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Autore: Hikari_Sengoku    30/12/2016    3 recensioni
Kaname é ormai un membro esterno della Mithril, e ha bisogno di una protezione ridotta. Viene assegnata a Sousuke una nuova missione. Chi sará il nuovo soggetto da proteggere? In quali guai trascinerá i nostri eroi? (Nuovi capitoli a scadenze non assolutamente fisse, ma piú o meno ogni settimana per i primi tempi, credo!)
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurz Weber, Melissa Mao, Nuovo personaggio, Sousuke Sagara, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nella base nemica

Dopo la partenza dei tre baldi avventurieri, l’intera casa era tornata al silenzio, e ogni gruppo si era diviso per fare i propri porci comodi. Daiki e Sho si erano stravaccati nella sala di controllo, Miranda e Mathieu è facile immaginare cosa stessero facendo, e gli altri li seguivano a ruota nei loro interessi singoli. In particolare, Kurz aveva approfittato della tregua per farsi una bella doccia, e ancora grondante d’acqua si era buttato a peso morto sul letto, allagando le coperte. Sebbene fosse coperto solo da un misero asciugamano di medio-piccole dimensioni, Kurz come era naturale non sembrava provare un briciolo d’imbarazzo. Anzi, ne provava talmente poco che il fluire dei suoi pensieri non si interruppe ne rallentó nemmeno per un istante, e Kurz tra le altre cose si chiese se non fosse stato meglio provarlo quell’imbarazzo, piuttosto che subire quel tormento violetto che erano gli occhi di Melissa. Ed era anche strano che fossero solo gli occhi. Avrebbe potuto passarci sopra se avesse voluto solamente il suo splendido corpo, ma era impossibile ignorare l’attrazione fatale di quei fanali, il folle desiderio di stringerla in un casto abbraccio con le dita infilate nei suoi corti capelli pece. Era la quasi castitá dei suoi pensieri più intimi nei suoi confronti a confonderlo, quel bisogno interno di vederla rispettata e di rispettarla, quasi avesse temuto di spezzarla. Poi, da quando la tensione nei confronti di Sousuke si era allentata per merito di quell’angelo dai capelli blu, quei momenti vuoti, di inoperositá, sembravano inseguirlo. In fondo, prima di lei, Sousuke era un soldato dagli occhi straodinari, ma incapace di vivere, ed era stato suo compito riportarlo nella realtá. Ora che però non ce ne era più bisogno, quel copione cominciava a stargli stretto. Voleva fare di più, dire di più, ma non aveva il coraggio di strapparlo, di dividersi dal destino che lo voleva tombeur de femme impenitente fino alla fine. Che bestia! Avrebbe dovuto pensarci prima di innamorarsi di quei fari viola! Ma c’era mai stato veramente un prima? Ma in fondo, cosa importava? Una volta finita quella missione, avrebbe chiesto il trasferimento  al Colonnello Testarossa. Perché rovinare quelle belle guancie con delle lacrime? Sapeva che sarebbe finita cosí, quindi tanto valeva salvarla prima che lui le facesse male.
Stanco di quei discorsi insensati, Kurz si alzò per andarsi a vestire, quando la porta si aprí sul secondo atto. Melissa Mao impose la sua presenza nella stanza in un modo che a Kurz, appena reduce di una dura battaglia, parve quasi animalesco. Sembrava una di quelle fiere che studiano la preda girandogli intorno con fiero sguardo e atteggiamento pieno di sicurtá, imponendogli una sorta di silenzio guardingo e feroce. Contrariamente al loro solito scambio di battute, i due continuarono a fissarsi l’un l’altro con sguardo di sfida, mentre lei si dirigeva ad aprire l’alta finestra da prigione. Non la raggiunse, e prima che potesse fare qualsiasi cosa, Kurz le fu vicino con una sedia. “Lascia, faccio io”. Mao non ritrasse subito le mani, sfiorando le braccia di Kurz, e pur questa semplice cosa provocò ad entrambi un profondo brivido. Le pupille si dilatarono, il nero desiderio che divorava ogni cosa, ed era una dolce oscuritá in cui erano risucchiati ormai da anni, in ogni singolo sfioramento, in ogni singolo sguardo, legacci di infernale lussuria, tentazione demoniaca per entrambi. Ma tutto finí troppo presto, lasciandoli spaventati e consci del fatto di essere soli. Deglutirono entrambi, soffocati dall’attrazione reciproca, le labbra socchiuse. La luce li accarezzava fluida, per poi posarsi delicatamente su uno dei due letti grigi dietro di loro. Mao fu la prima a distogliere lo sguardo, dedicandosi con foga al riordinare la stanza. “Voi maschi lasciate sempre un porcile!”. Kurz sospirò, schivando alla buona un paio di scarpe che lei gli aveva lanciato per ripicca. “E rivestiti!” borbottò poi lei fissandolo quasi gli stesse rimproverando una malefatta, come se avesse attentato alla sua stabilitá morale. Ed era alla fine un po’ cosí che Mao si sentiva, incerta e insicura di voler andare oltre, timorosa del male che ne sarebbe potuto venire, non certo imbarazzata da un paio di pettorali nudi. Kurz, sentendosi quasi come se si stesse muovendo in una melassa densa e pastosa, si mosse verso di lei, e dopo un tempo che gli parve infinito, le afferrò le braccia e la girò verso di lui. 
In quell’esatto istante, il ricevitore gracchiò e Mathieu irruppe nella stanza gridando: “Svelti, sono stati rapiti!”.
 
Esattamente un quarto d’ora prima infatti, Mathieu e Miranda passavano davanti alla sala di controllo, quando sentirono una fragorosa risata,  e spinti dalla curiositá avevano accostato l’orecchio alla porta. Ecco più o meno ciò che intesero:
“Hahaha! Dovresti prendere un diploma da massaggiatore, lo sai vero?”
“Oh, no, guarda che quella che me lo ha insegnato è stata Hik. Me lo ha fatto un pomeriggio che studiavamo insieme, e lo sai come sono io, no? Per farmi concentrare come al solito mi ha preso a pugni, poi ha provato a farmi rilassare”
“Con questo massaggio? Me lo immagino: Avrá insistito cosí tanto da spezzarti le clavicole”
“No, in realtá credo volesse farsi perdonare per le botte che mi aveva dato prima”
Per un po' il silenzio fu rotto solo da qualche sporadica risata e battute di poco conto. I due stavano per andarsene, quando sentirono qualcosa di interessante. Peccato che i ragazzi dall’altra parte della porta avessero cominciato a sussurrare, avrebbero perso meno parole. 
“… Lo sai, vero?”
“No, dai Sho non dire cosí…”
“… Con lei?”
“Ne avremo bisogno entrambi, lo sai”
Il silenzio calò pesante.
“Forse lei può farlo…”
 Finché  un lieve bip continuo non allarmò tutti i presenti. 
“Che diavolo sta succedendo?”
“Li stanno portando via!”
Il ricetrasmettitore gracchiò con la voce di Sousuke: “Richiedo rinforzi celeri. Livello di pericolo elevato.  Siamo…” Un tonfo improvviso zittí la voce, ma si continuarono a sentire per un po’ il rumore della battaglia dall’altra parte. Si susseguirono degli spari, poi il silenzio.
“Bisogna avvertire gli altri, subito!” Urlò Sho spalancando la porta, e trovandosi di fronte i due colpevoli immobili.
“Beh, avete sentito, no? Cosa state aspettando? Andate!” sbottò infine.
I due schizzarono via in un lampo.
 
 
La prima cosa che Hikari sentí fu lo stridere di rotelle sul pavimento sotto di lei. Lentamente, concentrandosi, l’odore di pioggia e quello di una forte acqua di colonia le punsero il naso. Sforzandosi molto, tentò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano cosí pesanti, e poi non sentiva più il suo corpo. Non riusciva a muoverlo. Dovevano averla pesantemente sedata per ottenere questo effetto. Era veramente una situazione da incubo, avrebbe voluto urlare,  muoversi, ma era come bloccata dentro un sarcofago. Ad un certo punto riuscí ad aprire la bocca e gemette. Quella situazione la stava uccidendo. Lentamente però, il peso si sciolse e lei con fatica aprí gli occhi, poi li spalancò per rimanere sveglia. Sopra di lei, che era stesa su una barella, incombevano due loschi figuri in camice bianco, entrambi con una maschera antigas sul volto. Non sembravano essersi accorti che si era svegliata, cosí socchiuse al minimo gli occhi. I piedi e poi le gambe cominciarono a formicolarle, seguite dalle braccia. Dopo pochi minuti, il corpo era completamente libero e lei completamente lucida e pronta all’attacco. I due, di cui uno era chiaramente una donna, si erano fermati davanti ad un capannone militare, e lo stavano aprendo con le chiavi. L’uomo si era tolto la maschera, mostrando il volto scuro del suo assalitore. Hikari ne approfittò, e si buttò di getto giù dalla barella, picchiando malamente fronte e naso, poi si rialzò spingendo  con tutto il suo peso contro l’uomo, gettandolo con forza contro la parete. L’uomo tentò di spingerla via, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa lei gli afferrò il braccio tendendolo, e facendo forza sull’articolazione verso il basso, gliela spezzò con uno schiocco. L’uomo urlò di dolore, e lei ne approfittò per afferrare la pistola che sporgeva da sotto il camice dell’uomo. Il fischio di diverse pallottole sfrecciò nell’aria, e due la colpirono di striscio, ferendola sotto lo sterno e sulla schiena, strappando le sue bende che subito si intrisero di sangue, pendendo fuori dalla camicetta rosa ormai strappata anch’essa. Hikari lo ignorò con facilitá e afferrato da dietro il collo dell’uomo in modo da strangolarlo, se ne fece scudo puntandogli la pistola alla tempia. “Getta la pistola o lo ammazzo!” urlò con una voce che non le parve la sua. La donna obbedí prontamente, e la pistola cadde a terra con un rumore metallico. L’uomo, che ansimava dal dolore, si portò la mano in tasca, ma lei non ci badò, mentre quello estraeva un diapason cristallino di un tenue colore rosato. Lo face vibrare, e nella testa di Hikari si scatenò l’inferno. Stava scoppiando! Tenendosi la testa fra le mani, fuggí. Scappò finché il rumore nella sua testa non si placò in un leggero dolore. Allora, sfinita, si accasciò sotto un pergolato di metallo. L’odore di pulito proveniente dalla casupola affianco le fece comprendere di essere finita nella lavanderia. Afferrò un lenzuolo nel quale si nascose e si accoccolò, in attesa che una buona idea facesse capolino. Stava calando la notte e  le temperature scendevano rapidamente. Sapeva che era solo questione di tempo prima che la ritrovassero, e dunque l’unico modo per salvarsi era cercare una scappatoia od un alleato. Non potendo contare sulla prima (quel campo sembrava più che ben protetto dal filo spinato elettrificato e dal muro liscio alto tre metri), doveva basarsi sulla seconda. Non sapeva se Sousuke e Kaname fossero stati presi con lei, ma se lo erano stati, forse loro erano la sua unica ancora di salvezza. Inoltre, ristabilire le comunicazioni col quartier generale poteva essere essenziale alla riuscita del piano, e l’unico ricetrasmittore radio che lei sapeva esserci nelle vicinanze era sul velivolo nemico. Quella sarebbe stata la sua prima meta. Rabbrividí dal freddo, decisa a non passare la notte lí. Era vestita leggera, e le temperature in quel periodo scendevano anche sotto lo zero la notte. Si alzò e entrando nella casupola raccolse due giacchette militari, dei calzoni elasticizzati ed un cappelletto, ma oltre a questo c’era ben poco da raccogliere. Una pioggia fredda e fitta cominciò a cadere. Indossate entrambe le giacchette, il cappello ed i calzoni sopra i jeans, stava per uscire, quando sentí dei passi metallici…
 
 
Kaname si svegliò, un po’ stordita, in una stanza dalle lunghe pareti di metallo. O meglio, nel mezzo di un corridoio nel velivolo. Si accorse di avere i piedi e le mani legate dietro la schiena, nonché del nastro telato sulla bocca. Il sapore dell’adesivo era disgustoso. Affianco a sé trovò Sousuke ancora in stato d’incoscienza, con un grosso bernoccolo che palesava la sua violacea presenza tra i capelli mori. Cominciò a scuoterlo con forza perché si svegliasse. Non c’era nessuna guardia in giro. Stava cominciando a preoccuparsi, quando il ragazzo mugugnò qualcosa, prima di sbattere gli occhi confuso. Gli ci volle un po’ prima di rendersi conto della situazione, poi con le mani legate si strappò una siringa proiettile dal fianco. L’hanno sedato quindi, pensò Kaname, certo, altrimenti non si spiega come abbia fatto a perdere con tutto l’armamentario che si porta dietro. Sousuke attirò la sua attenzione e le indicò le punte delle scarpe con insistenza. Kaname si avvicinò e notò le punte di due lame spuntare dalla suola. Con attenzione, strappò il nastro telato e ne afferrò una fra i denti, tirando.  La lama si rivelò un sottile coltellaccio da pescatore dallo stretto manico d’osso brunito. Kaname lo lasciò tra le mani di Sousuke, che rivoltandolo velocemente sulla punta delle dita tranciò le corde che gli legavano le mani. In silenzio, anche le mani di Kaname e i piedi di entrambi vennero liberati, si strapparono poi i nastri dalla bocca. Stavano per allontanarsi, quando dei passi pesanti rimbombarono nei corridoi. I due ragazzi si inginocchiarono velocemente, nascondendo braccia e gambe libere. Purtroppo, non avevano più armi con loro, gli erano state recquisite, e se il nemico fosse stato armato, l’esito non era garantito. All’estremitá del corridoio i due ragazzini che Kaname e Kurz avevano ferito tempo prima entrarono con passo sincronizzato. Ma piú si avvicinavano, piú Kaname rabbrividiva dall’orrore. Quei bambini non erano che i fantasmi di loro stessi. I loro visi erano stanchi, i loro occhi viaggiavano continuamente tra uno stato d’incoscienza e uno di estrema eccitazione. La loro espressione, tutto il loro corpo era attraversato da continui spasmi nervosi simili a quelli di chi fa uso di droghe. Kaname ricordava di averli feriti alle gambe quella volta, ma oltre alle fasciature che spuntavano dall’orlo dei pantaloni, i due sembravano ignorare la loro condizione. Le mani si stringevano convulse intorno alle mitragliatrici, il loro passo era incerto. Il piú piccolo si addossò alla parete, il piú grande lo seguí spianando la mitragliatrice tremebonda. Sousuke dubitava riuscisse a mirare effettivamente a qualcosa, tremando in quel modo. Ma in fondo a lui non interessava chi colpire, ma fare in modo che colpendo entambi non fossero in grado di uscire da lí. Ma Sousuke, al contrario loro, mirava benissimo da un cosí corto raggio d’azione. Con le mani nascoste lateralmente dietro la schiena, lanciò il coltellaccio sotto la clavicola sinistra del più grande, tranciando la tracolla della mitragliatrice. Il ragazzino urlò di dolore, tentando di strapparsi il coltello. Il più piccolo si svegliò e cominciò a sparare a caso. Kaname si accucciò prontamente al suolo, mentre Sousuke afferrava il secondo coltellaccio e trafiggeva il piú piccolo sotto la clavicola destra attaccandolo alla parete. Il ragazzino svenne sul colpo, mentre il sangue colava copioso lungo i vestiti. Anche Sousuke non ne era uscito indenne, una pallottola l’aveva colpito di striscio sul collo, bagnando di sangue scuro la camicia bianca che portava. Il ragazzo non se ne curò sul momento. Strappò il coltello dal corpo del più grande, gli prese la mitragliatrice e, dopo aver estratto il caricatore, la spezzò. Il ragazzino ansimava dolorosamente arpionandosi la ferita, e Sousuke usò il giubotto del bambino per fasciargliela stretta. Il ragazzino lo fissò coi grandi occhi cerulei e stanchi, con una sola domanda negli occhi: Perché? Sousuke lo fissò a sua volta, incerto. Non sapeva cosa dire, non aveva mai fatto una cosa del genere prima. Curare un suo nemico. Non sapeva neanche lui perché l’aveva fatto. Forse era stata la certezza dello sguardo di Kaname dietro di lui. Infine, distolse lo sguardo e si dedicò al bambino piú piccolo. Prese la sua mitragliatrice e se la mise a tracolla, poi staccò il coltello e fasciò anche la sua ferita. Entrambi i bimbi si accasciarono a terra. Sousuke non li legò, era sicuro che non li avrebbero seguiti. Dietro di lui, Kaname era in piedi, e accorse appena vide il fiore rosso  sulla camicia. Repentina, si strappò una manica della maglia grigia che portava e gli bloccò l’emorragia.
“Ecco ora va meglio” disse sorridendogli debolmente mentre si staccava da lui.
“Andiamo, Kaname” disse dopo un po’ il ragazzo prendendola per mano. I due guadagnarono presto l’uscita.
 
Hikari si nascose tra le pareti della casupola. Dall’altra parte, sentí l’M9 avanzare ancora verso la lavanderia ed aprire lo sportello del pilota. Dei passi insicuri si mossero ancora verso di lei. La ragazza si guardò intorno, ma era nella lavanderia, non c’era nessuna arma lí  dentro! Cercando di vedere qualcosa, si buttò dietro la porta semichiusa, sbirciando dallo spioncino. Con la coda dell’occhio vide una figura umana farsi strada sotto la pioggia battente. Una debole voce la chiamò: “Kurojima! Kurojima!” sussurrò. Era il pilota del Mordred! Aveva riconosciuto quei brillanti occhi, verdi e perennemente impauriti. Non gli aveva mai chiesto come si chiamasse… Hikari corse fuori sotto la pioggia.
“Ehi, tu, Come-ti-chiami! Sono qui!” sussurrò a sua volta.
Il ragazzo parve sollevato. “Vieni, recuperiamo gli altri e andiamocene” le disse prendendola per il polso e portandola di fronte al Mordred. Con un balzo entrò nell’M9 e le disse: “Sali sulla mano!”, mentre rigirava quest’ultima davanti a lei. Hikari si arrampicò sul collo del robot mentre lo sportello si richiudeva. La pioggia battente le impediva la visuale oltre i cento metri, e continuava a caderle sugli occhi. Era giá completamente bagnata, e le mani viscide scivolavano sulle maniglie metalliche del portello. Le uniche cose salde erano i suoi piedi, che lei aveva bloccato nelle scanalature della corazza di metallo verniciato. Il Mordred cominciò la marcia, passando rasente il muro, ma non passarono cinque minuti prima che il fracasso attirasse tre uomini in tuta militare lí vicino. Il Mordred afferrò il suo mitra, ma i tre, più veloci, avevano giá aperto il fuoco sulle giunture in gomma del vecchio M9. In breve, il robot si accasció a terra, colando sangue bianco dai fori di proiettile. Hikari si affrettò ad aprire il portello del pilota. Due lampi verdi saettarono veloci. Il ragazzo era vivo! Semiesanime, ma vivo.  Ma non lo sarebbe rimasto a lungo se non si fosse inventata qualcosa.  Si chinò sul giovane, e mentre con la testa di lato controllava i soldati, gli sussurrò:”Ehi, tu! Come ti chiami?”.
“Mi chiamo… Francis” rispose quello insicuro. Era impanicato, non sapeva cosa fare, e lei se ne accorse. Era troppo vivo!
“Senti, tu fingiti morto,  poi gli altri ti verranno a recuperare, ok? Ci penso io” L’altro non obiettò nemmeno. La ragazza si immaginava almeno una debole opposizione, ma il tipo non aveva nemmeno reagito. Aveva semplicemente chiuso gli occhi e si era abbandonato sul sedile, tra gli schermi fumanti.
“Ammazza che stronzo” sibilò fra i denti. “E io che sto pure a salvarlo!”
I soldati avevano raggiunto l’M9, e intimarono la resa ai due ragazzi. Uno teneva il braccio al collo. Hikari si chinò ancora di piú, come se lo stesse piangendo. Poi gridò: “Ma non capite?! È morto!”, poi continuò a gemere, abbracciando Francis e tirandolo su in una posizione piú comoda. Continuò a simulare il pianto sul petto del ragazzo, nascondendo il ritmico sollevamento del torace dovuto al respiro. Francis, da ottimo attore, aveva riverso la testa all’indietro, lasciando che la luna illuminasse col suo biancore cadaverico la pelle giá pallida. La scena era drammatica. I capelli castani e boccoluti del ragazzo pendevano inerti sul viso, i tratti delicati affascinavano i  soldati. La bocca piccola e socchiusa, gli occhi europei dalle palpebre sottili, il naso longilineo… parve agli astanti una bellezza eterea e senza tempo, e i tre ne rimasero interdetti per qualche tempo. Hikari ne approfittò. Si tolse le due giacchette per ricoprirvi il corpo (nascondendo la mancanza di ferite), poi cominciò a scuotere la testa, con i capelli che ondeggiavano, bagnati, sul volto del ragazzo. Cominciò a urlare disperatamente, a contorcersi, quasi si strappò gli occhi a forza di serrarli con i palmi aperti delle mani, spinti fin nelle orbite. Si graffiò il viso ed il petto, come le antiche prefiche. Uno dei soldati, quello col braccio al collo,  si arrampicò sul robot, alzando una mano per calmarla. Era il dottore dalla pelle scura.
“Ehi, ragazza, calmati. È triste, lo so, ma devi venire con noi” disse con un accento indefinito, tirandola per un braccio. Lei si strinse al bordo di lamiera, ferendosi la mano, strappò il braccio dalla presa, gridò: “No! Lasciatemi qui!”, appena l’uomo si fu ritratto si gettò quasi nell’abitacolo, afferrando una pistola d’ordinanza all’interno. I tre soldati, di cui uno era la donna di prima, la tirarono dai piedi, lei si aggrappò strenuamente al bordo. Si puntò la pistola alla tempia. “Non avvicinatevi o sparo!”. Dopo un attimo di silenzio, singhiozzó: “Lasciatelo qui, in pace, ed io verrò con voi, senza oppormi, senza fare storie. Lasciate. Solo. Che resti. In pace.” La pioggia batteva. “È morto ormai! Che ve ne fareste di un corpo morto?!” urlò. 
I tre confabularono fra loro per lunghi attimi. Infine, il dottore si fece avanti e disse: “D’accordo. Ora scendi”. Hikari scese, accettando l’aiuto dell’uomo, ma appena posati i piedi a terra, lui e la donna  la afferrarono per le braccia e le spinsero il collo verso il basso, uno da ogni lato, come le bestie da soma sotto il giogo. Il terzo uomo si allontanò velocemente, avvisando i compagni “Vado a preparare il laboratorio” esordí con una voce molto bassa.
I due la portarono cosí per diversi metri, prima di fermarsi di fronte ad un capannone alla sua sinistra. La porta era socchiusa, e le lampade sbadigliavano uno spettrale lucore verde sul pavimento metallico e freddo. I due le legarono le mani, la spinsero dentro e chiusero la porta blindata, lasciandola sola con il terzo uomo. Era alto, un po’ curvo dentro il camice, portava lunghe ciocche grigie ai lati del volto e gli occhi scuri infossati nelle orbite, la barba lunga e non curata.  All’improvviso, girò il braccio, puntandole la pistola contro.
“Facciamoci a capire. Tu adesso starai buona buona e mi lascierai fare il mio lavoro in santa pace, chiaro?”




Ohilà salve! Mi scuso per il ritardo, ho avuto alcuni problemi a pubblicare, ma farò fioretto e lavorerò più veloce la prossima volta (pare vero!). Questa è la scena madre, quella che mi è venuta in mente per prima quando ho deciso di cominciare a scrivere, credo sia la mia preferita, anche se non so se l'ho resa bene.  In realtà ho avuto un paio di indecisioni sul quasi bacio di Mao e Kurz e sull'incontro di Kaname e Sousuke con i due fratelli.... ma spero di aver reso l'idea, anche se non so quanto si attengano agli originali! Ringrazio LightorDarkness, fenris e KitsuneAkuma per aver recensito e tutti coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate, Grazie! Spero di aver risolto, almeno in parte, le perplessità. Buona Fine e Buon Principio, e Buon Natale, anche se in ritardo!



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