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Autore: gattina04    29/01/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2. Improvvisamente
 
POV Emma
Un istante, lungo come un battito di ciglia, fu sufficiente perché tutto accadesse. Il tempo di spegnere le candeline fu abbastanza lungo da riuscire a catapultarmi da tutta un’altra parte; un secondo bastò per esprimere il mio desiderio, ma fu troppo corto per permettermi di capire ciò che stava realmente avvenendo.
Quando riaprii gli occhi invece di ritrovarmi circondata dall’affetto dei miei cari, fui accerchiata dalle tenebre più oscure. Un freddo agghiacciante mi penetrò fin dentro le ossa e un brivido mi salì lungo la schiena. Sbattei più volte le palpebre per accertarmi che quello che vedessi, o meglio quello che non vedessi, fosse reale.
«Cosa…?», balbettai e la mia voce rimbombò intorno a me in maniera talmente assordante da riuscire a zittirmi di colpo. Tentai di guardarmi attorno cercando una spiegazione logica per ciò che i miei sensi percepivano; non mi ci volle molto per capire che non ero più a Storybrooke e che doveva essere irrimediabilmente accaduto qualcosa.
«Mamma? Killian?», riprovai, ma anche lo stesso suono della mia voce riusciva a mettermi i brividi.
Cercai di muovere un passo, provando ad orientarmi nell’oscurità. Era già difficile muoversi nel buio più totale, farlo in un luogo di cui ignoravo la collocazione era quasi impossibile.
Dopo qualche minuto i miei occhi cominciarono ad abituarsi all’oscurità, ma non quel tanto da permettermi di capire dove diavolo fossi. Camminai a tentoni cercando di ritrovare qualcosa intorno a me, un muro o un oggetto qualunque, ma era come se non ci fosse niente. Nessuna parete, nessuna cosa che potesse minimamente aiutarmi nel mio percorso. Era come se intorno a me ci fossero solo tenebre e nient’altro.
All’improvviso un soffio di aria gelida mi fece rabbrividire. Per la festa avevo indossato un vestito elegante e carino, come aveva voluto mia madre, ma adesso ne pagavo le conseguenze; oltre a morire di freddo non ero libera di muovermi come avrei voluto, anche considerando il tacco spropositatamente alto che portavo ai piedi.
Mi fermai un attimo per ragionare. Se avevo sentito un vento gelido voleva dire che ci doveva essere una sorta di apertura, una qualche via di uscita che mi avrebbe permesso di risolvere quell’intricato mistero. Innanzitutto dovevo capire dove fossi finita e in base a quello avrei calcolato quanto sarebbe stato difficile tornare a casa. Avevo l’impressione di non essere più nel mio mondo e che non sarebbe stato sufficiente materializzarmi con la magia.
Un sorriso si fece strada sulle mie labbra non appena formulai quel pensiero. Per un momento mi ero quasi dimenticata di possedere la magia e quella sicuramente era un’arma che potevo sfruttare a mio vantaggio. Ero quasi certa che non sarei riuscita a teletrasportarmi a casa, ma valeva comunque la pena provare.
Mi concentrai e, come mi ero aspettata, non successe assolutamente niente. Nessun cambiamento anche se ce l’avevo davvero messa tutta.
«Accidenti», sussurrai e la mia voce rimbombò di nuovo nell’oscurità. Non sarei tornata al loft così in fretta, ma almeno potevo sfruttare i miei poteri per cambiarmi d’abito ed indossare qualcosa di più comodo. Rimpiangevo amaramente la mia adorata giacca di pelle rossa.
Mi concentrai e… non accadde assolutamente niente. Indossavo ancora quel ridicolo vestito, quelle maledette scarpe e stavo ancora congelando. Ritentai una seconda volta, ma il risultato fu lo stesso. Fui presa dal panico perchè era da davvero troppo tempo che non mi capitava di perdere la funzionalità della mia magia. Ero così abituata ad averla che mi sentii quasi menomata.
«Calma, Emma stai calma», mi dissi e solo dopo mi ricordai che avrei fatto meglio a non parlare. Provai un’ultima volta a scaldarmi, utilizzando solo un briciolo di quelle che erano le mie potenzialità, ma ancora una volta non accadde nulla. Era abbastanza evidente che ero finita chissà dove e per di più senza poteri magici.
Mi portai una mano sul cuore cercando di tranquillizzarmi e di recuperare il mio spirito di sopravvivenza e la mia mente fredda. Poco prima avevo sentito un vento gelido e avevo calcolato la possibilità di un apertura. Dovevo solo incamminarmi in quella direzione e sperare che, a poco a poco, le tenebre si sarebbero dissolte.
Feci un respiro profondo e mossi i primi passi nella direzione in cui mi era sembrato provenisse quella brezza ghiacciata. Ero completamente cieca e arrancavo tendendo le mani avanti, cercando di mettere i piedi uno davanti all’altro con una certa sicurezza.
Non avevo mai avuto paura del buio, ma in quel momento iniziai fermamente a ricredermi. Non solo ero senza magia, ma lì ero anche senza vista ed ero sola, chiunque avrebbe potuto uccidermi senza che io nemmeno lo vedessi. Ero una fragile preda, debole e spaventata, ed io odiavo sentirmi così.
Cercai di regolarizzare i miei respiri e continuai lentamente ad avanzare seguendo una direzione. Mentre procedevo provai a concentrarmi per riuscire ad affinare gli altri pochi sensi che mi rimanevano. Inspirai a fondo e arricciai immediatamente il naso: c’era un forte odore di muffa e qualcos’altro di altrettanto forte. Decisi di lasciar perdere l’olfatto e tesi invece le orecchie. All’inizio non percepii nulla di diverso: sentivo solo il rumore dei miei passi e i tonfi sordi del mio cuore che batteva all’impazzata. Poi lentamente, via via che andavo avanti, iniziai a sentire una sorta di suono. Non capii subito di cosa si trattasse ma proseguendo nel mio cammino si fece più distinto.
Rabbrividii ancora di più quando realizzai che doveva trattarsi di una specie di lamento; sicuramente una sola persona non sarebbe stata capace di generare tutto quel rumore, quindi dovevano essere i gemiti di decine di persone. Dove diavolo ero finita e che cosa mi era successo?
Nonostante quel suono non fosse per niente incoraggiante, proseguii imperterrita nel mio cammino ritrovando il coraggio che mi aveva sempre contraddistinto. Non mi ero mai spaventata di fronte al pericolo, né tantomeno l’avrei fatto ora quando avevo persone care da cui tornare. Avevo un obiettivo e tanto bastava per spingermi ad andare avanti.
Mentre avanzavo notai che le tenebre sembravano farsi via via meno buie. All’inizio pensai che si trattasse solo del mio inconscio che mi stava giocando brutti scherzi, ma poi capii che avevo davvero ragione. Non vedevo ancora niente, eppure sembrava che ci fosse una sorta di bagliore.
Affrettai il passo e lentamente iniziai a distinguere quella che pareva una zona con più luce. Affrettai il passo in quella direzione ed inciampai per via dei tacchi. Con un gesto automatico li tolsi e proseguii scalza. Il pavimento era freddo e ruvido, e sicuramente mi avrebbe lasciato un  bel po’ di graffi, ma non potevo proseguire con quel tacco dodici.
Mentre mi avvicinavo a passo spedito verso la fonte di luce, iniziai a distinguere delle pareti rocciose intorno a me; probabilmente dovevo trovarmi in una grotta gigantesca o qualcosa del genere. Oltre a questo i lamenti si fecero via via sempre più forti. Sembrava che centinaia di persone stessero soffrendo per una qualche pena terribile da cui non potevano scappare. Provai a non preoccuparmi anche di quello: prima di tutto dovevo capire dove fossi, quella era la priorità, poi avrei pensato al resto.
Quando intorno a me si fu rischiarato abbastanza mi misi a correre in direzione della luce, e quindi dei lamenti, nonostante che il mio istinto mi dicesse di scappare in direzione opposta, e finalmente arrivai a quella che doveva essere l’entrata di quell’enorme caverna. Ciò che vidi però mi lasciò completamente paralizzata.
C’erano decine di persone dall’aspetto trasandato e da un pallore spettrale che si trascinavano in quelle che dovevano essere delle specie di strade. Non riuscivo neanche a capire se si trattasse di una città o di qualcos’altro: tutto aveva un aspetto così fatiscente e sembrava sul punto di sgretolarsi al minimo contatto. Quelle persone non sembravano neanche più esseri umani; parevano profondamente malate, in preda alle sofferenze più grandi, non parevano più neanche avere coscienza di loro stessi. Forse forse le tenebre non erano poi così male rispetto a quella visione. E poi c’erano i lamenti che si facevano sempre più pressanti, sempre più opprimenti, ti penetravano il cervello e ti facevano venir voglia di urlare di dolore.
Mi strinsi le braccia intorno al petto cercando di infondermi una sorta di coraggio. Sicuramente l’aria gelida non era dovuta a nessun vento, era tutta quella scena che metteva i brividi. Tuttavia dovevo riuscire a capire dove fossi e per farlo avrei dovuto chiederlo a quelle persone.
Mossi un passo in avanti e feci una smorfia quando il mio piede poggiò su qualcosa di bagnato e scivoloso. Il pavimento non era più quello della grotta, era completamente bagnato e quasi melmoso. Mi maledissi mentalmente per essermi tolta le scarpe, ma certamente non sarebbe bastato così poco per fermarmi. Cercando di non pensare a cosa stessi calpestando, avanzai verso un primo gruppo di persone.
«Scusatemi?», iniziai. «Sapreste dirmi dove mi trovo?». Non sembrarono neanche sentirmi, continuarono il loro percorso aggirandomi, come se non mi avessero nemmeno vista.
Provai con un altro gruppo. «Scusate? Potreste fermarvi un momento?». Ancora niente.
Tentai di nuovo. «Per favore potreste dirmi dove mi trovo?». Il risultato fu sempre lo stesso. Sospirai, cercando di non perdere la pazienza e mi avviai verso un punto dove sembravano essere raccolte più persone.
«Scusate mi sentite? Potreste aiutarmi? Voglio farvi solo una domanda? Dove diavolo accidenti mi trovo?». Continuavo a rigirarmi e a porre a decine di persone sempre le stesse domande. Quelli erano decisamente individui tutti diversi tra loro, ma avevano tutti la stessa medesima espressione, come se fossero completamente persi anche loro. Il panico iniziò di nuovo a farsi strada dentro me, insieme allo sconforto; sembrava che nessuno mi sentisse. Provai ad afferrare il braccio di una donna, ma appena lo toccai lo lasciai subito andare: era ghiacciato, solido e reale, ma ghiacciato.
«Perché nessuno vuole aiutarmi? Vi prego». Non era da me abbattermi o comportarmi da femminuccia, ma avrei avuto tanta voglia di scoppiare a piangere. Non mi capacitavo ancora come in un secondo fosse potuto succedere tutto. Meno di un ora prima ero stretta a Killian, circondata da parenti e amici riuniti per festeggiare il mio compleanno, mentre adesso ero in quel luogo spettrale.
Mi lisciai il vestito con le mani, cercando di riprendere il controllo di me stessa, mentre quelle persone continuavano a vorticarmi intorno con quella loro aria cadaverica e quei lamenti strazianti.
Sentivo che avrei presto avuto un attacco di panico se non avessi trovato un modo di risolvere la situazione. Stavo per accovacciarmi, stringendomi le ginocchia al petto, quando qualcuno pronunciò il mio nome. Fu come ricevere un salvagente in mare aperto; la speranza e la fiducia rifiorirono in me in meno di un secondo.
«Emma?». Mi voltai di scatto nella direzione della voce e colui che vidi mi lasciò letteralmente senza fiato. Spalancai la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscii alcun suono.
«Emma mio Dio! Sei proprio tu?». Robin si fece avanti, passando tra quelle anime inquiete per raggiungermi. Io rimasi paralizzata non riuscendo a credere ai miei occhi, non sapevo più neanche se fosse reale o meno. Magari stavo lentamente impazzendo e quello era solo il frutto della mia immaginazione.
«Emma?», continuò facendosi sempre più vicino. Ormai era a meno di un metro da me.
«Robin?», mi sforzai di parlare. Il mio fu solo un sussurro ma lui lo sentì lo stesso.
«Emma, non ci posso credere. Sei tu!». A quel punto reagii di impulso: non l’avevo previsto, ma il mio corpo si mosse da solo annullando la poca distanza che ci separava e travolgendolo in un abbraccio. Gli gettai le braccia al collo, affondando la testa sulla sua spalla, costatando che quello era il vero Robin Hood, vivo e vegeto esattamente come era prima che Ade lo annientasse.
Robin rimase spiazzato dal mio gesto e solo dopo qualche secondo ricambiò goffamente il mio abbraccio. Non era proprio da me lasciarmi andare a quel genere di manifestazioni, soprattutto con chi non fosse Killian o la mia famiglia, però ne avevo davvero bisogno. Mi ero trovata all’improvviso sola e scoraggiata in quel mondo e ritrovarlo, vedere che stava bene, dopo tutto ciò che io stessa avevo causato per salvare Hook, mi aveva letteralmente sopraffatto.
«Come diavolo sei finita qui?», mi chiese quando lo lasciai andare. Bella domanda, peccato non avessi una risposta.
«Potrei chiederti la stessa cosa», replicai. «Credevo che tu… tutti credevamo che tu… Ade ti ha annientato».
«Non qui», mi disse fermandomi con un gesto della mano. «Questo non è un luogo sicuro per parlare». Senza aggiungere altro mi trascinò via, lontano dalla folla. Percorremmo insieme quelle che sembravano delle strade diroccate, sempre piene di quei cadaverici individui. Lo guardai mentre mi guidava da un vicolo all’altro: lui non pareva aver l’aspetto di quelle persone, anche se non sembrava più neanche lo stesso. Era più pallido e più magro di quanto ricordassi, aveva profonde occhiaie e quando l’avevo abbracciato mi era sembrato molto più freddo di quanto sarebbe stata una persona normale. Però a parte queste piccole differenze, sembrava ancora il vecchio Robin che conoscevo.
«Dove stiamo andando?», gli domandai ad un certo punto, notando che il numero di persone che incrociavamo andava man mano diminuendo.
«In un posto sicuro», rispose continuando a camminare. Si guardava intorno con aria furtiva, come per controllare che nessuno stesse facendo caso a noi.
«Sicuro? Perché qui siamo in pericolo?». Non capivo da cosa dovessimo nasconderci; quelle persone mettevano i brividi, ma non mi erano sembrate pericolose.
«Tu non sai quanto», mi rispose laconico.
«Robin dove siamo esattamente?», gli domandai bloccandomi di colpo.
Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma».
 
POV Killian
Emma era bellissima quella sera, tutta elegante con addosso quel vestito che avevo desiderato toglierle fin dal primo momento in cui l’avevo visto. Era perfetta anche con la sua giacca di pelle, ma quella sera mi stava facendo letteralmente perdere la testa. Probabilmente l’aveva notato anche lei, visto che le ero rimasto incollato, con il mio braccio intorno alla sua vita, senza mollarla per un solo istante. Il fatto che si stesse comportando in modo ancora più impeccabile, nonostante i miei dubbi, rendeva la serata ancora più perfetta. Ero felice che almeno uno dei suoi compleanni fosse trascorso in quel modo. Ne aveva passati troppi brutti, meritava un po’ di serenità e di felicità.
La osservai mentre si apprestava a spegnere le candeline e un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra. Emma si portò istintivamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si morse un labbro riflettendo sul desiderio da esprimere; si trattava di un gesto semplice ma tremendamente sensuale. Quella donna mi stava facendo letteralmente impazzire anche senza volerlo. Mi ritrovai inevitabilmente a pensare che la festa avrebbe dovuto finire al più presto, o al massimo terminare nella nostra camera da letto, con solo io e lei come invitati.
«Forza Emma esprimi un desiderio», la incitò nuovamente sua madre. Emma alzò lo sguardo verso di lei e le rivolse un enorme sorriso. Tornò a fissare la torta e finalmente, chiudendo gli occhi, si decise a soffiare le candeline. Nello stesso istante in cui quelle piccole fiammelle si spensero, una luce accecante invase la stanza costringendoci a chiudere gli occhi. Mi portai di scatto la mano sul viso per impedire a quella luce abbagliante di accecarmi. Non durò molto, forse un paio di secondi, dopo di che il bagliore cessò e tutto tornò normale.
«Cosa diavolo è successo?», domandai riaprendo gli occhi. Sbattei le palpebre per mettere a fuoco quello che avevo davanti: eravamo ancora nel loft e tutto sembrava uguale a prima. Ad una prima occhiata non sembrava successo niente che spiegasse l’accaduto.
«Non ne ho la minima idea», mi rispose Regina, che come me stava faticosamente riaprendo gli occhi.
Mi voltai verso Emma per assicurarmi che stesse bene, ma ciò che vidi, o meglio ciò che non vidi, mi lasciò senza fiato. La torta era lì, le candeline erano spente, ma lei non c’era più. Era ovvio che non avesse avuto il tempo di spostarsi e il fatto che non fosse dove era fino ad un attimo prima non lasciava presagire niente di buono.
«Emma?», la cercai, ma sembrò più un grido disperato. Anche tutti gli altri, sentendo quel nome, si voltarono nel punto in cui fino ad un attimo prima si trovava la festeggiata e come me restarono sbalorditi notando la sua assenza.
«Cos’è successo? Dove è finita?», chiese David cominciando ad agitarsi.
«Oh mio Dio!», esclamò Mary Margaret, portandosi una mano alla bocca. Lei era la più vicina al punto in cui si trovava Emma, quasi al di là del tavolo, e stava fissando il pavimento vicino ai suoi piedi con aria sconvolta. Bastò un attimo per farmi arrivare alla conclusione che Emma fosse a terra priva di sensi, o peggio, e che i mobili di quella maledetta casa mi stessero momentaneamente impedendo di vederla.
«Emma!», scattai in avanti.
«Mamma!».
«Emma!». Anche David ed Henry avevano avuto la mia stessa intuizione e perciò ci ritrovammo a scontrarci l’un l’altro nel tentativo di avvicinarci. Biancaneve, come se non si fosse accorta della nostra reazione, si chinò a raccogliere qualcosa e quando si rialzò ciò che teneva tra le braccia sarebbe bastato a farmi venire un infarto. Era una bambina, anzi non una bambina qualunque: era la neonata del mio sogno. Era esattamente la stessa, sapevo di non sbagliarmi. Sbiancai e dovetti appoggiarmi ad una sedia per non cadere a terra.
«Cosa diavolo è successo?». Regina fu la prima a parlare e a riprendersi dallo stupore generale.
«Dov’è la mamma?», domandò Henry, cercando di non credere a ciò che il buon senso gli stava suggerendo.
«È Emma», sussurrò Mary Margaret cullando tra le braccia quella strana bambina.
«Come è possibile?», domandò Belle; mi ero quasi scordato che anche lei si trovava lì con noi. Per fortuna non c’era nessun altro: Zelena era andata ad occuparsi di sua figlia, i nani sarebbero arrivati solo in seguito, a festa già quasi conclusa, e Granny doveva occuparsi del locale. C’erano già troppe persone ad assistere a quel caos.
«È assurdo», proseguì Belle.
«Non è Emma», mi sentii pronunciare. Mi ritrovai a scuotere la testa, cercando di negare ciò che Biancaneve aveva appena affermato.
«Hook», mi contraddisse puntando lo sguardo su di me, «è Emma».
«No che non è lei», gridai senza neanche accorgermene.
«Hook anche noi ne sappiamo quanto te, ma forse dovresti evitare di urlarci contro», intervenne David. Se non fossi stato tanto sconvolto gli avrei tirato un pugno dritto in faccia.
«Killian», continuò Mary Margaret, lanciando un’occhiataccia al marito. «Lo so che sembra impossibile, ma so riconoscere mia figlia». Ne dubitavo ampiamente, visto che l’aveva messa in un albero magico appena nata; mi trattenni comunque dal dirglielo in faccia.
«No», continuai a  negare. Accettare ciò che mi stava dicendo sarebbe stato troppo doloroso.
«Beh se quella è Emma», intervenne Regina, «dobbiamo cercare di capire cosa le è successo così da riuscire a farla tornare come prima».
«Quella non è Emma», gridai imperterrito, facendo scoppiare a piangere la bambina.
«Hook!». Furono in molti a rimproverarmi, ma non mi importava. Non potevo accettare che fosse Emma, che la donna meravigliosa che amavo con tutto me stesso, si fosse trasformata in quella bambina. In più c’era dell’altro: la mia mente continuava a ritornare sul sogno che avevo fatto. Se avevo sognato quella bambina, forse anche l’altra parte di quell’incubo si sarebbe realizzata. Quel posto metteva i brividi e non volevo per niente al mondo averci a che fare.
«Non può essere! Non può!», continuai a vaneggiare, sovrastando il pianto della neonata e iniziando a camminare in su e giù per la stanza. «No, no, no». Se avessi ammesso quella verità, avrei dovuto fare i conti con il fatto che farla tornare come prima non sarebbe stato affatto facile, ne ero certo. Regina mi era sembrata ottimista, ma io sapevo che si sbagliava.
«Hook». Henry mi si avvicinò posandomi una mano sul braccio. «Troveremo il modo di farla tornare quella di prima». Anche se cercava di infondermi fiducia, sapevo che anche lui era spaventato quanto me.
«Emma, la mia Emma…», prosegui nonostante tutto, «ha una voglia sul sedere, se è lei…». Vidi David irrigidirsi per la velata allusione di aver visto sua figlia nuda migliaia di volte, mentre Regina alzò gli occhi al cielo.
«Oh andiamo pirata! Chi altro potrebbe essere questa bambina? Forse non l’hai guardata abbastanza da notare che ha i capelli biondi e gli occhi verdi. Non è questo il momento di comportarsi da stupidi».
«Lascialo stare Regina», la fermò Mary Margaret, cullando la piccola in un vano tentativo di farla smettere di piangere. «Se gli serve un’ulteriore conferma, non vedo quale sia il problema». Senza aspettare altro, appoggiò la bambina sul tavolo cominciando a scostarle la copertina con cui era apparsa. Quell’esserino non ne voleva sapere di smettere di piangere e appena Mary Margaret iniziò a scoprirla cominciò a gridare di più.
Io d’altra parte non riuscii a guardare, mi voltai dandole le spalle. Non volevo ammetterlo, ma capivo che le probabilità che non fosse lei erano quasi uguali a zero. Beh se mi spaventava l’idea di dover essere padre, il solo pensiero di doverlo quasi essere per Emma mi metteva i brividi. Era contro natura, ciò che provavo per lei non era adatto ad una neonata.
«Allora?», domandò spazientito David.
«Killian». Mary Margaret mi prese per un braccio facendomi voltare. La bambina era a pancia in giù e là sul suo sederino spiccava la stessa identica voglia che ormai conoscevo bene. Avevo baciato, accarezzato, tracciato con le dita, quella macchiolina decine di volte e adesso me la ritrovavo lì, come una prova inconfutabile di ciò che era accaduto.
«Sei convinto adesso?», protestò Regina. «Possiamo concentrarci su come risolvere la situazione? E per favore Bianca, falla smettere di piangere». In effetti, per essere piccola aveva proprio due bei polmoni, visto che, da quando aveva iniziato, non aveva smesso di gridare neanche per mezzo secondo.
«Non ho mai sentito di una cosa del genere», intervenne Belle che era rimasta in disparte fino a quel momento. Mary Margaret si affrettò a rivestire la piccola, cercando in qualche modo di tranquillizzarla.
«È successo quando ha spento le candeline», fece notare Henry.
«Come diavolo è potuto accadere?». La mia non era una domanda molto costruttiva, ma non riuscivo ancora a capacitarmi della situazione.
«Non può certo aver espresso il desiderio di tornare neonata!». Proprio mentre Regina pronunciava quella frase la bambina urlò più forte. La vidi fremere, nel vano tentativo di ignorarla. Tentai di fare lo stesso; Regina aveva ragione: Emma non poteva aver desiderato niente di simile. Doveva trattarsi di qualcos’altro.
«Io sapevo della possibilità di far invecchiare più velocemente», continuò Belle, «come per la mia gravidanza, ma non il contrario. Non si può tornare indietro nel tempo».
«Beh a quanto pare non è così», ribattei brusco, «visto che è tornata ad essere una neonata».
«Dovrà pur esserci una spiegazione», intervenne David.
«Non credo che adesso le spiegazioni siano fondamentali», replicai. «Cerchiamo il modo di farla tornare come prima il più velocemente possibile».
«Invece sapere com’è successo è importante; ci aiuterebbe a capire come poterla far tornare adulta», si frappose Regina alzando la voce per sovrastare il pianto di Emma. Mary Margaret nel frattempo stava cercando in tutti i modi di calmarla, ma con scarsi risultati. Beh una cosa era certa: adulta o neonata che fosse la mia Swan aveva un bel caratterino e rimaneva la solita testa dura.
«Beh penso che non dovremmo perdere tempo qui a parlarne», dissi a denti stretti.
«E cosa diavolo pensi di fare pirata?».
«Qualsiasi cosa, sono disposto anche a sentire il coccodrillo pur di risolvere questa situazione al più presto». Non volevo sprecare tempo a litigare, ma Regina mi stava proprio facendo perdere la pazienza.
«Non credo che Tremotino saprebbe cosa fare», intervenne Belle, «o sarebbe disposto ad aiutarci senza qualcosa in cambio». Almeno era la prima a riconoscere di che pasta era fatto suo marito.
«Beh non vedo il motivo di tutta questa fretta», proseguì Regina. «Emma sarà anche una neonata, ma ora come ora non è certo in pericolo di vita». Stava alzando la voce, un po’ per sovrastare il pianto della bambina, un po’ perché si stava infervorando.
«Certo che c’è fretta», ribadii urlando anch’io. «Non vorrai lasciarla così?».
«Adesso basta!». La voce di Henry risuonò al di sopra del resto. Emma smise per un secondo di piangere per poi riprendere ancora più forte. «Litigare non servirà a nulla».
«Henry ha ragione», sospirò Regina. «Oh per l’amor del cielo Biancaneve! Fai smettere di piangere tua figlia». Si girò verso di lei con aria esasperata.
«Non ci riesco», rispose Mary Margaret, cullando Emma tra le braccia. «Non riesco a calmarla, le sto provando di tutte. Con Neal non è così difficile».
«Dammi a me, provo io». David le si avvicinò e le tolse la bambina di braccio. Il risultato fu lo stesso, anzi se era possibile la bambina sembrò iniziare a piangere con più foga.
«Che cosa ha? Magari sta male o ha fame?», azzardò Henry.
«Non credo che abbia fame», rispose Biancaneve.
«Che cosa è che riesce a calmarla di solito?», domandò Belle. Regina, Mary Margaret ed Henry si voltarono istantaneamente a guardarmi. Sbattei le palpebre cercando di capire ciò che mi stavano suggerendo.
«Dammi». Biancaneve riprese la bambina dalle braccia del marito e mi si avvicinò. «Hook prova a prenderla tu in braccio».
«Cosa? Stai scherzando?». Mossi istintivamente un passo indietro per evitare quella eventualità.
«Oh andiamo Hook», si intromise Regina, «tu sei l’unico che di solito riesce a farla ragionare».
«E perché diavolo credete che riuscirei a farla smettere di piangere adesso?».
«Beh è ovvio l’effetto che hai su di lei», continuò Mary Margaret.
«Magari ha solo bisogno di sentirti», rincarò anche Belle.
«No». Non volevo prenderla, non volevo collegare quella bambina ad Emma in nessun modo. Potevo accettare che fosse lei, ma nulla di più. Non potevo permettere che quello che provavo per Emma fosse traslato su quella neonata.
«Avanti Hook, provaci», insistette Henry. Indietreggiai ancora fino ad andare a sbattere con la schiena contro un dannato mobile.
«Coraggio». Mary Margaret mi si avvicinò di nuovo porgendomi quella bambina urlante.
«Non fare lo stupido, pirata», mi rimproverò Regina. «Dannazione prendi la tua fidanzata in braccio e non fare storie». Le lanciai un’occhiataccia, ma ormai ero con le spalle al muro. Ero da solo contro tutti, solamente David non aveva insistito oltre, ma non ero  proprio sicuro che le sue motivazioni fossero a mio vantaggio.
«Non so come fare», balbettai in un tono appena udibile, tanto che pensavo che nessuno mi avrebbe sentito, soprattutto considerando il pianto ininterrotto della piccola Swan.
«È facile», mi rispose invece Biancaneve. «Devi tenerle la testa». Lentamente mi passò la bambina e mi aiutò a prenderla in braccio. Anche se dentro di me sarei voluto scappare, mi costrinsi a fare ciò che lei mi diceva. Mi sentivo un po’ impacciato, considerando anche il fatto che avevo un uncino al posto della mano; non volevo farle male e tenerla utilizzando un braccio e una mano sola non era poi così semplice.
«Coraggio Swan, smettila di piangere», mormorai stringendola. All’inizio quel cambiamento sembrò non sortire alcun effetto: Emma non pareva per niente intenzionata a calmarsi. Ma poi lentamente, mentre continuavo a cullarla tra le braccia, i suoi lamenti si fecero meno forti, fino a cessare del tutto.
«Ha funzionato», sospirò grata Regina.
«Aveva solo bisogno di sentirti vicino», mi disse Mary Margaret. La guardai per un secondo, per poi tornare ad osservare la creaturina che avevo tra le braccia. Quella era la mia Emma, ed era bellissima anche in fasce. Istintivamente le accarezzai una guancia con l’uncino; a quel contatto lei mi inchiodò con i suoi meravigliosi occhi verdi, identici nonostante l’età. Era lei, ma allo stesso tempo non lo era, ciò che provavo, il tumulto di sensazioni che sentivo, mi confondeva e mi spaventava.
«Adesso cosa facciamo?», domandò David.
«Cerchiamo di capirci qualcosa», rispose Regina.
«Credo che per prima cosa», continuò Belle, «dovremo andare a parlare con la fata Turchina».


 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Come promesso eccomi qua, a riprendere i miei immancabili appuntamenti della domenica ;)
Bene detto questo, direi solo che il capitolo è stato pieno di sorprese e che possiamo riassumerlo con un grosso “BUM”. Non so se vi aspettavate questa comparsa improvvisa, ma ecco che da una parte spunta Robin e dall’altra Emma sembra tornata in fasce. Cosa sarà successo? Ad essere sincera sto ancora elaborando io stessa la cosa, quindi sarà una scoperta sia per voi che per me.
Voglio ringraziare chi ha recensito, chi ha inserito la storia nelle varie raccolte, ma anche chi legge silenziosamente. Continuate a seguirmi e continuate a farmi sapere che cosa ne pensate.
Un bacione e alla prossima settimana.
Sara
 
  
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