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Autore: Marcuc    13/01/2017    0 recensioni
*Sono tornata*
-Dal primo capitolo-
Lei in quel momento, con gli occhi umidi, col panico e i suoi nervi suscettibili, era diventata la nuova Mirtilla Malcontenta in carne ed ossa. Tutti evitavano quel bagno per colpa sua, la nuova infestatrice insopportabile e piagnucolona. «Fantastico!» le scappò detto ironicamente.
....
Dal 4° capitolo:
« No che non va bene... » singhiozzò « sono rimasta sola! » chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una vera e incontenibile disperazione, alle lacrime genuine di chi tira fuori le sue angosce e i suoi guai tutti interi.
La guardò impotente senza cercare alcun altro contatto, temendo ciò che una mano su quel volto deformato dal pianto, un abbraccio di consolazione, un pollice che asciugava le lacrime brucianti, avrebbe cambiato tutto troppo in fretta. « Non sei sola, Granger. » le sussurrò stringendo ancora l'unico pezzo di loro che si mischiava.
La scopro anche io con voi, man mano che scrivo. Con la speranza che non siate stanchi delle Dramione!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Non ho scritto prima per lasciarvi digerire il mio ritorno, è vero che non scrivo più da parecchio tempo e ho una ff ancora da concludere. Questa storia è arrivata per caso, un giorno di sole a Bologna. Sono successe tante cose dall'ultimo capitolo pubblicato di Runaway, e finchè non avrò il coraggio di concluderla mi dedico un po' a questa, seguita e letta per la prima volta dal mio fidanzato.

Spero che vi piaccia!

Un bacio




A domani



Hermione tornò il giorno dopo alla stessa ora di sempre, rimase nel bagno il tanto che bastava per farsi passare gli strascichi del suo attacco di panico, senza incontrarlo se ne andò discretamente stringendosi la cravatta rosso-oro sul colletto bianco della camicia e sistemandosi la pesante cartella sulla spalla destra.

Draco quel giorno fece a pezzi solo poche assi di un pannello di legno, sentendosi assai stupido riparò i danni causati e se ne andò, prima del solito, senza sanguinare.

Sembrava che l'incontro del giorno prima non ci fosse stato per nessuno dei due. Nelle troppe lezioni che i due avevano in comune non si rivolsero neanche uno sguardo, nessuno dei due indugiò con imbarazzo sull'uscio delle aule, non ci furono battutine impertinenti, provocazioni negli sguardi. Quella breve parentesi in un bagno inagibile era molto lontano dalla loro idea di turbamento. Avevano talmente tante cose con cui venire a patti che il loro rapporto, tra l'altro rimasto immutato, era quasi un sollievo nell'anormalità della loro vite.

Era chiaro che le vecchie frizioni non si erano addolcite, seppure negli occhi chiari del ragazzo non ci fosse più la sua leggendaria strafottenza e nelle parole della ragazza non ci fosse la marmorea sicurezza, la loro vena combattiva riemergeva almeno nell'incrociarsi delle loro strade. Discretamente curiosi per il fatto che avessero scelto entrambi lo stesso luogo di pace, lasciarono che le cose avvenissero senza lotte selvatiche per il controllo del territorio..

Allora se ne stettero ben lontani per i successivi dieci giorni, come di consuetudine, sempre attenti che le loro faccende personali non sforassero nell'ora dell'altro.

E sarebbe durata così per i mesi a venire se un giorno, Hermione, entrando nel bagno, constatò che Draco Malfoy era già lì. In tutta la sua strafottente decadenza se ne stava appoggiato al lavabo che, con le parole giuste e nella lingua giusta, avrebbe aperto la Camera dei Segreti.

Stizzita arricciò vistosamente le labbra sbattendo le palpebre a velocità doppia del consueto: « È il bagno delle ragazze, Malfoy. » disse tremando vistosamente.

« Lo so. » rispose lui con tutta calma esaminandosi attentamente un unghia della mano destra senza degnarla di uno sguardo.

Scrollò le spalle: « Non dovresti stare qui. » era già ad un passo dal consueto crollo emotivo.

Distese le sopracciglia e finalmente alzò la testa per guardarla apertamente, sfidandola: « Nemmeno tu. Sbaglio o c'è scritto “Guasto” qui fuori? » aspettò che rispondesse ma sapeva che non l'avrebbe fatto, il suo petto stava già cominciando ad andare su e giù troppo frequentemente, la sua cicatrice pareva sorridergli in modo impertinente dal collo scoperto: « Fai quello che devi fare, insonorizza il cubicolo se lo ritieni necessario, non ho intenzione di cercarti.»

Come Draco aveva intuito Hermione non poteva rispondere, non ce l'avrebbe fatta. Tra il fidarsi del suo autocontrollo o del Serpeverde, scelse di dare fiducia a lui. Se non fosse stata occupata a tentare di convincersi che non stava per morire, l'avrebbe ritenuta la cosa più folle che avrebbe potuto fare in tutti i frangenti.

Corse nel suo cubicolo chiudendosi la porta alle spalle. Riuscì con fatica a sedersi sulla tazza, la paura la faceva procedere a tentoni, quasi cieca, le scuoteva convulsamente il corpo, grosse gocce di  sudore le imperlavano la fronte, il macigno era arrivato a pesarle sullo sterno. Deglutì profondamente, sapeva benissimo che sarebbe finito presto, che non sarebbe morta. I conati cominciarono a risalirle la gola, lo stomaco a contrarsi irradiato di nausea in tutti gli anfratti.

L'unico metodo che la calmava, anche se lentamente, era snocciolare a memoria i versi di una poesia che aveva letto a casa dei suoi, in uno di quei giorni prima di tornare lì, nell'inferno. Era l'unico libro sopravvissuto al ritorno in Inghilterra, uno di quelli che i signori Granger avevano accettato come regalo d'addio degli inesistenti signori Wilkins. Le era caduto in testa dall'armadio del corridoio mentre prendeva qualche lenzuolo da sistemare nella sua stanza, l'aveva preso come il segno che almeno a qualcuno facesse piacere averla lì.

La sua camera nella casa nuova era grossa quanto uno sgabuzzino, perché « tanto lei era grande e non le sarebbe servita per molto, era inutile prendere una casa con due stanze da letto. »  Così le aveva giustificato sua madre quel disordine soffocante, mentre erano sulla soglia di quattro mura che avrebbero contenuto a malapena il suo letto ad una piazza e null'altro. « Tanto sei una strega, fai qualche incantesimo salva-spazio e questa stanza sarà sufficiente.»  gliel'aveva sputato in faccia come la padrona di un pessimo hotel di terz' ordine, poi le aveva lasciato in braccio qualche coperta sdrucita ed era scesa dal marito. Avrebbe voluto farle notare che quello sgabuzzino non aveva neanche una piccola finestra, che non vi era spazio vitale, ma se ne rimase zitta con le guance chiazzate di rosso. Agitando la bacchetta, aveva fatto un Incantesimo Estensivo al baule di Hogwarts, vi aveva gettato i vestiti sopravvissuti alla clandestinità e quei pochi che aveva concesso a se stessa di ricomprare, lo aveva rimpicciolito fino a farlo assomigliare ad una scatola di fiammiferi che si mise in tasca. Era scoppiata a piangere dopo aver sbattuto la testa tuffandosi su quello che, per poco tempo, come aveva detto sua madre, sarebbe stato il suo letto. Ripensare a quel giorno le rese bollente il sangue e più forti i tremori.

Respirando a fatica, cercando di concentrarsi solo sulle parole da ricordare, cominciò a muovere le labbra fini, lentamente recitò:

« Basta! Siamo stanchi, ormai, il mio cuore ed io.
Presso questa lapide sepolcrale io seggo,
e vorrei che quel nome per me fosse inciso….
Si sono scritti dei libri, negli uomini abbiamo confidato,
e la penna nel nostro sangue intinta,
come se un tal colore morire non potesse….
Troppo dritti camminiamo per arrivare
alla fortuna, troppo sinceramente amammo
per serbare un amico….
Come siamo stanchi, il mio cuore ed io!
Indifferente resta il mondo alle nostre
illanguidite fantasie; la nostra voce,
così penetrante un giorno, solo dormire
oggi vi farebbe…. Oh, che cosa ci facciamo ancora qui,
il mio cuore ed io? »

La prima lettura che ne aveva fatto le era bastata per timbrarsela nei pensieri in maniera indelebile. Non si era spiegata subito il perché, ma era l'unica cosa che riemergeva nei suoi attacchi di panico giornalieri. Era come le vecchie filastrocche o gli indovinelli di quando andava alla scuola babbana, prima di Hogwarts, prima della magia. Non aveva mai veramente prestato attenzione alle parole, fino a quando, un giorno peggio degli altri, dovette ripeterla più delle solite quattro volte e capì che Elizabeth Barrett Browning parlava di lei un secolo prima che nascesse.

È ciò che succede di solito ai lettori incalliti, tuffarsi dentro le righe di un romanzo, una saggio, una poesia e sentirsi interpellato. Hermione si sentiva chiamata in causa, sempre, perché sempre leggeva. Ma quello che le veniva fatto notare da quella donna non le piaceva per nulla. Non le piaceva essere stanca della sua vita, non le piaceva ricordare le promesse infrante o i tentativi inutili di far rimanere tutto nella dolce pace della normalità. Non le piaceva credere che a soli diciannove anni aveva già dato tutto ciò che poteva dare. Non le piaceva ciò che era stata e ciò che continuava ad essere.

Finita la guerra si era ripromessa di occuparsi di sé, del suo corpo e della sua mente. Voleva studiare fino a farsi mangiare la vista dai libri, diventare qualcuno per meriti concreti o non per il suo nome. Voleva essere quello che aveva faticato a diventare: una strega eccellente. Ne aveva le capacità, ma non la voglia. E allora, ogni giorno da più di un mese, lasciava che i suoi mostri personali la trascinassero in un cubicolo puzzolente e disgustoso, la facessero diventare il fantasma di sé stessa erigendo un muro invalicabile intorno a quella brillante testa che aveva avuto in dono.  Era una scusa perfetta.

Non sapeva come fare ad uscirne, ed era sempre più spaventata.

La porta del cubicolo si spalancò lentamente, facendo comparire sull'uscio Draco Malfoy con il volto totalmente indecifrabile. Boccheggiando riuscì a carpirne solo il profumo, era una fragranza chiacchierona che lasciava sempre scie snob quando passava per i corridoi della scuola.

« Vattene! » disse tentando di urlare indignata, ma dalla bocca le uscì soltanto un rantolo indecifrabile.

Allungando un braccio disse:« Tieni! » mettendoci tutto il disprezzo che gli riuscì di mettere ( e per suo sconcerto ne risultò molto poco) e le porse un calice di acqua chiara.

Lo prese cautamente, con mani tremanti, e per la seconda volta quel giorno si fidò di lui. Tracannò l'acqua fresca come un pellegrino del deserto. Senza che nessuno dei due facesse nulla il calice si riempì ancora e lei bevve ancora, e ancora per una terza e una quarta volta. Lui la guardava e lei non riusciva a capire che diavolo stesse facendo, che cosa volesse da lei, perché la stesse aiutando e, cosa di primaria importanza, che magia straordinaria avesse fatto a quel calice.

Quando il respiro si fece regolare e i tremori più lievi, Draco si strinse nelle spalle, richiuse la porta delicatamente e senza proferire nulla si allontanò dal cubicolo e dal bagno.

Hermione lasciò cadere il calice vuoto, quasi sconvolta. Poi sussultando dal rumore di questo sul pavimento in pietra e temendo si fosse sognata tutto, lo riacciuffò esaminandone la consistenza e i dettagli. Era reale. Solido metallo sapientemente dipinto d'oro. E lì cosa c'era? Sembrava uno stemma. Avvicinò il volto e vide un serpente. Era un calice della Sala Comune di Serpeverde. Aveva appellato un calice dalla sua Casa per darle conforto.

-        -        -

Per i successivi dieci giorni se ne rimasero lontani ancora. Era come se avessero firmato un accordo segreto che li obbligava a starsene lontani un numero di giorni precisi, dopo ogni incrociarsi di strade. Puntuali come non volevano essere, come rispondendo ad un richiamo che solo loro due potevano udire, l'undicesimo giorno si trovarono insieme sulla porta, faccia a faccia.

« É il mio turno, Malfoy. » disse Hermione stizzita incrociando le braccia.

Sbuffò annoiato: « Non mi sembra ci siano fogli dove ci si debba prenotare, Granger. » disse spingendo la porta e facendo ballare il pesante cartello.

Lei lo seguì a petto infuori, nervosa e irascibile come un' Erinni: « Mi spieghi perché mi stai perseguitando? » sbraitò alle sue spalle mulinando le braccia.

Lui si voltò con le sopracciglia alzate: « Come, di grazia? » disse pur avendo sentito benissimo, grazie ai decibel raggiunti dalla Grifondoro sbraitante.

« Hai il tuo orario, le tue cose da fare. Vorrei stare da sola mentre faccio le mie! » si stava agitando, era un suo diritto, quello era il bagno delle ragazze e lui continuava ad andare lì ad irritarla.

Draco contrasse la mascella in modo minaccioso, i suoi occhi divennero pozze scure di rabbia.

Fu la prima volta che Hermione smise di considerarlo la patetica ombra di suo padre, e cominciò ad averne paura.

Cercò di mantenere il suo proverbiale autocontrollo, non cedere alla minaccia inespressa, si piantò al terreno incrociando le braccia ancora una volta.

Draco coprì la distanza in non più di due passi, le fu ad un palmo dal naso, la schiena tornata dritta le rendeva facile sovrastarla di molti centimetri: « Senti, patetica Mazzosangue, non m'importa di cosa tu voglia da me o dal mondo, continuerò a venire qui quando voglio e a fare ciò che voglio. Quindi vedi di smettere di lamentarti. »  sibilò stringendo i denti quasi a volerne fare farina.

Hermione tenne lo sguardo alto: « Sennò che farai? »

« Questa volta non tenterò di evitare la prigione dopo che ti avrò appeso al tuo amato cubicolo. » sputò maligno alitandole in faccia.

« È una minaccia da Mangiamorte? » chiese pungendolo come lui aveva punto lei con l'appellativo “Mezzosague”.

Annuì e gli occhi sembrarono diventare più scuri: « Esattamente. »

Hermione s'incupì in un breve istante, la furia gli si irradiò fino alla punta della dita, gli occhi scuri le andarono a fuoco, la pelle le si riempì di chiazze rosse. In un moto incosciente tirò indietro il braccio pronta a colpirlo, come aveva fatto cinque anni prima. Ma a differenza del loro terzo anno questa volta il suo braccio fu fermato a mezz'aria dal ragazzo.

Lo strinse forte al polso tentando di farle male, più male possibile senza lasciare troppi segni. Lei non cedette al dolore, strinse la mano a pugno e i denti scricchiolarono, ingaggiando un duello di testardaggine con il Serpeverde che le stava davanti. Occhi negli occhi, come due titani in attesa del gong, prima della vera lotta. C'era un'elettricità letale che passava in mezzo ai loro corpi.

Ma quando il grande orologio all'ingresso batté le sei del pomeriggio, non cominciò lo scontro. Come in un incantesimo Hermione si accasciò a terrà sotto lo sguardo di Draco. Fu come se la vera Hermione, quella fragile e in lotta con se stessa, fosse riemersa nella coscienza della combattiva Mezzosangue che lo aveva appena sfidato. Come riflesso involontario la seguì a terra, gli pareva che il cuore di lei fosse perfettamente udibile dal petto e che lei stesse cercando di trattenerlo dentro la gabbia toracica con la mano tremante.

Teneva la testa bassa, la bocca celata dal cranio pulsante e dalle convulsioni della paura, quando un « Mi dispiace... » venne sussurrato tra un breve respiro e l'altro.

Draco si riscosse dalla sua rabbia e gli si fece più vicino « Che cosa hai detto? ». Doveva per forza aver sentito male, la Mezzosangue non gli aveva appena chiesto scusa, solo cinque secondi prima aveva tentato di schiaffeggiarlo, aveva senz'altro capito molto male.

Alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi castani erano inondati di grosse lacrime limpide, era pallida come un fantasma e il terrore le si leggeva in faccia: « Mi dispiace, Draco. Non... oddio sto... sto morendo... » se solo fosse riuscita a controllarsi sarebbe anche scoppiata a piangere. Ma era la persona più smarrita che il Serpeverde avesse mai conosciuto.

Era impossibile che quella fosse la Mezzosangue zannuta che aveva conosciuto. La Grenger di cui si ricordava era combattiva, pignola, dotata, intelligente, indipendente. Solo pensare queste qualità lo fece tremare d'invidia. Ma quella che gli stava davanti, accasciata, che credeva di morire, non poteva essere lei. Il corpo asciutto richiuso su sé stesso, dondolava con la testa tra le gambe alla ricerca di un ritmo che potesse controllare lei stessa, piangeva senza piangere davvero.

Chi le aveva fatto tutto quello? Chi l'aveva trasformata nel guscio rotto che era?

In un lampo di consapevolezza si rese conto che , probabilmente, un po' del merito era anche il suo.

Fece come aveva fatto dieci giorni prima. Appellò un calice, fece un incantesimo non verbale e quello si riempì d'acqua. Glielo porse e nel farlo si accorse che la sua mano sinistra non aveva mai lasciato il polso di lei. Continuava a mantenere il contatto, anche se più delicato, inconsapevolmente allacciata al braccio.

Questa volta l'attacco di panico di Hermione si fermò dopo aver svuotato soltanto due calici d'acqua. Il respiro si normalizzò un po', le lacrime si asciugarono, il tremore si mutò in leggero formicolio e il macigno sul petto parve diventare più leggero. Respirò a pieni polmoni, chiudendo gli occhi, e le parve di rinascere, che il mondo avesse tutto un altro aspetto e sapore.

« Come va? » chiese Draco che aveva pazientemente aspettato fino a quel momento.

Lo guardò con un sorriso a tagliarle la faccia: « Molto meglio.» prese un altro boccone d'aria e infine dalla sua bocca uscì anche un flebile: « Grazie. »

Draco si strinse nelle spalle minimizzando il gesto appena compiuto, era abituato a pretese molto più difficili da esaudire, si sedette accanto a lei e appoggiò la schiena e la testa al muro, chiudendo gli occhi: « Granger ti rendi conto che nel giro di dieci minuti ti sei scusata e hai ringraziato un Mangiamorte? » ghignò.

Lei ridacchiò appoggiandosi a sua volta al muro gelido: « E tu ti rendi conto di aver toccato e aiutato una Sanguesporco? »

« Tuché. » si unì anche lui al momento goliardico di lei.

Hermione indicò la sua mano sinistra che dondolava nel vuoto, le braccia magre appoggiate nella stessa posizione in cui si erano incontrati la prima volta in quel bagno:« Ora dovrai disinfettarti le mani... potrebbe portarti a delle noie il contatto con la mia pelle. » disse arricciando il naso ironica.

Volse la testa verso di lei, aprì gli occhi con espressione seria: « Penso di poter sopravvivere a qualche noia. » sospirò « Tu piuttosto, ti serve un Oblivion per il “Mi dispiace” e il “grazie”? Sono molto capace con gli incantesimi di memoria. Modestamente. » afferrò la bacchetta che giaceva lì accanto a lui.

La mosse verso di lei che si riparò il volto ridendo: « No no, ci tengo ai miei ricordi! » quasi lo urlò allontanandosi appena.

Rise e rinfoderò la bacchetta nel mantello e riprese la sua posizione ad occhi chiusi: « Vorresti tenerti tutti i ricordi? » chiese dopo qualche minuto di silenzio in cui, entrambi, si erano goduti la pace e la tranquillità.

Ci pensò su. A diciannove anni aveva già assistito ed era stata vittima di cose terribili. Aveva vissuto una guerra  ed era stata testimone della morte di alcune delle persone a cui teneva di più, aveva passato i suoi diciotto anni in clandestinità con la pura di morire e aveva sofferto il breve abbandono di Ron. Aveva dovuto cancellare la memoria dei suoi genitori per fare in modo che si scordassero di lei, non sapendo se fosse per un anno o per sempre. Aveva subito una tortura atroce, a suon di Cruciatus e pugnali affilati. Ora doveva sopportare dei genitori che non le parlavano più, un amore sfumato e degli amici troppo lontani. Senza parlare degli anni precedenti accanto a Harry e Ron, che erano anche quelli un bel bagaglio di sofferenze: « Sì, vorrei tenermeli tutti. Anche i peggiori. »

Quasi smise di respirare per qualche secondo. Lui aveva più volte accarezzato l'idea di farsi cancellare l'ultimo anno e mezzo dalla testa, la risposta di lei lo sorprese. Era sicuro che stesse mentendo, perciò le chiese: « Anche quello di mia zia che ti tortura? » quasi sottovoce, non sapeva se voleva sentire la risposta, non sapeva se voleva aver ragione lui.

« Anche quello, voglio tenermelo stretto. » si volse verso di lui sapendo che non avrebbe mai trovato il coraggio di guardarla mentre parlavano di quelle cose. « Io... lei non può farmi più niente ora. Quel ricordo mi aiuta a sapere che sono riuscita a cavarmela. Che sono abbastanza forte per riuscirci ancora. Questo è confortante.» spiegò lentamente, digeriva lei stessa per la prima volta quelle parole , che le sgorgavano come acqua cristallina dalla foce della consapevolezza.

« Quindi non ti fa più male? » chiese con vigore, volgendo la testa e sfidandola con lo sguardo.

Gli sorrise di rimando: « No. » disse semplicemente.

Il sorriso di lui non presagiva nulla di buono: « E allora quello che hai avuto prima come lo chiameresti? Salutare tachicardia giornaliera, forse? O attacco di gioia? » disse provocandola. Non sapeva perché continuasse una discussione con lei, non sapeva perché volesse farle notare che si era accorto che non stesse bene. Non sapeva perché volesse farle ammettere che aveva bisogno di aiuto e che lui era l'unico a saperlo.

Hermione arrossì di botto e ruppe il contatto visivo. Concentrò lo sguardo su uno dei lavandini davanti a loro: « Ok, ammetto che alcuni ricordi faccio fatica a digerirli. Ma non vorrei rinunciarne, anche se è difficile. » Quelle provocazioni erano ambigue. Continuava a colpirla tentando di farle ammettere che anche lei fosse una povera patetica ferita. Si sentiva così, era vero, ma lui era l'unica persona che non poteva né capirlo né saperlo. Non voleva fargli capire che sarebbe stato utile un piccolo aiuto, che le avrebbe fatto piacere non essere da sola quando il petto le si squarciava in due ed era costretta a crollare. Ma non voleva la compagnia di lui e non voleva che lui si sentisse chiamato in causa.

« Perché no? » insistette lui, minaccioso.

« Perché non voglio cancellare una parte di me. » raccolse ancora il coraggio per affrontarlo a viso aperto. Lo trovò ad aspettarla con la stessa espressione di sfida che aveva montato ad arte poco prima.

Fece un risolino di scherno: « La parte che ti ha fatto diventare una povera traumatizzata che si nasconde in un bagno inagibile e spera di non morire di crepacuore? » chiese retoricamente alzando un sopracciglio.

« Esattamente quella parte lì. » disse con sicurezza. « Ma perché ti interessa? » era venuto il momento di parlare chiaro, di dirsi le cose come stavano. In occasioni normali non sarebbero stati abbastanza adulti da prendersi le loro responsabilità, ma la Guerra li aveva fatti crescere tutti di una decina d'anni, buoni o cattivi che fossero.

Si strinse nelle spalle e chiuse ancora gli occhi abbandonando la testa all'indietro. « Chi lo sa... forse mi da un certo senso di soddisfazione sentire che tu stessa ti ritieni una patetica traumatizzata. Sono anni che cerco di fartelo presente. » disse mantenendo il dono di disprezzo dei vecchi tempi.

Sbatté le palpebre leggermente colpita da una parte di verità: « Poi che te ne fai di me che lo ammetto? » chiese semplicemente, deglutendo.

Tornò a guardarla:« Mi servi! È comodo ripensare al fatto che ho avuto ragione in un confronto con te, anche io ho le mie giornate nere da risollevare. » disse con soddisfazione sapendo di aver centrato il punto.

Rise ad un pensiero arrivato all'improvviso, decise di usarlo come arma in quel piccolo duello:« Per me è comodo pensare che è solo la prima volta che hai avuto ragione in un confronto con me. Ma soprattutto che ammetti che tu, Purosangue di prim'ordine, mi abbia elevato, a me sporca Mezzosangue, a degna di un confronto. »  mantenne il sorriso mentre aspettava che le sue parole lo colpissero, ad una ad una.

Ma lui non fece una piega: « Forse sono io che mi sono abbassato al tuo livello, Mezzosangue. »

« In ogni caso, Scacco Matto per me! » fece scattare il pugno in aria in segno di vittoria, sfidandolo a contraddirla. Poco dopo raccolse le sue cose e andò verso la porta, si fermò con la mano sulla maniglia e si voltò a guardarlo: « Allora ci vediamo domani, Mangiamorte. »

« A domani, Mezzosangue Zannuta. »
  
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