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Autore: Marcuc    08/01/2017    3 recensioni
*Sono tornata*
-Dal primo capitolo-
Lei in quel momento, con gli occhi umidi, col panico e i suoi nervi suscettibili, era diventata la nuova Mirtilla Malcontenta in carne ed ossa. Tutti evitavano quel bagno per colpa sua, la nuova infestatrice insopportabile e piagnucolona. «Fantastico!» le scappò detto ironicamente.
....
Dal 4° capitolo:
« No che non va bene... » singhiozzò « sono rimasta sola! » chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una vera e incontenibile disperazione, alle lacrime genuine di chi tira fuori le sue angosce e i suoi guai tutti interi.
La guardò impotente senza cercare alcun altro contatto, temendo ciò che una mano su quel volto deformato dal pianto, un abbraccio di consolazione, un pollice che asciugava le lacrime brucianti, avrebbe cambiato tutto troppo in fretta. « Non sei sola, Granger. » le sussurrò stringendo ancora l'unico pezzo di loro che si mischiava.
La scopro anche io con voi, man mano che scrivo. Con la speranza che non siate stanchi delle Dramione!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Ritardi


  La Seconda Guerra magica non aveva impedito che quel primo settembre 1998 l’antichissima Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, che ne era stata il teatro principale, riaprisse i pesanti portoni ai suoi studenti.

  Non erano mancati ingenti danni alla struttura e i restauri della scuola, iniziati a giugno inoltrato, non erano ancora completamente conclusi. Alcune aule erano inagibili, l’intero settimo piano era interdetto a tutti, docenti compresi, il loggiato prima del grande giardino giaceva ancora semidistrutto, la Sala Grande era solo parzialmente ricostruita, quanto bastava per ospitare le tavolate delle Quattro storiche Case e quella dei professori. Interi corridoi erano pieni di macerie da risistemare. Molti luoghi erano ricoperti di fiori che non appassivano, messi lì da coloro che volevano ricordare un mago caduto proprio in quel punto.

  C’erano centinaia di fiori dove era morto Fred Weasley, c’erano pupazzi e ghirlande dove erano mancati Remus e Tonks, intere aiuole di fiori colorati erano nate nel grande parco per ricordare Colin Canon e tanti altri.

  Sorprendentemente un locale del castello, al primo piano, era riuscito a sottrarsi alla distruzione dei Mangiamorte e al cordoglio dei sopravvissuti. Una porta in quercia, su cui dondolava un pesante cartello con su scritto “GUASTO e INFESTATO”, proteggeva quell’isola di pace nel caos del castello ripopolato.

  Un bagno che guasto non lo era mai stato, escludendo un certo rubinetto marchiato che non forniva acqua sin dalla sua istallazione, un bagno che infestato non lo era più da quando Mirtilla Malcontenta si era trasferita in altro luogo, sconosciuto a tutti.

  Nessuno aveva mai sentito un bisogno così impellente da entrare in quel bagno. Alcuni intraprendenti studenti avevano fatto delle sporadiche incursioni, per assicurarsi della verità incisa sul cartello, timidamente avevano cercato indizi e li avevano trovati. Girava la voce della presenza di un fantasma che faceva ravvicinati sospiri sinistri, o di fragori improvvisi nel silenzio del corridoio deserto durante la cena. Veniva raccontato di grossi pezzi di legno che cigolavano precariamente sostenuti alla loro origine da qualche stecca che marciva, di un lago d’acqua che non si asciugava sul pavimento di un cubicolo, di alcuni pannelli sventrati completamente.

  Qualcosa doveva esserci di certo. Questo qualcosa bastava per tenere lontano tutti, anche quelli più coraggiosi, di solito con lo stemma di Grifondoro ben saldo sulle divise.

  In realtà, se avessero indagato più attentamente alle sei di ogni pomeriggio, avrebbero colto un’eroina del Mondo Magico che cercava di venire a patti con i mostri nella sua testa. Se ne stava sempre lì, sempre nello stesso cubicolo, accoccolata su una tazza con la testa tra le gambe cercando di sconfiggere  l’ennesimo, devastante, attacco di panico.

  Hermione Granger non sapeva chi altro prendesse quel bagno come valvola di sfogo, non sapeva chi, con la sua stessa frequenza, prendeva a pugni e incantesimi tutto ciò che gli capitava a tiro lì dentro. Non gliene importava neppure, quando aveva voglia si limitava a riparare i danni con la magia, quando il suo cielo personale era troppo brutto, non lo faceva. Quella strana privata lotta era solo sua, la gestiva come riteneva giusto, le bastava che nessuno la vedesse, bastava che nessuno si mettesse a guardarla in quegli attimi di massima vulnerabilità.

  Avrebbe potuto cavarsela nell’anonimato se quel giorno non si fosse attardata pensando alla sua vita.

  Fissando il legno della porta davanti a lei, ripercorse l’estate appena passata, insieme ai primi ventidue giorni di scuola. Quel percorso che aveva deciso di completare era stata la bomba finale sulle sue relazioni. Insomma, chi glielo faceva fare di tornare a studiare se, con il suo ruolo nella guerra, avrebbe avuto offerte di lavoro da non poter rispondere a tutti? Perché sacrificare il suo nome per ritornare una semplice studentessa? Ma lei era quello, una studentessa brillante. Lo era stata prima di essere un’eroina e le mancava esserlo. Non aveva sentito ragioni e, prima di tentare una nuova normalità, aveva chiuso ciò che meritava di essere chiuso. Ripartire da zero, anche se sapeva di non poterlo fare mai del tutto.

  Si ricordava nitidamente lo sguardo sconcertato dei suoi amici Harry Potter e Ronald Weasley, anzi, quest’ultimo, era ritornato solo suo amico nell’esatto momento in cui lei aveva deciso di tornare a scuola. La loro storia non era sopravvissuta al ritorno della Pace, scricchiolava già un mese dopo la fine della guerra. L’adrenalina, il pericolo, l’eccitazione, erano spariti per lasciare posto al cordoglio, alla monotonia, allo stallo del dolore che Ron non voleva superare.

  Lo capiva. Era ancora troppo presto per dimenticare la rumorosa e impertinente vita di Fred, era troppo presto per non lasciarsi bruciare dalla vista del suo letto vuoto o dalla scomparsa della coppia più divertente della famiglia. Mancava in modo straziante anche a lei.  Di lui era rimasto un gemello identico che non riusciva più a produrre un Patronus e che singhiozzava ogni volta che incrociava la sua immagine riflessa in uno specchio, una madre dolorante e un padre disilluso, una marea di fratelli che cercavano di ritornare alla normalità.

  Finì che il dolore di tutti soffocò la gioia di Ron e Hermione, non c’era più spazio per la novità. Quando un amore era già coperto da ceneri così nere, era impossibile farlo andare avanti e lei non era disposta a provarci. Era stanca di quel tipo di fatiche, di essere comprensiva, di tentare di salvare qualcosa che non era salvabile. Allora l’amicizia, tornare solo Hermione e Ron, era stata l’unica soluzione possibile e condivisibile da entrambi. Solo così poteva aiutarlo a stare meglio. Forse la loro storia, il loro affetto, non era destinato a trasformarsi in qualcosa di più, probabilmente avevano frainteso, probabilmente avevano accelerato e tutto si era estinto come la tenue luce di un fiammifero.

  Harry e Ginny erano sopravvissuti nonostante lo stesso sfondo di dolore, loro avevano trovato felicità nel loro amore, chissà come. Qualche volta le capitava di guardarli, quando se ne stavano abbracciati sul sofà della Tana o su un prato, si chiedeva “Perché loro sì e noi no?”. Quando cercava ancora di capire come salvare la sua storia, si era fatta tantissime domande a cui non aveva dato mai risposta. Lei e Ron erano sempre stati lontani, non si abbracciavano o confortavano e, i pochi baci che si scambiavano, sapevano di umido e rimpianto. Ma l’Amore dei suoi due migliori amici non era così, il loro donava gioia, aveva quell’aurea inviolabile di chi si era finalmente trovato un’isola di pace.

  Poi Ginny era salita sul suo stesso treno a settembre e la cosa, al contrario di quello che era successo a lei, aveva reso fieri tutti quanti. La loro amicizia era sopravvissuta, Ginny era più brava di lei con i rapporti e aveva avuto molta pazienza. Stavano spesso insieme al tavolo dei pasti e, con il fatto che eccezionalmente frequentavano lo stesso anno, spesso studiavano insieme in biblioteca, dopo cena. Qualche volta si univano a loro anche Neville e Luna. Ginny non le aveva mai chiesto dove andasse tutti i giorni alle sei del pomeriggio, sapeva che c’erano dei motivi  per cui spariva per un po’ e si limitava a salutarla per poi riaccoglierla a tempesta passata.

  Durante l’estate aveva trovato i suoi genitori in Australia, li aveva liberati del suo incantesimo, erano ritornati in Inghilterra e lei a vivere con loro, in una nuova casa. Con i signori Granger si parlava raramente, passavano il tempo a fissarla senza proferire verbo, giudicando silenziosamente il suo anno appena trascorso. C’era così tanto di non detto tra loro, che la stessa Hermione stentava a riconoscere la sua famiglia. Sopportavano semplicemente la sua presenza in casa, perché era loro figlia. Non la guardavano con lo stesso sguardo orgoglioso che avevano un tempo, non avevano chiesto poi nulla della sua vita in clandestinità. C’era qualcosa, un macigno forse, una diga, che impediva a tutti e tre di parlare sinceramente tra loro.

  Le si inumidirono gli occhi a ripensare al rapporto infranto con le due persone che le avevano dato la vita. Per un folle attimo le balenò nella testa un’immagine nitidissima e fulminea, si vide affianco ad una” fu persona” che aveva abitato quello stesso cubicolo.

  Lei in quel momento, con gli occhi umidi, col panico e i suoi nervi suscettibili, era  diventata la nuova Mirtilla Malcontenta in carne ed ossa. Tutti evitavano quel bagno per colpa sua, la nuova infestatrice insopportabile e piagnucolona. «Fantastico!» le scappò detto ironicamente. La mano scattò alla chioma per attorcigliarne una ciocca, unico modo che aveva sempre avuto per combattere lo stress.

  Con un sussultò cambiò idea trovando il vuoto sulle spalle. Mai si sarebbe abituata al fatto che anche quel vizio doveva sparire, come avevano fatto i suoi lunghi capelli crespi. Non c’erano più per la maggior parte . Dopo la guerra aveva constatato la sopravvivenza solo di alcuni brandelli della sua capigliatura, alcuni erano stati recisi, altri erano bruciati. Allora si era fatta portare via tutto ciò che ne rimaneva. «Corti, ordinati e pratici.» aveva chiesto al parrucchiere che se ne era occupato. Ora sfoggiava un taglio poco più lungo di quello di Harry Potter, alla mattina le costava poca manutenzione, liscio e ubbidiente le scopriva il viso ormai maturo e in qualche modo molto più vecchio.

  Sorrise ricordando l’espressione di Ginny quando la individuò al Binario 9  e ¾ . Non si vedevano da qualche settimana per via della ricerca dei suoi genitori e della rottura con Ron, quel tempo slegata dagli affetti Weasley lei lo aveva impiegato anche per quel rinnovo drastico. La sua amica era rimasta sconcertata, senza parlare della reazione viscerale di Ron e Harry, che erano andati a salutarle, le era sembrato che si sarebbero volentieri strappati gli occhi dalle orbite alla sua vista. Tutti e tre non aveva proferito verbo e avevano spalancato gli occhi a tutta larghezza. Boccheggiando, Ginny aveva fatto scattare le mani ad afferrare la sua stessa chioma fiammeggiante, in un fulmineo istinto protettivo verso uno dei rinomati baluardi di femminilità. Forse temeva che Hermione avesse un altro colpo di testa e tagliuzzasse impietosamente anche i suoi capelli. Non aveva mai commentato e non l’avrebbe mai fatto. Ma a Luna e Neville, anche loro tornati a scuola, erano piaciuti molto e non avevano mancato di farle notare come le stessero bene.

  Aveva capito solo dopo che ogni cambiamento scatenava un putiferio nel cervello e nelle paure dei suoi più cari amici. Non erano stati preparati alla morte di uno di loro, come non erano ancora a pronti a separarsi dalla ligia, bruttina, discreta Hermione Granger. Dopo sette anni sempre insieme quel suo taglio cortissimo era una dichiarazione di indipendenza. Non lo avrebbero accettato con facilità. Non le importava.

  Grazie a quella scelta estetica la sua cicatrice era ben visibile. Frastagliata e sanguigna attraversava il suo collo dalla base dell’orecchio destro, esposta, fino a tuffarsi nella scollatura della camicia della divisa. Era imponente, un regalo di un pezzo di ferro su cui aveva sbattuto quando un’Acromantula l’aveva scaraventata sulle macerie del castello. Non era profonda, non aveva perso molto sangue mentre faceva una veloce medicazione sul campo, ma era abbastanza per attirare gli sguardi dei più. Aveva giudicato inutile e dispendioso acquistare cosmetici per coprirla, un sacrificio troppo grosso rinunciare a qualche meritata ora di sonno per perdere tempo a fare incantesimi di disillusione ogni mattina. La portava senza curarsene troppo. Era una reduce e, in quanto tale, aveva subito delle conseguenze. Di certo quella cicatrice era la conseguenza più discreta di tutte quelle che stava scontando.

  Mentre pensava a questo, e ad altro, la porta del bagno si spalancò e si richiuse in un attimo, facendo entrare qualcuno a passo svelto e aggressivo. Hermione s’ irrigidì completamente, in ascolto. Poteva essere semplicemente una ragazza con una piccola urgenza mensile, incurante degli avvertimenti, poteva essere uno scherzo per entrare in un gruppo stretto di studenti.

  Non gocciò nulla nella tazza del cubicolo, di cui la porta era stata aperta con il fragore delle assi e il lamentarsi dei cardini. Non c’erano schiamazzi di attesa nel corridoio. Sembrava essere tornato il silenzio, questo a lei bastava.

  Uno scoppio deciso, che non sembrava magico, la fece sobbalzare appena fu rilassata. Un altro scoppio la fece tremare. Assi che cadevano la fecero ritrarre in un bozzolo. Pensò a tutto in quegli interminabili minuti in cui si susseguivano quelli che sembravano pugni e calci. Hermione aveva troppa paura in quel momento. Quando riuscì a tranquillizzarsi il suo istinto di giustizia, il voler tentare di impedire ad un bullo di massacrare le poche cose sopravvissute alla guerra, la fece uscire dal suo scomodo nascondiglio. C’era anche una buona dose di curiosità, voleva sapere chi lasciasse un inferno quell’ammasso di legno e ceramica. Si sentiva pronta a dare sfogo ad una delle sue lunghissime ramanzine da prima della classe, da ex Prefetto e da anziana studentessa. Quando uscì, però, chiunque fosse pareva essersi fermato.

  Mosse qualche passo incerto pestando le pozze d’acqua sul pavimento, sguainando la bacchetta per sventare ogni possibile attacco a sorpresa. Arrivò davanti al cubicolo dove provenivano i rumori e, in un atto di coraggio, con dita tremanti tentò di spingerne la porta,aspettandosi di dover ricorrere comunque alla magia per aprirla. Ma si sbagliava, la porta sorprendentemente si aprì.

  Seduto sul pavimento, la divisa nera sporca con il bianco della ceramica del WC che aveva appena scardinato e fatto a pezzi, vi era Draco Malfoy. Guardava a terra, le braccia lunghe appoggiate sulle ginocchia piegate, un copioso rivolo di sangue che partiva dalle nocche della mano sinistra. Hermione non seppe se ne rimase stupita o se quella vista le suscitò uno strano senso di soddisfazione, ma in quel momento rimase lì a fissarlo senza dire nulla.

  Tra tutti quelli a cui aveva pensato fossero responsabili di tale scempio , Draco Malfoy era l’ultimo della sua lista, se non del tutto assente. Come sembrava assente a scuola. Anche se, in un certo senso, sarebbe stato ovvio pensare a lui.

Non aveva mai sentito la sua presenza in quelle tre settimane. Se ne stava sempre in disparte, non sapeva se per intenzione o per volere degli altri, non rispondeva mai alle domande fatte a lezione. Se ne stava sempre all’ultimo banco senza nessuno accanto a lui, lavorava in silenzio a testa basa senza curarsi degli altri. Nessuno chiedeva di lui e lui non chiedeva di nessuno. I professori non lo interpellavano mai, spesso si dimenticavano anche di controllare il suo lavoro. Ricordò che una volta gli aveva suscitato anche un po’ di pena quando Lumacorno saltò a piè pari il suo calderone, ad una lezione di Pozioni. Lui non aveva detto nulla, finita la lezione aveva ripulito i suoi arnesi, messo la pozione in una fiala che aveva poi posato in cattedra, poi era sparito oltre la porta in modo fulmineo. Dal colore del liquido nella fiala, Hermione aveva capito immediatamente che era l’unico, in quella classe, ad essere riuscito a riprodurre il siero richiesto con risultati eccellenti. Nessuno gliene aveva dato merito.

  Dal canto suo, Draco, controllava meticolosamente le entrate di Hermione nel bagno del primo piano. Finite le lezioni si nascondeva dietro ad un’armatura ad attendere il suo turno. La vedeva sparire all’interno e riemergerne con gli occhi lucidi e il respiro scosso. Di solito non saltava mai la cena, tempo che lui utilizzava per vedersela con quel maledetto bagno a tu per tu, per avere la sua pace. In fondo, quel bagno, lo avevano usato entrambi in passato, per un po’ di privacy, ed ora vi ritrovavano la ben accetta tranquillità. Bastava non incrociarsi.

  Ma purtroppo era avvenuto il fatto che aveva cercato di evitare con tanto impegno per quasi un mese. Draco era in ritardo quel giorno, si era fermato in biblioteca più del previsto e, quando la rabbia premeva già da un po’, si era fiondato lì, credendo che lei avesse già concluso. Con gli occhi ciechi era entrato e aveva fatto come sempre, aveva distrutto quello che poteva, un po’ a mani nude, un po’ con la bacchetta. Solo quando si era fermato e aveva sentito la porta di un cubicolo cigolare, aveva capito che quel giorno avrebbe dovuto controllare meglio la sua solitudine. Che quel giorno anche lei era in ritardo. Aveva contato i passi di lei mentre senza discrezione sbattevano sulle pozze d’acqua a terra,  non l’aveva fermata quando aveva aperto la porta. Perché farlo? Cosa gliene importava?

  «Che dici Granger? Nessuna ramanzina per questa superba opera di distruzione?» disse dopo molti minuti, passati in silenzio entrambi,  ad attendere chissà cosa.  

  Ma lei non riuscì a rispondere a quella esplicita provocazione. Si limitò ad incrociare le braccia e a continuare a sovrastarlo, appoggiata ad uno stipite. Non sapeva davvero come reagire a quello spettacolo. Infierire? Cercare di comprendere le ragioni di tale rabbia? Parlare? Ascoltare? Aiutare Draco Malfoy?

  Lui non aveva mai sopportato che qualcuno incassasse le sue provocazioni senza rispondergli a tono. Voleva vederla la sua ferita nell’orgoglio, voleva vedere che le sue parole contavano per qualcuno. Voleva che qualcuno si abbassasse al suo livello, perché lì in basso si sentiva solo. Non riusciva ad ammetterlo. La provocazione era diventato un riflesso involontario, una inconscia richiesta di compagnia nella sua miserevole disperazione.

  Era sempre stato questo il motivo che muoveva la lingua biforcuta del rampollo Malfoy. Voleva che qualcosa che provenisse da lui disturbasse chi gli stava intorno, possibilmente che disturbasse a Potter e alla sua cricca. Ma la Granger raramente gli aveva dato quelle soddisfazioni, anche ai tempi dei primi anni di scuola, lei aveva sempre avuto la maturità di non rispondere a tono alle sue frecciatine o di spingere gli altri due zoticoni a non farlo.
Sapeva benissimo, chissà come e chissà dove si studiava, che l’arma con cui batterlo era ignorarlo.

  «Non capisco se tu mi stia guardando perché sono affascinante, o perché hai intenzione di obbligarmi a risistemare.» si alzò rivelando per intero il volto conosciuto.

  Lei non lo aveva più guardato da vicino da tempo immemore. Ed era come invecchiato di venti anni in una sola estate. Il viso scarno era solcato da profonde rughe di stanchezza e dolore, sotto gli occhi azzurri due pozze scure deturpavano la pelle diafana.

  Hermione ne rimase impressionata. Non credeva che un figlio della ricchezza potesse diventare l’esempio fisico della decadenza. Era come se si stesse accartocciando su sé stesso, era ancora più magro di quanto lo fosse stato nei primi anni di scuola, ingobbito perdeva alla vista parecchi dei suoi molti centimetri verticali, i capelli biondissimi erano scompigliati sulla fronte e lasciati a sé stessi. Nulla vi era più del ragazzo pulito e decoroso, curato fino alla maniacalità, attento ad ogni centimetro del suo corpo. Assomigliava ad un palazzo in rovina.

  Sospirò continuando a guardarlo, sapeva cosa fare:«Reparo.» esclamò agitando la bacchetta con delicatezza. Tutto tornò al suo posto, le sfrecciò qualcosa vicino all’orecchio ma non la colpì e lei non se ne curò, l’acqua venne risucchiata dal pavimento tornando al suo posto nelle tubature, la tazza del WC volò integra al suo posto, anche i vecchi cubicoli rotti ritornarono integri. «Tergeo.»  disse puntandola poi addosso ai vestiti del Serpeverde che ritornarono come nuovi, sotto lo sguardo apatico del suo possessore. Lo guardò negli occhi senza timore: «Non ho intenzione di obbligarti a fare nulla.» la mascella rigida e lo sguardo duro. Si girò sui tacchi e andò verso la porta. Che altro poteva fare lì? Parlare con il viscido Serpeverde che l’aveva vessata per anni? Tentare di capirlo? Non ne aveva voglia.

  Ma Draco aveva intenzione di tenerla lì ancora per un po’, anche se non si spiegava il perché: «Ehi, Granger, aspetta un attimo.» disse andando incontro ad uno dei rubinetti. Sapeva benissimo quale fosse guasto, ma lo scelse e fingendo tentò lo stesso di far uscire l’acqua dalle tubature. Anche nei gesti era provocatore.

  Lei, che si era girata controvoglia, lo guardò aspettare un fiotto dal rubinetto sbagliato: «Quella è l’entrata della Camera dei Segreti, prova con quello alla tua destra. E fasciati la mano con del Dittamo, guarirà più in fretta.» disse incrociando le braccia al petto. Aveva un sopracciglio alzato e lo sguardo puntiglioso dei bei tempi andati.

  Draco fece come gli aveva suggerito, con lentezza appellò da un angolo buio, anche la sua personalissima bottiglietta di Dittamo e le sue bende pregiate, previdentemente nascoste. Non era la prima volta che lo faceva. Ma questa volta sapeva che lei lo stesse guardando, perforandogli la schiena. Finito il suo rito si voltò appoggiandosi con eleganza al bordo di uno dei lavelli:« Proprio non riesci a fare a meno di essere una petulante so-tutto-io, eh, Granger?» le chiese con un ghigno.

  Hermione sciolse le braccia e le puntò ai fianchi con enfasi, rischiando quasi di incrinarsi le ultime due costole: «E tu non puoi fare a meno di essere uno stronzo, viscido, provocatore?» era fin troppo suscettibile dopo un attacco di panico, come se avesse costantemente il ciclo. Pensava ad altro quando lui la provocò, e non poté fare a meno di rispondergli con una ripicca offensiva. Se ne accorse quando già le era uscita dalle fauci.

  Draco rise, aveva ottenuto quello che voleva:«Ora che ti sei abbassata al mio livello, penso che potremmo farci una chiacchierata.» propose facendole segno di accomodarsi accanto a lui.
Scoppiò in una risata di scherno: «Parlare con te? No, grazie.» disse per poi voltarsi e lasciarlo lì, in piedi, con la crescente consapevolezza di non sapere che diavolo stesse cercando di fare.
  
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