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Autore: BabaYagaIsBack    03/02/2017    2 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Quarto

"Tell the world that I'm coming home 

Let the rain wash away
All the pain of yesterday 
I know my kingdom awaits 
And they've forgiven my mistakes 
I'm coming home"

-Coming Home pt.II (Skylar Grey)

 

Italia, giorni nostri

Quando scesero dal treno, ore dopo esservi saliti, Levi si concesse il lusso d'inspirare l'aria viziata della stazione. I fumi dei macchinari, delle sigarette e l'odore delle persone di passaggio si andavano a mischiare con un lieve sentore di salsedine, creando una fragranza che più volte costrinse la sorella ad arricciare il naso e coprirsi il viso. A differenza sua, Alexandria doveva soffrire quel fetore con molta più forza, ma cercava in tutti i modi di non darlo a vedere: le apparenze, in fin dei conti, erano ciò su cui avevano fondato la loro intera esistenza e, persino in quell'ultimo viaggio avrebbero dovuto crearne di perfette, armature indistruttibili per gli occhi famelici delle persone. Certamente, confondersi e passare inosservati sarebbe stata la scelta più saggia, ma dato il loro aspetto tanto peculiare, fingersi semplicemente una coppia di strampalati o vittime di una moda eccentrica era la soluzione più pratica.

Il ragazzo, rallentando il passo in uno spicchio di luce, si concesse il lusso di alzare il viso verso il sole, beandosi per qualche istante del tepore mattutino. Per raggiungere Venezia non avevano impiegato più di una manciata d'ore, ma restare rinchiuso in un vagone di latta, senza riscaldamento, era stata per lui una tortura. Aveva sofferto il freddo per tutto il tragitto, trovandosi nuovamente a maledire la propria condizione di mezzo rettile e rinunciando così al sonno tanto anelato; i serpenti, dopotutto, come le lucertole bramavano il calore - e questo gli aveva impedito di poter recuperare le ore di riposo perse nelle settimane precedenti.

Quasi fermo, si permise di sbadigliare pigramente, stiracchiando i muscoli. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che dibattere con la sorella sul piano da seguire e ascoltare interminabili resoconti su avvistamenti fatti da persone dalla dubbia fiducia, esattamente come gli era capitato solo due sere prima quando, circospetti, si erano dovuti affidare alle parole di uno degli informatori più vecchi di lei che, trovandosi di fronte due ragazzi della metà dei suoi anni, aveva esitato a credere che si trattasse delle stesse persone che lo avevano assoldato decenni prima. Era stato un incontro strano, condito da una buona dose di diffidenza, ma comunque utile al fine designato. Grazie a un uomo dal naso a patata, l'accento dell'Est Europa e l'alito pregno di alcol, si erano accaparrati le informazioni necessarie per proseguire nella loro bizzarra avventura, approdando in quella meravigliosa città.

‹‹Mi auguro che sia qui. E che non ci cacci via›› sbuffò Alex passandogli accanto. Imperterrita, quasi avvertisse l'urgenza di mettere fine a quella gita, si mise a percorrere il tragitto che dai binari portava sul Gran Canale, muovendosi tra la gente esattamente come un animale randagio. Era lesta, sicura e Levi le dovette correre dietro per non perderla tra la folla. Nella mole di turisti presenti alla stazione di Santa Lucia, Z'èv si sarebbe tranquillamente potuta confondere con le altre decine di ragazzette presenti lì in mezzo. Sfortunatamente per lei, e come per molte donne della sua epoca, il dono di un'altezza in grado di distinguerla dal resto delle persone le era stato negato: il suo metro e sessanta abbondante non la rendeva un bersaglio facile nemmeno agli occhi di un altro predatore. E lui non poteva permettersi una simile privazione. C'era qualcosa, nell'essersi finalmente rivisti, che rendeva il pensiero di un nuovo allontanamento terribile. 
‹‹Perché dovrebbe farlo?›› le chiese innocentemente, cercando di tenere il suo passo. 
Sì, Zenas era stato attaccato brutalmente dai fratelli, ma non si sarebbe tirato indietro al cospetto di una proposta del genere: nessuno lo avrebbe fatto davanti alla possibilità di rivedere il proprio Re - inoltre, persino un energumeno di duemila anni non si sarebbe opposto a un comando diretto del Generale d'Israele, braccio destro del Sovrano e prima Chimera, da loro conosciuta, ad aver messo piede sulla terra.

Alexandria sbuffò ancora: ‹‹Ti devo ricordare le accuse degli altri? Oppure sei abbastanza lungimirante da comprendere che certe parole, dette dalla tua stessa famiglia, scavano solchi incolmabili?››
‹‹Con te lo hanno fatto?›› Da oltre le lenti scure, Levi provò a scature l'espressione di lei, ma da quella posizione tutto ciò che riusciva a vedere era la punta del suo naso.
Lei parve non prestare alcun tipo d'attenzione alla sua domanda, troppo occupata a tenere lontano il passato, così lui fece finta di non averlo mai chiesto. Forse, ancora una volta, aveva osato questionare qualcosa che non lo riguardava.
‹‹Comunque, se fossi in te, non mi preoccuperei eccessivamente per lui. Nostro fratello è grande abbastanza da comprendere le circostanze, sa che ciò che è stato detto non era altro che lo sfogo di un gruppo di persone poco... gestibili››. 
Z'èv si fermò di colpo e, ignorando gli insulti di coloro che per poco non gli erano andati contro, si volse verso di lui: ‹‹Lo pensi davvero, akh?››

Molto tempo prima, tutti i membri di quella strampalata famiglia avevano puntato il dito l'uno contro l'altro, accanendosi su Zenas per via della sua età: era la Chimera più vecchia che quel giorno fosse uscita con Salomone, era colpa sua se Alexandria si era persa il corpo del Re in mezzo alle onde dell'oceano. Eppure, Levi ne era certo, lei si era sentita colpevole anche di quell'odio ingiustificato. Possibile che non avesse ancora compreso che il destino gioca sporco, che a furia di sfidare le leggi del mondo si finisce con il dover pagare un prezzo altissimo? Possibile che non si rendesse conto che lei era solo l'ennesima vittima delle conseguenze delle scelte e degli esperimenti di Salomone?

In parte infastidito, il ragazzo espirò: ‹‹Non fraintendere le mie parole, Alex. So che non è stato facile, che alle volte alcuni termini sono lame nella consistenza dell'anima, però conosco Zenas da molto più tempo di te. E' una persona saggia››.

Nonostante le buone intenzioni, Z'év parve non gradire le parole del fratello e, afferrandogli il bavero della giacca, lo tirò a sé. Come solo qualche giorno prima, i loro visi erano nuovamente a un soffio l'uno dall'altro e, seppur divisi dalle lenti degli occhiali da sole che il Generale ancora indossava, i loro sguardi era dritti in quello di chi avevano di fronte, quasi sfidandosi.
‹‹Ma non cambia il fatto che tutte quelle pugnalate avrebbero dovuto colpire me e me soltanto››. Fu un sussurro, eppure apparve come uno stridio fastidioso a ridosso dei timpani. Odiava sentirle dire simili frasi. Detestava l'idea che ancora non si fosse perdonata per qualcosa che non avrebbe potuto cambiare - quando forse, l'unico colpevole, era lui.

Delicatamente le scostò la mano, cingendole con le lunghe dita il polso. Il calore della sua pelle lo fece rabbrividire, dolce e allettante esattamente come i raggi del sole che aveva dovuto abbandonare solo qualche minuto prima: ‹‹I lupi non nuotano, akoth, ed esattamente come me non sei altro che vittima di un fato ingiusto. Salomone ha sfidato troppe volte la clemenza dell'Ars, per questo è stato punito. Non avresti potuto far nulla più di ciò che hai fatto e stai facendo ora›› la voce di Levi si trasformò in un sibilo vellutato, una sorta di minaccioso rimprovero. Vi erano alcuni momenti in cui, il Nakhaš del passato, quello che guidava i soldati in sanguinose battaglie, prendeva ancora il sopravvento su di lui; istanti fugaci che erano però in grado di scuotere l'animo di chiunque, anche di un animale selvatico. Aveva imparato a rendere la propria presenza soggiogante, a issarsi sopra alla cocciutaggine e all'irriverenza dei suoi sottoposti e così avrebbe fatto anche con lei - pur di non perderla in un limbo di colpe prive di reale senso. 
Rimettendosi dritto, e senza darle tempo di replicare, riprese la marcia chiudendo quel discorso prima che potesse sfociare. Se i suoi fratelli l'avevano accusata di essere un'inetta, nonché in parte il boia delle loro esistenze, lui non l'avrebbe mai incolpata di essere l'artefice di un simile disastro, certo che nemmeno Salomone lo avrebbe fatto. Lo conosceva abbastanza da sapere che non era uno stolto, che comprendeva le sue colpe meglio di chiunque altro - e condivideva ogni suo pensiero e colpa, pur perdonandoglieli ogni giorno. Loro due erano gemelli senza essere fratelli, erano uniti indissolubilmente senza avere lo stesso sangue; più banalmente, erano ẖbrym. E persino quando le opinioni erano contrastanti, accettavano l'idea l'uno dell'altro senza imporsi. Su Z'év, ad esempio, nel tempo avevano avuto molto di cui dibattere e altrettanto su cui concordare.

Allontanandosi nel marasma, Levi potè percepire con chiarezza lo sguardo di lei graffiargli la schiena. Le pupille della sorella erano fiamme brucianti, tizzoni ardenti abbandonati sulla pelle nuda. Li sentiva con una nitidezza tale che per un attimo si domandò se non fosse stato troppo severo con lei, se ricordarle di essere impotente di fronte a ciò e chi le aveva dato vita fosse stata una verità fastidiosa da udire, seppur innegabile - eppure non si volse nemmeno per un istante, certo che alla fine anche Z'èv avrebbe accettato quelle parole.
 

Dopo il fastidioso scambio avvenuto alla stazione, i due fratelli vagarono silenziosi per le calle veneziane, proferendo parola solo quando necessario. Levi stava provando in tutti i modi a ricordarsi l'intricato dedalo di vie e canali che li avrebbe condotti in zona Certosa, mentre Alex aguzzava i sensi per individuare qualsiasi cosa le sembrasse fuori posto: uno sguardo, un portamento, una figura ambigua - tutto ciò che avesse potuto indicare la presenza di qualche malintenzionato del Cultus, anche se ormai era da anni che non ne vedeva nessuno sulle proprie tracce.

Persa a osservarsi attorno, Z'èv non si accorse dell'improvviso arresto del fratello, finendo a sbattergli contro e rimbalzare qualche passo indietro.
«Ci siamo» lo sentì sussurrare in un ragionamento tra sé e sé ad alta voce.
Bene o male, secondo le indicazioni che avevano ricevuto dal suo informatore slavo, dovevano essere arrivati nella zona corretta, così, rincuorata dall'affermazione del Generale,  si mise a cercare il numero tre accanto alle piccole e rare porte presenti nell'angustissima via, muovendo piccoli passi su e giù per la calla.
Fu lui a fermarsi per primo, individuando l'oggetto del loro interesse e tirando uno strano sorriso.

«E' qui, ne sei certo?»  Sollevando un sopracciglio e scrutando la porticina in legno, così vecchia da sembrare della sua stessa epoca, Alexandria si fece vicina. Non vi era nulla di rassicurante in quella visione di abbandono e logorio, eppure il numero tre pendeva al fianco di quell'ingresso con innegabile evidenza.
Era strano pensare che Zenas, il loro Zenas, si potesse rifugiare dietro un simile derelitto in una calla talmente stretta d'apparire soffocante persino per lei: come poteva passarci un uomo della sua stazza, lì? Le sue spalle erano talmente larghe da sembrare infinite e, valutando le dimensioni della strada, certamente doveva averle più volte strusciate contro le pareti intonacate.
Z'év storse le labbra, confusa.
 ‹‹Così ha detto il tuo informatore›› ricordò l'altro fissando l'edificio da cima a fondo, forse colto improvvisamente dai suoi medesimi dubbi. 
Certamente, dell'eleganza che loro fratello aveva tanto ostentato negli anni, quel luogo, non aveva nulla, poteva dirlo chiunque lo avesse conosciuto.
‹‹Deve averci fregato allora...››

‹‹Ma non avevi detto di fidarti, di lui? Anni e anni di collaborazione!›› La schernì, rivolgendole un meraviglioso sorriso, tanto naturale che anche lei non riuscì a trattenerne uno.
‹‹C'è sempre una prima volta, quando si parla di fregature››. 

Alex però era ancora scettica. Qualcosa in lei, forse il sesto senso o l'esperienza, le ricordò che  gli informatori non erano più quelli di una volta e che, con grande probabilità, oltre quella soglia li avrebbe attesi il nulla - e certamente avrebbe dovuto punire quel vecchio truffatore per averli fatti andare sin lì. 
Nakhaš allungò un braccio, i muscoli tesi sotto alla manica della giacca erano testimoni delle sensazioni di cui, in quel momento, era succube. Sicuramente non gli sembrava possibile che dentro a quelle mura ci fosse Zenas, esattamente come non sembrava a lei, ma oltre a quello c'era altro, anche se Z'èv non riuscì a comprendere cosa. Non poteva trattarsi della semplice suggestione dovuta a quell'ingresso malconcio, non era il tipo da farsi influenzare in tal modo - c'era altro a dargli ansia, però cosa?
Il ragazzo respirò profondamente e, prima di afferrare il battente stretto tra le fauci di un leone d'ottone arrugginito, concesse alla sorella una lunga occhiata d'intesa, anche se con le lenti scure nel mezzo Alex dovette solo supporre che si trattasse di quel tipo di sguardo.
‹‹Mal che vada non ci risponde nessuno, no?›› Seppur improvvisamente l'agitazione aveva preso a smuovere anche la sua sicurezza, la Chimera-Lupo cercò d'incoraggiare entrambi e, così, lui colpì per due volte il battente. Il silenzio che ne seguì parve la peggiore delle risposte alle loro domande.

E se il Cultus fosse arrivato prima di loro?


ẖbrym : amici

 
   
 
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