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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    25/12/2016    1 recensioni
Elayne O'Connel ha solo sedici anni quando la sua vita viene sconvolta, e scopre di essere stata scelta come Guardiana della Terza Dimensione, Astrapos, per combattere contro il male.
Perchè Yggdrasil, l'Albero del Mondo, sta morendo, e con lui, anche il sigillo che teneva prigionieri Nidhoggr, la Grande Viverna, sta svanendo.
Solo I Sette Guardiani possono combatterlo, ritrovando l'Aetherna, l'unica anima pura che possa sconfiggere il mostro.
E' però una lotta contro il tempo, perchè, se sarà lui a trovarla, per loro, per tutto il mondo, sarà la fine...
Tratto dal testo:
"Non ho scelto io il destino che mi è stato assegnato.
Mi sono svegliata un mattino, e booommm … la mia vita non era più come prima. Semplicemente, gli dei o chi per loro avevano altri programmi per me, e che mi piacesse o no, dovevo seguire la strada che avevano tracciato.
Seh … se pensavate davvero che gli dei fossero dei santarellini tutto amore e amicizia, mi spiace deludervi ma … non è affatto così. Prendete me, per esempio. Pensate davvero che volessi rischiare le penne per salvare il mondo? Io??? Tre denunce per rissa e sette sospensioni, tutte in scuole diverse … come no."
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Watchers Chronicles'
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Capitolo XXVII
L'importanza di un leader
 
 
(Elayne)

Non appena giungemmo presso la Fortezza di Zaffiri, Lilith mi lasciò alle “amorevoli” cure di Shyral, che dal canto suo mi spinse senza tanti complimenti per i corridoi del castello, diretta verso quella che sarebbe dovuta essere la mia casa d’allora in avanti: ossia le segrete.
Che bella prospettiva, eh?
Mentre camminavamo, ebbi modo di notare, con mio sommo terrore, come all’interno dell’edificio non aleggiassero né una né due ma bensì TRE auree omicide e dannatamente potenti, segno indelebile che sì, anche il Terzo Figlio di Nidhoggr doveva essere giunto a Thalass, probabilmente con lo scopo di dare il suo contributo nella guerra.
Sebbene non fosse in vista, potevo percepire fin troppo chiaramente quell’aura dalla grandezza a dir poco inimmaginabile, che ben differiva da quelle dei fratelli. Se quella di Apophis era viscida e quasi vomitevolmente sadica, e quella di Lilith fredda e crudele come la morte stessa, quella del fratello era profondamente differente, ma non per questo meno temibile. Era un’aura semplicemente immensa, che avvolgeva l’intera fortezza, trasparendo dalle pareti e dal terreno, impregnando l’aria e rendendo quell’atmosfera quasi irrespirabile, come se mille occhi invisibili potessero tenere d’occhio ogni mio singolo movimento. Non era crudele, o malvagia, solo calma e cupa, e da essa traspariva una determinazione e una fermezza tale da essere senza precedenti. Nemmeno di fronte a Chosmos avevo provato una suggestione simile. Semplicemente, era l’aura di un CAPO, di un leader a tutti gli effetti. Nulla a che vedere con me, che stentavo a guidare un team di appena appena cinque persone.
Venni condotta attraverso un intrico di corridoi tutti uguali, al che non mi ci volle molto per perdere definitivamente la cognizione sia dello spazio, che del tempo, finchè non giungemmo alle segrete che, stranamente, non erano nemmeno così brutte.
Almeno non quanto quelle della Fortezza Purpurea.
Il pavimento, in marmo nero, luccicava di una non molto rassicurante nebbiolina lattea e diafana, che rendeva quasi impossibili i movimenti, mentre ogni cella era munita di due giacigli in paglia e, udite udite, anche un angolino privato per le proprie necessità personali. Dovevo considerarmi onorata, no?
Venni incatenata alla parete e messa nella stessa “stanza vip” (si fa per dire, ovvio) di un giovane che era la copia sputata ma più grande della mia molto simpatica nuova amica. Per un istante, vidi i loro sguardi incontrarsi, poi, sorprendentemente, l’altra abbassò lo sguardo, quasi vergognata, e se ne andò.
Mi voltai, osservando il giovane uomo di fronte a me, che sorrise appena, cercando di alzare almeno un po’ la tensione.
“Tu sei …”, feci per chiedere, anche se in fondo la risposta era abbastanza ovvia.
Lui annuì: “Chiami pure Leo, e si … sono il fratello di Shyral.”
Mi incupii, osservando la porta da cui lei era appena uscita: “Quindi, è per te che si è unita a loro, giusto?”
Lui sospirò, abbassando lo sguardo: “Lei è sempre stata così, sin da quando eravamo bambini.”
Lo osservai, interrogativa, e lui spiegò: “Non è una persona cattiva. Solo, quando ci sono di mezzo io lei smette sempre di pensare con la sua testa, e si comporta in modo stupido. Siamo stati lasciati di fronte alla porta della biblioteca che eravamo bambini, lei, a quel tempo, era solo un fagottino bavoso e puzzolente, io invece avevo già cinque anni, e quindi mi sentivo responsabile nei suoi confronti, specialmente ora che nostra madre ci aveva abbandonati.”, sospirò, osservando il vuoto, “Poi, però, col tempo le cose cambiarono. Volevo veramente fare il bravo fratello maggiore, e proteggerla sempre, ma non era facile. Io ero un ragazzino dall’indole pacifica e timida, ero molto introverso e questo spingeva gli altri bambini a sfruttarmi e a farsi beffe di me, per cui, alla fine, era sempre lei a preoccuparsi nei miei confronti e a difendermi dalle loro marachelle.
Forse, è stato proprio nella speranza di diventare qualcuno in grado di proteggerla, che a sedici anni decisi di frequentare l’Accademia Militare. Dentro di me, speravo ancora di poterle essere d’aiuto, di poter rappresentare un punto di riferimento e un conforto nei momenti più difficili.
Ma, alla fine, non è cambiato proprio niente. Non ho potuto fare nulla per impedire a quel demone di catturarmi e portarmi qui, e prima che me ne rendessi conto lei aveva già trattato la mia vita per la sua libertà.”
Sopirai, osservandolo con attenzione.
Lo sentivo vicino, dopotutto, avevamo cercato entrambi di proteggere le persone che amavamo, di rappresentare una guida e un punto di riferimento. E lui in un certo senso rappresentava i fallimenti che avevo accumulato con i miei compagni, e i continui moniti di Zeus sulla mia incapacità di guidare una squadra a dovere.
Insomma, eravamo simili, anche se in modo differente.
Sospirai, guardando le segrete e cercando di immaginarmi come sarebbe stata la mia vita da allora in avanti.
Avevo rinunciato alla mia libertà, per poter proteggere quella dimensione che per quel giovane era come una casa, e ora cercavo di abituarmi all’idea di passare i miei anni in quelle pareti scure e tetre, con addosso i rimorsi per tutto ciò che avrei voluto fare o anche solo dire.
Lui mi osservò, in silenzio, poi riprese: “Ho sentito dire che ti sei consegnata alle forze della Viverna, e che tu sei l’Eletta. Posso sapere perché l’hai fatto?”, mi chiese. Alzai lo sguardo, e quando incontrai le sue iridi, così dannatamente serie e profonde come solo gli abissi potevano essere, non riuscii proprio a mentirgli, per cui risposi: “Ho venduto la mia vita, in cambio della ritirata da Thalass.”
Aspettai, in attesa della sua risposta.
Eppure, diversamente da quanto mi sarei aspettata, la sua espressione non parve minimamente felice della mia spiegazione, ma alquanto contrariata. Sospirò: “E credi che sia la cosa giusta?”
Lo fissai, senza capire: “In che senso? Ovvio che è la scelta migliore, come potrebbe non esserlo? Thalass è la casa di migliaia e migliaia di persone, come potevo lasciarla in mano loro, avendo l’occasione di salvarli?”
Lui scosse il capo, triste: “Non metto in dubbio le tue buone intenzioni, ma stai scordando di guardare il quadro generale. L’Eletto è il solo che può sconfiggere definitivamente Nidhoggr, senza di te, anche le altre dimensioni non hanno motivo di vivere, praticamente, è come se avessi salvato Thalass, ma consegnato tutte le altre in mano al nemico. Sono consapevole, che essere costretti a scegliere tra la vita di mille persone e quella di un miliardo è situazione incredibilmente difficile e in cui nessuno vorrebbe mai trovarsi, ma a volte è necessario scegliere il male minore, anche se va contro i nostri precetti.
Tu ti sei consegnata, e ora, tutte le speranze del mondo sono seppellite assieme a te. Mi duole dirlo, ma per quanto si possa dire il contrario la tua vita è immensamente più importante di quella degli abitanti di Thalass. Vendendola al nemico, hai commesso un grave errore, che purtroppo non potrà essere risolto facilmente.”
Mi morsi il labbro, mentre quelle parole vere ma anche dannatamente dolorose mi perforavano l’anima, costringendomi ad abbassare lo sguardo.
Era vero, di fronte all’idea di poter fare qualcosa, avevo smesso di pensare in modo obiettivo e avevo accettato d’impulso e senza pensare delle condizioni altrimenti improponibili.
Ero stata una sciocca, e una visionaria, nel pensare che così avrei potuto risolvere qualcosa.
Sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma le ricacciai indietro, consapevole che non era quello che ci si sarebbe aspettati da me in un frangente simile. Dovevo restare calma, e cercare un modo per uscire da quella situazione dannatamente disperata. Non potevo permettermi altri errori, ne avevo già commessi troppi e farne un altro avrebbe segnato la fine della guerra e la nostra definitiva sconfitta.
La mia unica consolazione era che, molto probabilmente, nemmeno i miei compagni si sarebbero rassegnati alla mia scomparsa, e con un po’ di fortuna avrebbero trovato un modo per raggiungermi.
Tuttavia, non potevo nemmeno permettermi di contare solo sul loro aiuto.
Nessuno mi assicurava che sarebbero riusciti ad arrivare sin li e, comunque, dovevo uscire da quella situazione con le mie sole forze. Altrimenti non avrei mai potuto considerarmi un vero leader.
Improvvisamente, le mie riflessioni vennero interrotte, mentre sentimmo la porta delle segrete aprirsi e dei passi svelti raggiungere la nostra cella.
Attraverso le sbarre, ci comparve di fronte quello che, pensai, doveva certamente essere un altro Generale Infernale, vista l’aura non indifferente e la spilla dorata che brillava fulgida sulla sua divisa.
Era il tipo più strano che avessi mai avuto modo di vedere, e tenete conto che, dopo la mia unione ai Guardiani, di tizi strani ne avevo visti parecchi. Ma quello li batteva proprio tutti quanti.
Portava un’acconciatura assurda, con metà cranio completamente calvo e l’altra metà coperta da lunghi capelli color lapislazzuli, che gli ricadevano come una cascata sulla spalla sinistra, mentre gli occhi erano di due colori differenti, uno azzurro ghiaccio e l’altro blu oltremare. Portava qualcosa come una tonnellata e mezza di eyeliner nero, con una collezione di piercing che per un istante me lo fece sembrare come una specie di calamita vivente, con più metallo in corpo che carne. La carnagione era diafana, quasi malata, mentre il fisico asciutto e magrissimo, indossante dei vestiti che dovevano proprio venire dalla mia dimensione e che consistevano, essenzialmente, in una maglia dei ACDC (un’offesa imperdonabile al gruppo, tra l’altro) e dei pantaloni neri e blu strapatti in più punti. Le braccia, così come il collo, pullulavano di bracciali e collari stipati di borchie, mentre due corna da ariete spiccavano sul suo capo e una coda blu notte si avvolgeva nell’aria alla sua schiena.
Insomma, un tipo veramente molto raccomandabile, di quelli che le mamme vorrebbero vedere sull’altare con le loro figlie.
Lo fissai, visibilmente scettica, al che il tizio esordì: “Ehi yo! Come butta, piccoli rifiuti di mare?”
Ecco, ci mancava solo il modo di parlare da rapper fumato di ecstasy. Ma dove ero finita, in un manicomio? Decisamente, dovevo muovermi a uscire da quel posto, o sarei impazzita pure io. E non ci tenevo a diventare come quel pazzoide.
Storsi il naso: “Benissimo. Non potremmo stare meglio!”, quello scoppiò a ridere, divertito: “Finalmente un prigioniero con un po’ di senso dell’umorismo. Sai, questo posto è un vero mortorio, da quando quel tipo, come si chiama? A si, Tartaros, è arrivato e ha messo tutto sotto sopra. Adesso non posso nemmeno più tenere la mia scorta di cioccolata in nero sotto il letto, visto che, secondo il nuovo protocollo, i generali devono “dare il buon esempio”. Ma vi rendete conto? Come se io potessi deviare i miei soldati, poi!”
Lo fissai, improvvisamente incuriosita e fregandomene delle sue osservazioni da pazzoide, era altro quello che mi interessava. E visto che non pareva un tipo particolarmente sveglio, tanto valeva tentare: “Tartaros? E chi sarebbe??? Non l’ho mai sentito nominare, prima d’ora!”
Lui sospirò, sconsolato: “E’ quel simpaticone, il fratello del nostro capo, Lilith, che, beninteso, a differenza sua sa cosa sono i diritti fondamentali dei soldati. Quel tipo, invece, è un vero stronzo. Pensa che ha deciso di attaccare comunque Thalass, fregandosene degli accordi presi con i guardiancini! Che gran pezzo di cacca …”
Lo fissai, sconvolta, e lui parve svegliarsi: “Oddio, giusto, non lo sapevi, eh? Beh, quanto pare, il tuo, a mio parere veramente nobile, sacrificio, non è servito poi molto. Mi spiace. Anzi, forse mi dispiacerà ancora di più ora. Apophis dice che devo prepararvi per stasera, visto che si sta annoiando. Non mi piace molto quel tipo, ma è meglio non contraddirlo, quindi ora, signorino, verrai con me alla Stanza dei Giochi, che a dispetto del nome è un vero inferno per chi ha la sfortuna di capitarci in mezzo.”
Lo fissai, mentre apriva la cella e prelevava, senza tante cerimonie, il mio compagno dalla sua postazione e, incurante dei suoi tentativi di resistenza, se lo caricò in spalla, manco fosse un piumino.
Poteva anche essere un fuscello, ma di  certo non era un tipo da sottovalutare, se sollevava in quel modo uno che era tre volte lui.
Stava per condurlo fuori, quando un’aura a me fin troppo famigliare mi costrinse a immobilizzarmi, e Lilith fece la sua comparsa alle sue spalle.
Insomma, dalla padella alla brace.
La osservai, aspettandomi chissà cosa, ma, sorprendentemente, non accadde nulla. Anzi, per essere precisi qualcosa accadde, ma non ciò che mi sarei aspettata.
Per un istante, mi parve quasi di vederla impallidire, mentre i suoi occhi inquadravano l’atlasiano, sulla spalla del sottoposto, poi parve ricomporsi, sebbene potessi ancora notare come le sue mani tremassero, quasi fosse tentata di uccidere qualcuno.
Alzai un sopracciglio, cercando di non farmi notare e tentando di trovare una spiegazione per quel comportamento quanto mai insolito. Eppure la sola spiegazione che mi venisse in mente andava contro ogni logica, insomma, non poteva essere quello, vero?
La osservai, mentre in un attimo ordinava al generale di lasciarlo andare, e lo congedava, per poi lanciare uno sguardo quasi preoccupato a Leonice che, dal canto suo, non pareva minimamente terrorizzato dalla sua presenza, anzi. Era evidentemente la complicità che li accomunava, tanta era la tranquillità con cui l’altro le parlava, quasi fosse realmente convinto che no, lei non avrebbe mai potuto fargli del male.
Mi rilassai, sebbene ancora una parte di me continuasse a rifiutarsi di credere a un’idea simile, mentre lei lo faceva rientrare nella cella e se ne andava, non senza prima avermi lanciato uno sguardo diffidente.
Spostai il mio sguardo sul giovane, chiedendo spiegazioni, e lui sospirò: “Tanto, non penso mi crederesti.”
Alzai un sopracciglio: “Mettimi alla prova.”


(Lilith)
Ricordo molto bene la prima volta che lo incontrai.
Poiché avevo ordinato a Belfagor, uno dei miei generali (e forse anche una delle maggiori cause della mia impopolarità, visto il suo carattere a dir poco fuori dalla norma), di catturarlo e condurlo alla Fortezza, non avevo ancora avuto modo di parlare personalmente con quello che sarebbe stato la nostra chiave per sconfiggere una volta per tutte quei fastidiosi Guardiani.
Per cui, essendo io una persona con degli imprescindibili precetti sia morali che etici, decisi che avrei quanto meno dovuto passare alla sua cella, in modo da farmi un’idea del nostro nuovo prigioniero e, nel caso, pensare anche a un altro suo possibile utilizzo nella nostra guerra.
Quando tuttavia mi feci annunciare, come da protocollo, e quello, per tutta risposta, non si degnò nemmeno di alzarsi in piedi per accogliermi, mi resi conto che non mi trovavo di fronte al solito e banale mortale, ma a qualcuno di ben differente.
Nonostante le precedenti torture che gli aguzzini gli avevano inflitto, e alle punizioni a cui era andato incontro, vista la sua tendenza a non portare un minimo di rispetto verso i miei ufficiali, ancora pareva fermamente determinato a sfidare ogni autorità che gli si presentasse di fronte, come potei dedurre dallo sguardo furioso che mi rivolse quando feci il mio ingresso nella sua cella.
Tremante di freddo e dolore, con il corpo coperto di ustioni e ferite altrimenti insopportabili, continuava a fissarmi, come a voler lanciare una sfida muta e diretta dritto verso la mia anima, tale era il modo con cui pareva scrutare persino nei miei pensieri più segreti e remoti.
Inizialmente, pensai che sarebbe stata una cosa passeggera e che, prima o poi e come tutti quelli che erano venuti prima di lui, si sarebbe fatto piegare e avrebbe smesso di affrontare così apertamente me e i miei ufficiali.
Così, da quel giorno, continuai a visitare la sua cella, in attesa del momento in cui avrebbe ceduto alle pressioni delle torture e delle minacce.
Nel frattempo, superata lentamente la diffidenza iniziale, iniziammo a parlare, forse per necessità, o per sfogo, o forse solo per scacciare la reciproca noia. Sta di fatto che iniziammo a parlare.
Dapprima, cercai di convincerlo a lasciar perdere, spiegandogli che mai nessuno era riuscito a reggere a lungo sotto la potenza del nostro esercito, e che prima o poi tutto il mondo sarebbe caduto ai nostri piedi e che allora andare avanti in quel modo sarebbe stato inutile e solo doloroso. Iniziai a parlargli della vita come comandante, dei rapporti difficili sia con nostro padre che con i miei fratelli, dei miei doveri e dei miei obblighi, finchè, senza rendermi conto, non iniziai ad esternare tutte quelle lamentele che la vera me continuava a fare, contro quella vita che non mi ero scelta e che non mi si confaceva.
Lui, invece, fu paziente.
Ascoltò in silenzio le mie parole e per la prima volta parve comprenderle. Non pretendeva di giudicarmi, e anche se era consapevole di ciò che facevo fuori da li non pareva importargliene, perché capiva e non pretendeva da me ciò che invece chiedevano tutti gli altri.
Prima che me ne rendessi conto, quelle poche ore, che trascorrevo in sua compagnia, divennero per me un tesoro unico e irrinunciabile.
Sentivo qualcosa, qualcosa che non conoscevo, un benessere profondo e tutto inesplorato, che il suo solo pensiero mi dava e che, per la prima volta dopo millenni, mi faceva sentire BENE. Era una sensazione diversa, che non conoscevo e che sotto certi aspetti forse mi faceva anche paura, ma che allo stesso tempo mi dava dipendenza e mi faceva capire che senza di lui non avrei più potuto vivere.
Lui mi disse che si chiamava “amore”, e che i mortali lo provano in continuazione tra loro, anche se a livelli e in modi diversi.
C’era l’amore fraterno, quello famigliare e quello paterno, quello dato dall’amicizia e quello dato dalla stima.
Cose che io non sapevo nemmeno che esistessero ma che mi affascinavano e attiravano in modi strani e insoliti.
Mi si aprì un mondo nuovo, in cui, finalmente, potevo sentire di capire in un certo modo i miei nemici, e ora che potevo comprenderli li sentivo anche più vicini a me e quindi più meritevoli, in un certo senso, di rispetto.
Forse fu per questo che le proposi quell’accordo, perché, in fondo, potevo capire quei mortali e volevo dimostrare loro che si, anche noi potevamo essere umani e anche noi potevamo essere meritevoli di stima.
Poi, però, mio fratello diede ordine alle truppe di avanzare, e ogni mio tentativo di costruire un ponte, seppur fragile, tra me e loro, andò in frantumi.
Dopotutto, non era che un sogno, un sogno che mai avrebbe dovuto essere scoperto, perché altrimenti lui sarebbe stato in pericolo.
Fu per questo motivo che presi la decisione di rinunciare a quella nuova me.
Non potevo permettermi di essere scoperta, e mostrarmi debole significava correre quel rischio.
Anche se non mi piaceva, lui e lui soltanto avrebbe potuto conoscere quel lato di me.
Anche se farlo significava rinunciare alla mia anima, anche se, per farlo, avrei dovuto dire addio a ogni forma di sentimento …


Note dell'Autrice:
Eccomi di nuovo!
Come promesso, vi lascio un piccolo regalino natalizio, prima di partire io stessa per festeggiare.
Essendo anche un po' in ritardo, non mi soffermerò molto.
Ringrazio tutti coloro che mi seguono.
E i miei cari recensori.
Buone feste a tutti e buon natale!
Teoth

 
   
 
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