L’Erede del Male.
“A mio credere il
burattino è bell'e morto; ma se per disgrazia non fosse morto,
allora sarebbe indizio
sicuro che è sempre vivo”.
[Carlo Collodi
– Pinocchio]
Atto III, Parte II – Questioni
di coscienza
Il Quartier Generale delle Banshee si trovava in
una località non precisata in mezzo alle Alpi Svizzere, circondata da ghiacciai
perenni e ben nascosta alla vista di maghi e babbani. Si trattava di un
castello costruito ben prima del diciottesimo secolo che era stato sottratto ad
un mago oscuro in una delle prime operazioni in cui era stata coinvolta la
Squadra. Da quel momento in poi, era stato rimodernato un numero infinito di
volte per poter ospitare centri di ricerca all’avanguardia e, di conseguenza,
le migliori menti del tempo. Organizzato in quartieri abitativi, così che ogni
squadra potesse avere il proprio spazio di lavoro, era finito col somigliare
sempre di più ad un complesso di strutture disposte come un labirinto, facilitando
particolarmente il compito della sicurezza: soltanto qualcuno che avesse saputo
con esattezza dove andare avrebbe potuto orientarsi senza finire in una delle
mille trappole piazzate dai fondatori.
In uno di questi quartieri, precisamente nella
zona sotterranea del blocco appartenente alla Squadra Banshee 3, Ophelia
Penderghast stava esaminando quello che aveva tutta l’aria di essere un
cadavere ridotto a poco più di un mucchio di brandelli tenuti insieme da un
velo di pelle sanguinolenta. La divisa da lavoro che aveva indossato per
l’incontro con il Ministro della Magia ed i loro due nuovi protetti era ormai
sporca di sostanze non bene identificate ed il suo viso si era salvato solo
agli incantesimi repulsivi che aveva recitato prima di iniziare l’ennesima
autopsia. Le lenti dei suoi occhiali erano sufficientemente sporche senza che
ci fossero impronte rossastre, grazie tante.
Non aveva mai odiato il suo essere cieca come una
talpa1 tanto quanto aveva fatto durante gli anni in cui non aveva
ancora conosciuto il dannatissimo incantesimo repellente. Il pensiero di dover
ripulire gli occhiali, dopo che questi erano stati contaminati solo Merlino
sapeva da cosa, non l’aveva mai attirata.
«Sei sexy tutta coperta di sangue, te l’ho mai
detto?».
Certo, era stato grazie ai suoi occhiali
disgustosamente sporchi se era finita praticamente fra le braccia del suo
attuale consorte. E lui sembrava aver sviluppato un vero e proprio fetish nel
trovarla immersa fino ai gomiti – letteralmente – nel suo lavoro.
«L’hai detto più volte, quindi questa volta puoi
evitare di farlo» gli rispose, particolarmente acida, agitando la bacchetta con
abbastanza violenza da far schizzare un po’ di sangue scuro sul muro davanti a
lei. Di solito trattava meglio i suoi pazienti,
ma quella sera era davvero troppo irritata
per comportarsi educatamente verso i non
vivi. «Davvero, Barry, torna di sopra, non ho voglia di parlare con te,
adesso» aggiunse, stizzita, sventolando una costola come se fosse stata
un’altra bacchetta.
Suo marito, naturalmente, era stato temprato da
esperienze ben peggiori dell’essere minacciato con un osso insanguinato, quindi
non fece una piega e, piuttosto, iniziò a sorriderle di più. «Ti vedo tesa,
cara. Magari dovresti fermarti e riposare un po’, sono giorni che non dormi
bene» le disse, poggiandosi con le spalle ad un altro tavolo, in quel momento
vuoto. «Se vuoi posso venire con te e farti rilassare un po’. Non posso
prometterti un massaggio,» nel dirlo sollevò l’uncino, con fare divertito, «ma
sono piuttosto bravo con tutto il resto, come credo che gli ultimi sei anni
abbiano ampiamente dimostrato2».
La tentazione di usare quella costola come un’arma
impropria colpì Ophelia come un pugno nello stomaco, se riuscì a trattenersi fu
solo per rispetto di quel povero disgraziato che era capitato sotto le sue
mani. «Ti avevo chiesto di essere gentile con lui, Bartholomew.
Ti avevo chiesto di trattarlo con gentilezza».
Il sorriso che lui continuò a dedicarle le fece
rivoltare lo stomaco. «Avrei dovuto annuire e sembrare rassicurante, secondo
te? Il ragazzino non mi avrebbe mai creduto. Meglio iniziare col bastone e poi
arrivare alla carota, questo dico io».
«Cos’è, uno stupido scontro di testosterone?
Volevi dimostrare di essere quello forte? Non
è un gioco, maledizione!» sbottò, mettendo giù la costola per evitare di
lanciarla via per la rabbia. «Non hai fatto altro che stuzzicarlo e spingerlo a
reagire male. Io ti conosco, credi
che non abbia visto come lo stringevi proprio per farlo irritare? Lui non è uno
dei tuoi animali, è mio cugino».
Annoiato, Barry alzò gli occhi al cielo,
grattandosi la guancia con la curva dell’uncino. «Proprio perché è tuo cugino ho dovuto agire in quel modo.
Conosco voi Penderghast, siete delle bestiole particolarmente rancorose. Se non
si fosse sfogato un po’ in quel momento, non sarebbe mai arrivato a fidarsi di
noi o di Hermione in tempi brevi.
Dovevo fare buon viso a cattivo gioco? Si sarebbe convinto che lo stavo
prendendo in giro e non avrebbe fatto altro che fissarci tutti con circospezione».
Per quanto il suo discorso avesse senso, Ophelia
non si lasciò convincere. Ancora tutt’altro che tranquilla, incrociò le braccia
al petto, sporcandosi più di quanto non avesse già fatto. La voglia di prendere
a pugni suo marito ancora le faceva bruciare lo stomaco. «Lui è un Potter, non
un Penderghast, quindi le tue considerazioni sulla mia persona non sono
applicabili alla sua situazione. Oltretutto, farlo sfogare non significa fare lo stronzo. Non mi stavo riferendo
solo all’arrivo di Hermione, ma a poco prima,
quando l’hai trattato come se fosse stato un povero idiota. O quando gli hai
dato del tardo».
«In mia difesa, è Katie a raccontare a tutti
quanto sia tardo, non ho fatto altro che metterlo al corrente delle voci che
circolano sul suo conto» le rispose lui, allargando le braccia. «Andiamo,
Philly, lo sai anche tu che ho fatto lo stronzo solo per conquistarmi la sua
fiducia. Quel ragazzino vive circondato da gente che butta fiori sulla terra su
cui cammina, non fanno altro che tentare di ruffianarselo, quasi essere suoi
amici fosse un titolo onorifico. Non è quello l’approccio da usare, non per
conquistare un minimo di rispetto».
Ophelia grugnì, rifiutandosi di guardarlo negli
occhi e preferendo fissare il cadavere che aveva davanti. «Nessuno di noi ha
fatto lo stronzo, significa forse che non si fiderà? Solo con te dovrà
stringere un qualche legame?».
Con evidente sprezzo del pericolo – solo così
avrebbe potuto trovare il coraggio di avvicinarsi ad una strega che fino a poco
prima aveva brandito una costola come un’arma impropria – Barry si allontanò
dal suo angolo, per raggiungerla. Non la toccò, limitandosi a piegarsi per
poterla guardare negli occhi, oltre le spesse lenti. «Hermione è praticamente
sua sorella, Katie è una sua vecchia compagna di scuola e tu sei sua cugina. Quando avrai modo di
spiegargli tutti i vostri legami di parentela lui perderà la testa dalla gioia.
Certo, dovrai spiegargli per quale motivo non ti sei fatta viva negli ultimi
vent’anni, ma immagino che saprai bene cosa dirgli».
Maledizione.
Ophelia Penderghast in Maine aveva passato tutta
la sua vita immaginando come sarebbe stato incontrare il figlio di James. Suo
cugino3 era morto quando lei frequentava il primo anno di scuola e
non aveva avuto moto di dirgli addio o di vedere il piccolo Harry dopo la
nascita, l’ultima occasione in cui c’era stata sufficiente sicurezza per far
incontrare le famiglie. Suo padre le raccontava spesso dei tentativi che aveva
fatto per ottenere la sua custodia, andati tutti in fumo davanti all’evidenza
del maggiore legame esistente con Petunia Dursley,
per quanto quella donna fosse fastidiosa. Aveva anche provato a fargli visita,
i primi tempi dopo quella notte di Halloween, ma si era ritrovato ad esser
minacciato da quello che aveva definito essere un “vermicolo infinitamente
grasso e baffuto”. Aveva avuto modo di osservarlo da lontano, stando a quello
che le aveva raccontato, verificando quanto male lo avessero trattato solo
perché qualcuno del loro mondo lo
aveva avvicinato. Da quel momento, quindi, aveva deciso di non immischiarsi,
nella speranza che in qualche modo in quella famiglia disastrata potessero
raggiungere un equilibrio e restituire affetto a quel bambino a cui era stata
sottratta la famiglia. Ophelia aveva rispettato le indicazioni del padre,
tenendosi ad una rispettosa distanza ed incontrando il suo cuginetto solo dopo
esser entrata a far parte delle Banshee, durante il Torneo Tremaghi.
Già allora aveva pensato di farsi avanti, di dirgli la verità, ma non c’era
riuscita.
Per il
suo bene, si era detta, limitandosi a scambiare qualche parola con
quello che presto sarebbe diventato il suo nuovo collega e marito. Potrebbe restarne sconvolto, aveva
aggiunto, quando lo aveva visto in procinto di saltare nel lago nero. Rischierei solo di confonderlo, era
stata la sua conclusione, quando lo aveva visto allontanarsi insieme a Crouch Junior, impossibilitata ad intervenire finché non
avesse ricevuto l’autorizzazione4.
In realtà
era stata solo una gran vigliacca. L’idea di avvicinarglisi, di
spiegargli chi fosse e perché avesse permesso che passasse tutta la sua
infanzia in solitudine la terrorizzava. Ophelia era sempre stata brava a
comprendere le dinamiche del corpo, a comprendere le malattie e la magia, ma le
sue capacità relazionali erano ad un livello particolarmente basso, se non
inesistente. Preferiva trattare con i morti, loro non erano soliti armarsi di
disprezzo e cattiveria per rispondere alle sue domande. Solitamente non
rispondevano affatto e, se lo facevano, era sempre con incredibile educazione,
per quanto quella caratteristica fosse un po’ imposta dalla forza degli eventi.
Il sorriso di suo marito, che non aveva mai smesso
di guardarla negli occhi, si allargò. «Ah-ah, ti ho beccata!» esultò,
allungando il braccio uncinato per spostarle una ciocca di capelli da davanti
al viso e poi per costringerla a sollevare gli occhi e ricambiare il suo
sguardo. «Lo sapevo che non eri davvero arrabbiata con me. Sei solo stizzita
perché così non sei riuscita a ruffianartelo come avresti voluto, non è vero?
Non credo sia una tattica vincente, amore mio. Non lo è mai, non con voi
Penderghast».
Punta sul vivo, lei mise il broncio. «Come ti ho
già detto, lui è un Potter, non un Penderghast».
Divertito, Barry si avvicinò un po’ di più per
poter posare le labbra sulle sue in un bacio delicato. «Cara, se c’è una cosa
che ho imparato negli ultimi otto anni è che la vostra testardaggine è
resistente a qualunque cosa, prima fra tutti la genetica. Quel ragazzino potrà
somigliare tutto ad un Potter, magari sembrare caratterialmente diverso da te o
tuo padre… ma un Penderghast è sempre un
Penderghast. Non farti prendere dagli scrupoli di coscienza adesso, sei ad un
passo dal riavere una parte di famiglia al tuo fianco, devi solo essere abbastanza
coraggiosa da accettarne le conseguenze».
***
La Tana non era cambiata, nei due anni in cui era
stata costretta lontana dalla patria. Il giardino era un po’ più curato di
quanto non fosse mai stato prima – colpa
di Percy, le aveva detto un imbarazzato Harry,
raccontandole dell’ansia del cognato prima di portare la sua fidanzata a
conoscere la famiglia per la prima volta. Si era assicurato che tutti
indossassero biancheria pulita, quasi lei avesse preteso di controllare
personalmente – ed all’esterno era possibile notare più di una macchina
parcheggiata, tutte ben diverse dalla vecchia Ford Aniglia
che circa dieci anni prima Harry e Ron avevano sgraffignato per raggiungere la
scuola.
Sembrava trascorsa una vita dall’ultima volta in
cui aveva avuto occasione di pensare a Ron. Si era preclusa quella possibilità,
ritenendo che potesse distrarla dall’addestramento o che potesse farla sentire
ben peggio di quanto già non facesse da sola. Si era spesso ritrovata a fissare
il nulla, lo sguardo perso, combattuta fra il lasciarsi andare ai ricordi ed il
chiudersi completamente ad essi. Sapeva qual era il prezzo da pagare, in caso
di distrazione, il suo Capo era stato ben attento nel ricordarglielo ogni
giorno della preparazione.
«Credi sia saggio?» domandò ancora una volta,
osservando Harry con la coda dell’occhio. Erano a pochi passi dalla porta, ma
ancora non si sentiva un fiato provenire dall’interno. Era strano, terribilmente strano, ma anche
comprensibile. Era una famiglia spezzata da quelli che loro avevano pensato
essere due lutti, che fosse stata persa la solita allegria era il minimo che ci
si potesse aspettare, nonostante lei si fosse convinta, negli anni, che Fred e
George avrebbero offerto un giusto intrattenimento.
Harry, dal canto suo, era ben più pallido di
quanto non fosse stato prima. Dal modo in cui stava sfregando le mani contro i
jeans era piuttosto evidente che avesse i palmi sudati, così come la fronte.
«No, non credo proprio che sia saggio, ma non abbiamo scelta» le disse, onesto,
lanciandole solo un leggero sguardo al di sopra delle lenti dei suoi occhiali.
Non erano più gli stessi di quando era giovane, la montatura era molto più
adatta alla sua età e, soprattutto, era integra.
«Te l’ho detto che Ginny è incinta? Sei mesi» le
comunicò, senza azzardarsi a bussare, quasi avesse voluto allungare un po’ di
più la durata della quiete prima della tempesta.
Vagamente più tranquilla – anche se non rilassata
– Hermione gli sorrise, annuendo. «Non me l’hai detto, ma era scritto su un po’
tutti i giornali. Si è ritirata per dedicarsi alla famiglia, non molti hanno
appoggiato questa scelta» gli disse, cercando di mantenere il tono quanto più
colloquiale possibile. «Sciocchezze, a parer mio. Ne parlano quasi lei abbia
avuto una scelta, non pensi? Di certo non può giocare durante la gravidanza e
dopo… beh, fermarsi per almeno un anno è il minimo, in questo sport5.
Tanto vale guardare avanti e cercare di costruirsi una nuova carriera»
constatò, ripensando a quante volte aveva sentito Ophelia fare un ragionamento
simile nell’attesa di una gravidanza che sembrava non esser destinata ad
arrivare mai. «La Gazzetta del Profeta deve averle messo il tappeto rosso ai
piedi, quando si è presentata per chiedere lavoro».
Il modo in cui Harry ghignò lasciò trapelare
quanto orgoglioso fosse della sua fidanzata. «Appena ha annunciato il suo
ritiro è stato un continuo di gufi e gufetti, erano decisi ad ottenere solo
un’intervista, ma quando lei ha fatto presente che il giornalismo non le
sarebbe dispiaciuto hanno perso qualunque dignità. Ginny
ha accettato dopo un mese di corteggiamento» spiegò, infilandosi le mani in
tasca e lasciando intendere di non essere ancora pronto a mettere fine alla
conversazione.
Per un momento, Hermione si ritrovò a pregare che
nessuno li vedesse: praticamente sullo zerbino della Tana, incappucciati come
due dissennatori a causa del freddo ed intenti a chiacchierare come se fosse
tutto normale, somigliavano ad una coppia di svitati più che agli eroi del
Mondo Magico.
«Ho letto tutti i suoi articoli, erano davvero
eccezionali» si complimentò lei, annuendo leggermente. «Certo, non capisco
molto di Quidditch, ma Katie si è sempre detta entusiasta… entusiasta ed un po’
gelosa, in realtà» ammise, pentendosi un attimo dopo. Non era proprio il caso
di tirare in causa proprio Katie, decisamente
no. Non quando si parlava del suo più grande rimpianto.
«Katie era la migliore cacciatrice, allo stesso
livello di Ginny» notò infatti Harry, con una piccola
smorfia. «Perché ha deciso di non continuare? So con certezza che un paio di
squadre hanno chiesto di farle un provino, sono stato
io a consegnarle i moduli, alla fine del settimo anno, e lei mi aveva detto che
avrebbe preso in seria considerazione le proposte».
La tentazione di fare come al solito – cancellare
la memoria di chi aveva chiesto troppo
– la assalì in un istante, ma riuscì a controllarsi. Era Harry, poteva
spiegargli molto più di quanto non potesse con molti altri. «Diversamente da
molti di noi, Katie non ha potuto fare tante scelte nella sua vita» gli spiegò,
abbassando un momento lo sguardo per puntarlo sulle proprie mani, arrossate per
il freddo. Avrebbe dovuto indossare i guanti, le sarebbero presto venuti i
geloni continuando con quelle temperature. «Comunque il Puddlemere
non ha presentato richiesta di farle un provino, ha sempre detto che avrebbe
giocato solo per loro».
«Ah, certo, Katie aveva una cotta impressionante
per Oliver Baston» si ricordò improvvisamente Harry, inarcando le sopracciglia.
«Non ha avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui? Suo padre è il
capo di Gin6, mi ha detto che lui ha trovato una ragazza solo
recentemente e per qualche tempo mi sono convinto fosse Katie, anche se ora è
evidente che io mi sia sbagliato».
Hermione non riuscì ad impedire ad un sorriso
triste di curvarle le labbra. «No, non è Katie» ammise, voltando lo sguardo
verso il giardino sulla destra. Un piccolo gnomo stava emergendo da dietro un
ammasso di legna trascinando quella che sembrava essere una vecchia pala da
giardino. Non spettava a lei parlare di Katie e delle scelte che la vita
l’aveva portata a fare, soprattutto riguardo la sua vita privata. Che avesse
appena trovato un equilibrio era l’unico pensiero che riuscisse a confortarla,
per quanto complicata quella
situazione potesse essere.
«Sai, George e Angelina si sono sposati un mese
fa. Molly non ha fatto altro che lanciare frecciatine a me e Gin» le disse lui,
cercando disperatamente di cambiare discorso. Era sempre stato un po’ tardo
riguardo alcune questioni, ma era cresciuto molto negli ultimi due anni. Katie ne sarebbe stata devastata, scherzare
sul suo essere ingenuo era uno dei passatempi che la divertiva di più.
«Volevamo dirle che abbiamo deciso di sposarci una volta nati i bambini, ma
farle credere di doverci convincere a
fare il grande passo sembra occuparla abbastanza da non farla star male per…»
si fermò un istante, stringendo le labbra come se fosse stato indeciso se
continuare o no. «Beh, per Ron e te».
Il senso di colpa colpì Hermione come un pugno in
faccia. Doveva aspettarselo, la signora Weasley le era affezionata come se
fosse stata sua madre, doveva aver sofferto per tutta la durata di quei due
anni.
Sempre
che la promessa fosse stata mantenuta.
Cambiare discorso era sempre stata la sua
specialità, perché non farlo ancora? Era un avvocato, rigirare il discorso
doveva venirle naturale. «Hai detto i
bambini? Sono gemelli?7» chiese, con il tono più limpido di cui
fosse in possesso, trovando anche sufficiente faccia tosta da sorridere. «Ma è
meraviglioso! Conoscete già il sesso? Oppure volete una sorpresa?».
Harry annuì, alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo provato a scoprirne il sesso, ma a
quanto pare sono dei tipetti agitati che non vogliono farsi guardare. Per
quanto mi riguarda, preferirei delle bambine. Per quanto più complicate da
gestire, sono certamente meno pericolose dei maschi» spiegò, sbottando l’ultima parola come se fosse stata un
insulto. «Una replica di Fred e George mi farebbe perdere i capelli prima del
tempo ed io ho scommesso con Seamus di mantenere questa acconciatura almeno
fino ai trent’anni».
Seamus Finnigan, un Auror come lui.
«Credo proprio che i capelli resteranno sulla tua
testa per un bel po’ di anni» si lasciò sfuggire Hermione, con una risatina.
Ricordava benissimo il giorno in cui Ophelia le aveva mostrato le foto di
famiglia, indicandole con non poco orgoglio suo zio Fleamont – il nonno di Harry – che alla veneranda età di
sessant’anni ancora aveva una capigliatura da far invidia a qualunque ventenne.
«Quanto a Seamus, non credo si possa dire lo stesso. A me sembrava già
leggermente stempiato due anni fa».
«La situazione non è migliorata col tempo, anche
se adesso ha una barba che sembra voler compensare per i capelli».
Si guardarono per un lungo istante, mantenendo un
silenzio religioso, poi si ritrovarono a sorridere, sghignazzare ed infine a
ridere come dei matti per una mangiata di secondi. La tensione che si era
andata accumulando dal momento del loro secondo chiarimento aveva iniziato a
scivolare via, rimpicciolendosi fino a diventare solo una macchia alla base dei
loro cuori, pronta a saltar fuori nel momento di maggior debolezza.
Non era finita, nessuno di loro aveva dimenticato, ma erano pronti a
perdonare, seppur un po’ soltanto.
Il loro momento di ilarità venne brutalmente
interrotto da qualcuno che spalancava la porta e dal rumore di un piatto che si
schiantava violentemente al suolo. Quando si voltarono, Hermione si ritrovò a
fronteggiare il primo dei suoi tanti spettri del passato.
«Tu dovresti essere morta».
«Ancora no, come puoi notare».
«Sei viva».
«E tu sei incinta.
È un piacere rivederti, Ginny».
***
Era stato tutto molto più semplice di quanto Harry
avesse previsto. Negli scenari che si era ricreato, Ginny
avrebbe dovuto lanciarsi a terra e minacciare un aborto, oppure avrebbe dovuto
provare ad assaltare Hermione per ucciderla davvero, così da vendicarsi di
quello che le aveva fatto passare negli ultimi due anni. Se la prima
possibilità era stata fortunatamente scongiurata, poiché non sembrava che la
sua fidanzata fosse sul punto di svenire o scatenare l’inferno, la seconda
invece era ancora realizzabile, così come suggerivano i suoi occhi scuri quasi
incandescenti di furia.
«Sì, sono incinta.
Mi sarebbe piaciuto dirtelo per prima ma, sai, tu non eri reperibile» sbottò Ginny, le braccia
incrociate sopra il pancione ormai ben più che evidente. Non stava urlando,
cosa di cui Harry le era profondamente grato, ma non era neppure tranquilla.
C’era una strana piega all’angolo della sua bocca che compariva solo prima di
una sfuriata degna del libro degli annali tenuto da Fred e George. Inizialmente
raccoglievano solo il meglio di Molly
Weasley, ma man mano che Ginny si era fatta
grande, anche lei vi era finita, con occasionali comparse da parte di Fleur. Molti dei suoi interventi, tuttavia, non erano
raccontati con dovizia di dettagli a causa di evidenti limiti linguistici.
«Quindi sei viva».
Osservò Hermione stringere per un istante le
labbra, sorridendo con aria colpevole. «Sono viva. Molto viva, mi auguro»
rispose, osservandola da oltre le ciglia e sospirando. Sembrava quasi una
bambina che fosse stata messa in castigo. «Mi dispiace davvero di essere
sparita così» riprese, allungando la mano per poter toccare il braccio di Ginny, che sembrò irrigidirsi per un solo istante e poi
rilassarsi di nuovo. «Se avessi avuto altra scelta, non l’avrei fatto. Non ti
avrei lasciata senza dire nulla, maa…».
La donna dai capelli rossi la osservò in silenzio
per qualche istante, come a volerla soppesare, poi allungò la mano per posarla
su quella con cui lei gli stringeva il braccio. «Se anche avessi potuto
parlarmene, Hermione, non l’avresti fatto» le disse, quasi rassegnata,
facendosi avanti per poterla stringere a sé, come se quei due anni non ci
fossero mai stati, come se fosse stato tutto normale. Harry la vide chiaramente
sussurrare qualcosa che fece tremare Hermione, prima di spingerla a ricambiare
l’abbraccio e sussurrare qualcosa di rimando. Cosa si fossero dette non era
dato saperlo, ma qualcosa in lui gli suggerì che fosse meglio così, che forse
il fatto che avessero sussurrato fosse indicativo che quello scambio dovesse
restare un segreto.
«Mi dispiace tanto, Ginny»,
la voce di Hermione tremava, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia,
macchiandole la pelle di nero. La traccia venne subito spazzata via dalla sua
fidanzata, ridotta ad una cascata in pieno e tanto presa dal singhiozzare da
non riuscire quasi a riprender fiato. «Oh, ti prego, non voglio saperti
agitata, devi pensare ai bambini…».
Bambini.
Due.
L’ansia – la sua solita, vecchia amica – lo colpì
come un pugno allo stomaco, mentre Ginny si asciugava
il viso e sorrideva, rassicurando la sua migliore amica riguardo la sua
stabilità emotiva. Dopotutto, da quando era rimasta incinta si era ritrovata ad
avere una crisi al giorno ed i suoi piccoli soldatini sembravano ben più che
resistenti a quegli sbalzi. Dal canto suo, Harry non era pienamente d’accordo
con lei: il suo incubo ricorrente non faceva che dimostrargli quanto il confine
fra vita e morte fosse labile, quanto ogni cosa dovesse essere sempre considerata fragile, insicura.
Niente
era più incerto di una gravidanza.
«Hermione?».
Il momento di orribile silenzio che seguì
quell’esclamazione sembrò estendersi anche al cuore di Harry, che
improvvisamente smise di battere per l’orrore. Molly Weasley li osservava da
pochi metri di distanza, i capelli ormai di un arancione sbiadito raccolti in
una crocchia disordinata ed il solito grembiule da cucina sporco di quello che
doveva essere l’enorme insieme di piatti che aveva preparato per quella sera.
Il viso pallido della donna aveva assunto una brutta tonalità verdognola,
mentre i suoi occhi – completamente sgranati e dello stesso colore caldo di
quelli di Ginny – si riempivano di quelle che erano
inevitabili lacrime. Tutti e tre la osservarono portarsi una mano alla bocca,
quasi a trattenere un urlo, e poi voltarsi di scatto verso l’orologio appeso
proprio davanti alla porta d’ingresso. Era lo stesso che era sempre stato in
cucina, con le punte che indicavano ogni membro della famiglia e la sua
condizione al momento. Quella di Hermione era fissa su morte8, come lo era stata da due anni a quella parte.
«Mamma… forse è meglio che tu vada a sederti»
provò a dire Ginny, facendo qualche passo nella sua
direzione, le mani avanti come a volerla afferrare nel caso fosse caduta. Sua
madre la osservò come se non fosse capace di riconoscerla, alternando lo
sguardo fra lei ed Hermione e puntandolo, dopo qualche secondo, su Harry
stesso, che ancora una volta nella sua vita si sentì perfettamente inutile.
«Tranquilla, mamma, va tutto bene. È lei, sta bene, hai visto? Sta bene, non
sei contenta?».
Hermione sembrava fremere, bloccata tra quello che
doveva essere l’impulso di avvicinarsi ed aiutare e quello che Harry sperava
fosse istinto di sopravvivenza, cioè l’istinto di scappare il più lontano
possibile da quel luogo pieno di gente che avrebbe provato un sacco di rancore
verso di lei.
«Hermione?» ripeté ancora la signora Weasley, la
mano sul cuore, ignorando completamente la sua più che preoccupata figlia,
tutta presa a farle aria. Sembrava aver cambiato tonalità, dal verde era
passata ad un giallognolo tendente al rosato, un po’ più sano ma non perfettamente sano. Non sembrava più sul
punto di vomitare ma, piuttosto, sul punto di avere un infarto. «Sei davvero
tu? Sei viva?».
«Sono io, signora Weasley». Sconfiggendo quello
che doveva essere l’istinto a scappare, Hermione accennò un lievissimo sorriso,
facendo un paio di passi avanti. «Mi dispiace. So di averlo già detto a
chiunque, ma mi dispiace davvero»,
complice il picco emotivo di poco prima, la giovane aveva già ricominciato a
piangere. «Avrei voluto parlarne con tutti voi, ma non potevo. Ogni giorno pensavo di mandare una lettera, un patronus… ma non
potevo, non avevo scelta, mi creda» esalò, allungando la mano nella sua
direzione, quasi tremando. La stava guardando con quella che poteva sembrare
disperazione, sul punto di crollare per la prima volta in due anni.
Molly Weasley restò a fissarla in silenzio per
quelli che sembrarono anni, fissando la mano che le aveva allungato come se
fosse stata fatta di fiamme pure. Intorno a loro si erano radunati gli altri fratelli
Weasley, con Fleur, Victoire
e Angelina, mentre il signor Weasley, seppur in una posizione che gli
consentiva di osservare il tutto, restò seduto, forse preoccupato che le gambe
non gli reggessero. Quando la donna si accigliò, tutti si accigliarono con lei,
preoccupati che potesse significare qualcosa di parecchio grave riguardo la sua
salute fisica. Harry stesso, ricordando le lezioni di primo soccorso
dell’Accademia, iniziò ad elencare i vari incantesimi che sarebbero potuti
tornare utili in caso di infarto o aneurisma.
«Oh, bambina mia» il tono di Molly era angosciato,
ma anche terribilmente sollevato, come se qualcuno le avesse tolto un enorme
peso dal cuore. Si liberò velocemente della stretta di Ginny,
avvicinandosi a passo di carca ad Hermione, così da poterla stringere in un
abbraccio a dir poco soffocante. «Povera, povera piccola. Cosa ti hanno fatto?»
le domandò, accarezzandole la schiena come se lei fosse stata una bambina
piccolissima in cerca di conforto e non un membro di una delle squadre di
difesa magica più pericolose mai esistite. Sconcertante, tuttavia, fu la
reazione di Hermione, che si abbandonò a quella stretta come se da quella fosse
dipesa tutta la sua vita.
«Mi hanno salvata» le rispose, allontanandosi quel
poco che le servì per potersi asciugare il viso con la manica della giacca.
Tutto il contegno, tutta la sua forza erano spariti nel nulla. «Mi dispiace di
essere andata via, mi dispiace davvero».
Il modo in cui Molly le sorrise fece sciogliere il
cuore di Harry, che si sentì improvvisamente di troppo in quella scena tanto
intima.
«Adesso sei tornata, il resto non conta».
***
La famiglia Weasley aveva reagito molto meglio del
previsto, Hermione non poteva che esserne felice. Oltre la signora Weasley e Ginny, gli altri sembravano ancora particolarmente restii a
fidarsi completamente di lei ed il loro atteggiamento guardingo ne era la piena
dimostrazione, tuttavia Hermione sentiva di non potersi lamentare. Forse George
non aveva preso per i fondelli la sua nuova acconciatura e Bill non le aveva
permesso di prendere in braccio Victoire, ma per il
momento le andavano bene anche occhiate circospette e sorrisi forzati.
Era già abbastanza fortunata a non essere stata
fulminata sul posto.
Le avevano chiesto molto poco del suo lavoro o del
perché fosse tornata solo in quel momento, probabilmente a causa di qualcosa
che Harry doveva aver accennato mentre lei veniva trascinata al piano di sopra
dalla signora Weasley, che non era certo intenzionata ad attendere altro tempo
per ottenere le risposte che per anni aveva dovuto costruire da sé. Era stata
piuttosto comprensiva, per quanto l’idea di una squadra di assassini in giro
per il Regno Unito non la entusiasmasse affatto. Pur borbottando sulla
pericolosità della situazione, le aveva detto che avrebbe mantenuto un livello
di apprensione sufficiente adatto ad una madre, così da poter rendere onore
anche alla signora Granger9.
Buffo,
Hermione non aveva ancora pensato ai suoi genitori e l’idea di andare a
trovarli non sembrava volerla tentare neppure un po’. Ma, dopotutto, non erano
più i suoi genitori, aveva rinunciato a loro da più di un anno e mezzo.
Finita la chiacchierata cuore a cuore con la
promessa – da marinaio, non poteva certo mantenerla – di non mettersi nei guai
e di pensare a se stessa prima che a qualunque missione, era stata costretta a
sedere al suo fianco durante tutta la cena, scambiandosi occhiate complici con Ginny, tutta presa dal farle sentire ogni movimento dei
gemellini, e con Harry, che invece sembrava sobbalzare quasi spaventato ad ogni
squittio della fidanzata.
Quando Fred la raggiunse, si era riparata in
cucina per sfuggire alle occhiate di tutti gli altri fratelli e poter respirare
un po’ in tranquillità, senza che qualcuno temesse che potesse esplodere o
sparire nel nulla.
«E così sei tornata» le disse, tirando fuori
un’espressione contrita che sarebbe stata perfetta
per un becchino durante un funerale. Sembrava urlare sentite condoglianze a distanza di chilometri, davvero
impressionante. «Sai, mi aspettavo un po’ di effetto nebbia, qualche fuoco
d’artificio, uno sventolio di mantelli… mi hai molto deluso».
L’istinto di alzare gli occhi al cielo tornò così
prepotente che lei non riuscì a fermarlo e, con quello, tornò anche la volontà
di ridacchiare. «Non lo sai? Le Banshee non hanno bisogno di tutta questa
sceneggiata, sono da urlo anche al
naturale».
Portandosi una mano al cuore, Fred si finse
sconvolto. «Una battuta? Tu non sei
davvero il Prefetto-Perfetto Granger! Chi sei? Quando l’hai sostituita?»
indagò, fissandola ad occhi socchiusi nella parodia di uno sguardo inquisitore.
Oppure di Percy senza occhiali, era difficile
distinguere fra le due possibilità.
«Quando passi tutto il tuo tempo fra scartoffie e
criminali, impari a godere anche del più piccolo istante di vita che hai» si
giustificò lei, stringendosi nelle spalle e sorseggiando, poi, un po’ di tè
dalla tazza. Era quella che lei stessa aveva portato alla tana prima del
matrimonio di Bill, quella che aveva acquistato a Nizza con i suoi genitori.
Fred sembrò non voler condividere la sua allegria,
perché tornò improvvisamente serio e si fece avanti, fronteggiandola a
sufficiente distanza da doversi piegare leggermente sulle ginocchia per poterla
guardare negli occhi. «Sei sicura?».
«Di cosa?».
«Di apprezzare la vita, Hermione». Il modo in cui
pronunciò quelle parole le fece stringere il cuore. Stralci di ricordi confusi,
di lacrime e urla, di sangue ed incertezze, si affacciarono nuovamente alle
soglie della sua memoria, facendole abbassare gli occhi, nonostante lui fosse
immediatamente pronto a costringerla a risollevarli, portandole la nocca
dell’indice sotto al mento. «Allora? Noi due avevamo un accordo, mi pare».
«L’accordo è stato rispettato, non temere» lo
rassicurò, sorridendo con gentilezza e puntandogli l’indice in mezzo agli occhi
per spingerlo indietro e farlo allontanare. Sorrise di più, quando barcollò, ma
non si scompose. «A quanto pare il mio Grillo Parlante aveva ragione».
Un sorrisino soddisfatto incurvò le labbra del
giovane davanti a lei, che le diede un colpetto incoraggiante sulla spalla.
«Come disse Merlino… io ho sempre
ragione».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
La signora Weasley
penso sia morta un paio di volte e sia tornata in vita. Lanciamo l’hashtag #MollyWeasleyIsTheNewGoku.
Punti importanti:
» 1
– A quanto pare la cecità è ereditaria, ma non dal lato “Potter” della
famiglia. Ophelia, come Harry, James e come la madre di lui è più cieca di una
talpa! Non indossa gli occhiali, di solito, perché il lavoro le impone le lenti
a contatto!
» 2
– Ophelia e Barry si sono incontrati durante il Torneo Tremaghi
(lui era nel gruppo che ha portato i draghi a scuola, con Charlie Weasley) e
non si sono più lasciati, in un certo senso. Per quanto lei abbia cercato di
non cedere alle sue avance, lui praticamente l’ha seguita ed è diventato un
Banshee, esasperandola finché lei, un anno dopo, non ha accettato di sposarlo.
» 3
– Momento albero genealogico: la madre di James Potter – Euphemia
Penderghast Potter – era la sorella del padre di Ophelia, cosa che rende lei la
cugina di primo grado di Harry. I
Penderghast hanno provato a farsi affidare Harry, ma la parentela di Petunia
era molto più stretta e Silente avrebbe comunque fatto di tutto per farlo
restare dai Dursley.
» 4
- Ophelia era già una banshee da un paio d’anni e si trovava al Torneo Tremaghi perché c’era già il sospetto che qualcuno si fosse
spacciato per Malocchio Moody. Non è intervenuta
perché, ovviamente, non poteva farlo finché i suoi capi non le avessero
affidato la missione. È stata lei, con un paio di altri colleghi, a consegnare Barty Jr ai dissennatori.
» 5
– Cerchiamo di essere chiari, io non credo che un’atleta che abbia un figlio
debba rinunciare al suo sport dopo aver partorito o che non possa tornare dopo
un paio di mesi. Il Quidditch, tuttavia, è uno sport estremamente pericoloso ed
è naturale che lei debba aspettare molto di più.
» 6
– Il padre di Oliver Baston, per quanto mi riguarda, è il Capo Redattore
della sezione sportiva della Gazzetta, quindi il capo di Ginny.
Ovviamente suo padre deve avere a che
fare con il Quidditch,
» 7
– Ta-daaaaaan. Mandiamo al diavolo il canon, sorpresa fino alla fine.
» 8
– Secondo me durante la ricerca dei Doni all’orologio sono stati aggiunti anche
Harry ed Hermione. Perché la lancetta di Hermione era fissa su morte se lei era
viva? Perché Fred, che sapeva tutto,
lo ha incantato per rendere tutto più semplice.
» 9
– Cosa è successo ai Granger? Non sono morti, ma l’incantesimo di memoria di Hermione
non è mai passato davvero e in poco meno di una settimana di assenza della
figlia sono ritornati a non avere idea di chi lei fosse. Non sono morti, ma non
ci sono più. Che schifo la vita.
Fred Weasley come grillo
parlante.
Non potevo solo resuscitarlo, doveva tornare col botto! Io lo adoro. Lo
adorerete anche voi.
Causa esami lunedì
prossimo salterà l’aggiornamento! Mi prenderò qualche giorno di pausa, magari
per scrivere qualcosina di diverso, ma vi aspetto tutti fra due settimane!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie