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Autore: Lunaticalene    12/01/2017    2 recensioni
« No, » è la risposta pronunciata contro la sua guancia che viene sfiorata con il naso « Tu sei Victor Nikiforov, tre volte campione del mondo e stella del pattinaggio internazionale. Un Re può essere spodestato sempre. Una leggenda rimane immortale. »
« E tu credi che io sia una leggenda? »
« La domanda è un'altra Vitya: vuoi essere una leggenda? »
Cosa si nasconde dietro la maschera che una leggenda ha ormai imparato ad indossare? Dietro quel sorriso magnetico, dietro quegli occhi di ghiaccio apparentemente impossibili da spezzare? Cosa succede quando quella leggenda è chiamata a fare i conti con se stessa?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Christophe Giacometti, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nota sul Rating: Il rating arancione è dato dalla tinta leggermente meno fluff del terzo capitolo. Questa è la mia prima fan fiction, abbiate misericordia di me. 
Masquerade - Il Bianco e il Nero
 
È silenzio. Manca quel buio confortevole che la sua mente immagina e delinea ma rompersi una gamba, adesso, non fa parte dei suoi prossimi programmi. La mano destra è stretta sul telecomando dell'impianto di filodiffusione della pista mentre la sinistra si stringe, semplicemente, contro la balaustra. Le lame scoperte, le protezioni di plastica abbandonate, incrociate, sul quella stessa semplice recinzione. Lo sguardo rivolto al centro vuoto di quella lastra di ghiaccio liscio. Un respiro profondo, come un piccolo anatroccolo che poggia, per la prima volta, la zampetta nell'acqua dello stagno.
Eppure, in quello stagno, lui è il principe. Lui può ancora permettersi di allenarsi da solo, di mostrare davanti al suo allenatore una coreografia solo una volta che l'ha ideata e pensata. Lui può permettersi tutto questo. Anche se sono le sei del mattino e le strade di San Pietroburgo sono una lastra di marmo, quasi più assassina della pista che ha davanti. Le palpebre si chiudono, regalando uno spazio di buio. Un respiro profondo prima di premere il pulsante che inonda la pista di note. Una traccia non ancora tagliata che conserva tracce del parlato di introduzione, dando il tempo alle mani di liberarsi, alle lame dorate di raggiungere il centro della pista. Alle dita della destra di accostarsi, quasi troppo delicatamente al lato sinistro del volto, sfiorando l'argento dei propri capelli e privandolo, figurativamente, di una parte della sua stessa essenza. Nascondendo, per la frazione di un secondo, una parte della sua stessa anima azzurra.
L'azzurro è un colore infame. È un colore che punta al cielo, che si riflette nell'acqua ed ha la pretesa di dettare legge sulla scala cromatica. Si finge di un candore irreale mentre le labbra, pallide e morbide, si spingono nella sillabazione della frase che rimbomba nell'impianto.
« E' un peccato che il fantasma non sia qua »
Una spinta in avanti, per acquisire con la pista confidenza e velocità. Ascoltando ogni parola che viene scandita dalle casse. Una musica che ha una pretesa di allegria che in realtà, nelle parole sfugge via.
Il salto che si prepara, la mano che si allontana in un movimento fluido del braccio che anticipa, quello che vuole essere il meccanismo di alternanza sul suo volto. Ma quando l'occhio sinistro torna a vedere, su quel ghiaccio vuoto lo vede scattare. Un flash bianco.

Flash of mauve, splash of puce
Fool and king, ghoul and goose
Green and black, queen and priest
Trace of rouge, face of beast, faces1

E il lutz non atterra a dovere, portando il baricentro lontano dalla posizione che dovrebbe essere mantenuta. Gli addominali che vengono contratti, ad evitare una caduta che di fatto non si realizza mentre il corpo, nonostante la ripresa si arresta. Le mani, entrambe tra i capelli, a spettinarli. Premendo appena contro le palpebre chiuse. Torna il nero. Si concentra sul respiro prima di ripartire. Occhi aperti e quel bianco che ritorna. Che conclude un triplo toe lop, seguito da un axel e un doppio loop. Il labbro inferiore che viene morso, torturato per una frazione di secondo. Prima di ripartire, cacciando quella creatura bianca via dalla propria ottica. Nessuna fata danza in quel cerchio. Nel gelo della steppa, le fate possono solo morire di freddo. Devono morire di freddo.
È un pensiero che non gli fa onore, ma a volte l'onore cade, almeno nel pensiero, quando una minaccia sale e scivola lungo le proprie mani. Per un attimo le vede. Quelle mani bianche che accolgono le sue. Che hanno la pretesa di guidarlo lungo la pista, lungo la coreografia che lui stesso ha disegnato nella fantasia e che adesso incide sul ghiaccio, sollevando frammenti di neve estinta. Quel braccio bianco, che adesso cinge il suo busto, accompagnando la mano destra di nuovo sull'occhio. L'ombra di fili d'oro contro quel volto troppo giovane e sfrontato. Axel. E la fata scompare, mentre la musica prosegue. Mentre le braccia disegnano nell'aria le linee delicate delle trottole, recuperando la piena consapevolezza di sé.
Quel fantasma bianco lo accompagna dal programma breve a Barcellona. Quando immobile sulle gradinate ha visto quel ragazzino polverizzare il suo record personale. Per un attimo c'è stata una gioia sincera. Quell'attitudine sportiva che si muove per empatia sulle stesse corde del successo altrui. E quella risposta, altrettanto spontanea, atta a recuperare quello che, di diritto, era sua. Quella competizione che scivola sottile sotto pelle e che porta a sorridere. La stessa che ha letto sul volto di Yurio quella mattina, davanti a quello spicchio di oceano. Quella gara contro se stessi che finalmente ha un volto. Un riflesso. Che ha smesso di essere una lotta interna contro il proprio limite. Quando il limite è esterno, raggiungere l'infinito diventa una realtà migliore. L'era dei due campioni di Russia. La fata e lo Zar. San Pietroburgo in trionfo.
Ancora niente è iniziato e già si parla al plurale. Un plurale che la sua vera pelle non sopporta. Non sotto la maschera dell'onore. Come una macchina nera, quel noi non esiste. Quella possibilità di essere in due su un podio non è considerabile. Non può e non deve esistere.
Prosegue il programma, scivola alla perfezione. Un sorriso si delinea sul volto, nel quadruplo salchow che termina perfettamente allineato.
« Solo io. Solo e soltanto io. » un pensiero rassicurante. Fermo e liscio come il drappo di velluto di un palcoscenico. Rosso e oro, brillante di una sicurezza che si riflette nell'ombra che il volto disegna naturalmente ora che entrambe le mani sono impegnate a disegnare nell'aria il decoro di un trionfo. E' allora che spunta. Una macchia nera che scivola e disturba il rosso.

Watching us, watching them
All our fears are in the past
Three months of relief
Of delight, of Elysian peace1

Di nuovo. Per la seconda volta si ferma. Immobile, al centro della pista, mentre il nero scivola verso di lui. Non è il nero degli occhi chiusi. Non è il nero del petrolio che avanza. Non è la danza di una fata che sa di dover evitare. È una creatura diversa, quella che adesso scivola sul ghiaccio. Un respiro di calore, di lava che sfrigola contro l'acciaio. È argento che intossica l'oro. L'eco di due mani che scivolano lungo le braccia, che raggiungono il collo. Sono passi, dannatamente incerti, che guidano. Così dannatamente delicati e infami che resistere è più difficile. È la voglia di stringere il nero, di divorarlo fino a intossicarsene completamente. L'eco di unghie contro le guance. Che premono, risvegliando un sibilo assopito.
« Be my coach » un respiro spezzato. Una memoria che si fonde con quella fantasia distorta. Quella punta di dolore che preme all'angolo sinistro degli occhi. Quella voce che rimbalza mentre le ginocchia si abbassano sul ghiaccio. Le mani strette nei fili d'argento, percorrendone tutta la lunghezza, allungandole verso l'alto, spingendo le punte verso il riflettore. Il fantasma nero che lo avvolge da dietro, stringendo le spalle strette nel micropile dalle tinte scure, spingendo le sue mani invisibili contro le costole, premendo le punte invisibili in direzione degli organi interni. Punte di spillo che scivolano in una voce distorta contro le orecchie. Quelle litania spezzata. Be my coach. Gli occhi chiusi, serrati contro la luce artificiale. Di nuovo le mani sugli occhi. Nel silenzio che si condensa sul ghiaccio. Il petto che si alza e si abbassa, mentre la schiena si poggia contro la balaustra.
Termina la danza, accompagnata come sempre da quei due fantasmi che scivola sul ghiaccio con lui da quando ha iniziato a pattinare. Le gambe che vengono fatte scivolare, distese contro il gelo che sporca di bianco il nero, facendo di lui la somma dei due orrori che lo convivono. Anche le mani vengono accompagnate contro il freddo, dandogli modo di ritrovare l'ibrido sospeso tra quelle due L che hanno sempre più la forma di due Y.
Le unghie si stringono, grattando via piccoli cristalli artificiali e secchi. I denti che si conficcano nelle labbra. Prima che arrivino le voci. Che lo obbligano a scattare di nuovo in piedi, a scuotere il ghiaccio dalla tuta scura e a raggiungere l'esterno della pista ghiacciata. Le dita gelide contro la pelle, a risistemare la maschera di un sorriso contro il mondo che compie il suo ingresso. I suoi due fantasmi che arrivano chiacchierando e imprecando contro il tempo, contro di lui e contro il mondo intero. Un sorriso di vetro che si sposta verso quel fantasma bianco che lo ricambia con una smorfia mentre quella macchia nera si avvicina, allungando tra le sue mani una tazza di carta colorata che fuma vaniglia verso l'alto.
« Yakov approva questa colazione » commenta, prima di allungare un sacchetto nella sua direzione « Quindi è meno invitante di quello che appare » replica, con moto di sincerità eccessiva mentre avvicina alle sue dita un sacchetto di carta arrotolato in chiusura. Quella linea d'oro stretta all'indice.
« Victor? Va tutto bene? » una domanda, fatta a bassa voce, quasi una confidenza segreta « Hai le mani gelate »
« Ma tu mi hai portato un tea che me le scalderà di sicuro » ribatte inclinando il capo di alto, facendo ondeggiare un poco il ciuffo argentato.
Occhi perplessi, che si tradiscono preoccupati « Uhm. » le labbra increspate, la mano sinistra che si allunga verso il suo fianco destro, sfiorandolo. Congelandolo, come l'ombra è stata capace di fare nella pista. Sollevando il palmo verso di lui. Mostrando un cristallo di ghiaccio che non ha scosso a dovere.
« Sembra che anche io sia capace di cadere » ride, portando il cappuccio di plastica verso le labbra « ma tu non sei ancora nella posizione di farmi una ramanzina. Posso ricordarti che nel tuo scorso allenamento sei caduto per un totale di … » un oceano di parole che allontana l'attenzione, in quella maschera perfetta che nella critica, quasi troppo mordace, conduce il giapponese in direzione della sua sezione di riscaldamento. 

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1. Andrew LLoyd Webber, Masquerade, The Phantom of Opera.
Si ringrazia Arydubhe per l'assistenza e il tenetivo di scuola di grammatica e la correzione <3

   
 
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