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Autore: Emmastory    11/02/2017    2 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo VI

Il cuore e la famiglia

I giorni continuavano a passare, e mentre continuare a mantenere la calma che tanto agognavo diventava sempre più difficile, io facevo del mio meglio, concentrandomi principalmente su Rose e Terra. Erano le mie bambine, e sapevo bene che non sarebbero rimaste piccole per sempre, ragion per cui, tentavo di passare più tempo possibile al loro fianco, così che nonostante tutto potessero avere un’infanzia pura e normale. Dopo quanto era accaduto, ero certa che Terra avesse ormai parzialmente se non addirittura interamente sacrificato la sua nel giorno in cui mi aveva salvata, ma nonostante tale consapevolezza, non potevo evitare di sentirmi orgogliosa di lei. Sin da quel fortunato giorno, lei mi ha fatto una promessa. Proprio come suo padre, ha promesso di provare a proteggermi. Un pensiero lodevole, che le fa davvero onore, e che ricorderò finchè in me aleggeranno un’ombra di forza e vita. Ora come ora, sono comodamente seduta alla mia piccola scrivania, intenta ad aggiornare quello che considero il mio diario. L’ho letteralmente creato da sola servendomi di carta, ago e filo, così come di una fida biro nera. Non lo tocco ormai da tempo, ma ci annoto praticamente qualunque cosa mi accada. Inutile è dire che ci scriva anche dei miei sogni e delle mie speranze, fra le quali, come ripeto spesso sapendo che non mi stancherò mai di farlo, si annovera e compare, ogni volta che chiudo gli occhi, il desiderio di tornare a vivere ad Ascantha. Una città non molto lontana da Aveiron, che seppur per un breve periodo di tempo, ci ha dato modo di vivere serenamente, lontano dal dolore, dal sangue e dalla minaccia dei Ladri. Esseri spregevoli che abbiamo sconfitto una volta, ma che quasi sicuramente, ricordando tale avvenimento, si rifaranno vivi. Ad essere sincera, spero davvero che non accada, e mentre il tempo passa, e il nero inchiostro della mia penna rimane impresso fra le pagine del mio diario, macchiandomi saltuariamente le mani, un ricordo si fa spazio nella mia mente. Alisia. Mia sorella, che come avevo capito in quel freddo giorno d’inverno, poteva anche non esserlo. Avendola sempre avuta accanto per moltissimo tempo, sin da quando non eravamo che bambine, l’ho sempre considerata tale, ma proprio ora, questo dubbio si insinua nella mia mente. Ancora una volta, il buio ha iniziato a farmi compagnia, e accendendo una piccola lampada, continuo a scrivere. Come molti miei amici sanno, farlo mi aiuta a calmarmi, ed è a mio avviso molto rilassante. Non nego che facendolo a volte sento il bisogno di piangere, e quando accade, non tento di fermare le lacrime. In fin dei conti, piangere fa bene tanto quanto ridere, e dati i miei trascorsi, ho avuto modo di imparare che per quanto profondo, il dolore è sempre passeggero. È ormai quasi ora di andare a dormire, e poco prima di andare a letto, Terra ha bussato alla porta della mia camera. Voleva darmi la buonanotte. Lasciandola pazientemente fare, aprii la porta, notando che portava con sé il suo disegno. L’aveva rivoluto indietro al solo scopo di modificarlo, e a quanto sembrava, ora voleva farmelo vedere. Regalandole un luminoso sorriso, lasciai che me lo mostrasse, e in quel preciso istante, lo notai. L’aveva firmato, ma quella non era l’unica differenza. Guardandola senza capire, attesi per qualche attimo, e stringendomi in un delicato abbraccio, la piccola mi sussurrò qualcosa. “Puoi tenerlo.” Mi disse, riferendosi al suo infantile ma bellissimo schizzo. Non volendo altro che renderla felice, le sorrisi, e appena un attimo dopo, le diedi la risposta che sapevo aspettava di sentire. “Lo terrò al sicuro.” Le dissi, abbracciandola a mia volta e deponendole un bacio in fronte. “Adesso va a dormire.” Le consigliai poi, con voce calma. “Non ci riesco.” Piagnucolò, guardandomi con gli occhi lucidi e sperando nel mio aiuto. Provando istintivamente pena per lei, la presi per mano, e accompagnandola nella cameretta che Lady Fatima le aveva assegnato, la aiutai a infilare la sua camicina da notte. “Vuoi un pò di latte?” le chiesi, ben sapendo che quella salutare bevanda le conciliava il sonno quando era più piccola. Il tempo stava passando, e benché avesse solo cinque anni, sentivo che un giorno sarebbe diventata una vera donna. Una guerriera, proprio come lei voleva e sognava. “Voglio fare del bene.” Aveva detto nel giorno di quella pericolosa battaglia, dalla quale ero uscita viva solo grazie a lei. Così, con quel ricordo in mente, sorrisi leggermente, e solo allora, la voce della mia piccola ruppe il silenzio creatosi fra di noi. “Non trovo Ned e Bunny.” Si lamentò, guardandomi con aria triste e spaesata. “Sta calma, saranno qui nella tua stanzetta.” Provai a rassicurarla, guardandomi poi intorno e andando silenziosamente alla ricerca dei suo due amati pupazzi. Un orsetto e un coniglio di pezza, con cui giocava moltissimo, e che custodiva gelosamente. Erano lì, caduti dal piccolo scaffale dove li teneva, ma non avendoli visti, la bimba li credeva persi. Abbassandomi, raccolsi entrambi quei peluche dal pavimento, e riavvicinandomi poi al suo letto, glieli diedi indietro. “Ecco, sono qui. Ora dormi, tesoro mio.” Le dissi, avendo in quel momento la gioia di vederla sorridere. “Grazie.” Soffiò poi, poco prima di chiudere gli occhi e rigirarsi nel letto. Nel farlo mi diede le spalle, e vedendola sbadigliare, capii che non mancava molto. Augurandole ancora una buona notte, spensi la luce, e chiudendo lentamente la porta, la lasciai dormire. Subito dopo, andai a letto a mia volta, ma faticai a dormire. Quella sera, qualcosa non quadrava. Sapevo bene dell’esistenza di una remota possibilità secondo la quale io e Alisia potevamo non essere legate dal sangue, e nonostante avessi tentato di convincermi che la cosa non aveva la minima importanza, ora scoprivo che era il contrario. Tutto sembrava andar bene, ma sentivo di dover conoscere la verità. Avevo a lungo provato a negarlo, ma non ci riuscivo più. Ora come ora, il mio animo sembra diviso in due. Una parte è dedicata ai miei sentimenti e al mio cuore, e l’altra, alla mia grande e allargata famiglia.  
   
 
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