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Autore: Marne    06/02/2017    9 recensioni
Dopo quattro anni di apparente pace e prosperità, il Mondo Magico si ritrova ad attraversare un nuovo periodo di crisi. Qualcuno ha iniziato ad uccidere i vecchi Mangiamorte ed Harry Potter, distrutto dopo la Guerra, inizia a soffrire di incubi spaventosi che sembrano voler mettere in dubbio quell'equilibrio raggiunto con tanta difficoltà.
Hermione Granger, dopo esser sparita per ben due anni a causa di un impiego segreto, fa ritorno nella sua terra d'origine per portare una notizia terribile a Draco Malfoy e per riunirsi al vecchio amico nella lotta contro il nuovo Male che sembra volerli sopraffare.
Un bambino è intenzionato a distruggere ciò che è stato costruito in tantissimi anni e con immense difficoltà e nessuno sembra avere il potere di fermarlo. Come si uccide chi è giù sfuggito alla morte?
Genere: Dark, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Katie Bell, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heir Universe'
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LErede del Male.

 

 

“A mio credere il burattino è bell'e morto; ma se per disgrazia non fosse morto,

allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo”.



[Carlo Collodi – Pinocchio]

                                  

 

Atto III, Parte II – Questioni di coscienza

 

 

Il Quartier Generale delle Banshee si trovava in una località non precisata in mezzo alle Alpi Svizzere, circondata da ghiacciai perenni e ben nascosta alla vista di maghi e babbani. Si trattava di un castello costruito ben prima del diciottesimo secolo che era stato sottratto ad un mago oscuro in una delle prime operazioni in cui era stata coinvolta la Squadra. Da quel momento in poi, era stato rimodernato un numero infinito di volte per poter ospitare centri di ricerca all’avanguardia e, di conseguenza, le migliori menti del tempo. Organizzato in quartieri abitativi, così che ogni squadra potesse avere il proprio spazio di lavoro, era finito col somigliare sempre di più ad un complesso di strutture disposte come un labirinto, facilitando particolarmente il compito della sicurezza: soltanto qualcuno che avesse saputo con esattezza dove andare avrebbe potuto orientarsi senza finire in una delle mille trappole piazzate dai fondatori.

In uno di questi quartieri, precisamente nella zona sotterranea del blocco appartenente alla Squadra Banshee 3, Ophelia Penderghast stava esaminando quello che aveva tutta l’aria di essere un cadavere ridotto a poco più di un mucchio di brandelli tenuti insieme da un velo di pelle sanguinolenta. La divisa da lavoro che aveva indossato per l’incontro con il Ministro della Magia ed i loro due nuovi protetti era ormai sporca di sostanze non bene identificate ed il suo viso si era salvato solo agli incantesimi repulsivi che aveva recitato prima di iniziare l’ennesima autopsia. Le lenti dei suoi occhiali erano sufficientemente sporche senza che ci fossero impronte rossastre, grazie tante.

Non aveva mai odiato il suo essere cieca come una talpa1 tanto quanto aveva fatto durante gli anni in cui non aveva ancora conosciuto il dannatissimo incantesimo repellente. Il pensiero di dover ripulire gli occhiali, dopo che questi erano stati contaminati solo Merlino sapeva da cosa, non l’aveva mai attirata.

«Sei sexy tutta coperta di sangue, te l’ho mai detto?».

Certo, era stato grazie ai suoi occhiali disgustosamente sporchi se era finita praticamente fra le braccia del suo attuale consorte. E lui sembrava aver sviluppato un vero e proprio fetish nel trovarla immersa fino ai gomiti – letteralmente – nel suo lavoro.

«L’hai detto più volte, quindi questa volta puoi evitare di farlo» gli rispose, particolarmente acida, agitando la bacchetta con abbastanza violenza da far schizzare un po’ di sangue scuro sul muro davanti a lei. Di solito trattava meglio i suoi pazienti, ma quella sera era davvero troppo irritata per comportarsi educatamente verso i non vivi. «Davvero, Barry, torna di sopra, non ho voglia di parlare con te, adesso» aggiunse, stizzita, sventolando una costola come se fosse stata un’altra bacchetta.

Suo marito, naturalmente, era stato temprato da esperienze ben peggiori dell’essere minacciato con un osso insanguinato, quindi non fece una piega e, piuttosto, iniziò a sorriderle di più. «Ti vedo tesa, cara. Magari dovresti fermarti e riposare un po’, sono giorni che non dormi bene» le disse, poggiandosi con le spalle ad un altro tavolo, in quel momento vuoto. «Se vuoi posso venire con te e farti rilassare un po’. Non posso prometterti un massaggio,» nel dirlo sollevò l’uncino, con fare divertito, «ma sono piuttosto bravo con tutto il resto, come credo che gli ultimi sei anni abbiano ampiamente dimostrato2».

La tentazione di usare quella costola come un’arma impropria colpì Ophelia come un pugno nello stomaco, se riuscì a trattenersi fu solo per rispetto di quel povero disgraziato che era capitato sotto le sue mani. «Ti avevo chiesto di essere gentile con lui, Bartholomew. Ti avevo chiesto di trattarlo con gentilezza».

Il sorriso che lui continuò a dedicarle le fece rivoltare lo stomaco. «Avrei dovuto annuire e sembrare rassicurante, secondo te? Il ragazzino non mi avrebbe mai creduto. Meglio iniziare col bastone e poi arrivare alla carota, questo dico io».

«Cos’è, uno stupido scontro di testosterone? Volevi dimostrare di essere quello forte? Non è un gioco, maledizione!» sbottò, mettendo giù la costola per evitare di lanciarla via per la rabbia. «Non hai fatto altro che stuzzicarlo e spingerlo a reagire male. Io ti conosco, credi che non abbia visto come lo stringevi proprio per farlo irritare? Lui non è uno dei tuoi animali, è mio cugino».

Annoiato, Barry alzò gli occhi al cielo, grattandosi la guancia con la curva dell’uncino. «Proprio perché è tuo cugino ho dovuto agire in quel modo. Conosco voi Penderghast, siete delle bestiole particolarmente rancorose. Se non si fosse sfogato un po’ in quel momento, non sarebbe mai arrivato a fidarsi di noi o di Hermione in tempi brevi. Dovevo fare buon viso a cattivo gioco? Si sarebbe convinto che lo stavo prendendo in giro e non avrebbe fatto altro che fissarci tutti con circospezione».

Per quanto il suo discorso avesse senso, Ophelia non si lasciò convincere. Ancora tutt’altro che tranquilla, incrociò le braccia al petto, sporcandosi più di quanto non avesse già fatto. La voglia di prendere a pugni suo marito ancora le faceva bruciare lo stomaco. «Lui è un Potter, non un Penderghast, quindi le tue considerazioni sulla mia persona non sono applicabili alla sua situazione. Oltretutto, farlo sfogare non significa fare lo stronzo. Non mi stavo riferendo solo all’arrivo di Hermione, ma a poco prima, quando l’hai trattato come se fosse stato un povero idiota. O quando gli hai dato del tardo».

«In mia difesa, è Katie a raccontare a tutti quanto sia tardo, non ho fatto altro che metterlo al corrente delle voci che circolano sul suo conto» le rispose lui, allargando le braccia. «Andiamo, Philly, lo sai anche tu che ho fatto lo stronzo solo per conquistarmi la sua fiducia. Quel ragazzino vive circondato da gente che butta fiori sulla terra su cui cammina, non fanno altro che tentare di ruffianarselo, quasi essere suoi amici fosse un titolo onorifico. Non è quello l’approccio da usare, non per conquistare un minimo di rispetto».

Ophelia grugnì, rifiutandosi di guardarlo negli occhi e preferendo fissare il cadavere che aveva davanti. «Nessuno di noi ha fatto lo stronzo, significa forse che non si fiderà? Solo con te dovrà stringere un qualche legame?».

Con evidente sprezzo del pericolo – solo così avrebbe potuto trovare il coraggio di avvicinarsi ad una strega che fino a poco prima aveva brandito una costola come un’arma impropria – Barry si allontanò dal suo angolo, per raggiungerla. Non la toccò, limitandosi a piegarsi per poterla guardare negli occhi, oltre le spesse lenti. «Hermione è praticamente sua sorella, Katie è una sua vecchia compagna di scuola e tu sei sua cugina. Quando avrai modo di spiegargli tutti i vostri legami di parentela lui perderà la testa dalla gioia. Certo, dovrai spiegargli per quale motivo non ti sei fatta viva negli ultimi vent’anni, ma immagino che saprai bene cosa dirgli».

Maledizione.

Ophelia Penderghast in Maine aveva passato tutta la sua vita immaginando come sarebbe stato incontrare il figlio di James. Suo cugino3 era morto quando lei frequentava il primo anno di scuola e non aveva avuto moto di dirgli addio o di vedere il piccolo Harry dopo la nascita, l’ultima occasione in cui c’era stata sufficiente sicurezza per far incontrare le famiglie. Suo padre le raccontava spesso dei tentativi che aveva fatto per ottenere la sua custodia, andati tutti in fumo davanti all’evidenza del maggiore legame esistente con Petunia Dursley, per quanto quella donna fosse fastidiosa. Aveva anche provato a fargli visita, i primi tempi dopo quella notte di Halloween, ma si era ritrovato ad esser minacciato da quello che aveva definito essere un “vermicolo infinitamente grasso e baffuto”. Aveva avuto modo di osservarlo da lontano, stando a quello che le aveva raccontato, verificando quanto male lo avessero trattato solo perché qualcuno del loro mondo lo aveva avvicinato. Da quel momento, quindi, aveva deciso di non immischiarsi, nella speranza che in qualche modo in quella famiglia disastrata potessero raggiungere un equilibrio e restituire affetto a quel bambino a cui era stata sottratta la famiglia. Ophelia aveva rispettato le indicazioni del padre, tenendosi ad una rispettosa distanza ed incontrando il suo cuginetto solo dopo esser entrata a far parte delle Banshee, durante il Torneo Tremaghi. Già allora aveva pensato di farsi avanti, di dirgli la verità, ma non c’era riuscita.

Per il suo bene, si era detta, limitandosi a scambiare qualche parola con quello che presto sarebbe diventato il suo nuovo collega e marito. Potrebbe restarne sconvolto, aveva aggiunto, quando lo aveva visto in procinto di saltare nel lago nero. Rischierei solo di confonderlo, era stata la sua conclusione, quando lo aveva visto allontanarsi insieme a Crouch Junior, impossibilitata ad intervenire finché non avesse ricevuto l’autorizzazione4.

In realtà era stata solo una gran vigliacca. L’idea di avvicinarglisi, di spiegargli chi fosse e perché avesse permesso che passasse tutta la sua infanzia in solitudine la terrorizzava. Ophelia era sempre stata brava a comprendere le dinamiche del corpo, a comprendere le malattie e la magia, ma le sue capacità relazionali erano ad un livello particolarmente basso, se non inesistente. Preferiva trattare con i morti, loro non erano soliti armarsi di disprezzo e cattiveria per rispondere alle sue domande. Solitamente non rispondevano affatto e, se lo facevano, era sempre con incredibile educazione, per quanto quella caratteristica fosse un po’ imposta dalla forza degli eventi.

Il sorriso di suo marito, che non aveva mai smesso di guardarla negli occhi, si allargò. «Ah-ah, ti ho beccata!» esultò, allungando il braccio uncinato per spostarle una ciocca di capelli da davanti al viso e poi per costringerla a sollevare gli occhi e ricambiare il suo sguardo. «Lo sapevo che non eri davvero arrabbiata con me. Sei solo stizzita perché così non sei riuscita a ruffianartelo come avresti voluto, non è vero? Non credo sia una tattica vincente, amore mio. Non lo è mai, non con voi Penderghast».

Punta sul vivo, lei mise il broncio. «Come ti ho già detto, lui è un Potter, non un Penderghast».

Divertito, Barry si avvicinò un po’ di più per poter posare le labbra sulle sue in un bacio delicato. «Cara, se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi otto anni è che la vostra testardaggine è resistente a qualunque cosa, prima fra tutti la genetica. Quel ragazzino potrà somigliare tutto ad un Potter, magari sembrare caratterialmente diverso da te o tuo padre… ma un Penderghast è sempre un Penderghast. Non farti prendere dagli scrupoli di coscienza adesso, sei ad un passo dal riavere una parte di famiglia al tuo fianco, devi solo essere abbastanza coraggiosa da accettarne le conseguenze».

 

***

 

La Tana non era cambiata, nei due anni in cui era stata costretta lontana dalla patria. Il giardino era un po’ più curato di quanto non fosse mai stato prima – colpa di Percy, le aveva detto un imbarazzato Harry, raccontandole dell’ansia del cognato prima di portare la sua fidanzata a conoscere la famiglia per la prima volta. Si era assicurato che tutti indossassero biancheria pulita, quasi lei avesse preteso di controllare personalmente – ed all’esterno era possibile notare più di una macchina parcheggiata, tutte ben diverse dalla vecchia Ford Aniglia che circa dieci anni prima Harry e Ron avevano sgraffignato per raggiungere la scuola.

Sembrava trascorsa una vita dall’ultima volta in cui aveva avuto occasione di pensare a Ron. Si era preclusa quella possibilità, ritenendo che potesse distrarla dall’addestramento o che potesse farla sentire ben peggio di quanto già non facesse da sola. Si era spesso ritrovata a fissare il nulla, lo sguardo perso, combattuta fra il lasciarsi andare ai ricordi ed il chiudersi completamente ad essi. Sapeva qual era il prezzo da pagare, in caso di distrazione, il suo Capo era stato ben attento nel ricordarglielo ogni giorno della preparazione.

«Credi sia saggio?» domandò ancora una volta, osservando Harry con la coda dell’occhio. Erano a pochi passi dalla porta, ma ancora non si sentiva un fiato provenire dall’interno. Era strano, terribilmente strano, ma anche comprensibile. Era una famiglia spezzata da quelli che loro avevano pensato essere due lutti, che fosse stata persa la solita allegria era il minimo che ci si potesse aspettare, nonostante lei si fosse convinta, negli anni, che Fred e George avrebbero offerto un giusto intrattenimento.

Harry, dal canto suo, era ben più pallido di quanto non fosse stato prima. Dal modo in cui stava sfregando le mani contro i jeans era piuttosto evidente che avesse i palmi sudati, così come la fronte. «No, non credo proprio che sia saggio, ma non abbiamo scelta» le disse, onesto, lanciandole solo un leggero sguardo al di sopra delle lenti dei suoi occhiali. Non erano più gli stessi di quando era giovane, la montatura era molto più adatta alla sua età e, soprattutto, era integra. «Te l’ho detto che Ginny è incinta? Sei mesi» le comunicò, senza azzardarsi a bussare, quasi avesse voluto allungare un po’ di più la durata della quiete prima della tempesta.

Vagamente più tranquilla – anche se non rilassata – Hermione gli sorrise, annuendo. «Non me l’hai detto, ma era scritto su un po’ tutti i giornali. Si è ritirata per dedicarsi alla famiglia, non molti hanno appoggiato questa scelta» gli disse, cercando di mantenere il tono quanto più colloquiale possibile. «Sciocchezze, a parer mio. Ne parlano quasi lei abbia avuto una scelta, non pensi? Di certo non può giocare durante la gravidanza e dopo… beh, fermarsi per almeno un anno è il minimo, in questo sport5. Tanto vale guardare avanti e cercare di costruirsi una nuova carriera» constatò, ripensando a quante volte aveva sentito Ophelia fare un ragionamento simile nell’attesa di una gravidanza che sembrava non esser destinata ad arrivare mai. «La Gazzetta del Profeta deve averle messo il tappeto rosso ai piedi, quando si è presentata per chiedere lavoro».

Il modo in cui Harry ghignò lasciò trapelare quanto orgoglioso fosse della sua fidanzata. «Appena ha annunciato il suo ritiro è stato un continuo di gufi e gufetti, erano decisi ad ottenere solo un’intervista, ma quando lei ha fatto presente che il giornalismo non le sarebbe dispiaciuto hanno perso qualunque dignità. Ginny ha accettato dopo un mese di corteggiamento» spiegò, infilandosi le mani in tasca e lasciando intendere di non essere ancora pronto a mettere fine alla conversazione.

Per un momento, Hermione si ritrovò a pregare che nessuno li vedesse: praticamente sullo zerbino della Tana, incappucciati come due dissennatori a causa del freddo ed intenti a chiacchierare come se fosse tutto normale, somigliavano ad una coppia di svitati più che agli eroi del Mondo Magico.

«Ho letto tutti i suoi articoli, erano davvero eccezionali» si complimentò lei, annuendo leggermente. «Certo, non capisco molto di Quidditch, ma Katie si è sempre detta entusiasta… entusiasta ed un po’ gelosa, in realtà» ammise, pentendosi un attimo dopo. Non era proprio il caso di tirare in causa proprio Katie, decisamente no. Non quando si parlava del suo più grande rimpianto.

«Katie era la migliore cacciatrice, allo stesso livello di Ginny» notò infatti Harry, con una piccola smorfia. «Perché ha deciso di non continuare? So con certezza che un paio di squadre hanno chiesto di farle un provino, sono stato io a consegnarle i moduli, alla fine del settimo anno, e lei mi aveva detto che avrebbe preso in seria considerazione le proposte».

La tentazione di fare come al solito – cancellare la memoria di chi aveva chiesto troppo – la assalì in un istante, ma riuscì a controllarsi. Era Harry, poteva spiegargli molto più di quanto non potesse con molti altri. «Diversamente da molti di noi, Katie non ha potuto fare tante scelte nella sua vita» gli spiegò, abbassando un momento lo sguardo per puntarlo sulle proprie mani, arrossate per il freddo. Avrebbe dovuto indossare i guanti, le sarebbero presto venuti i geloni continuando con quelle temperature. «Comunque il Puddlemere non ha presentato richiesta di farle un provino, ha sempre detto che avrebbe giocato solo per loro».

«Ah, certo, Katie aveva una cotta impressionante per Oliver Baston» si ricordò improvvisamente Harry, inarcando le sopracciglia. «Non ha avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui? Suo padre è il capo di Gin6, mi ha detto che lui ha trovato una ragazza solo recentemente e per qualche tempo mi sono convinto fosse Katie, anche se ora è evidente che io mi sia sbagliato».

Hermione non riuscì ad impedire ad un sorriso triste di curvarle le labbra. «No, non è Katie» ammise, voltando lo sguardo verso il giardino sulla destra. Un piccolo gnomo stava emergendo da dietro un ammasso di legna trascinando quella che sembrava essere una vecchia pala da giardino. Non spettava a lei parlare di Katie e delle scelte che la vita l’aveva portata a fare, soprattutto riguardo la sua vita privata. Che avesse appena trovato un equilibrio era l’unico pensiero che riuscisse a confortarla, per quanto complicata quella situazione potesse essere.

«Sai, George e Angelina si sono sposati un mese fa. Molly non ha fatto altro che lanciare frecciatine a me e Gin» le disse lui, cercando disperatamente di cambiare discorso. Era sempre stato un po’ tardo riguardo alcune questioni, ma era cresciuto molto negli ultimi due anni. Katie ne sarebbe stata devastata, scherzare sul suo essere ingenuo era uno dei passatempi che la divertiva di più. «Volevamo dirle che abbiamo deciso di sposarci una volta nati i bambini, ma farle credere di doverci convincere a fare il grande passo sembra occuparla abbastanza da non farla star male per…» si fermò un istante, stringendo le labbra come se fosse stato indeciso se continuare o no. «Beh, per Ron e te».

Il senso di colpa colpì Hermione come un pugno in faccia. Doveva aspettarselo, la signora Weasley le era affezionata come se fosse stata sua madre, doveva aver sofferto per tutta la durata di quei due anni.

Sempre che la promessa fosse stata mantenuta.

Cambiare discorso era sempre stata la sua specialità, perché non farlo ancora? Era un avvocato, rigirare il discorso doveva venirle naturale. «Hai detto i bambini? Sono gemelli?7» chiese, con il tono più limpido di cui fosse in possesso, trovando anche sufficiente faccia tosta da sorridere. «Ma è meraviglioso! Conoscete già il sesso? Oppure volete una sorpresa?».

Harry annuì, alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo provato a scoprirne il sesso, ma a quanto pare sono dei tipetti agitati che non vogliono farsi guardare. Per quanto mi riguarda, preferirei delle bambine. Per quanto più complicate da gestire, sono certamente meno pericolose dei maschi» spiegò, sbottando l’ultima parola come se fosse stata un insulto. «Una replica di Fred e George mi farebbe perdere i capelli prima del tempo ed io ho scommesso con Seamus di mantenere questa acconciatura almeno fino ai trent’anni».

Seamus Finnigan, un Auror come lui.

«Credo proprio che i capelli resteranno sulla tua testa per un bel po’ di anni» si lasciò sfuggire Hermione, con una risatina. Ricordava benissimo il giorno in cui Ophelia le aveva mostrato le foto di famiglia, indicandole con non poco orgoglio suo zio Fleamont – il nonno di Harry – che alla veneranda età di sessant’anni ancora aveva una capigliatura da far invidia a qualunque ventenne. «Quanto a Seamus, non credo si possa dire lo stesso. A me sembrava già leggermente stempiato due anni fa».

«La situazione non è migliorata col tempo, anche se adesso ha una barba che sembra voler compensare per i capelli».

Si guardarono per un lungo istante, mantenendo un silenzio religioso, poi si ritrovarono a sorridere, sghignazzare ed infine a ridere come dei matti per una mangiata di secondi. La tensione che si era andata accumulando dal momento del loro secondo chiarimento aveva iniziato a scivolare via, rimpicciolendosi fino a diventare solo una macchia alla base dei loro cuori, pronta a saltar fuori nel momento di maggior debolezza.

Non era finita, nessuno di loro aveva dimenticato, ma erano pronti a perdonare, seppur un po’ soltanto.

Il loro momento di ilarità venne brutalmente interrotto da qualcuno che spalancava la porta e dal rumore di un piatto che si schiantava violentemente al suolo. Quando si voltarono, Hermione si ritrovò a fronteggiare il primo dei suoi tanti spettri del passato.

«Tu dovresti essere morta».

«Ancora no, come puoi notare».

«Sei viva».

«E tu sei incinta. È un piacere rivederti, Ginny».

 

***

 

Era stato tutto molto più semplice di quanto Harry avesse previsto. Negli scenari che si era ricreato, Ginny avrebbe dovuto lanciarsi a terra e minacciare un aborto, oppure avrebbe dovuto provare ad assaltare Hermione per ucciderla davvero, così da vendicarsi di quello che le aveva fatto passare negli ultimi due anni. Se la prima possibilità era stata fortunatamente scongiurata, poiché non sembrava che la sua fidanzata fosse sul punto di svenire o scatenare l’inferno, la seconda invece era ancora realizzabile, così come suggerivano i suoi occhi scuri quasi incandescenti di furia.

«Sì, sono incinta. Mi sarebbe piaciuto dirtelo per prima ma, sai, tu non eri reperibile» sbottò Ginny, le braccia incrociate sopra il pancione ormai ben più che evidente. Non stava urlando, cosa di cui Harry le era profondamente grato, ma non era neppure tranquilla. C’era una strana piega all’angolo della sua bocca che compariva solo prima di una sfuriata degna del libro degli annali tenuto da Fred e George. Inizialmente raccoglievano solo il meglio di Molly Weasley, ma man mano che Ginny si era fatta grande, anche lei vi era finita, con occasionali comparse da parte di Fleur. Molti dei suoi interventi, tuttavia, non erano raccontati con dovizia di dettagli a causa di evidenti limiti linguistici. «Quindi sei viva».

Osservò Hermione stringere per un istante le labbra, sorridendo con aria colpevole. «Sono viva. Molto viva, mi auguro» rispose, osservandola da oltre le ciglia e sospirando. Sembrava quasi una bambina che fosse stata messa in castigo. «Mi dispiace davvero di essere sparita così» riprese, allungando la mano per poter toccare il braccio di Ginny, che sembrò irrigidirsi per un solo istante e poi rilassarsi di nuovo. «Se avessi avuto altra scelta, non l’avrei fatto. Non ti avrei lasciata senza dire nulla, maa…».

La donna dai capelli rossi la osservò in silenzio per qualche istante, come a volerla soppesare, poi allungò la mano per posarla su quella con cui lei gli stringeva il braccio. «Se anche avessi potuto parlarmene, Hermione, non l’avresti fatto» le disse, quasi rassegnata, facendosi avanti per poterla stringere a sé, come se quei due anni non ci fossero mai stati, come se fosse stato tutto normale. Harry la vide chiaramente sussurrare qualcosa che fece tremare Hermione, prima di spingerla a ricambiare l’abbraccio e sussurrare qualcosa di rimando. Cosa si fossero dette non era dato saperlo, ma qualcosa in lui gli suggerì che fosse meglio così, che forse il fatto che avessero sussurrato fosse indicativo che quello scambio dovesse restare un segreto.

«Mi dispiace tanto, Ginny», la voce di Hermione tremava, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia, macchiandole la pelle di nero. La traccia venne subito spazzata via dalla sua fidanzata, ridotta ad una cascata in pieno e tanto presa dal singhiozzare da non riuscire quasi a riprender fiato. «Oh, ti prego, non voglio saperti agitata, devi pensare ai bambini…».

Bambini.

Due.

L’ansia – la sua solita, vecchia amica – lo colpì come un pugno allo stomaco, mentre Ginny si asciugava il viso e sorrideva, rassicurando la sua migliore amica riguardo la sua stabilità emotiva. Dopotutto, da quando era rimasta incinta si era ritrovata ad avere una crisi al giorno ed i suoi piccoli soldatini sembravano ben più che resistenti a quegli sbalzi. Dal canto suo, Harry non era pienamente d’accordo con lei: il suo incubo ricorrente non faceva che dimostrargli quanto il confine fra vita e morte fosse labile, quanto ogni cosa dovesse essere sempre considerata fragile, insicura.

Niente era più incerto di una gravidanza.

«Hermione?».

Il momento di orribile silenzio che seguì quell’esclamazione sembrò estendersi anche al cuore di Harry, che improvvisamente smise di battere per l’orrore. Molly Weasley li osservava da pochi metri di distanza, i capelli ormai di un arancione sbiadito raccolti in una crocchia disordinata ed il solito grembiule da cucina sporco di quello che doveva essere l’enorme insieme di piatti che aveva preparato per quella sera. Il viso pallido della donna aveva assunto una brutta tonalità verdognola, mentre i suoi occhi – completamente sgranati e dello stesso colore caldo di quelli di Ginny – si riempivano di quelle che erano inevitabili lacrime. Tutti e tre la osservarono portarsi una mano alla bocca, quasi a trattenere un urlo, e poi voltarsi di scatto verso l’orologio appeso proprio davanti alla porta d’ingresso. Era lo stesso che era sempre stato in cucina, con le punte che indicavano ogni membro della famiglia e la sua condizione al momento. Quella di Hermione era fissa su morte8, come lo era stata da due anni a quella parte.

«Mamma… forse è meglio che tu vada a sederti» provò a dire Ginny, facendo qualche passo nella sua direzione, le mani avanti come a volerla afferrare nel caso fosse caduta. Sua madre la osservò come se non fosse capace di riconoscerla, alternando lo sguardo fra lei ed Hermione e puntandolo, dopo qualche secondo, su Harry stesso, che ancora una volta nella sua vita si sentì perfettamente inutile. «Tranquilla, mamma, va tutto bene. È lei, sta bene, hai visto? Sta bene, non sei contenta?».

Hermione sembrava fremere, bloccata tra quello che doveva essere l’impulso di avvicinarsi ed aiutare e quello che Harry sperava fosse istinto di sopravvivenza, cioè l’istinto di scappare il più lontano possibile da quel luogo pieno di gente che avrebbe provato un sacco di rancore verso di lei.

«Hermione?» ripeté ancora la signora Weasley, la mano sul cuore, ignorando completamente la sua più che preoccupata figlia, tutta presa a farle aria. Sembrava aver cambiato tonalità, dal verde era passata ad un giallognolo tendente al rosato, un po’ più sano ma non perfettamente sano. Non sembrava più sul punto di vomitare ma, piuttosto, sul punto di avere un infarto. «Sei davvero tu? Sei viva?».

«Sono io, signora Weasley». Sconfiggendo quello che doveva essere l’istinto a scappare, Hermione accennò un lievissimo sorriso, facendo un paio di passi avanti. «Mi dispiace. So di averlo già detto a chiunque, ma mi dispiace davvero», complice il picco emotivo di poco prima, la giovane aveva già ricominciato a piangere. «Avrei voluto parlarne con tutti voi, ma non potevo. Ogni giorno pensavo di mandare una lettera, un patronus… ma non potevo, non avevo scelta, mi creda» esalò, allungando la mano nella sua direzione, quasi tremando. La stava guardando con quella che poteva sembrare disperazione, sul punto di crollare per la prima volta in due anni.

Molly Weasley restò a fissarla in silenzio per quelli che sembrarono anni, fissando la mano che le aveva allungato come se fosse stata fatta di fiamme pure. Intorno a loro si erano radunati gli altri fratelli Weasley, con Fleur, Victoire e Angelina, mentre il signor Weasley, seppur in una posizione che gli consentiva di osservare il tutto, restò seduto, forse preoccupato che le gambe non gli reggessero. Quando la donna si accigliò, tutti si accigliarono con lei, preoccupati che potesse significare qualcosa di parecchio grave riguardo la sua salute fisica. Harry stesso, ricordando le lezioni di primo soccorso dell’Accademia, iniziò ad elencare i vari incantesimi che sarebbero potuti tornare utili in caso di infarto o aneurisma.

«Oh, bambina mia» il tono di Molly era angosciato, ma anche terribilmente sollevato, come se qualcuno le avesse tolto un enorme peso dal cuore. Si liberò velocemente della stretta di Ginny, avvicinandosi a passo di carca ad Hermione, così da poterla stringere in un abbraccio a dir poco soffocante. «Povera, povera piccola. Cosa ti hanno fatto?» le domandò, accarezzandole la schiena come se lei fosse stata una bambina piccolissima in cerca di conforto e non un membro di una delle squadre di difesa magica più pericolose mai esistite. Sconcertante, tuttavia, fu la reazione di Hermione, che si abbandonò a quella stretta come se da quella fosse dipesa tutta la sua vita.

«Mi hanno salvata» le rispose, allontanandosi quel poco che le servì per potersi asciugare il viso con la manica della giacca. Tutto il contegno, tutta la sua forza erano spariti nel nulla. «Mi dispiace di essere andata via, mi dispiace davvero».

Il modo in cui Molly le sorrise fece sciogliere il cuore di Harry, che si sentì improvvisamente di troppo in quella scena tanto intima.

«Adesso sei tornata, il resto non conta».

 

***

 

La famiglia Weasley aveva reagito molto meglio del previsto, Hermione non poteva che esserne felice. Oltre la signora Weasley e Ginny, gli altri sembravano ancora particolarmente restii a fidarsi completamente di lei ed il loro atteggiamento guardingo ne era la piena dimostrazione, tuttavia Hermione sentiva di non potersi lamentare. Forse George non aveva preso per i fondelli la sua nuova acconciatura e Bill non le aveva permesso di prendere in braccio Victoire, ma per il momento le andavano bene anche occhiate circospette e sorrisi forzati.

Era già abbastanza fortunata a non essere stata fulminata sul posto.

Le avevano chiesto molto poco del suo lavoro o del perché fosse tornata solo in quel momento, probabilmente a causa di qualcosa che Harry doveva aver accennato mentre lei veniva trascinata al piano di sopra dalla signora Weasley, che non era certo intenzionata ad attendere altro tempo per ottenere le risposte che per anni aveva dovuto costruire da sé. Era stata piuttosto comprensiva, per quanto l’idea di una squadra di assassini in giro per il Regno Unito non la entusiasmasse affatto. Pur borbottando sulla pericolosità della situazione, le aveva detto che avrebbe mantenuto un livello di apprensione sufficiente adatto ad una madre, così da poter rendere onore anche alla signora Granger9.

Buffo, Hermione non aveva ancora pensato ai suoi genitori e l’idea di andare a trovarli non sembrava volerla tentare neppure un po’. Ma, dopotutto, non erano più i suoi genitori, aveva rinunciato a loro da più di un anno e mezzo.

Finita la chiacchierata cuore a cuore con la promessa – da marinaio, non poteva certo mantenerla – di non mettersi nei guai e di pensare a se stessa prima che a qualunque missione, era stata costretta a sedere al suo fianco durante tutta la cena, scambiandosi occhiate complici con Ginny, tutta presa dal farle sentire ogni movimento dei gemellini, e con Harry, che invece sembrava sobbalzare quasi spaventato ad ogni squittio della fidanzata.

Quando Fred la raggiunse, si era riparata in cucina per sfuggire alle occhiate di tutti gli altri fratelli e poter respirare un po’ in tranquillità, senza che qualcuno temesse che potesse esplodere o sparire nel nulla.

«E così sei tornata» le disse, tirando fuori un’espressione contrita che sarebbe stata perfetta per un becchino durante un funerale. Sembrava urlare sentite condoglianze a distanza di chilometri, davvero impressionante. «Sai, mi aspettavo un po’ di effetto nebbia, qualche fuoco d’artificio, uno sventolio di mantelli… mi hai molto deluso».

L’istinto di alzare gli occhi al cielo tornò così prepotente che lei non riuscì a fermarlo e, con quello, tornò anche la volontà di ridacchiare. «Non lo sai? Le Banshee non hanno bisogno di tutta questa sceneggiata, sono da urlo anche al naturale».

Portandosi una mano al cuore, Fred si finse sconvolto. «Una battuta? Tu non sei davvero il Prefetto-Perfetto Granger! Chi sei? Quando l’hai sostituita?» indagò, fissandola ad occhi socchiusi nella parodia di uno sguardo inquisitore. Oppure di Percy senza occhiali, era difficile distinguere fra le due possibilità.

«Quando passi tutto il tuo tempo fra scartoffie e criminali, impari a godere anche del più piccolo istante di vita che hai» si giustificò lei, stringendosi nelle spalle e sorseggiando, poi, un po’ di tè dalla tazza. Era quella che lei stessa aveva portato alla tana prima del matrimonio di Bill, quella che aveva acquistato a Nizza con i suoi genitori.

Fred sembrò non voler condividere la sua allegria, perché tornò improvvisamente serio e si fece avanti, fronteggiandola a sufficiente distanza da doversi piegare leggermente sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi. «Sei sicura?».

«Di cosa?».

«Di apprezzare la vita, Hermione». Il modo in cui pronunciò quelle parole le fece stringere il cuore. Stralci di ricordi confusi, di lacrime e urla, di sangue ed incertezze, si affacciarono nuovamente alle soglie della sua memoria, facendole abbassare gli occhi, nonostante lui fosse immediatamente pronto a costringerla a risollevarli, portandole la nocca dell’indice sotto al mento. «Allora? Noi due avevamo un accordo, mi pare».

«L’accordo è stato rispettato, non temere» lo rassicurò, sorridendo con gentilezza e puntandogli l’indice in mezzo agli occhi per spingerlo indietro e farlo allontanare. Sorrise di più, quando barcollò, ma non si scompose. «A quanto pare il mio Grillo Parlante aveva ragione».

Un sorrisino soddisfatto incurvò le labbra del giovane davanti a lei, che le diede un colpetto incoraggiante sulla spalla. «Come disse Merlino… io ho sempre ragione».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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 La signora Weasley penso sia morta un paio di volte e sia tornata in vita. Lanciamo l’hashtag #MollyWeasleyIsTheNewGoku.

 

Punti importanti:

» 1 – A quanto pare la cecità è ereditaria, ma non dal lato “Potter” della famiglia. Ophelia, come Harry, James e come la madre di lui è più cieca di una talpa! Non indossa gli occhiali, di solito, perché il lavoro le impone le lenti a contatto!

 

» 2 – Ophelia e Barry si sono incontrati durante il Torneo Tremaghi (lui era nel gruppo che ha portato i draghi a scuola, con Charlie Weasley) e non si sono più lasciati, in un certo senso. Per quanto lei abbia cercato di non cedere alle sue avance, lui praticamente l’ha seguita ed è diventato un Banshee, esasperandola finché lei, un anno dopo, non ha accettato di sposarlo.

 

» 3 – Momento albero genealogico: la madre di James Potter – Euphemia Penderghast Potter – era la sorella del padre di Ophelia, cosa che rende lei la cugina di primo grado di Harry. I Penderghast hanno provato a farsi affidare Harry, ma la parentela di Petunia era molto più stretta e Silente avrebbe comunque fatto di tutto per farlo restare dai Dursley.

 

» 4 -  Ophelia era già una banshee da un paio d’anni e si trovava al Torneo Tremaghi perché c’era già il sospetto che qualcuno si fosse spacciato per Malocchio Moody. Non è intervenuta perché, ovviamente, non poteva farlo finché i suoi capi non le avessero affidato la missione. È stata lei, con un paio di altri colleghi, a consegnare Barty Jr ai dissennatori.

 

» 5 – Cerchiamo di essere chiari, io non credo che un’atleta che abbia un figlio debba rinunciare al suo sport dopo aver partorito o che non possa tornare dopo un paio di mesi. Il Quidditch, tuttavia, è uno sport estremamente pericoloso ed è naturale che lei debba aspettare molto di più.

 

» 6 – Il padre di Oliver Baston, per quanto mi riguarda, è il Capo Redattore della sezione sportiva della Gazzetta, quindi il capo di Ginny. Ovviamente suo padre deve avere a che fare con il Quidditch,

 

» 7 – Ta-daaaaaan. Mandiamo al diavolo il canon, sorpresa fino alla fine.

 

» 8 – Secondo me durante la ricerca dei Doni all’orologio sono stati aggiunti anche Harry ed Hermione. Perché la lancetta di Hermione era fissa su morte se lei era viva? Perché Fred, che sapeva tutto, lo ha incantato per rendere tutto più semplice.

 

» 9 – Cosa è successo ai Granger? Non sono morti, ma l’incantesimo di memoria di Hermione non è mai passato davvero e in poco meno di una settimana di assenza della figlia sono ritornati a non avere idea di chi lei fosse. Non sono morti, ma non ci sono più. Che schifo la vita.

 

 

Fred Weasley come grillo parlante. Non potevo solo resuscitarlo, doveva tornare col botto! Io lo adoro. Lo adorerete anche voi.  

 

 

 

Causa esami lunedì prossimo salterà l’aggiornamento! Mi prenderò qualche giorno di pausa, magari per scrivere qualcosina di diverso, ma vi aspetto tutti fra due settimane!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

   
 
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