancora in pigiama e con la spada saldamente stretta in mano.
-Che hai fatto a mia figlia, delinquente?!?-
Perona spalancò la finestra d’istinto e si sporse appena fuori con il busto, ignorando l’aria fredda e tagliente che subito le sferzò il volto. -Papà!!!- chiamò a metà tra un ammonimento e un’implorazione e Drag on riuscì a non lasciarsi distrarre dalla voce della sua bambina, che tanto bambina ormai non era più. 
Si rese conto troppo tardi di avere commesso un errore. Aiutato dall’istinto di conservazione, Ace aveva continuato a correre, nonostante la voce di Perona fosse normalmente un richiamo irresistibile anche per lui, e quando Drakul tornò ai propri affari, il ragazzo aveva già superato il cancello e imboccato il marciapiede. Con uno smagliante sorriso, Ace si girò verso la finestra aperta al secondo piano e sollevò un braccio in segno di saluto. -Ti chiamo dopo amore mio!- urlò prima di accelerare l’andatura, marcato stretto da Drag.
Incredula e interdetta, Perona sollevò piano la mano per rispondere al saluto e rimase ad osservare il giardino ora vuoto con il braccio a mezz’aria, finché un’altra voce non la risvegliò.
-Perona?!-. la rosa si girò di scatto verso Boa, che, dalla soglia della camera e con addosso la sua magnifica vestaglia a kimono, la guardava allarmata dalla gran cagnara. -Ma che sta succedendo?!- 
Perona la fissò senza parole alcuni secondi, si rigirò verso il giardino, poi di nuovo verso di lei. -Sai una cosa mamma?- le disse, sorridendo felice e divertita. -Non cambierei nulla di questa famiglia, per niente al mondo.-  







Angolo dell'autrice in imbarazzante ritardo: 
Ciao a tutti!!
Lo so, lo so, avevo detto che sarebbe arrivato presto e poi ci ho messo un'altra mezza vita! Vi chiedo scusa. Un po' è mancato il tempo, un po' tanto è mancato internet. Ma ammetto anche che non volevo chiuderla. Perchè purtroppo ragazzi è finita e io sono la prima che non ci crede. 
Miss Puck e Somebody to love sono le storie che mi ha appassionato di più scrivere, sono state un fantastico percorso in vostra compagnia e anche se mi spiace che siamo arrivati alla fine sono anche felice e soddisfatta del risultato e spero che sarete d'accordo con me! Devo ringraziarvi di cuore per tutto il sostegno, per esservi lasciati emozionare e appassionare tanto, per aver seguito con assiduità i miei non più così celeri aggiornamenti, per aver messo da parte i pregiudizi sui pairing e avermi sostenuta! E ci tengo a ringraziare Annapis, Gibutistan, Black Vanilla, Momo, Sara, Lalla, Debina, OrenjiAka, Luna Oscura, Allucinator Zona, Eva98, BambolinaRossa per le recensioni! 
E' stata un'avventura lunga ma non di certo sofferta e sono felice di salutarvi con anche i migliori auguri di buone feste.
Grazie mille a tutti quanti e spero di rivedervi presto.
Un abbraccio.
Piper.  
  
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