Cap.24 L’inganno.
Niente
è più facile che ingannare sé stessi.
L’uomo crede vero tutto ciò che desidera.
Demostene
“Non abbiamo alcuna
autorità per fare quello che chiedi Dursley.” disse Neville Paciock scuotendo
la testa.
“Ma professore!
Quell’uomo è un mostro, lo ha massacrato di botte per riuscire a trascinarlo
via di qui con la forza. Lo ha costretto!” esclamò esterrefatta Angelique.
“Quell’uomo è suo padre.
Ha la sua tutela legale fino alla maggiore età di Derek. Può decidere di
ritirarlo dalla scuola se lo ritiene giusto.” la interruppe il professore.
Angelique scattò in piedi
sbattendo entrambi i palmi contro la cattedra dell’ufficio del Direttore di
Grifondoro.
“Questo luogo dovrebbe
proteggerci! Questa scuola non dovrebbe permettere che accadano cose simili
sotto il naso di tutti.” esplose Angie in preda alla disperazione. “Lei non ha
visto… Non può capire.”
Le sopracciglia di
Paciock scattarono verso l’alto e la osservò per un lungo istante prima di
rispondere.
“Comprendo la tua rabbia
Angelique, credimi. So che cosa significhi vedere persone a noi care soffrire
orribilmente, venire torturate persino, senza che si possa alzare un solo dito
per aiutarle.” e il tono accorato con cui parlò le fece ricordare che il
professore che le stava davanti aveva affrontato una guerra sanguinosa e
tremenda. Una guerra che aveva segnato una generazione intera. “Purtroppo però
ho le mani legate. Se avessi visto personalmente il signor Schatten agire come
mi hai raccontato, potrei denunciarlo al Wizengamot.”
“Ma l’ho visto io! E
inoltre ha attaccato anche me.”
“Tu Angelique non sei un
testimone attendibile per una corte giudiziaria che debba togliere dalla tutela
di un padre il figlio. Sei minorenne e sei la sua fidanzata. Senza tralasciare
che la corte di cui parliamo è presieduta dal padre della ex fidanzata di
Derek.” rispose Paciock con sincero dispiacere impresso nel suo viso tondo.
“Quindi Hogwarts permette
che i suoi studenti vegano attaccati, percossi e rapiti all’interno delle sue
mura?” chiese fredda Angelique puntando i propri occhi in quelli nocciola e
calmi del professore. Quando non ebbe alcuna risposta da parte sua aggiunse con
amarezza: “Non dovrei stupirmi, infondo è già successo un numero imbarazzante
di volte.”
“Signorina Dursley la
pregherei di moderare i toni.” l’ammonì Paciock nettamente più freddo di quanto
non fosse stato fino a quel momento.
Angie si staccò dalla
cattedra e raddrizzò le spalle.
“La ringrazio per il suo
tempo. Non la disturberò più.” replicò con tono piatto.
Fece un cenno di saluto
con la testa e uscì rapidamente dallo studio senza attendere la risposta del
professore. Camminò stordita e svuotata nel corridoio, sentendo le caviglie
venir lambite dalle sottili correnti gelide e le sembrò che si insinuassero
anche sotto la sua pelle. Automaticamente prese la via della discesa verso la
sua Casa, tagliando per le Scale Mobili.
Non aveva alcun senso in
quel caso fare appello all’autorità della Preside. Paciock era stato chiaro. La
speranza che almeno il Direttore della Casa di Derek potesse fornirle un supporto
si era volatilizzata tra le sue mani.
Angie si accasciò sulle
scale di pietra, che proprio in quel momento decisero di cambiare rotta, e le
venne una gran voglia di piangere.
Non aveva idea di che
cosa fosse successo a Derek, non poteva raggiungerlo dove Kurt Schatten lo
stava tenendo in ostaggio, non aveva nessuno dei suoi amici con cui sfogarsi,
aveva persino dimenticato le sigarette in dormitorio!
Angie respirò a fondo
una, due, tre volte. Espanse la cassa toracica fino alla soglia del dolore e
poi lasciò fuoriuscire l’aria lentamente, calmando il panico che voleva a tutti
i costi esploderle in petto.
Gli occhi tornarono
asciutti e le sue mani smisero di tremare in modo incontrollato.
Le servivano carta e
inchiostro.
***
Scorpius richiuse la
lettera, che Caliel il gufo di Angelique gli aveva consegnato, con
un’espressione perplessa.
Gli sembrava vagamente
delirante nel complesso, anche se non c’era nemmeno un errore di ortografia.
Leggendola aveva avuto la sensazione di trovarsi davanti Angelique che
gesticolava animatamente e si strappava le pellicine dal labbro inferiore,
farneticando su rapimenti e torture.
Non avrebbe mai dubitato
della sua parola, solo che conoscendola tanto bene sapeva perfettamente che
aveva la tendenza a diventare tragica. Non come Nana, ma comunque parecchio.
Dalla data riportata
sulla lettera erano già passati un paio di giorni da quando Angie gli aveva
scritto; probabilmente il povero gufo, che ora riposava nella gabbia messagli a
disposizione, aveva percorso in lungo e in largo l’Inghilterra per recare
missive. Sperava che Angie avesse avuto la decenza di mandare un altro gufo in
Irlanda da Martha per evitare di stremare il suo animale domestico.
Il giovane Malfoy si
passò una mano sul mento e rifletté un istante sulla situazione che si stava
delineando nella sua mente.
Aveva sentito cose
parecchio diverse da suo padre, voci di corridoio che Draco raccoglieva
silenziosamente e che riferiva alla moglie, inconsapevole che suo figlio usasse
le Orecchie Oblunghe da quando aveva dodici anni. Voci che parlavano di
riconciliazione e chiarimenti, non certo di pestaggi e coercizione.
Mancavano altri due
giorni a quando Angie li avrebbe potuti raggiungere. Doveva scoprire quanto
possibile su quella storia controversa e cercare di aiutare la sua amica,
quindi doveva assolutamente fare un nuovo ordine prioritario a I Tiri Vispi
Weasley.
***
Angelique non riusciva a
mangiare quasi niente, non riusciva a studiare, beveva solo quando sentiva la
bocca riarsa. In compenso scriveva.
Aveva scritto almeno una
ventina di lettere, fumando come una ciminiera.
Cinque per i suoi amici,
le cui risposte erano state rapidissime e piene di angoscia per lei, o di
pacato stupore nel caso di Al, una per i suoi genitori e quindici o più
indirizzate a Derek. Queste si erano ridotte sempre di più in lunghezza fino a
un paio di righe di minacce di morte se non avesse risposto immediatamente.
Non aveva ancora ricevuto
nulla da lui.
Non un solo segnale di
vita in quattro giorni di ansia e incubi su che cosa gli fosse potuto
succedere.
Le sue mani erano
macchiate di inchiostro tanto che temeva non sarebbero più venute pulite per un
bel po’. Il suo viso aveva un aspetto tale per cui Dominique avrebbe urlato se
solo l’avesse vista conciata così e sarebbe corsa a prendere le sue schifezze
alla papaya per curarla.
Non aveva più aperto
libro, incapace di pensare agli incantesimi da memorizzare o alle pozioni da
perfezionare. Sarebbe stato un macello il ritorno a scuola.
L’unico sollievo in quei
giorni era stata la compagnia costante e rassicurante di Hagrid, a cui aveva
risparmiato i dettagli, ma sulla cui spalla aveva pianto con tanto di
singhiozzi.
Non avrebbe mai pensato
di trasformarsi in un essere tanto lacrimevole, ma nei momenti di massima
frustrazione il pianto era l’unica valvola di sfogo, oltre al distruggere cose
a caso lanciando Bombarda a destra e
a manca, che era decisamente più pericoloso.
E Hagrid come sempre era
stato in grado di rassicurarla, dicendo che avrebbero trovato il modo di
sistemare tutto; che finché ci si voleva bene c’era speranza.
Speranza.
Di questo si nutriva in
realtà, attendendo il momento in cui le fosse stato concesso di sapere.
Se la realtà fosse stata
truce la metà delle ipotesi che prendevano vita nella testa di Angelique già
sarebbe stato un incubo.
Quando chiudeva gli occhi
e cercava di riposare, perché dormire sembrava fuori questione, rivedeva il
manrovescio con cui Kurt Schatten aveva colpito il figlio, rivedeva le poche
gocce di sangue fuoriuscite dal suo labbro spaccato cadere sul selciato
innevato. Rivedeva sé stessa, immobilizzata dalla sua stessa stupidità,
impotente ad assistere.
Accolse quindi l’avvento
del 31 dicembre con sollievo, grata di poter finalmente vedere i suoi amici.
L’ufficio della
Blackthorn era come sempre minimale, con tutte le boccette di pozioni e
distillati perfettamente ordinati. Angelique dandosi un’occhiata intorno con la
consueta ammirazione per la precisione della professoressa si chiese se la
donna che le stava davanti aveva già scoperto la Pozione Polisucco fasulla che
se ne stava a decantare in uno dei suoi preziosi contenitori.
Gli occhi blu profondo
della Blackthorn si posarono su di lei non appena ebbe finito di sistemare la
Metropolvere, che l’avrebbe condotta tramite il camino nel salone principale
del Manor.
“Dursley sei consapevole
che quella di stasera è un’eccezione più unica che rara?” le chiese con
l’usuale timbro chiaro e severo nella voce.
Angie annuì e si passò la
piccola valigia, preparata la sera prima, da una mano all’altra.
“La ringrazio davvero per
avermi dato il permesso di raggiungere i Malfoy.” la voce le tremò appena ma
tanto bastò per tradire la sua posa sicura, nonché gli effetti Tonico
Miracoloso alle rose di Dominique, che le aveva cancellato le occhiaie. Gli
occhi della Blackthorn si piantarono sul suo viso e dopo una rapida
ricognizione parvero comprendere molto più di quello che Angie si augurava che
trasparisse.
Lo sguardo si assottigliò
leggermente ma la donna non aggiunse altro.
Un fuoco verde dalle
lunghissime lingue divampò all’istante nell’ampio caminetto, vi comparve anche
il volto affilato e leggermente stempiato di Draco Malfoy. Il collegamento tra
i due camini era stato concluso con successo evidentemente.
“Buona sera Beatrix, la
mia ospite è pronta?” chiese l’uomo con tono uniforme e cortese.
“Buona sera a te, Draco.
Angelique?” il busto flessuoso della donna si torse verso di lei osservandola.
Angie rimase stupita dai
toni confidenziali con cui comunicavano i due, ma scrollò le spalle e annuì
decisa. Non vedeva l’ora di abbracciare Al e lasciarsi invadere dalla sua calma
razionale, voleva passeggiare con Scorpius e ascoltare i suoi racconti sulle
novità del mondo magico. Aveva un bisogno spasmodico dei suoi amici.
Fece per entrare nello
spazio dietro l’ampia architrave di granito, ma un contatto inaspettato la fece
bloccare. La professoressa di pozioni le aveva posato una mano sulla spalla,
con la presa salda delle dita attorno alla sua articolazione, come un saluto.
Angelique la guardò stranita e quella le restituì uno sguardo di zaffiro
fermissimo, per poi lasciarla andare come se nulla fosse.
Entrò nel fuoco, non
prima però di aver visto la donna osservarla con un vaga sfumatura di
preoccupazione.
***
Gli si schiantò quasi
addosso non appena uscì dal caminetto, sporca di fuliggine, coi capelli tanto
arruffati da sembrare una balla di fieno. Scorpius sostenne l’abbraccio
impetuoso e vagamente destabilizzante di Angelique, accogliendola tra le
proprie braccia. Profumava del suo shampoo e della sua pelle, in un miscuglio
di fiori che solo lei aveva.
“Oddio che bello
rivederti!” esclamò la ragazza stringendolo ancor di più e affossando il viso
nel suo maglione.
Scorpius si limitò a
ricambiare la forza della stretta, percependo che la tensione nelle spalle
della ragazza andava diminuendo di istante in istante. Dall’altro capo della
stanza Albus osserva la scena con un libro di diritto rilegato in pelle nera
stretto tra le dita. Troppo stretto.
Quando Angelique si
staccò da lui ebbe modo di verificare coi propri occhi il risultato di quattro
giorni passati da sola, in balia delle sua mani impietose.
Il labbro inferiore era
screpolato dalle pellicine e spaccato in più punti, dove il sangue ormai
coagulato lasciava delle ombre più scure sulla pelle martoriata. Anche il
superiore sembrava aver subito assalti simili.
Le sue dita, di solito
curate per evitare che spiacevoli inconvenienti le impedissero di suonare,
erano rosicchiate fino alla carne. Gli occhi erano cerchiati dalla vaga
sfumatura scura che testimoniavano tutta l’inquietudine di quei giorni. Era,
nel complesso, uno straccio.
“Angelique…” sussurrò, ma
quando gli occhi verdi un po’ a mandorla trovarono i suoi con sguardo
colpevole, un paio di mani lo scostarono con risolutezza dalla ragazza.
Astoria Malfoy prese per
le spalle Angie, l’abbracciò, la scostò da sé e poi la scrollò lievemente con
grazia, tutto nell’arco di un unico movimento fluido ed elegante.
“Dimmi tesoro, lo hai
finalmente perdonato?” le chiese con gli occhi scuri che brillavano di
felicità.
“Eh?” chiese di rimando
Angie non afferrando la situazione.
A Scorpius, purtroppo,
era fin troppo chiara.
“Vi ho visti abbracciarvi!
Pensavo che magari lo avessi perdonato per qualunque cosa ti avesse fatto
l’anno scorso e che ora…” la voce di sua madre venne interrotta da quella di
Angie in evidente imbarazzo.
“Astoria, non so come
dirglielo… Mi dispiace davvero, ma io e suo figlio non siamo altro che amici. E
non è mai stata colpa sua, sono stata io a spingerlo ad allontanarsi.”
Angelique chiamava per nome i suoi genitori ma non era mai riuscita a valicare
la barriera della formalità, per cui usava ancora il “lei”.
“Oh…” il tono di Astoria
denotava la perdita di entusiasmo con cui si era fiondata addosso alla ragazza.
“Beh immagino che allora non ci sia proprio più niente da fare, vero?”
Scorpius non poteva
vedere l’espressione della madre nella sua interezza, visto che riusciva solo
ad osservarla di profilo, ma avrebbe scommesso dieci galeoni che era la
classica espressione da cucciolo ferito con cui riusciva a far fare a suo padre
qualunque cosa. Compreso mangiare la trippa.
“Io… Eh… Mi dispiace
tanto.” pigolò la ragazza sgranando gli occhi verdi in un’espressione
sinceramente addolorata.
“Astoria, lascia andare
quella povera ragazza.” la voce leggermente strascicata di Draco dominò la
stanza.
“Ma Draco…” protestò sua
madre voltandosi appena e riservandogli un’occhiataccia per aver interrotto la
sua opera di convincimento.
“I ragazzi hanno preso la
loro decisione, cara. Credo che abbiano fatto la scelta migliore per loro
stessi e sono anche riusciti a restare amici.” Draco avanzò camminando ben
eretto e rivolgendo un cenno di saluto ad Angie, accompagnandolo con un sorriso
sincero.
“Sono giovani e, in
quanto tali, stupidi! Senza offesa tesoro…” aggiunse con un’occhiata rapida ad
Angie. “Sono obnubilati dagli ormoni, non sanno quello che fanno.” continuò con
tono estremamente ragionevole la donna, come se stesse spiegando una questione
particolarmente spinosa a un bambino di tre anni. In tutta la diatriba non
aveva ancora spostato le mani dalle spalle di Angie.
Draco le rivolse un mezzo
sorriso con un occhiata obliqua, in cui si racchiudevano anni di comunicazioni
condensati in una semplice posa silenziosa. Astoria sospirò pesantemente e
rivolse uno sguardo di rimpianto estremamente teatrale alla ragazza davanti a
lei.
“Questa casa sarà sempre
aperta per te.” si chinò su di lei e le diede un bacio con schiocco sulla
guancia.
“Madre…” la richiamò
anche lui esasperato dall’esagerazione con cui la donna sembrava prendere la
situazione. Draco prese per mano la moglie e la condusse con garbo verso il
salone che stava subendo le ultime modifiche in vista della festa.
“Ti avrei regalato i
rubini di nonna Black, sarebbero stati perfetti su di te!” aggiunse Astoria
voltandosi verso di lei mentre i suoi passi la conducevano fuori dalla stanza.
“Madre!” esclamò Scorpius,
ma proprio mentre la donna usciva la vide sogghignare.
Nessuna meraviglia che
anche sua madre a Hogwarts fosse stata una Serpeverde. Se lo desiderava sapeva
essere decisamente più astuta e subdola di tutta la famiglia Malfoy messa
insieme.
“Non gli hai detto come
sono andate le cose?” la voce di Angie era poco più di un sussurro.
Scorpius si strinse nelle
spalle e scosse lievemente il capo.
“Non erano questioni che
li riguardassero. Hanno saputo l’essenziale.”
“Immagino sia per questo
che ha ancora una così alta considerazione di me.” ribatté Angelique serrando
le labbra di una piega amara, ma quel gesto le causò un lieve sussulto per
l’apertura di una delle minuscole ferite che si era autoinferta.
“Ce l’avrebbe anche se ti
dovesse aiutare a sotterrare un cadavere, Angie. Ti vuole bene, davvero.” disse
lui semplicemente.
Angie non rispose perché
in quell’istante i suoi occhi avevano trovato dall’altro capo della stanza i
propri gemelli.
I due si andarono in
contro in simultanea. Nel momento in cui si abbracciarono Scorpius poté notare
le mani di Al cingerle la vita con forza, il viso di Angie distendersi
finalmente, non più contratto nello sforzo di nascondere il dolore, che ora
trapelava da ogni tratto delicato, le loro braccia adattarsi perfettamente l’une
alle altre. Il corpo di Albus si chiuse su quello di lei cercando di trarla più
vicino possibile a sé e contemporaneamente Angelique si abbandonò del tutto
contro di lui. Le ginocchia le cedettero e Al la sostenne, sollevandola di
qualche centimetro da terra.
Nessuno al mondo avrebbe
potuto comprendere Angelique come Albus. E questo dato di fatto si manifestava
anche da come lui sapeva, per istinto o per ragione non avrebbe saputo
definirlo, lui sapeva sempre comportarsi con lei. Sembrava che qualcosa nella
remota linea di genoma che condividevano li unisse con trame invisibili.
La blanda gelosia che
aveva provato i primi tempi per quel legame così estraneo alla sua natura era
presto stato sostituito da una consapevolezza molto più rassicurante.
Albus era per Angie cioè
che la terra è per gli alberi, il punto dove ancorarsi e dove trarre energie
per vivere, la casa del cuore senza cui non si può sopravvivere. Era
imprescindibile e basta.
***
Astoria Malfoy aveva un
senso dell’ospitalità tanto profondo che poteva sfiorare quello delle
castellane di epoche remote con schiere di servi per ogni mansione da svolgere,
cosa che in effetti possedeva.
Aveva passato circa
un’ora a raccontare a Scorpius e Albus che cosa fosse successo, dopo di che tre
elfe domestiche erano entrate nello studio in una sequenza ininterrotta di
inchini profondi, affermando che “la signorina Angelique” doveva assolutamente
seguirle perché si prendessero cura di lei.
Quando Angelique aveva
gentilmente declinato l’offerta, le creature si erano scambiate delle occhiate
di vero e proprio panico, una delle tre era corsa con un strillo acuto verso lo
stipite della porta e aveva dato una testata poderosa, cadendo poi lunga
distesa per terra. Le altre due erano state sul punto di imitarla da un momento
all’altro.
Angie era corsa
immediatamente a vedere l’entità dei danni e l’elfa, che per fortuna aveva solo
un grosso bernoccolo rosso sulla fronte, le aveva chiesto con occhi gonfi di
lacrime se non voleva i loro servigi perché non erano abbastanza brave. Nel
frattempo la più grande delle elfe domestiche, quella che sembrava dirigere il
terzetto, si era schiacciata le dita della mano sinistra in uno dei cassetti
del mobile di radica, emettendo singulti di dolore.
La ragazza, pur di far
cessare quella confusione ed evitare che ci fossero ulteriori danni fisici,
aveva ceduto. Sospettava che dietro l’insistenza delle elfe ci fosse lo zampino
di Astoria. In ogni caso era stata condotta lontano dai suoi amici e portata
nella stanza degli ospiti che di solito le riservavano quando era in visita a
Malfoy Manor.
Lì l’attendeva una vasca
fumante e un bagno pieno di vapori profumati alla violetta.
La seconda battaglia di
quella guerra si era svolta sul campo del vestiario e delle abluzioni
personali.
Quando un elfo domestico
diceva di volersi prendersi cura di un essere umano, intendeva che l’essere
umano sarebbe dovuto rimanere immobile con un vegetale e farsi fare ogni
singola operazione, tra cui farsi spogliare, lavare, massaggiare, asciugare,
rivestire e tutto ciò che ci stava nel mezzo.
Angelique ovviamente
aveva protestato vivacemente, infastidita oltre ogni modo da quell’invasione
della sua privacy e dall’idea di farsi servire e riverire rimanendo inerme come
una bambola di pezza, ma vedendo gli occhi delle creature diventare
pericolosamente lucidi, aveva deciso di scendere a patti con quell’esperienza
surreale.
Si sarebbe svestita e
pulita da sola, ma le elfe avrebbero potuto lavarle i capelli e pettinarglieli
per la festa. Con occhiate torve avevano accettato la tregua, premurandosi però
poi di aggiungere anche un trattamento speciale alle sue labbra e alle sue
occhiaie grazie a unguenti che l’avevano rimessa a nuovo, nonché la
ricostruzione delle sue dita, non più bluastre di inchiostro né rosicchiate. Tutte
cose di cui era silenziosamente grata.
Ora Angie si ritrovava
con i ricci intrappolati in un’elaborata acconciatura che glieli teneva
sollevati sul capo, in un misto di forcine, trecce e ciocche arrotolate su sé
stesse.
Angelique aveva appena
indossato la veste da strega beige acquistata per l’occasione (con il
rimasuglio dello stipendio delle Menadi rimastole dopo l’acquisto della Winter
Wind), decorata un delicato ricamo di foglie dorate sulle maniche a tre quarti,
quando bussarono alla porta della sua stanza.
“Avanti!”
esclamò cercando tra una contorsione e l’altra di chiudere gli ultimi bottoni
sulla schiena rimasti slacciati.
Entrò Albus già
pronto nel suo completo nero come la pece che creava uno splendido contrasto
tra la pelle chiara e i capelli mori; al colletto era allacciata una cravatta
perfettamente annodata, sicuramente non opera sua.
Angie si voltò
verso di lui giusto in tempo per scorgere un sopracciglio inarcato sparire
dalla sua faccia.
“Mi dai una mano
o aspetti che mi lussi la spalla?” chiese contrariata.
Albus scrollò le
spalle e si avvicinò.
“Sei carina
pettinata così.” disse Potter infilando rapidamente i bottoncini nelle asole.
“Non dire balle.
Lo so che stai pensando che sono ridicola. Ho fatto un patto con quelle
creature demoniache, ti prendono per pietà e poi ti fanno ciò che vogliono!”
Albus alle sue
spalle emise un risolino tra le labbra, quella pallida imitazione di risata che
faceva quando era assorto nei propri pensieri ma non voleva darlo a vedere.
Lo aveva
percepito sin da quando avevano sciolto l’abbraccio con cui l’aveva accolta,
era come una sottile corrente sottopelle che non voleva saperne di andare via.
Che sapesse
qualcosa di Derek? Che fosse talmente brutto che non trovata le parole?
No. Albus le
avrebbe detto la verità, sempre, a prescindere da quanto dura fosse stata…
“Angelique…” la
chiamò con un’evidente nota di preoccupazione.
Angie si voltò
lentamente col sangue raggelato nelle vene. Chiuse gli occhi, deglutì e inspirò
a fondo prima di parlare col cuore martellante nelle vene del collo.
“Sono pronta.
Di’ quello che sai.” mormorò con fare stoico fissando dritto negli occhi il suo
migliore amico.
“Il tuo vestito
è macchiato.”
“Cosa?”
“Il tuo vestito
è macchiato.” ribadì il ragazzo indicandole con una mano il retro della sua
gonna.
Angie si voltò
di scatto, inarcandosi e cercando di vedere l’entità del danno, ma non
riuscendoci si piazzò davanti alla specchiera e inspirò bruscamente.
Una macchia blu
scuro faceva bella mostra di sé nel mezzo della lunghezza della gonna, della
forma esatta della sua mano destra. Un macchia d’inchiostro che probabilmente
aveva fatto involontariamente in quei giorni maneggiando il vestito dopo aver
scritto le infinite lettere a cui non c’era stata alcuna risposta.
Si trattava
dell’inchiostro incantato apposta per non subire alcuna alterazione né per le
intemperie né per altri solventi, quindi l’idea di farla sparire con un incantesimo
a poco dall’inizio della festa era ridicola. E lei era senza vestiti.
Inaspettatamente
le venne da ridere e lasciò che la risata le prorompesse dalle labbra. Al
comparve nella visuale dallo specchio con un sopracciglio corvino inarcato e
uno sguardo sospettoso.
“Hai una crisi
isterica?” le chiese con fredda lucidità.
Angie scosse la
testa e si morse il labbro inferiore cercando di smettere di ridere.
“Pensavo solo
che l’unico indumento adatto alla situazione che io abbia è il mio mantello… Mi
sono immaginata in biancheria intima e mantello blu a volteggiare tra gli
ospiti dei Malfoy con disinvoltura degna di Nana.”
Questa volta
rise anche lui, immaginando la scena.
Così quando
Scorpius entrò bussando alla porta spalancata li trovò che sghignazzavano
ancora.
Spiegata la
situazione e le dirette conseguenze al giovane Malfoy, questi si passò l’indice
sul labbro superiore meditabondo.
“I vestiti di
mia madre non ti entrerebbero mai, lei è magra e minuta.” Angelique gli lanciò
un’occhiata truce per il paragone con Astoria. Grazie tanto che non le
sarebbero andati bene, la padrona di casa era la metà di lei. “Che c’è? Ho solo
detto la verità.” si difese il ragazzo alzando i palmi.
“Amico stai
peggiorando la tua situazione.” bisbigliò Albus.
“Comunque, forse
ho una soluzione.” aggiunse Scorpius illuminandosi in un sorriso malandrino.
Angelique non aveva mai
visto nulla di smile. Non esistevano negozi che vendessero normalmente merce
del genere, il loro valore era evidente anche per chi ne capiva poco come lei.
L’armadio che le era
appena stato messo a disposizione era un sogno, Dominique probabilmente avrebbe
dato un rene per poter indossare uno degli abiti che stavano appesi alle grucce
di seta imbottite.
Erano vesti da strega
eleganti e raffinatissime, dalle più sobrie alle più suntuose, impreziosite da
ricami finissimi e pietre preziose sugli orli e sui corpetti. Erano tutti fatti
a mano e su misura ovviamente. Guardandole Angie avrebbe detto che la foggia
non era moderna, anzi aveva un retrogusto quasi vintage anche per il Mondo
Magico, ancora abbastanza tradizionale.
“Di chi sono?” chiese la
ragazza in sussurro emozionato sfiorando con la punta delle dita una gonna di
broccato oro.
“Di mia nonna.” rispose
Scorpius.
Angelique istintivamente
retrasse la mano e fece un passo indietro.
Narcissa Malfoy era il
fantasma silenzioso della dimora. Compariva ormai talmente di rado agli
estranei e nelle occasioni pubbliche che sembrava intenzionata a far
dimenticare al mondo la sua esistenza. Viveva nelle sue stanze in un’ala più
appartata del castello, avvolta da un velo di malinconia e dai suoi abiti neri,
come lutto perenne per la morte del marito.
I ritratti sparsi per i
vari saloni la ritraevano nel fiore degli anni come una delle più belle donne
che Angie avesse mai visto. Bionda, dalla pelle eburnea, lo sguardo grigio
ferro altero come quello di un’imperatrice, il fisico longilineo e la bellezza
assoluta che ne faceva il fiore più bello dell’intera collezione di quadri,
Narcissa doveva essere stata una sole radioso tra banali satelliti.
Doveva aver dominato la
vita di società come la naturalezza di chi era stato cresciuto per occupare uno
specifico posto nel mondo.
Angelique l’aveva
incontrata solo una volta prima di allora, quando a tredici anni Scorpius aveva
tanto insistito per presentargliela. Era estate e Angie indossava dei
pantaloncini di jeans con gli orli sfilacciati e una maglietta con un panda che
le aveva regalato Nana. Non aveva mai dimenticato lo sguardo con cui l’aveva
trafitta la donna mentre le porgeva la mano.
L’aveva denudata,
analizzata, valutata e scartata in meno di due secondi.
L’idea quindi di
indossare qualcosa di tanto prezioso e rischiare di rovinarlo, incorrendo nelle
ire di Lady Narcissa, le faceva prendere in considerazione seriamente l’ipotesi
di andare nel salone principale vestita del solo mantello.
“No. Assolutamente no.”
disse Angelique scuotendo il capo, impalcato tanto saldamente che non un riccio
uscì dalla pettinatura.
“Non credo tu abbia molta
scelta.” ribatté Scorpius stringendosi noncurante nelle spalle.
“No. Non posso! Oddio
Scorp guardali… Li farei a pezzi solo scendendo dalle scale. Tua nonna non mi
darebbe mai il permesso.”
“Ciò che mia nonna non
vede, mia nonna non sa! E stasera i suoi occhi non saranno nella sala del
ricevimento, come tutto il resto della sua persona.” ribatté lui facendo
scorrere con decisione un paio di abiti sulla sbarra di legno a cui erano
appesi.
Ne osservò alcuni, li
fece passare avanti e indietro un paio di volte e poi, con una rapidità che ad
Angie risultò incomprensibile davanti a tanta scelta, estrasse dall’armadio un
vestito verde inteso.
La gonna fluttuò per un
istante in aria catturando tra le pieghe della seta ombre scure. Il corpetto
aveva un motivo li libellule dorate che delicate salivano dalle braccia e dai
fianchi diradandosi, come se fossero riuscite a prendere il volo dalle spalle e
dal seno. La scollatura rotonda era ornata da un finissimo merletto di pizzo
crema, così come le maniche lunghe.
“Sei completamente
impazzito.” pigolò la ragazza immaginandosi già il suo elefante latente che le
faceva fare un’entrata in scena memorabile inciampando davanti a tutti gli
ospiti e strappando la gonna.
“Avanti Dursley è solo un
vestito! Mia nonna non lo indossa più da talmente tanti anni che nemmeno se lo
ricorderà.”
Angelique dubitava
seriamente di un’ipotesi simile, ma alla fine cedette, sia per necessità sia
per la banale considerazione che non le sarebbe più capitato di indossare un
abito del genere.
Scoprì ben presto il
costo del suo peccato di vanità.
“Si chiude?”
“Non ancora!”
“Maledizione…”
“Lascia fare a me Al.”
“Scorp forse dovresti
stringere un po’ qui…”
“Oddio… Sverrò.”
“Aspetta forse ora… No
niente. Non si chiude.”
Il corsetto annesso al
vestito. Ecco che cosa teneva impegnati i tre adolescenti nel vano tentativo di
congiungere i lembi di stoffa sulla schiena di Angie.
“Io mi sento morire così.
Scorpius non ce ne sono di più larghi?” chiese la ragazza col fiato corto per
la costrizione a cui tutto il suo busto era sottoposto.
“No, tutti della stessa
misura.”
“E ora che facciamo?”
chiese tranquillamente Albus sistemandosi la cravatta nello specchio.
“Forse dovreste lasciar
fare a chi ne sa di più di voi.” disse una voce musicale e profonda.
Ecco, ora svenire sarebbe
stato un ottimo escamotage per evitare le conseguenze della stupidità del
rampollo di casa Malfoy.
Nacissa era apparsa sulla
porta della stanza con un piccolo elfo appresso dagli enormi occhi neri.
Probabilmente tutto il baccano che avevano prodotto nel tentativo di farla
entrare nella veste verde aveva indotto gli elfi a chiamare la legittima
proprietaria.
“Nonna, ti chiedo scusa
se non ti ho chiesto il permesso. Non volevo disturbarti, so che non ami partecipare
a questa festa. Ad Angelique serviva un vestito e ho pensato che sarebbe stata
bene con uno dei tuoi, ti dispiace che le abbia dato questo?” il tono dolce e
dimesso con cui Scorpius parlò stridette con tutto ciò che Angie conosceva di
lui.
Era un manipolatore nato
e ovviamente sapeva quali tasti toccare con la nonna che lo adorava.
Sul volto severo di
Narcissa, segnato dalle sottili rughe che le percorrevano la pelle come una
ragnatela, spuntò un sorriso lievissimo di divertimento. Anche lei sapeva di
che pasta fosse fatto suo nipote.
“Voi due fuori, sono cose
da donne queste.” ordinò con uno sfarfallio delle dita rivolgendosi ad Al e
Scorpius.
Quando la donna avanzò
con un portamento tanto fiero e ritto che avrebbe fatto invidia a Martha,
Angelique provò l’impulso di fare una riverenza e inchinarsi. I due ragazzi si
smaterializzarono dalla stanza alla velocità della luce, abbandonandola al suo
destino. Angie sentiva le guance scottare per l’imbarazzo di essere stati
scoperti a frugare nelle sue cose e con gli occhi bassi parlò:
“Le chiedo scusa. Non
volevo usare i suoi abiti, solo che il mio è inutilizzabile e la festa inizia
tra poco…”
“Voltati.” la interruppe
senza tante cerimonie l’altra, utilizzando sempre lo stesso tono asciutto, ma
non freddo né sgarbato.
Angie fece come ordinato
e si ritrovò faccia a faccia con la specchiera.
Narcissa Malfoy era poco più
alta di lei e con gli anni sembrava essersi assottigliata come un foglio di
pergamena. I capelli erano ancora molto folti e bianchissimi, pettinati
abilmente con la treccia che le ricava sul petto. Gli occhi grigi erano ancora
intensi come nella sua giovinezza, estremamente espressivi e orlati da forte
ciglia ormai candide.
Sembrava che la bellezza
tanto decanta dai racconti di famiglia e dalle dicerie non avesse voluto
abbandonare la donna, lo scorrere del tempo aveva levigato la sua persona, come
le rocce di un fiume che si schiarivano e consumavano sotto l’impeto dell’acqua
ma che non potevano essere mutate del tutto.
Le sopracciglia chiare si
corrugarono appena mentre con dita agilissime scioglieva i lacci del corpetto,
ammorbidendo quella trappola e consentendole finalmente di respirare. Il
sollievo fu comunque fugace, perché subito dopo con un colpo di bacchetta lo
fece richiudere molto più stretto di prima.
Angelique tossì e inspirò
a fatica un paio di volte.
Non ne valeva la pena,
nemmeno per quell’abito, non ne valeva decisamente la pena. Non avrebbe potuto
mangiare quasi nulla, una vera scocciatura.
“Ti dona questo colore.
Almeno quello sconsiderato ha buon gusto.” commentò Narcissa mentre il lieve
sorriso che associava al pensiero del nipote le ricompariva sulle labbra.
“Grazie.” rispose Angie
guardandosi allo specchio.
In effetti il risultato
era soddisfacente, il seno che era stato impietosamente strizzato da
quell’arnese le affiorava in modo sensuale ma non volgare dalla scollatura e la
vita era stata decisamente assottigliata. Tuttavia rimaneva il problema
dell’orlo dell’abito che era ancora di qualche centimetro troppo lungo.
Narcissa parve seguire lo stesso filo di pensieri perché immediatamente le
osservò i piedi
“Elias, prendi delle
scarpe blu di raso.” disse osservandola con la testa leggermente inclinata.
“Semplici.” aggiunse in un secondo momento.
Il piccolo elfo di cui
Angie si era momentaneamente dimenticata sgambettò per la stanza andando verso
un armadio a parete che si rivelò essere una scarpiera enorme.
Angelique si guardò
attorno per un attimo e notò che lungo le pareti c’erano molte ante che prima
non aveva nemmeno rilevato, probabilmente piene di altri vestiti e accessori.
Era la cabina armadi di una principessa non di una strega.
Infatti Narcissa non
doveva essere stata qualcosa di molto diverso da una nobile negli anni in cui i
Purosangue tenevano in pugno la politica e l’economia del Mondo Magico. Era
stata una Black, poi una Malfoy e infine una condannata alla gogna pubblica.
Forse riusciva a capire perché non avesse più voglia dello scintillio delle
feste; il suo mondo era tramontato, gli ideali che lo avevano fondato, giusti o
sbagliati che fossero, erano stati spazzati via. Di ciò che lei aveva amato e
che aveva costituito la sua vita per anni non restava più nulla, a parte la sua
famiglia che aveva scelto un’altra strada, che si era aperta al mondo e alle
novità, mentre lei si era chiusa nel suo castello.
L’elfo tornò con un paio
di scarpe blu notte con il tacco, come ordinato dalla padrona, e gliele fece
indossare. All’inizio le sembrarono grandi ma in una frazione di secondo si
adattarono ai suoi piedi avvolgendoli come guanti.
Angie alzò sorpresa gli
occhi verso la donna e questa con tono ironico sussurrò:
“Magia!”
Grazie ai centimetri
aggiuntivi l’orlo dell’abito cadeva ora in modo perfetto. Angelique alzò
soddisfatta lo sguardo verso la sua benefattrice e trovò quelli grigi di lei
fissi sulla sua persona.
“Me urit amor.” mormorò
Narcissa.
Angelique colse la citazione,
grazie ai corsi aggiuntivi che Hogwarts aveva imposto alle nuove leve, ma le
rivolse uno sguardo perplesso, non capendo a che cosa si riferisse.
“Quando un amore del
genere ti tocca, vieni marchiato. Prendi fuoco e ti lasci consumare, lasci che
la tua anima venga spogliata e resa fragile. E tu, bambina, bruci.” le spiegò
senza alcuna inflessione particolare della voce. “Oh sì, bruci e ti consumi per
lui.”
Gli occhi di Angelique si
spalancarono di sorpresa e avrebbe pure inspirato rumorosamente se il corpetto
le avesse lasciato la possibilità di farlo.
“Lo sfarzo, la ricchezza,
il potere, il buon nome della famiglia, la libertà, l’onore… Niente vale un
attimo di quello.”
La sua voce si era fatta
lontana come se avesse iniziato a vivere in un’altra dimensione, in cui
probabilmente la sua pelle era fresca e liscia come i petali di rosa e i suoi
capelli erano ancora fili d’oro.
La donna le voltò le
spalle e si avviò verso l’uscita incedendo col suo passo altero.
Angie impiegò qualche
attimo per riprendersi dalle parole della donna ma quando ormai aveva varcato
la porta si sentì in dovere di ringraziarla.
“Grazie.”
Lei voltò la testa sopra
la spalla e chinò appena il capo con un sorriso a fior di labbra. Poi scomparve
nei corridoi bui di Malfoy Manor.
***
Albus aveva stipulato un
patto coi suoi genitori all’età di dodici anni.
Esso prevedeva che ad
anni alterni Al potesse partecipare alla festa di fine anno a casa Malfoy, così
che l’anno successivo sarebbe rimasto con la famiglia alla Tana o a Villa Potter.
Quell’anno aveva rotto le promesse fatte e si era recato da Scorpius subito
dopo che gli erano arrivate in successione le lettere di Angelique e del suo
amico.
E a giudicare dallo stato
in cui era la ragazza appena uscita dal camino con la Metropolvere, nonché
dalla storia che aveva raccontato, era stata la decisione migliore, anche aveva
lasciato la nonna imbronciata.
Albus si era fatto
un’idea precisa di quello che sarebbe successo quella sera e in generale nel
futuro della sua migliore amica, proprio per questo sperava di tutto cuore di
sbagliarsi.
Stavano scendendo le
scale insieme, lui ed Angelique, fianco a fianco. La mano di lei che si era
appoggiata al suo avambraccio era ghiacciata per la tensione e gli occhi erano
corsi immediatamente agli invitati che stavano iniziando ad affollare il piano
terra.
“Angelique ti converrebbe
guardare gli scalini se non vuoi che Narcissa ti insegua fino alle porte
dell’Inferno.” le suggerì dandole un buffetto sulla guancia pallida.
Angie emise uno sbuffo
divertito e si concentrò sul dislivello tra uno scalino e l’altro.
Di comune accordo lui e
Scorpius avevano omesso che tra gli invitati ci fossero sia i Danes sia gli
Schatten.
Durante quei quattro
giorni, Angie non era stata l’unica a mandare lettere a fiotti. Anche lui e
Scorpius avevano comunicato con gli altri ragazzi di Serpeverde per capire come
gestire la situazione. Avevano stabilito tutti insieme, compresa la polemica Nana,
che la cosa migliore fosse tenerla lontana da loro, per scongiurare inutili
sofferenze a lei e una scenata pubblica ai Malfoy. Ciononostante Angelique da
parte sua sperava che il ragazzo o la sua famiglia si presentassero al Manor e
li cercava tra le persone.
L’immensa sala
rettangolare ospitava al suo centro la pista da ballo della stessa forma, tutto
attorno c’erano tavoli sparsi e pietanze di ogni genere. Eleganti camerieri in
livrea volteggiavano tra la folla con un vassoio sospeso sopra le mani offrendo
vino e analcolici.
In men che non si dica si
ritrovarono immersi nella folla di maghi e streghe che erano accorsi per l’annuale
evento al castello nel Wiltshire, Angelique si strinse di più al suo fianco e
si lasciò condurre verso il punto in cui aveva scorto Martha, Berty e Octavius,
che insospettabilmente stava comunicando con una qualche sorta di
partecipazione con la O’Quinn.
Martha era di profilo in
quell’istante, con i riccioli ramati legati in un morbido chignon sulla nuca.
Indossava un paio di perle barocche pendenti come unico accessorio sulla veste
di velluto blu scuro, ma sembravano stregate tanta era la luce che davano alla
sua pelle rosea. E lui, in quell’attimo sospeso prima che lei si rendesse conto
che la stava osservando, guardò con cura i minuscoli dettagli di lei che lo
colpivano ogni volta in modo sorprendente. La curva dolcissima delle sue labbra
quando sorrideva, la misura con cui annuiva per non danneggiare la pettinatura,
gli occhi color del cioccolato che si illuminavano nella risata causatale da
Berty.
Sentì le viscere
torcersi, prendere fuoco e reclamare il diritto di scioglierle i capelli sulla
schiena, incastrando le dita alla base della nuca, dove la pelle era più
sensibile, e farle scorrere delicatamente tra i riccioli disordinati, liberandoli
dalle forcine.
Sbatté un paio di volte
gli occhi e respirò a fondo, ma non fu abbastanza rapido a dissimulare quello
che aveva provato perché accanto a lui Angelique già sogghignava.
Berty li intravide per
primo e alzò una mano nella loro direzione, così anche Martha si voltò facendo
ondeggiare i pendenti. Il suo viso passò velocemente su di lui con freddezza
per poi posarsi su Angelique e sorriderle entusiasta.
Quello che prima si era
animato alla sua vista ora si accartocciò su sé stesso.
Non gli aveva ancora
perdonato la pagliacciata che aveva fatto dopo il Ballo di Natale, glielo
leggeva in faccia come se fosse stato scritto a caratteri cubitali sulla sua
fronte.
“Angelique… Non avrei mai
pensato di vederti un giorno con un corsetto!” disse Martha andando in contro
all’amica e poi aprì le braccia.
Angelique si lasciò
abbracciare chiudendo gli occhi e posando il mento sulla spalla dell’altra.
“Sei strepitosa.” le
disse più piano Martha accarezzandole le schiena.
“Oh, senti chi parla!”
esclamò Angie scostandosi un po’ per osservarla in viso.
Albus si limitò a
salutare Berty e Octavius con un sorriso e un cenno del capo. Loro evitavano
volentieri i convenevoli.
Scorpius era al posto
d’onore insieme ai suoi genitori all’ingresso della villa, per accogliere gli
ospiti e li avrebbe raggiunti solo quando il gravoso compito fosse terminato.
Quindi mancava solo una all’appello.
“Elena?” chiese a Berty
dandosi un’occhiata attorno.
“Con suo padre. Avresti
dovuto vedere che faccia aveva quando è arrivata.” e il ragazzo scosse la testa
castana ridacchiando.
Se era la stessa con cui
stava camminando al seguito di Lord Zabini in quell’istante era notevole. A una
decina di metri da loro Nana camminava al fianco del padre con un la fronte
corrugata e la bocca piegata all’ingiù in una manifestazione di malcontento che
sarebbe potuta essere più chiara solo con le braccia conserte.
La ragione era
sicuramente il vestiario che era stata obbligata a indossare. Una sobria e
seriosa veste nera, dotata di un fiocco in vita, che non minimante l’indole
della giovane Zabini. Tuttavia i suoi capelli avevano una nuova tinta, uno
sgargiante blu elettrico che attirava quasi ogni sguardo quando passava.
Albus guardò con la coda
dell’occhio verso le ragazze che parlavano fitto fitto tra di loro. Martha
teneva tra le proprie mani quelle di Angelique e le mormorava qualcosa con
dolcezza, l’altra aveva il capo chino e annuiva di tanto in tanto. Non sapeva
quale fosse l’argomento preciso, ma sicuramente c’entrava con Derek data
l’espressione della ragazza.
All’entrata del salone
fecero il loro ingresso i tre Malfoy, ultimi a chiudere la lunga fila di
invitati. Gli occhi di Scorpius vagarono rapidissimi nelle più di quattrocento
persone per trovarlo nel luogo di ritrovo che avevano stabilito con gli altri,
l’alcova a lato del camino.
Vi lesse la conferma che
i presentimenti che entrambi avevano covato fino a quell’istante erano la
realtà.
***
Scorpius tornò dalla
missione politica per recuperare Elena vittorioso e grazie al diversivo della
nuova arrivata, abbracciata e confortata dalle amiche per l’infelicità
causatale dalle festività natalizie, riuscì a comunicare con Albus.
Si accostò con
tranquillità e parlò in un sussurro.
“Sono arrivati. Entrambi.”
Albus accanto a lui annuì
e negli occhi verdi passò un sentimento indefinibile tra la rabbia e il
dispiacere, velocemente sgombrato quando notò che le ragazze si stavano
avvicinando.
“Pensavo… Dato che il ricevimento
andrà per le lunghe, come la vedete una gita in giardino?” propose Martha.
“Va bene, io però ho
fame. Prima voglio fare uno spuntino.” disse Nana con tono estremamente serio,
come se si fosse trattato di programmare il lancio di uno shuttle.
Scorpius sapeva
esattamente che uno spuntino di Elena consisteva nella razione media di un
elefante africano.
E sapeva anche che Martha
non aveva proposto casualmente di uscire dal salone i cui confini non erano mai
sembrati a Scorpius tanto ristretti.
Quindi attese con una
certa impazienza che Elena si rimpinzasse di stuzzichini e pietanze varie,
sotto lo sguardo invidioso di Angie che poteva al massimo aspirare a bere il
brindisi di mezzanotte. Pur dovendo essere una tortura, l’abito verde le stava
d’incanto, tanto che non avrebbe saputo dire se attirava più sguardi lei, la
chioma improponibile di Elena o l’eleganza impeccabile di Martha.
Proprio quest’ultima si
avvicinò a lui con un sorriso suadente in viso, quando Elena ebbe terminato di
rifocillarsi, lo prese a braccetto, prestando estrema attenzione a non guardare
nemmeno per sbaglio Albus, e lo condusse verso l’uscita.
“Per quanto ancora hai
intenzione di ignorarlo O’Quinn?” le sussurrò all’orecchio certo di avere gli
occhi di Al piantati nella schiena.
Martha gli sorrise ancor
di più e lo guardò da sotto le ciglia con un’espressione furbesca.
“Oh solo fino a quando
non capirà perché gli desse tanto fastidio l’idea che fossi stata a letto con
suo fratello.” rispose lei.
“Potrebbero volerci mesi
Martha.”
“Non temere. Io so
aspettare.”
***
Se all’inizio l’idea di
allontanarsi dal salone principale di Malfoy Manor non l’aveva entusiasmata per
paura di perdere l’arrivo eventuale di Derek, in realtà poi si era rivelata
un’eccellente distrazione.
Il corsetto dell’abito
era diventato un dolore uniforme e costantemente presente, quindi ci si era
quasi abituata.
Avevano preso a camminare
nel parco sul percorso segnato dalle pietre scure che erano state spazzate
diligentemente dagli elfi per permettere agli ospiti di passeggiare senza
infradiciarsi nella neve. Angelique aveva preso al proprio fianco un Albus
vagamente imbronciato per il trattamento riservatogli da Martha, ma che
comunque si ostinava a negare a sé stesso la natura di quel dispiacere.
Il freddo pungente le
congelava la punta del naso e gli zigomi, mentre le labbra restavano infossate
e protette dalla pelliccia bianca all’interno del mantello.
Nana aveva tirato una
palla di neve in testa a Berty scompigliandogli i capelli e dando il via a una
battaglia tra di loro, che aveva coinvolto incidentalmente anche Octavius.
Angie cercava di godersi
lo spettacolo della campagna inglese congelata in quella perfezione invernale,
il parco illuminato da fiaccole disposte ad arte in grado di dare una luce
morbida e vivida alle statue di ghiaccio che lo affollavano. Tuttavia in fondo
al cuore sentiva un peso sempre più ingombrante sgomitare tra i sentimenti
positivi, pronto a fagocitarli per consegnarla all’angoscia.
Non avrebbe saputo
definirlo in altro modo che un presagio, nulla di concreto o di distinguibile,
solo un’ombra densa e maligna che si proiettava su tutto quello che le
succedeva attorno. E le sembrava che il sorriso di Al, le parolacce di Nana
urlate a squarciagola mentre rincorreva Berty, gli abbracci di Martha, le
parole di Scorpius, ogni frammento non fosse altro che una visione distorta di
ciò che accadeva davvero, quasi che lei lo stesse osservando da dietro un
vetro, incapace di toccarli davvero, isolata nella sua preoccupazione.
Aveva perso la cognizione
del tempo, ma dal freddo insistente che sentiva fin dentro le ossa avrebbe
detto che fosse passato parecchio da quando avevano deciso di allontanarsi.
“Ti senti bene?” la voce
di Scorpius penetrò i suoi pensieri.
Si era appena seduto
accanto a lei sulla panchina di marmo, le prese una mano tra le proprie e la
osservò in modo estremamente diretto, pronto a leggerle in viso la verità.
“Non lo so… Ho delle
brutte sensazioni Scorp. C’è qualcosa che non va, vorrei tornare dentro ti
dispiace?” disse cercando i suoi occhi grigi, fermi e solidi come lastre di
ardesia.
“Vuoi parlarmene?” le
chiese con gentilezza.
Lei scrollò le spalle e
fece un cenno di diniego con la testa. Non aveva senso parlare di qualcosa che
percepiva senza riuscire a identificarlo.
Scorpius rimase in
silenzio per qualche istante, riscaldando attraverso gli strati dei loro guanti
la sua mano, poi emise un respiro più lungo del normale e fissò gli amici
davanti a sé.
“Qualche volta penso che
per noi sarebbe stato estremamente semplice.” subito dopo aver parlato un
sorriso prese vita sulle sue labbra sottili. “Avremmo finito la scuola insieme,
tu ti saresti iscritta a Medimagia, io avrei fatto domanda per qualche
internato al Ministero insieme ad Al, avremmo vissuto insieme in qualche appartamentino
minuscolo a Londra, avremmo invitato i nostri amici a cena. Poi ti avrei
chiesto di sposarmi e, se tu avessi accettato, avremmo celebrato il rito in
questo parco, proprio là dove c’è il laghetto e i salici piangenti…” il suo
braccio si tese verso il punto in cui il ghiaccio scintillava sopra la
superficie d’acqua del piccolo bacino. “Ti avrei amata come mio padre ama mia
madre, onorandoti e rispettandoti ogni giorno della mia vita. Magari avremmo
avuto un figlio, due, cinque, oppure avremmo comprato un pony o delle papere da
mettere nel lago.”
Il cuore di Angie aveva
preso a martellare nel costato con un ritmo folle.
“Avremmo vissuto insieme
fino alla fine e poi avremmo attraversato il confine della morte per
ricongiungerci.” concluse osservando con uno sguardo indecifrabile il laghetto.
“Scorpius…” cominciò lei
con la bocca impastata per l’agitazione. Ma lui alzò una mano per fermarla per
poi riposarla sulla sua.
“Sarebbe stato semplice
Angie. Sarebbe stata la cosa più prevedibilmente romantica che si potesse
pensare, un’intera vita insieme. Ma non sarebbe mai stato giusto per noi. Avremmo
vissuto ignorando che cosa significa amarsi in modo viscerale e totale. Avremmo
passato la nostra esistenza nella fascia protetta della sicurezza di ciò che
eravamo l’uno per l’altra. Credo che infondo non saremmo stati mai realmente
felici, ma solo moderatamente contenti.” si interruppe per riflettere un attimo
e poi finalmente si voltò a guardarla negli occhi.
“E dunque quando penso che
sarebbe stata una vita semplice, se solo lo avessimo voluto, mi rispondo che
esistono persone per cui le cose semplici non sono quelle più giuste o quelle
più coraggiose. Quindi va bene così.”
Scopius le passò un
braccio sulle spalle e l’attirò in un abbraccio delicato, ma solido e
confortante.
“Sarei stata un pessima
Lady Malfoy.” sussurrò Angie sentendo il naso pizzicare per una strana
commozione.
“Lo so.” rispose lui
lasciandola andare mentre gli altri ritornavano verso di loro.
Nana aveva i capelli blu
elettrico completamente fradici e batteva vistosamente i denti, Berty dal canto
suo aveva il mantello completamente zuppo e le labbra vagamente cianotiche.
“Guarda come sei
conciata! Torniamo dentro che ti becchi una polmonite.” esclamò Angie cercando
di alzarsi con i suoi soliti movimenti pratici e spontanei, ma il corsetto le
impediva anche le più banali operazioni. Quindi accettò la mano che Albus le
porgeva e si alzò in piedi.
Vide gli occhi verde
bosco di Nana cercare quelli di Scorpius per poi sentirla esclamare:
“Non se ne parla nemmeno!
Io devo farla pagare ancora a questo vile marrano!” e minacciò con un pugno per
aria il giovane Barrach.
“Non mi pare di essermi
recentemente convertito al cristianesimo dall’ebraismo, mia cara nana.” la voce
di Berty si soffermò in particolar modo sull’ultima parola, per farle intendere
che non era il suo soprannome ma un aggettivo.
Gli occhi di Elena
lampeggiarono di rabbia e poi si assottigliarono a due fessure minacciose.
“Tu… Infido Prefetto dei
miei stivali!” urlò belluina e poi si chinò a terra per raccogliere un’enorme
manciata di neve.
“Dai Elena! Non vedi che
è congelato?” la rimbottò Martha dandole un colpetto al polso perfettamente
assestato per farle cadere la palla di neve già formata.
“Già, sono gelata anche
io.” esclamò Angie strofinando le mani l’una contro l’altra. “Torniamo?”
“Io vorrei allungare ancora
un secondo verso il gazebo. Sono fioriti i Colchi d’Inverno, Scorpius?” chiese
Martha facendo riferimento ad una pianta del Mondo Magico che fioriva attorno a
Natale con splendide corolle indaco e gambi di ghiaccio.
“Non saprei possiamo
controllare se vuoi.” propose l’altro stingendosi nelle spalle.
“Non credo che sia molto
educato da parte nostra passare l’intera festa in giardino invece che nel
salone! I tuoi genitori si staranno chiedendo dove tu sia finito.” insistette
Angie subodorando qualcosa di strano nel comportamento di tutti.
“Secondo me a stento si
sono accorti che non ci fosse più.” commentò Al sfregando le spalle di Angie
per scaldarla.
“Che ore sono?” chiese
ostinata la ragazza.
“Non ho nessun orologio.”
si scusò Berty alzando le mani.
“Tu no, ma Scorpius ha un
orologio da taschino nella panciotto. Quindi Malfoy mi diresti che ore sono per
favore?”
Scopius si slacciò con
calma gli alamari inferiori del suo mantello e infilò una mano nel panciotto ma
quando estrasse il cipollotto dorato, Angie fu più rapida di lui e lo prese tra
le dita facendolo scattare.
“Che cosa?! Sono le
undici? Oh cielo… I tuoi genitori penseranno che siamo degli incivili.”
borbottò prendendo precipitosamente la via del ritorno.
Mentre camminava
arrancando, affaticata dal busto rigidissimo e dalle scarpe col tacco, le
sembrò che i suoi amici fossero particolarmente lenti e che il parco fosse
esageratamente grande.
Nelle feste di Capodanno
a cui aveva partecipato negli anni passati la serata era stata una giostra ininterrotta
di presentazioni e saluti formali, chiacchiere più o meno interessanti con un
numero sterminato di persone. Il fatto che se la fossero svignata poco dopo
l’inizio e avessero passato la maggior parte del tempo in giardino,
costringendo Astoria o Draco a giustificare l’assenza del figlio, la faceva
sentire profondamente a disagio.
Arrivò per prima al
grande portone d’ingresso, spalancandolo con decisione, e lasciò all’elfo che
le si materializzò davanti agli occhi mantello e guanti.
Le sue elucubrazioni
catastrofiche tuttavia vennero presto smentite dalla realtà dei fatti, in cui
nessuno sembrava aver sentito più di tanto la loro mancanza. I ragazzi presero
posto ancora una volta attorno al grande camino, confortati dal calore
scoppiettante delle sue fiamme.
I genitori di Scorpius
passarono loro accanto quasi per sbaglio e li salutarono tutti con il consueto
sorriso cordiale, chiedendo se si stessero godendo la festa, quasi che non si
fossero minimamente accorti della loro fuga; eppure Angie sapeva che nulla
sfuggiva agli occhi da falco di Astoria.
Mentre finalmente i suoi
piedi riprendevano sensibilità nelle scarpette di raso blu, la piccola
orchestra attaccò con il ritmo su cui Angelique aveva imparato a ballare. I
suoi occhi trovarono a metà strada quelli di Scorp che la osservavano con pari
complicità. Era un valzer.
“Balliamo?” gli chiese
avvicinandosi.
La fronte di Scorpius si
corrugò vistosamente, mentre il suo sguardo si assottigliava verso un punto
indefinito della sala.
“Uhm… Scusami ma credo
che ci sia un mio cugino che mi vuole salutare, vieni con me?” Rispose lui
indicando con un cenno del capo il punto osservato prima.
“Tu non hai cugini a
parte Teddy Lupin e Stephanie, la figlia di Daphne. E io non vedo nessuno dei
due.” ribatté lei incrociando ostinata le braccia sul petto.
“In effetti è un cugino
di mia madre, vive in Polonia, è un tipo abbastanza stravagante. Ti piacerebbe.”
“E non lo possiamo
salutare dopo il valzer?” insistette la ragazza, consapevole in un modo
completamente inconscio che in quello scambio di battute c’era un errore, come
una distorsione sonora in una registrazione. Un dettaglio fuori posto.
“Credo che se ne stia per
andare…” disse Scorpius.
“Benissimo, allora mi
cercherò qualcun altro.” esclamò esasperata Angelique e fece per andarsene ma
una mano di Scorpius si chiuse sul suo gomito.
“No!” quasi urlò lui
fermandola.
Mentre si voltava per
rispondergli per le rime, lesse sul suo viso una preoccupazione e una tensione
impossibili da tenere a freno.
“Si può sapere che cosa
ti prende maledizione?! Anzi, che cosa prende a tutti voi?” chiese voltandosi a
guardare tutti che assistevano pietrificati alla scena tra di loro.
Nessuno fiatò, alcuni non
ebbero nemmeno il coraggio di guardarla in viso e una consapevolezza che
avrebbe preferito ignorare si fece largo dentro di lei.
Le stavano nascondendo
qualcosa.
Ruotò su sé stessa e
guardò dritto negli occhi Al. Dritto nell’anima come lui faceva con lei, come
nessun altro avrebbe potuto comprendere.
“Albus che cosa sta
succedendo?” chiese con la voce incrinata dal respiro tremulo.
Gli occhi di Albus
abbandonarono i suoi e si fissarono inespressivi su Scorpius, una maschera di
impassibilità che qualunque politico gli avrebbe invidiato. Non seppe che cosa
si comunicarono, ma quando Al tornò a guardarla qualcosa era mutato sul suo
viso.
C’era un dolore sottile
che trapelava dalla piega della bocca, c’era rabbia mal celata che animava gli
occhi. Poi le sue labbra si mossero e lei comprese quelle parole come se il
tempo si fosse dilatato.
“Derek è qui.”
Il volto di Angelique
perse qualsiasi espressione, la pelle naturalmente chiara parve assumere
sfumature spettrali, il respiro le si spezzò nei polmoni mentre cercava di
riprendersi. Il corpetto era troppo stretto per simili notizie, ora capiva
perché svenissero di continuo in epoca vittoriana. Per un istante le parve di
essere stata svuotata di qualunque energia.
Poi qualcosa in lei si
risvegliò. Il carattere battagliero emerse dalla desolazione degli ultimi
avvenimenti e guardò con uno sguardo veramente terribile Scorpius.
“Dov’è?” il tono era di
una furia sommessa e gelida.
“Angelique non andare.
C’è suo padre.” la pregò Malfoy.
“Tanto meglio. Dov’è? Gli
ha fatto del male?” la sua mano destra corse spontaneamente al polso ma non vi
trovò alcun laccio né alcuna bacchetta. Subito dopo affondò nel tessuto della
gonna di seta rimanendo piacevolmente soddisfatta di trovarvi il legno di
ciliegio della sua arma.
Scorpius l’afferrò per le
spalle ma lei se le levò di dosso con uno sguardo furente.
“Angelique per favore,
rimani qui. Non ti lascerà nemmeno avvicinare, non quando Celia è in questa
stessa stanza e devono preservare le apparenze. Sarebbe capace di avvelenarti
pur di non farti attraversare la sala.”
Sentì il suo sguardo
stringersi a una fessura per quel nuovo dettaglio che avevano celato fino a
quell’istante. Era un tradimento dietro l’altro ai suoi occhi, come se avessero
orchestrato tutto abilmente per manipolarla fin da quando aveva messo piede in
casa.
La sua rabbia si
estendeva a tutti i presenti che avevano taciuto e favorito quell’inganno che
le bruciava come sale sulla ferita aperta che lei aveva mostrato loro senza
alcun tentativo di protezione. Comprese che non avrebbe ottenuto nulla
brandendo la bacchetta contro uno degli ospiti più importanti dei Malfoy, forse
però poteva sfruttarlo a proprio vantaggio. Ripose la bacchetta.
Si avvicinò a Scorpius
tanto da arrivargli praticamente sotto il naso e parlò con voce bassa e fredda.
“Voglio vederlo con i
miei occhi.”
Non c’era alcuna
inflessione di richiesta o di cortesia.
Scorpius spalancò la
bocca per protestare ma poi parve ripensarci. Le offrì il braccio con una
riluttanza che parlava chiaramente per lui.
“Angie…” la voce di Albus
era fioca e poco convinta di quello che stava facendo ma lui la chiamò lo
stesso, chiedendole di tornare indietro.
“No.” disse laconica
senza nemmeno voltarsi.
Forse per una volta in
vita sua avrebbe dovuto ascoltare e accettare i consigli altrui.
Si sarebbe risparmiata lo
spettacolo che ancora le si riverberava nelle palpebre appena chiudeva gli
occhi.
La famiglia Schatten
impeccabile, tutti ineccepibili nei loro abiti da cerimonia, che sedeva insieme
ai Danes allo stesso tavolo, posto abilmente da qualcuno dei padroni di casa nel
punto diametralmente opposto della sala rispetto a quello dove avrebbero dovuto
sedersi loro. In modo che con l’inizio delle danze la possibilità di vedersi
reciprocamente si sarebbe azzerata.
Aveva potuto osservare
sia Charlotte, l’amata sorella di Derek, una ragazza della stessa età più o
meno di Tristan con morbide onde castane sciolte sul vestito giallo pastello,
sia Dehlia la sua matrigna.
Ciò che più le aveva
stretto il cuore a un chicco di riso era stato vedere Derek in perfetta salute,
col solito colorito ambrato, nessun livido né nessuna traccia delle torture che
avevano infestato la sua mente nei giorni passati a testimoniare della violenza
del padre. Il volto liscio e dai lineamenti sensuali accennava appena un
sorriso se proprio la situazione lo richiedeva, ma per il resto rimaneva
completamente inespressivo.
Angie era rimasta
pietrificata ad osservare, mentre il suo cuore sprofondava sempre di più, alla
vista di Celia che lo guardava dall’altro capo della tavola con aria vagamente
imbronciata e di lui che sembrava del tutto assente.
Era tornata più
frastornata di prima, chiedendosi quale fosse il senso di tutta quella scena,
incapace di vederne la ragione.
Ora davanti alle fiamme
del camino osservava le lingue di fuoco innalzarsi verso l’alto riflettendo e
torcendosi le mani in grembo.
“Ti stai distruggendo le
mani. Che cosa dirà la tua insegnante?”
Angelique restò immobile,
con lo sguardo fisso verso le braci incandescenti.
“Sono
arrabbiata anche con te.” rispose vedendo con la coda dell’occhio la chioma
rame avvicinarsi.
“Beh,
sappi che io avrei fatto molto di peggio rispetto a questo per impedire che
vedessi quello schifo.” il tono sprezzante di Martha le causò un lieve sorriso,
che si spense subito dopo.
“Non
ci capisco più nulla Martha.” sussurrò Angie chiudendo le mani a pugno per
smettere di stropicciarle come stracci. “Mi sembra di avere la testa in una
centrifuga. Devo assolutamente parlargli… Ho bisogno del tuo aiuto.”
Si
voltò e cercò speranzosa gli occhi marroni della ragazza accanto a lei.
L’espressione
che aveva in quell’istante le ricordò quando al primo le aveva annunciato che
sarebbe andata nella Foresta Proibita a cercare escrementi di Mooncalf, le
labbra contratte dalla disapprovazione e gli occhi foschi per la
preoccupazione. Proprio per questo le sue parole furono ancor di più una
sorpresa.
“Stanno
per fare il brindisi di mezzanotte, possiamo provarci quando inizieranno i
fuochi d’artificio.”
I
tratti da bambola di porcellana erano induriti dalla determinazione fino ad
alterare la sua fisionomia in un modo definitivo, sembrava molto più adulta dei
suoi quindici anni mentre le lunghe dita affusolate si chiudevano sulla
bacchetta di tiglio argentato, per poi nasconderla tra le pieghe della gonna
con un gesto naturale.
Martha
le fece un cenno con la testa per indicarle di ritornare verso il gruppo di
amici che già stringevano tra le mani i calici ricolmi di vino frizzante.
Angelique
sentiva crescere dentro di sé una tensione sottile e penetrante, come un fischio
ininterrotto, della stessa natura di quello che aveva provato nel parco.
Un
cameriere le depositò tra le mani un bicchiere allungato prima ancora che lei
potesse protestare che non le piaceva per nulla.
Nel
vociare degli ospiti, nelle risate eccitate per l’avvento del nuovo anno, nel
luccichio dei grandi lampadari di cristallo sopra le loro teste, nelle sostegno
che i suoi amici, manipolatori e calcolatori per questo ancor più amabili, le
davano Angie non riusciva a concentrarsi davvero su niente.
Era
come esserci e non esserci davvero, come se riuscisse a percepire il proprio
corpo distaccato e distante dalla mente, che ritornava ossessiva al pensiero di
Derek.
Derek
sotto i ciliegi in fiore a Natale, Derek che camminava al suo fianco, Derek che
la baciava e le sorrideva con una felicità nuova, Derek seduto a tavola col
padre, il sangue di Derek sulla neve del cortile, Derek che dentro i Tre Manici
di Scopa avvolgeva le spalle di Celia in un abbraccio protettivo, Derek che
giungeva al loro chiosco di soppiatto nel silenzio notturno, Derek che
l’abbandonava in infermeria, Derek che le raccontava di sua madre e di Dehlia,
Derek che faceva l’amore con lei…
“Dieci.”
Anche
nel Mondo Magico c’era la buffa usanza di fare il conto alla rovescia. E questo
le ricordò i suoi genitori, della lettera che aveva mandato loro per scusarsi;
chissà come stavano festeggiando?!
Il
loro pensiero la riportò al presente con la forza d’urto di una marea.
Angelique
si guardò attorno e vide che i suoi amici erano accanto a lei quasi a formare
un cerchio protettivo.
“Nove.”
Capiva
perché avessero agito alle sue spalle, non era molto dissimile dal modo in cui
si comportavano loro quando volevano proteggere Nana. Era il modo di volersi
bene dei Serpeverde, un po’ contorto e pieno di contraddizioni viventi, ma
sostanzialmente animato da buone intenzioni.
Le
sue dita affondarono nelle tasche nascoste della gonna per trovare subito la
bacchetta.
La via per l’inferno è lastricata di
buone intenzioni.
“Otto”
Osservò
attentamente i movimenti di Martha per capire quando sarebbe stato il momento
per iniziare ad avvicinarsi.
Accanto
a lei Albus si mosse un poco e lei vide le sue spalle drizzarsi immediatamente.
“Sette.”
Lo
avrebbe aggirato volentieri per osservare a sua volta, se Martha non avesse
scelto proprio quel momento per iniziare a camminare in modo disinvolto ma
abbastanza rapido in direzione di Derek.
“Sei”
Angie
arretrò, lasciando i suoi amici ad osservare la grande vetrata che dava sul
giardino e da cui avrebbero avuto una visione privilegiata dei giochi
pirotecnici.
“Cinque”
Sentì
la tensione aumentare a dismisura mentre seguiva Martha tra gli altri invitati,
cercando di tagliare in mezzo a coloro che fino a poco prima stavano ballando
al centro della sala.
Non
era un’operazione semplice riuscire a farsi strada tra persone che non avevano
alcuna intenzione di cedere il proprio posto convinte che glielo si volesse
rubare.
“Quattro.”
Una
signora con una vistosa pelliccia azzurrina si spostò di lato con riluttanza,
lanciandole uno sguardo un po’ infastidito quando i suoi piedi rimasero
inchiodati al pavimento.
“Tre.”
Martha
avanzò per qualche metro ancora prima di capire che lei non stava più al suo
passo.
Tornò
indietro e quando le fu davanti seguì il suo sguardo.
“Due”
Erano
a più di venti metri da lei.
Li
vedeva come si osserva il cielo quando ci si immerge in acqua e si sta sul
fondale a osservare le distorsioni delle onde. Li vedeva e non poteva credere
di ciò che i suoi occhi le mostravano.
Celia
stava abbracciata a Derek posando la testa sulla sua spalla. Derek aveva un
braccio attorno alla vita sottilissima di lei.
Erano
così vicini che il naso di Celia sfiorava la mandibola del ragazzo quando
respirava.
“Uno”
Le
sue gambe non rispondevano più, né le sue braccia, niente di lei lo faceva.
Il
viso di Celia si sollevò baldanzoso e con un sorriso estasiato prese
delicatamente il bavero della giacca di Derek.
“Buon
Anno!”
Non
lo sentì, nelle orecchie aveva il fischio acuto del presentimento e del panico
ora completamente reale. Non lo sentì affatto nel boato di urla e risate, ma lo
lesse sulle labbra a cuore di Celia prima che si posassero su quelle di Derek
in un bacio appassionato.
Buon Compleanno Angelique. Si disse in un ultimo barlume di sarcasmo.
E
poi non ci fu più nulla né da sentire né da vedere né da respirare.
Ci
fu il buio.
***
Avrebbe
pregato mesi prima perché Angelique fuggisse a quel modo da una sala che
ospitava anche Schatten. Ora tremava per ciò che Martha gli aveva raccontato.
Le
sue gambe si muovevano al massimo della velocità concessa dal vestiario. Si
erano sparpagliati per il castello, alla sua ricerca, ma solo lui sapeva dove fosse.
Uscì dal grande portone d’entrata e non si stupì di vederla lì, inginocchiata
nella neve.
La
pettinatura elaborata era stata sciolta da mani rabbiose, lasciando incompleta
l’opera con ancora trecce attaccate tra loro e forcine sparse qua e là nella
neve. I suoi capelli dorati erano sparpagliati tra il verde della seta della
schiena.
Albus
notò che i respiri erano troppo rapidi, troppo violenti per consentirle di
respirare davvero.
Riprese
a correre e le arrivò alle spalle, chiamandola per nome, ma Angie non rispose.
Emise solo delle specie di singulti bruschi e interrotti.
“Toglimelo!
Toglimelo di dosso o lo strappo!” non le aveva mai sentito una voce simile,
macchiata dall’isteria.
La
sua mano destra corse alla schiena cercando il nastro che chiudeva il vestito
senza trovarlo e arrancando ancora più freneticamente per liberarsi.
Albus
si inginocchiò e aprì la veste per rivelare l’incrocio di lacci bianchi
sottostante.
“Ti
prego, non respiro.” la voce di Angelique era ora debolissima e frammista di
lacrime che le erano cadute sulle guance, mezze ghiacciate per il gelo.
Le
sue mani corsero al fiocco alla base della schiena e lo sciolsero, consentendo
alla sua cassa toracica di espandersi finalmente e al corsetto di allentarsi.
Angelique emise un rantolo e si afflosciò su sé stessa, cadendo di lato e
rivelando ad Albus lo scempio che aveva operato sulla sua mano sinistra.
Un
bicchiere, Dio solo sapeva perché se lo fosse portato fin nel parco, giaceva
per terra rotto e con rivoletti rossi sulla superfice trasparente. La sua mano
era ricoperta di sangue e stretta a pugno.
Albus
la prese con delicatezza e la obbligò ad aprirla.
I
respiri di Angie avevano lo stesso rumore crepitante di quando si calpestano le
foglie d’autunno. Minuscole fratture dentro di lei.
C’erano
molteplici tagli da cui sgorgava ancora il sangue, ma ciò che lo spaventò fu il
frammento di vetro conficcato nel monte di venere, lo spazio sottostante al
pollice, più tutti gli altri minuscoli pezzi che si erano incastonati nella sua
pelle.
Lo
tolse con la massima delicatezza e durante l’estrazione Angie socchiuse appena
gli occhi, ma non ebbe altra manifestazione di dolore. Tamponò la ferita con la
neve per fermare il sangue e poi le fasciò la mano con la propria cravatta.
Angelique
restava immobile nella neve, gli occhi vitrei e completamente persi, ormai
incapaci anche di piangere. Si stava dissanguando in un modo impercettibile
alla vista, ma talmente evidente che lo percepiva solo standole accanto.
E
tentò come meglio poteva di arrestare l’emorragia dentro di lei.
Albus
le mise un braccio sotto il collo e uno dietro le ginocchia, la attirò a sé con
un certo sforzo perché era un peso morto, come se fosse svenuta. Riuscì a
sollevarla quel tanto che bastava per stringerla al proprio petto e tenerla
lontana dalla neve, riscaldandola come poteva solo col suo corpo.
Non
seppe nemmeno quanto rimasero così prima che Nana e Berty li trovassero.
Ciò
che percepì per tutto il tempo che le sue braccia sostennero il peso del corpo
di Angelique fu che qualcosa si era rotto in modo irreparabile. Qualcosa dentro
di lei era morto.
Note
dell’autrice:
Mi
preparo al linciaggio pubblico o eventualmente all’esultanza dei più. Inutile
dirvi quanto da questo momento in poi per me sia stato difficile scrivere e
immedesimarmi in ciò che succede.
Comunque
vorrei ringraziare in modo speciale: Cinthia988
e Leo99. per le splendide
recensioni lasciate.
Vi
mando tanti baci.
Bluelectra.