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Autore: Bluelectra    28/02/2017    3 recensioni
Sequel de "IlDestinoNonÈUnaCatenaMaUnVolo".
Dal Caos primordiale, in cui nessuna forma di vita poteva essere ospitata, nacquero le stelle. E solo grazie alla loro luce e al loro calore fu possibile concepire la vita.
Il Caos dentro di sé, i dolori a stento sopportabili, le peggiori cose della vita possono essere trasformate in gocce di splendore, in stelle in grado di illuminare la notte più buia e riportare a casa i dispersi.
Ritornano dopo quattro anni Angelique, Albus, James, Scorpius e tutti gli altri.
Dal Cap.16:
“Avanti Gigì, ora devi iniziare a comportarti in modo carino. Insomma deve essere almeno possibile il fatto che tu sia attratta da me!” ribatté James sporgendosi oltre il tavolino che condividevano.
Angie fece lo stesso, avvicinandosi a lui fino ad avere il suo viso molto vicino.
“E che cosa dovrei fare?” chiese sorridendo in modo delizioso.
“Beh per esempio potresti darmi un bacio, ci sono giusto quattro o cinque ragazzine che ci stanno guardando proprio adesso…” mormorò lui continuando a fissarla con i suoi occhi magnetici.
“Oppure potrei darti un pugno sul naso.” propose Angelique inclinando il capo.
“Oh Gigì, ma questo non è per nulla carino.”
“Io lo troverei adorabile!”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Cap. 24 L'inganno

Cap.24 L’inganno.

Niente è più facile che ingannare sé stessi.
L’uomo crede vero tutto ciò che desidera.
Demostene

“Non abbiamo alcuna autorità per fare quello che chiedi Dursley.” disse Neville Paciock scuotendo la testa.

“Ma professore! Quell’uomo è un mostro, lo ha massacrato di botte per riuscire a trascinarlo via di qui con la forza. Lo ha costretto!” esclamò esterrefatta Angelique.

“Quell’uomo è suo padre. Ha la sua tutela legale fino alla maggiore età di Derek. Può decidere di ritirarlo dalla scuola se lo ritiene giusto.” la interruppe il professore.

Angelique scattò in piedi sbattendo entrambi i palmi contro la cattedra dell’ufficio del Direttore di Grifondoro.

“Questo luogo dovrebbe proteggerci! Questa scuola non dovrebbe permettere che accadano cose simili sotto il naso di tutti.” esplose Angie in preda alla disperazione. “Lei non ha visto… Non può capire.”

Le sopracciglia di Paciock scattarono verso l’alto e la osservò per un lungo istante prima di rispondere.

“Comprendo la tua rabbia Angelique, credimi. So che cosa significhi vedere persone a noi care soffrire orribilmente, venire torturate persino, senza che si possa alzare un solo dito per aiutarle.” e il tono accorato con cui parlò le fece ricordare che il professore che le stava davanti aveva affrontato una guerra sanguinosa e tremenda. Una guerra che aveva segnato una generazione intera. “Purtroppo però ho le mani legate. Se avessi visto personalmente il signor Schatten agire come mi hai raccontato, potrei denunciarlo al Wizengamot.”

“Ma l’ho visto io! E inoltre ha attaccato anche me.”

“Tu Angelique non sei un testimone attendibile per una corte giudiziaria che debba togliere dalla tutela di un padre il figlio. Sei minorenne e sei la sua fidanzata. Senza tralasciare che la corte di cui parliamo è presieduta dal padre della ex fidanzata di Derek.” rispose Paciock con sincero dispiacere impresso nel suo viso tondo.

“Quindi Hogwarts permette che i suoi studenti vegano attaccati, percossi e rapiti all’interno delle sue mura?” chiese fredda Angelique puntando i propri occhi in quelli nocciola e calmi del professore. Quando non ebbe alcuna risposta da parte sua aggiunse con amarezza: “Non dovrei stupirmi, infondo è già successo un numero imbarazzante di volte.”

“Signorina Dursley la pregherei di moderare i toni.” l’ammonì Paciock nettamente più freddo di quanto non fosse stato fino a quel momento.

Angie si staccò dalla cattedra e raddrizzò le spalle.

“La ringrazio per il suo tempo. Non la disturberò più.” replicò con tono piatto.

Fece un cenno di saluto con la testa e uscì rapidamente dallo studio senza attendere la risposta del professore. Camminò stordita e svuotata nel corridoio, sentendo le caviglie venir lambite dalle sottili correnti gelide e le sembrò che si insinuassero anche sotto la sua pelle. Automaticamente prese la via della discesa verso la sua Casa, tagliando per le Scale Mobili.

Non aveva alcun senso in quel caso fare appello all’autorità della Preside. Paciock era stato chiaro. La speranza che almeno il Direttore della Casa di Derek potesse fornirle un supporto si era volatilizzata tra le sue mani.

Angie si accasciò sulle scale di pietra, che proprio in quel momento decisero di cambiare rotta, e le venne una gran voglia di piangere.

Non aveva idea di che cosa fosse successo a Derek, non poteva raggiungerlo dove Kurt Schatten lo stava tenendo in ostaggio, non aveva nessuno dei suoi amici con cui sfogarsi, aveva persino dimenticato le sigarette in dormitorio!

Angie respirò a fondo una, due, tre volte. Espanse la cassa toracica fino alla soglia del dolore e poi lasciò fuoriuscire l’aria lentamente, calmando il panico che voleva a tutti i costi esploderle in petto.

Gli occhi tornarono asciutti e le sue mani smisero di tremare in modo incontrollato.

Le servivano carta e inchiostro.

***

Scorpius richiuse la lettera, che Caliel il gufo di Angelique gli aveva consegnato, con un’espressione perplessa.

Gli sembrava vagamente delirante nel complesso, anche se non c’era nemmeno un errore di ortografia. Leggendola aveva avuto la sensazione di trovarsi davanti Angelique che gesticolava animatamente e si strappava le pellicine dal labbro inferiore, farneticando su rapimenti e torture.

Non avrebbe mai dubitato della sua parola, solo che conoscendola tanto bene sapeva perfettamente che aveva la tendenza a diventare tragica. Non come Nana, ma comunque parecchio.

Dalla data riportata sulla lettera erano già passati un paio di giorni da quando Angie gli aveva scritto; probabilmente il povero gufo, che ora riposava nella gabbia messagli a disposizione, aveva percorso in lungo e in largo l’Inghilterra per recare missive. Sperava che Angie avesse avuto la decenza di mandare un altro gufo in Irlanda da Martha per evitare di stremare il suo animale domestico.

Il giovane Malfoy si passò una mano sul mento e rifletté un istante sulla situazione che si stava delineando nella sua mente.

Aveva sentito cose parecchio diverse da suo padre, voci di corridoio che Draco raccoglieva silenziosamente e che riferiva alla moglie, inconsapevole che suo figlio usasse le Orecchie Oblunghe da quando aveva dodici anni. Voci che parlavano di riconciliazione e chiarimenti, non certo di pestaggi e coercizione.

Mancavano altri due giorni a quando Angie li avrebbe potuti raggiungere. Doveva scoprire quanto possibile su quella storia controversa e cercare di aiutare la sua amica, quindi doveva assolutamente fare un nuovo ordine prioritario a I Tiri Vispi Weasley.

***

Angelique non riusciva a mangiare quasi niente, non riusciva a studiare, beveva solo quando sentiva la bocca riarsa. In compenso scriveva.

Aveva scritto almeno una ventina di lettere, fumando come una ciminiera.

Cinque per i suoi amici, le cui risposte erano state rapidissime e piene di angoscia per lei, o di pacato stupore nel caso di Al, una per i suoi genitori e quindici o più indirizzate a Derek. Queste si erano ridotte sempre di più in lunghezza fino a un paio di righe di minacce di morte se non avesse risposto immediatamente.

Non aveva ancora ricevuto nulla da lui.

Non un solo segnale di vita in quattro giorni di ansia e incubi su che cosa gli fosse potuto succedere.

Le sue mani erano macchiate di inchiostro tanto che temeva non sarebbero più venute pulite per un bel po’. Il suo viso aveva un aspetto tale per cui Dominique avrebbe urlato se solo l’avesse vista conciata così e sarebbe corsa a prendere le sue schifezze alla papaya per curarla.

Non aveva più aperto libro, incapace di pensare agli incantesimi da memorizzare o alle pozioni da perfezionare. Sarebbe stato un macello il ritorno a scuola.

L’unico sollievo in quei giorni era stata la compagnia costante e rassicurante di Hagrid, a cui aveva risparmiato i dettagli, ma sulla cui spalla aveva pianto con tanto di singhiozzi.

Non avrebbe mai pensato di trasformarsi in un essere tanto lacrimevole, ma nei momenti di massima frustrazione il pianto era l’unica valvola di sfogo, oltre al distruggere cose a caso lanciando Bombarda a destra e a manca, che era decisamente più pericoloso.

E Hagrid come sempre era stato in grado di rassicurarla, dicendo che avrebbero trovato il modo di sistemare tutto; che finché ci si voleva bene c’era speranza.

Speranza.

Di questo si nutriva in realtà, attendendo il momento in cui le fosse stato concesso di sapere.

Se la realtà fosse stata truce la metà delle ipotesi che prendevano vita nella testa di Angelique già sarebbe stato un incubo.

Quando chiudeva gli occhi e cercava di riposare, perché dormire sembrava fuori questione, rivedeva il manrovescio con cui Kurt Schatten aveva colpito il figlio, rivedeva le poche gocce di sangue fuoriuscite dal suo labbro spaccato cadere sul selciato innevato. Rivedeva sé stessa, immobilizzata dalla sua stessa stupidità, impotente ad assistere.

Accolse quindi l’avvento del 31 dicembre con sollievo, grata di poter finalmente vedere i suoi amici.

L’ufficio della Blackthorn era come sempre minimale, con tutte le boccette di pozioni e distillati perfettamente ordinati. Angelique dandosi un’occhiata intorno con la consueta ammirazione per la precisione della professoressa si chiese se la donna che le stava davanti aveva già scoperto la Pozione Polisucco fasulla che se ne stava a decantare in uno dei suoi preziosi contenitori.

Gli occhi blu profondo della Blackthorn si posarono su di lei non appena ebbe finito di sistemare la Metropolvere, che l’avrebbe condotta tramite il camino nel salone principale del Manor.

“Dursley sei consapevole che quella di stasera è un’eccezione più unica che rara?” le chiese con l’usuale timbro chiaro e severo nella voce.

Angie annuì e si passò la piccola valigia, preparata la sera prima, da una mano all’altra.

“La ringrazio davvero per avermi dato il permesso di raggiungere i Malfoy.” la voce le tremò appena ma tanto bastò per tradire la sua posa sicura, nonché gli effetti Tonico Miracoloso alle rose di Dominique, che le aveva cancellato le occhiaie. Gli occhi della Blackthorn si piantarono sul suo viso e dopo una rapida ricognizione parvero comprendere molto più di quello che Angie si augurava che trasparisse.

Lo sguardo si assottigliò leggermente ma la donna non aggiunse altro.

Un fuoco verde dalle lunghissime lingue divampò all’istante nell’ampio caminetto, vi comparve anche il volto affilato e leggermente stempiato di Draco Malfoy. Il collegamento tra i due camini era stato concluso con successo evidentemente.

“Buona sera Beatrix, la mia ospite è pronta?” chiese l’uomo con tono uniforme e cortese.

“Buona sera a te, Draco. Angelique?” il busto flessuoso della donna si torse verso di lei osservandola.

Angie rimase stupita dai toni confidenziali con cui comunicavano i due, ma scrollò le spalle e annuì decisa. Non vedeva l’ora di abbracciare Al e lasciarsi invadere dalla sua calma razionale, voleva passeggiare con Scorpius e ascoltare i suoi racconti sulle novità del mondo magico. Aveva un bisogno spasmodico dei suoi amici.

Fece per entrare nello spazio dietro l’ampia architrave di granito, ma un contatto inaspettato la fece bloccare. La professoressa di pozioni le aveva posato una mano sulla spalla, con la presa salda delle dita attorno alla sua articolazione, come un saluto. Angelique la guardò stranita e quella le restituì uno sguardo di zaffiro fermissimo, per poi lasciarla andare come se nulla fosse.

Entrò nel fuoco, non prima però di aver visto la donna osservarla con un vaga sfumatura di preoccupazione.

***

Gli si schiantò quasi addosso non appena uscì dal caminetto, sporca di fuliggine, coi capelli tanto arruffati da sembrare una balla di fieno. Scorpius sostenne l’abbraccio impetuoso e vagamente destabilizzante di Angelique, accogliendola tra le proprie braccia. Profumava del suo shampoo e della sua pelle, in un miscuglio di fiori che solo lei aveva.

“Oddio che bello rivederti!” esclamò la ragazza stringendolo ancor di più e affossando il viso nel suo maglione.

Scorpius si limitò a ricambiare la forza della stretta, percependo che la tensione nelle spalle della ragazza andava diminuendo di istante in istante. Dall’altro capo della stanza Albus osserva la scena con un libro di diritto rilegato in pelle nera stretto tra le dita. Troppo stretto.

Quando Angelique si staccò da lui ebbe modo di verificare coi propri occhi il risultato di quattro giorni passati da sola, in balia delle sua mani impietose.

Il labbro inferiore era screpolato dalle pellicine e spaccato in più punti, dove il sangue ormai coagulato lasciava delle ombre più scure sulla pelle martoriata. Anche il superiore sembrava aver subito assalti simili.

Le sue dita, di solito curate per evitare che spiacevoli inconvenienti le impedissero di suonare, erano rosicchiate fino alla carne. Gli occhi erano cerchiati dalla vaga sfumatura scura che testimoniavano tutta l’inquietudine di quei giorni. Era, nel complesso, uno straccio.

“Angelique…” sussurrò, ma quando gli occhi verdi un po’ a mandorla trovarono i suoi con sguardo colpevole, un paio di mani lo scostarono con risolutezza dalla ragazza.

Astoria Malfoy prese per le spalle Angie, l’abbracciò, la scostò da sé e poi la scrollò lievemente con grazia, tutto nell’arco di un unico movimento fluido ed elegante.

“Dimmi tesoro, lo hai finalmente perdonato?” le chiese con gli occhi scuri che brillavano di felicità.

“Eh?” chiese di rimando Angie non afferrando la situazione.

A Scorpius, purtroppo, era fin troppo chiara.

“Vi ho visti abbracciarvi! Pensavo che magari lo avessi perdonato per qualunque cosa ti avesse fatto l’anno scorso e che ora…” la voce di sua madre venne interrotta da quella di Angie in evidente imbarazzo.

“Astoria, non so come dirglielo… Mi dispiace davvero, ma io e suo figlio non siamo altro che amici. E non è mai stata colpa sua, sono stata io a spingerlo ad allontanarsi.” Angelique chiamava per nome i suoi genitori ma non era mai riuscita a valicare la barriera della formalità, per cui usava ancora il “lei”.

“Oh…” il tono di Astoria denotava la perdita di entusiasmo con cui si era fiondata addosso alla ragazza. “Beh immagino che allora non ci sia proprio più niente da fare, vero?”

Scorpius non poteva vedere l’espressione della madre nella sua interezza, visto che riusciva solo ad osservarla di profilo, ma avrebbe scommesso dieci galeoni che era la classica espressione da cucciolo ferito con cui riusciva a far fare a suo padre qualunque cosa. Compreso mangiare la trippa.

“Io… Eh… Mi dispiace tanto.” pigolò la ragazza sgranando gli occhi verdi in un’espressione sinceramente addolorata.

“Astoria, lascia andare quella povera ragazza.” la voce leggermente strascicata di Draco dominò la stanza.

“Ma Draco…” protestò sua madre voltandosi appena e riservandogli un’occhiataccia per aver interrotto la sua opera di convincimento.

“I ragazzi hanno preso la loro decisione, cara. Credo che abbiano fatto la scelta migliore per loro stessi e sono anche riusciti a restare amici.” Draco avanzò camminando ben eretto e rivolgendo un cenno di saluto ad Angie, accompagnandolo con un sorriso sincero.

“Sono giovani e, in quanto tali, stupidi! Senza offesa tesoro…” aggiunse con un’occhiata rapida ad Angie. “Sono obnubilati dagli ormoni, non sanno quello che fanno.” continuò con tono estremamente ragionevole la donna, come se stesse spiegando una questione particolarmente spinosa a un bambino di tre anni. In tutta la diatriba non aveva ancora spostato le mani dalle spalle di Angie.

Draco le rivolse un mezzo sorriso con un occhiata obliqua, in cui si racchiudevano anni di comunicazioni condensati in una semplice posa silenziosa. Astoria sospirò pesantemente e rivolse uno sguardo di rimpianto estremamente teatrale alla ragazza davanti a lei.

“Questa casa sarà sempre aperta per te.” si chinò su di lei e le diede un bacio con schiocco sulla guancia.

“Madre…” la richiamò anche lui esasperato dall’esagerazione con cui la donna sembrava prendere la situazione. Draco prese per mano la moglie e la condusse con garbo verso il salone che stava subendo le ultime modifiche in vista della festa.

“Ti avrei regalato i rubini di nonna Black, sarebbero stati perfetti su di te!” aggiunse Astoria voltandosi verso di lei mentre i suoi passi la conducevano fuori dalla stanza.

“Madre!” esclamò Scorpius, ma proprio mentre la donna usciva la vide sogghignare.

Nessuna meraviglia che anche sua madre a Hogwarts fosse stata una Serpeverde. Se lo desiderava sapeva essere decisamente più astuta e subdola di tutta la famiglia Malfoy messa insieme.

“Non gli hai detto come sono andate le cose?” la voce di Angie era poco più di un sussurro.

Scorpius si strinse nelle spalle e scosse lievemente il capo.

“Non erano questioni che li riguardassero. Hanno saputo l’essenziale.”

“Immagino sia per questo che ha ancora una così alta considerazione di me.” ribatté Angelique serrando le labbra di una piega amara, ma quel gesto le causò un lieve sussulto per l’apertura di una delle minuscole ferite che si era autoinferta.

“Ce l’avrebbe anche se ti dovesse aiutare a sotterrare un cadavere, Angie. Ti vuole bene, davvero.” disse lui semplicemente.

Angie non rispose perché in quell’istante i suoi occhi avevano trovato dall’altro capo della stanza i propri gemelli.

I due si andarono in contro in simultanea. Nel momento in cui si abbracciarono Scorpius poté notare le mani di Al cingerle la vita con forza, il viso di Angie distendersi finalmente, non più contratto nello sforzo di nascondere il dolore, che ora trapelava da ogni tratto delicato, le loro braccia adattarsi perfettamente l’une alle altre. Il corpo di Albus si chiuse su quello di lei cercando di trarla più vicino possibile a sé e contemporaneamente Angelique si abbandonò del tutto contro di lui. Le ginocchia le cedettero e Al la sostenne, sollevandola di qualche centimetro da terra.

Nessuno al mondo avrebbe potuto comprendere Angelique come Albus. E questo dato di fatto si manifestava anche da come lui sapeva, per istinto o per ragione non avrebbe saputo definirlo, lui sapeva sempre comportarsi con lei. Sembrava che qualcosa nella remota linea di genoma che condividevano li unisse con trame invisibili.

La blanda gelosia che aveva provato i primi tempi per quel legame così estraneo alla sua natura era presto stato sostituito da una consapevolezza molto più rassicurante.

Albus era per Angie cioè che la terra è per gli alberi, il punto dove ancorarsi e dove trarre energie per vivere, la casa del cuore senza cui non si può sopravvivere. Era imprescindibile e basta.

***

Astoria Malfoy aveva un senso dell’ospitalità tanto profondo che poteva sfiorare quello delle castellane di epoche remote con schiere di servi per ogni mansione da svolgere, cosa che in effetti possedeva.

Aveva passato circa un’ora a raccontare a Scorpius e Albus che cosa fosse successo, dopo di che tre elfe domestiche erano entrate nello studio in una sequenza ininterrotta di inchini profondi, affermando che “la signorina Angelique” doveva assolutamente seguirle perché si prendessero cura di lei.

Quando Angelique aveva gentilmente declinato l’offerta, le creature si erano scambiate delle occhiate di vero e proprio panico, una delle tre era corsa con un strillo acuto verso lo stipite della porta e aveva dato una testata poderosa, cadendo poi lunga distesa per terra. Le altre due erano state sul punto di imitarla da un momento all’altro.

Angie era corsa immediatamente a vedere l’entità dei danni e l’elfa, che per fortuna aveva solo un grosso bernoccolo rosso sulla fronte, le aveva chiesto con occhi gonfi di lacrime se non voleva i loro servigi perché non erano abbastanza brave. Nel frattempo la più grande delle elfe domestiche, quella che sembrava dirigere il terzetto, si era schiacciata le dita della mano sinistra in uno dei cassetti del mobile di radica, emettendo singulti di dolore.

La ragazza, pur di far cessare quella confusione ed evitare che ci fossero ulteriori danni fisici, aveva ceduto. Sospettava che dietro l’insistenza delle elfe ci fosse lo zampino di Astoria. In ogni caso era stata condotta lontano dai suoi amici e portata nella stanza degli ospiti che di solito le riservavano quando era in visita a Malfoy Manor.

Lì l’attendeva una vasca fumante e un bagno pieno di vapori profumati alla violetta.

La seconda battaglia di quella guerra si era svolta sul campo del vestiario e delle abluzioni personali.

Quando un elfo domestico diceva di volersi prendersi cura di un essere umano, intendeva che l’essere umano sarebbe dovuto rimanere immobile con un vegetale e farsi fare ogni singola operazione, tra cui farsi spogliare, lavare, massaggiare, asciugare, rivestire e tutto ciò che ci stava nel mezzo.

Angelique ovviamente aveva protestato vivacemente, infastidita oltre ogni modo da quell’invasione della sua privacy e dall’idea di farsi servire e riverire rimanendo inerme come una bambola di pezza, ma vedendo gli occhi delle creature diventare pericolosamente lucidi, aveva deciso di scendere a patti con quell’esperienza surreale.

Si sarebbe svestita e pulita da sola, ma le elfe avrebbero potuto lavarle i capelli e pettinarglieli per la festa. Con occhiate torve avevano accettato la tregua, premurandosi però poi di aggiungere anche un trattamento speciale alle sue labbra e alle sue occhiaie grazie a unguenti che l’avevano rimessa a nuovo, nonché la ricostruzione delle sue dita, non più bluastre di inchiostro né rosicchiate. Tutte cose di cui era silenziosamente grata.

Ora Angie si ritrovava con i ricci intrappolati in un’elaborata acconciatura che glieli teneva sollevati sul capo, in un misto di forcine, trecce e ciocche arrotolate su sé stesse.

Angelique aveva appena indossato la veste da strega beige acquistata per l’occasione (con il rimasuglio dello stipendio delle Menadi rimastole dopo l’acquisto della Winter Wind), decorata un delicato ricamo di foglie dorate sulle maniche a tre quarti, quando bussarono alla porta della sua stanza.

“Avanti!” esclamò cercando tra una contorsione e l’altra di chiudere gli ultimi bottoni sulla schiena rimasti slacciati.

Entrò Albus già pronto nel suo completo nero come la pece che creava uno splendido contrasto tra la pelle chiara e i capelli mori; al colletto era allacciata una cravatta perfettamente annodata, sicuramente non opera sua.

Angie si voltò verso di lui giusto in tempo per scorgere un sopracciglio inarcato sparire dalla sua faccia.

“Mi dai una mano o aspetti che mi lussi la spalla?” chiese contrariata.

Albus scrollò le spalle e si avvicinò.

“Sei carina pettinata così.” disse Potter infilando rapidamente i bottoncini nelle asole.

“Non dire balle. Lo so che stai pensando che sono ridicola. Ho fatto un patto con quelle creature demoniache, ti prendono per pietà e poi ti fanno ciò che vogliono!”

Albus alle sue spalle emise un risolino tra le labbra, quella pallida imitazione di risata che faceva quando era assorto nei propri pensieri ma non voleva darlo a vedere.

Lo aveva percepito sin da quando avevano sciolto l’abbraccio con cui l’aveva accolta, era come una sottile corrente sottopelle che non voleva saperne di andare via.

Che sapesse qualcosa di Derek? Che fosse talmente brutto che non trovata le parole?

No. Albus le avrebbe detto la verità, sempre, a prescindere da quanto dura fosse stata…

“Angelique…” la chiamò con un’evidente nota di preoccupazione.

Angie si voltò lentamente col sangue raggelato nelle vene. Chiuse gli occhi, deglutì e inspirò a fondo prima di parlare col cuore martellante nelle vene del collo.

“Sono pronta. Di’ quello che sai.” mormorò con fare stoico fissando dritto negli occhi il suo migliore amico.

“Il tuo vestito è macchiato.”

“Cosa?”

“Il tuo vestito è macchiato.” ribadì il ragazzo indicandole con una mano il retro della sua gonna.

Angie si voltò di scatto, inarcandosi e cercando di vedere l’entità del danno, ma non riuscendoci si piazzò davanti alla specchiera e inspirò bruscamente.

Una macchia blu scuro faceva bella mostra di sé nel mezzo della lunghezza della gonna, della forma esatta della sua mano destra. Un macchia d’inchiostro che probabilmente aveva fatto involontariamente in quei giorni maneggiando il vestito dopo aver scritto le infinite lettere a cui non c’era stata alcuna risposta.

Si trattava dell’inchiostro incantato apposta per non subire alcuna alterazione né per le intemperie né per altri solventi, quindi l’idea di farla sparire con un incantesimo a poco dall’inizio della festa era ridicola. E lei era senza vestiti.

Inaspettatamente le venne da ridere e lasciò che la risata le prorompesse dalle labbra. Al comparve nella visuale dallo specchio con un sopracciglio corvino inarcato e uno sguardo sospettoso.

“Hai una crisi isterica?” le chiese con fredda lucidità.

Angie scosse la testa e si morse il labbro inferiore cercando di smettere di ridere.

“Pensavo solo che l’unico indumento adatto alla situazione che io abbia è il mio mantello… Mi sono immaginata in biancheria intima e mantello blu a volteggiare tra gli ospiti dei Malfoy con disinvoltura degna di Nana.”

Questa volta rise anche lui, immaginando la scena.

Così quando Scorpius entrò bussando alla porta spalancata li trovò che sghignazzavano ancora.

Spiegata la situazione e le dirette conseguenze al giovane Malfoy, questi si passò l’indice sul labbro superiore meditabondo.

“I vestiti di mia madre non ti entrerebbero mai, lei è magra e minuta.” Angelique gli lanciò un’occhiata truce per il paragone con Astoria. Grazie tanto che non le sarebbero andati bene, la padrona di casa era la metà di lei. “Che c’è? Ho solo detto la verità.” si difese il ragazzo alzando i palmi.

“Amico stai peggiorando la tua situazione.” bisbigliò Albus.

“Comunque, forse ho una soluzione.” aggiunse Scorpius illuminandosi in un sorriso malandrino.

 

 

 

Angelique non aveva mai visto nulla di smile. Non esistevano negozi che vendessero normalmente merce del genere, il loro valore era evidente anche per chi ne capiva poco come lei.

L’armadio che le era appena stato messo a disposizione era un sogno, Dominique probabilmente avrebbe dato un rene per poter indossare uno degli abiti che stavano appesi alle grucce di seta imbottite.

Erano vesti da strega eleganti e raffinatissime, dalle più sobrie alle più suntuose, impreziosite da ricami finissimi e pietre preziose sugli orli e sui corpetti. Erano tutti fatti a mano e su misura ovviamente. Guardandole Angie avrebbe detto che la foggia non era moderna, anzi aveva un retrogusto quasi vintage anche per il Mondo Magico, ancora abbastanza tradizionale.

“Di chi sono?” chiese la ragazza in sussurro emozionato sfiorando con la punta delle dita una gonna di broccato oro.

“Di mia nonna.” rispose Scorpius.

Angelique istintivamente retrasse la mano e fece un passo indietro.

Narcissa Malfoy era il fantasma silenzioso della dimora. Compariva ormai talmente di rado agli estranei e nelle occasioni pubbliche che sembrava intenzionata a far dimenticare al mondo la sua esistenza. Viveva nelle sue stanze in un’ala più appartata del castello, avvolta da un velo di malinconia e dai suoi abiti neri, come lutto perenne per la morte del marito.

I ritratti sparsi per i vari saloni la ritraevano nel fiore degli anni come una delle più belle donne che Angie avesse mai visto. Bionda, dalla pelle eburnea, lo sguardo grigio ferro altero come quello di un’imperatrice, il fisico longilineo e la bellezza assoluta che ne faceva il fiore più bello dell’intera collezione di quadri, Narcissa doveva essere stata una sole radioso tra banali satelliti.

Doveva aver dominato la vita di società come la naturalezza di chi era stato cresciuto per occupare uno specifico posto nel mondo.

Angelique l’aveva incontrata solo una volta prima di allora, quando a tredici anni Scorpius aveva tanto insistito per presentargliela. Era estate e Angie indossava dei pantaloncini di jeans con gli orli sfilacciati e una maglietta con un panda che le aveva regalato Nana. Non aveva mai dimenticato lo sguardo con cui l’aveva trafitta la donna mentre le porgeva la mano.

L’aveva denudata, analizzata, valutata e scartata in meno di due secondi.

L’idea quindi di indossare qualcosa di tanto prezioso e rischiare di rovinarlo, incorrendo nelle ire di Lady Narcissa, le faceva prendere in considerazione seriamente l’ipotesi di andare nel salone principale vestita del solo mantello.

“No. Assolutamente no.” disse Angelique scuotendo il capo, impalcato tanto saldamente che non un riccio uscì dalla pettinatura.

“Non credo tu abbia molta scelta.” ribatté Scorpius stringendosi noncurante nelle spalle.

“No. Non posso! Oddio Scorp guardali… Li farei a pezzi solo scendendo dalle scale. Tua nonna non mi darebbe mai il permesso.”

“Ciò che mia nonna non vede, mia nonna non sa! E stasera i suoi occhi non saranno nella sala del ricevimento, come tutto il resto della sua persona.” ribatté lui facendo scorrere con decisione un paio di abiti sulla sbarra di legno a cui erano appesi.

Ne osservò alcuni, li fece passare avanti e indietro un paio di volte e poi, con una rapidità che ad Angie risultò incomprensibile davanti a tanta scelta, estrasse dall’armadio un vestito verde inteso.

La gonna fluttuò per un istante in aria catturando tra le pieghe della seta ombre scure. Il corpetto aveva un motivo li libellule dorate che delicate salivano dalle braccia e dai fianchi diradandosi, come se fossero riuscite a prendere il volo dalle spalle e dal seno. La scollatura rotonda era ornata da un finissimo merletto di pizzo crema, così come le maniche lunghe.

“Sei completamente impazzito.” pigolò la ragazza immaginandosi già il suo elefante latente che le faceva fare un’entrata in scena memorabile inciampando davanti a tutti gli ospiti e strappando la gonna.

“Avanti Dursley è solo un vestito! Mia nonna non lo indossa più da talmente tanti anni che nemmeno se lo ricorderà.”

Angelique dubitava seriamente di un’ipotesi simile, ma alla fine cedette, sia per necessità sia per la banale considerazione che non le sarebbe più capitato di indossare un abito del genere.

Scoprì ben presto il costo del suo peccato di vanità.

“Si chiude?”

“Non ancora!”

“Maledizione…”

“Lascia fare a me Al.”

“Scorp forse dovresti stringere un po’ qui…”

“Oddio… Sverrò.”

“Aspetta forse ora… No niente. Non si chiude.”

Il corsetto annesso al vestito. Ecco che cosa teneva impegnati i tre adolescenti nel vano tentativo di congiungere i lembi di stoffa sulla schiena di Angie.

“Io mi sento morire così. Scorpius non ce ne sono di più larghi?” chiese la ragazza col fiato corto per la costrizione a cui tutto il suo busto era sottoposto.

“No, tutti della stessa misura.”

“E ora che facciamo?” chiese tranquillamente Albus sistemandosi la cravatta nello specchio.

“Forse dovreste lasciar fare a chi ne sa di più di voi.” disse una voce musicale e profonda.

Ecco, ora svenire sarebbe stato un ottimo escamotage per evitare le conseguenze della stupidità del rampollo di casa Malfoy.

Nacissa era apparsa sulla porta della stanza con un piccolo elfo appresso dagli enormi occhi neri. Probabilmente tutto il baccano che avevano prodotto nel tentativo di farla entrare nella veste verde aveva indotto gli elfi a chiamare la legittima proprietaria.

“Nonna, ti chiedo scusa se non ti ho chiesto il permesso. Non volevo disturbarti, so che non ami partecipare a questa festa. Ad Angelique serviva un vestito e ho pensato che sarebbe stata bene con uno dei tuoi, ti dispiace che le abbia dato questo?” il tono dolce e dimesso con cui Scorpius parlò stridette con tutto ciò che Angie conosceva di lui.

Era un manipolatore nato e ovviamente sapeva quali tasti toccare con la nonna che lo adorava.

Sul volto severo di Narcissa, segnato dalle sottili rughe che le percorrevano la pelle come una ragnatela, spuntò un sorriso lievissimo di divertimento. Anche lei sapeva di che pasta fosse fatto suo nipote.

“Voi due fuori, sono cose da donne queste.” ordinò con uno sfarfallio delle dita rivolgendosi ad Al e Scorpius.

Quando la donna avanzò con un portamento tanto fiero e ritto che avrebbe fatto invidia a Martha, Angelique provò l’impulso di fare una riverenza e inchinarsi. I due ragazzi si smaterializzarono dalla stanza alla velocità della luce, abbandonandola al suo destino. Angie sentiva le guance scottare per l’imbarazzo di essere stati scoperti a frugare nelle sue cose e con gli occhi bassi parlò:

“Le chiedo scusa. Non volevo usare i suoi abiti, solo che il mio è inutilizzabile e la festa inizia tra poco…”

“Voltati.” la interruppe senza tante cerimonie l’altra, utilizzando sempre lo stesso tono asciutto, ma non freddo né sgarbato.

Angie fece come ordinato e si ritrovò faccia a faccia con la specchiera.

Narcissa Malfoy era poco più alta di lei e con gli anni sembrava essersi assottigliata come un foglio di pergamena. I capelli erano ancora molto folti e bianchissimi, pettinati abilmente con la treccia che le ricava sul petto. Gli occhi grigi erano ancora intensi come nella sua giovinezza, estremamente espressivi e orlati da forte ciglia ormai candide.

Sembrava che la bellezza tanto decanta dai racconti di famiglia e dalle dicerie non avesse voluto abbandonare la donna, lo scorrere del tempo aveva levigato la sua persona, come le rocce di un fiume che si schiarivano e consumavano sotto l’impeto dell’acqua ma che non potevano essere mutate del tutto.

Le sopracciglia chiare si corrugarono appena mentre con dita agilissime scioglieva i lacci del corpetto, ammorbidendo quella trappola e consentendole finalmente di respirare. Il sollievo fu comunque fugace, perché subito dopo con un colpo di bacchetta lo fece richiudere molto più stretto di prima.

Angelique tossì e inspirò a fatica un paio di volte.

Non ne valeva la pena, nemmeno per quell’abito, non ne valeva decisamente la pena. Non avrebbe potuto mangiare quasi nulla, una vera scocciatura.

“Ti dona questo colore. Almeno quello sconsiderato ha buon gusto.” commentò Narcissa mentre il lieve sorriso che associava al pensiero del nipote le ricompariva sulle labbra.

“Grazie.” rispose Angie guardandosi allo specchio.

In effetti il risultato era soddisfacente, il seno che era stato impietosamente strizzato da quell’arnese le affiorava in modo sensuale ma non volgare dalla scollatura e la vita era stata decisamente assottigliata. Tuttavia rimaneva il problema dell’orlo dell’abito che era ancora di qualche centimetro troppo lungo. Narcissa parve seguire lo stesso filo di pensieri perché immediatamente le osservò i piedi

“Elias, prendi delle scarpe blu di raso.” disse osservandola con la testa leggermente inclinata. “Semplici.” aggiunse in un secondo momento.

Il piccolo elfo di cui Angie si era momentaneamente dimenticata sgambettò per la stanza andando verso un armadio a parete che si rivelò essere una scarpiera enorme.

Angelique si guardò attorno per un attimo e notò che lungo le pareti c’erano molte ante che prima non aveva nemmeno rilevato, probabilmente piene di altri vestiti e accessori. Era la cabina armadi di una principessa non di una strega.

Infatti Narcissa non doveva essere stata qualcosa di molto diverso da una nobile negli anni in cui i Purosangue tenevano in pugno la politica e l’economia del Mondo Magico. Era stata una Black, poi una Malfoy e infine una condannata alla gogna pubblica. Forse riusciva a capire perché non avesse più voglia dello scintillio delle feste; il suo mondo era tramontato, gli ideali che lo avevano fondato, giusti o sbagliati che fossero, erano stati spazzati via. Di ciò che lei aveva amato e che aveva costituito la sua vita per anni non restava più nulla, a parte la sua famiglia che aveva scelto un’altra strada, che si era aperta al mondo e alle novità, mentre lei si era chiusa nel suo castello.

L’elfo tornò con un paio di scarpe blu notte con il tacco, come ordinato dalla padrona, e gliele fece indossare. All’inizio le sembrarono grandi ma in una frazione di secondo si adattarono ai suoi piedi avvolgendoli come guanti.

Angie alzò sorpresa gli occhi verso la donna e questa con tono ironico sussurrò:

“Magia!”

Grazie ai centimetri aggiuntivi l’orlo dell’abito cadeva ora in modo perfetto. Angelique alzò soddisfatta lo sguardo verso la sua benefattrice e trovò quelli grigi di lei fissi sulla sua persona.

“Me urit amor.” mormorò Narcissa.

Angelique colse la citazione, grazie ai corsi aggiuntivi che Hogwarts aveva imposto alle nuove leve, ma le rivolse uno sguardo perplesso, non capendo a che cosa si riferisse.

“Quando un amore del genere ti tocca, vieni marchiato. Prendi fuoco e ti lasci consumare, lasci che la tua anima venga spogliata e resa fragile. E tu, bambina, bruci.” le spiegò senza alcuna inflessione particolare della voce. “Oh sì, bruci e ti consumi per lui.”

Gli occhi di Angelique si spalancarono di sorpresa e avrebbe pure inspirato rumorosamente se il corpetto le avesse lasciato la possibilità di farlo.

“Lo sfarzo, la ricchezza, il potere, il buon nome della famiglia, la libertà, l’onore… Niente vale un attimo di quello.”

La sua voce si era fatta lontana come se avesse iniziato a vivere in un’altra dimensione, in cui probabilmente la sua pelle era fresca e liscia come i petali di rosa e i suoi capelli erano ancora fili d’oro.

La donna le voltò le spalle e si avviò verso l’uscita incedendo col suo passo altero.

Angie impiegò qualche attimo per riprendersi dalle parole della donna ma quando ormai aveva varcato la porta si sentì in dovere di ringraziarla.

“Grazie.”

Lei voltò la testa sopra la spalla e chinò appena il capo con un sorriso a fior di labbra. Poi scomparve nei corridoi bui di Malfoy Manor.

***

Albus aveva stipulato un patto coi suoi genitori all’età di dodici anni.

Esso prevedeva che ad anni alterni Al potesse partecipare alla festa di fine anno a casa Malfoy, così che l’anno successivo sarebbe rimasto con la famiglia alla Tana o a Villa Potter. Quell’anno aveva rotto le promesse fatte e si era recato da Scorpius subito dopo che gli erano arrivate in successione le lettere di Angelique e del suo amico.

E a giudicare dallo stato in cui era la ragazza appena uscita dal camino con la Metropolvere, nonché dalla storia che aveva raccontato, era stata la decisione migliore, anche aveva lasciato la nonna imbronciata.

Albus si era fatto un’idea precisa di quello che sarebbe successo quella sera e in generale nel futuro della sua migliore amica, proprio per questo sperava di tutto cuore di sbagliarsi.

Stavano scendendo le scale insieme, lui ed Angelique, fianco a fianco. La mano di lei che si era appoggiata al suo avambraccio era ghiacciata per la tensione e gli occhi erano corsi immediatamente agli invitati che stavano iniziando ad affollare il piano terra.

“Angelique ti converrebbe guardare gli scalini se non vuoi che Narcissa ti insegua fino alle porte dell’Inferno.” le suggerì dandole un buffetto sulla guancia pallida.

Angie emise uno sbuffo divertito e si concentrò sul dislivello tra uno scalino e l’altro.

Di comune accordo lui e Scorpius avevano omesso che tra gli invitati ci fossero sia i Danes sia gli Schatten.

Durante quei quattro giorni, Angie non era stata l’unica a mandare lettere a fiotti. Anche lui e Scorpius avevano comunicato con gli altri ragazzi di Serpeverde per capire come gestire la situazione. Avevano stabilito tutti insieme, compresa la polemica Nana, che la cosa migliore fosse tenerla lontana da loro, per scongiurare inutili sofferenze a lei e una scenata pubblica ai Malfoy. Ciononostante Angelique da parte sua sperava che il ragazzo o la sua famiglia si presentassero al Manor e li cercava tra le persone.

L’immensa sala rettangolare ospitava al suo centro la pista da ballo della stessa forma, tutto attorno c’erano tavoli sparsi e pietanze di ogni genere. Eleganti camerieri in livrea volteggiavano tra la folla con un vassoio sospeso sopra le mani offrendo vino e analcolici.

In men che non si dica si ritrovarono immersi nella folla di maghi e streghe che erano accorsi per l’annuale evento al castello nel Wiltshire, Angelique si strinse di più al suo fianco e si lasciò condurre verso il punto in cui aveva scorto Martha, Berty e Octavius, che insospettabilmente stava comunicando con una qualche sorta di partecipazione con la O’Quinn.

Martha era di profilo in quell’istante, con i riccioli ramati legati in un morbido chignon sulla nuca. Indossava un paio di perle barocche pendenti come unico accessorio sulla veste di velluto blu scuro, ma sembravano stregate tanta era la luce che davano alla sua pelle rosea. E lui, in quell’attimo sospeso prima che lei si rendesse conto che la stava osservando, guardò con cura i minuscoli dettagli di lei che lo colpivano ogni volta in modo sorprendente. La curva dolcissima delle sue labbra quando sorrideva, la misura con cui annuiva per non danneggiare la pettinatura, gli occhi color del cioccolato che si illuminavano nella risata causatale da Berty.

Sentì le viscere torcersi, prendere fuoco e reclamare il diritto di scioglierle i capelli sulla schiena, incastrando le dita alla base della nuca, dove la pelle era più sensibile, e farle scorrere delicatamente tra i riccioli disordinati, liberandoli dalle forcine.

Sbatté un paio di volte gli occhi e respirò a fondo, ma non fu abbastanza rapido a dissimulare quello che aveva provato perché accanto a lui Angelique già sogghignava.

Berty li intravide per primo e alzò una mano nella loro direzione, così anche Martha si voltò facendo ondeggiare i pendenti. Il suo viso passò velocemente su di lui con freddezza per poi posarsi su Angelique e sorriderle entusiasta.

Quello che prima si era animato alla sua vista ora si accartocciò su sé stesso.

Non gli aveva ancora perdonato la pagliacciata che aveva fatto dopo il Ballo di Natale, glielo leggeva in faccia come se fosse stato scritto a caratteri cubitali sulla sua fronte.

“Angelique… Non avrei mai pensato di vederti un giorno con un corsetto!” disse Martha andando in contro all’amica e poi aprì le braccia.

Angelique si lasciò abbracciare chiudendo gli occhi e posando il mento sulla spalla dell’altra.

“Sei strepitosa.” le disse più piano Martha accarezzandole le schiena.

“Oh, senti chi parla!” esclamò Angie scostandosi un po’ per osservarla in viso.

Albus si limitò a salutare Berty e Octavius con un sorriso e un cenno del capo. Loro evitavano volentieri i convenevoli.

Scorpius era al posto d’onore insieme ai suoi genitori all’ingresso della villa, per accogliere gli ospiti e li avrebbe raggiunti solo quando il gravoso compito fosse terminato. Quindi mancava solo una all’appello.

“Elena?” chiese a Berty dandosi un’occhiata attorno.

“Con suo padre. Avresti dovuto vedere che faccia aveva quando è arrivata.” e il ragazzo scosse la testa castana ridacchiando.

Se era la stessa con cui stava camminando al seguito di Lord Zabini in quell’istante era notevole. A una decina di metri da loro Nana camminava al fianco del padre con un la fronte corrugata e la bocca piegata all’ingiù in una manifestazione di malcontento che sarebbe potuta essere più chiara solo con le braccia conserte.

La ragione era sicuramente il vestiario che era stata obbligata a indossare. Una sobria e seriosa veste nera, dotata di un fiocco in vita, che non minimante l’indole della giovane Zabini. Tuttavia i suoi capelli avevano una nuova tinta, uno sgargiante blu elettrico che attirava quasi ogni sguardo quando passava.

Albus guardò con la coda dell’occhio verso le ragazze che parlavano fitto fitto tra di loro. Martha teneva tra le proprie mani quelle di Angelique e le mormorava qualcosa con dolcezza, l’altra aveva il capo chino e annuiva di tanto in tanto. Non sapeva quale fosse l’argomento preciso, ma sicuramente c’entrava con Derek data l’espressione della ragazza.

All’entrata del salone fecero il loro ingresso i tre Malfoy, ultimi a chiudere la lunga fila di invitati. Gli occhi di Scorpius vagarono rapidissimi nelle più di quattrocento persone per trovarlo nel luogo di ritrovo che avevano stabilito con gli altri, l’alcova a lato del camino.

Vi lesse la conferma che i presentimenti che entrambi avevano covato fino a quell’istante erano la realtà.

***

Scorpius tornò dalla missione politica per recuperare Elena vittorioso e grazie al diversivo della nuova arrivata, abbracciata e confortata dalle amiche per l’infelicità causatale dalle festività natalizie, riuscì a comunicare con Albus.

Si accostò con tranquillità e parlò in un sussurro.

“Sono arrivati. Entrambi.”

Albus accanto a lui annuì e negli occhi verdi passò un sentimento indefinibile tra la rabbia e il dispiacere, velocemente sgombrato quando notò che le ragazze si stavano avvicinando.

“Pensavo… Dato che il ricevimento andrà per le lunghe, come la vedete una gita in giardino?” propose Martha.

“Va bene, io però ho fame. Prima voglio fare uno spuntino.” disse Nana con tono estremamente serio, come se si fosse trattato di programmare il lancio di uno shuttle.

Scorpius sapeva esattamente che uno spuntino di Elena consisteva nella razione media di un elefante africano.

E sapeva anche che Martha non aveva proposto casualmente di uscire dal salone i cui confini non erano mai sembrati a Scorpius tanto ristretti.

Quindi attese con una certa impazienza che Elena si rimpinzasse di stuzzichini e pietanze varie, sotto lo sguardo invidioso di Angie che poteva al massimo aspirare a bere il brindisi di mezzanotte. Pur dovendo essere una tortura, l’abito verde le stava d’incanto, tanto che non avrebbe saputo dire se attirava più sguardi lei, la chioma improponibile di Elena o l’eleganza impeccabile di Martha.

Proprio quest’ultima si avvicinò a lui con un sorriso suadente in viso, quando Elena ebbe terminato di rifocillarsi, lo prese a braccetto, prestando estrema attenzione a non guardare nemmeno per sbaglio Albus, e lo condusse verso l’uscita.

“Per quanto ancora hai intenzione di ignorarlo O’Quinn?” le sussurrò all’orecchio certo di avere gli occhi di Al piantati nella schiena.

Martha gli sorrise ancor di più e lo guardò da sotto le ciglia con un’espressione furbesca.

“Oh solo fino a quando non capirà perché gli desse tanto fastidio l’idea che fossi stata a letto con suo fratello.” rispose lei.

“Potrebbero volerci mesi Martha.”

“Non temere. Io so aspettare.”

*** 

Se all’inizio l’idea di allontanarsi dal salone principale di Malfoy Manor non l’aveva entusiasmata per paura di perdere l’arrivo eventuale di Derek, in realtà poi si era rivelata un’eccellente distrazione.

Il corsetto dell’abito era diventato un dolore uniforme e costantemente presente, quindi ci si era quasi abituata.

Avevano preso a camminare nel parco sul percorso segnato dalle pietre scure che erano state spazzate diligentemente dagli elfi per permettere agli ospiti di passeggiare senza infradiciarsi nella neve. Angelique aveva preso al proprio fianco un Albus vagamente imbronciato per il trattamento riservatogli da Martha, ma che comunque si ostinava a negare a sé stesso la natura di quel dispiacere.

Il freddo pungente le congelava la punta del naso e gli zigomi, mentre le labbra restavano infossate e protette dalla pelliccia bianca all’interno del mantello.

Nana aveva tirato una palla di neve in testa a Berty scompigliandogli i capelli e dando il via a una battaglia tra di loro, che aveva coinvolto incidentalmente anche Octavius.

Angie cercava di godersi lo spettacolo della campagna inglese congelata in quella perfezione invernale, il parco illuminato da fiaccole disposte ad arte in grado di dare una luce morbida e vivida alle statue di ghiaccio che lo affollavano. Tuttavia in fondo al cuore sentiva un peso sempre più ingombrante sgomitare tra i sentimenti positivi, pronto a fagocitarli per consegnarla all’angoscia.

Non avrebbe saputo definirlo in altro modo che un presagio, nulla di concreto o di distinguibile, solo un’ombra densa e maligna che si proiettava su tutto quello che le succedeva attorno. E le sembrava che il sorriso di Al, le parolacce di Nana urlate a squarciagola mentre rincorreva Berty, gli abbracci di Martha, le parole di Scorpius, ogni frammento non fosse altro che una visione distorta di ciò che accadeva davvero, quasi che lei lo stesse osservando da dietro un vetro, incapace di toccarli davvero, isolata nella sua preoccupazione.

Aveva perso la cognizione del tempo, ma dal freddo insistente che sentiva fin dentro le ossa avrebbe detto che fosse passato parecchio da quando avevano deciso di allontanarsi.

“Ti senti bene?” la voce di Scorpius penetrò i suoi pensieri.

Si era appena seduto accanto a lei sulla panchina di marmo, le prese una mano tra le proprie e la osservò in modo estremamente diretto, pronto a leggerle in viso la verità.

“Non lo so… Ho delle brutte sensazioni Scorp. C’è qualcosa che non va, vorrei tornare dentro ti dispiace?” disse cercando i suoi occhi grigi, fermi e solidi come lastre di ardesia.

“Vuoi parlarmene?” le chiese con gentilezza.

Lei scrollò le spalle e fece un cenno di diniego con la testa. Non aveva senso parlare di qualcosa che percepiva senza riuscire a identificarlo.

Scorpius rimase in silenzio per qualche istante, riscaldando attraverso gli strati dei loro guanti la sua mano, poi emise un respiro più lungo del normale e fissò gli amici davanti a sé.

“Qualche volta penso che per noi sarebbe stato estremamente semplice.” subito dopo aver parlato un sorriso prese vita sulle sue labbra sottili. “Avremmo finito la scuola insieme, tu ti saresti iscritta a Medimagia, io avrei fatto domanda per qualche internato al Ministero insieme ad Al, avremmo vissuto insieme in qualche appartamentino minuscolo a Londra, avremmo invitato i nostri amici a cena. Poi ti avrei chiesto di sposarmi e, se tu avessi accettato, avremmo celebrato il rito in questo parco, proprio là dove c’è il laghetto e i salici piangenti…” il suo braccio si tese verso il punto in cui il ghiaccio scintillava sopra la superficie d’acqua del piccolo bacino. “Ti avrei amata come mio padre ama mia madre, onorandoti e rispettandoti ogni giorno della mia vita. Magari avremmo avuto un figlio, due, cinque, oppure avremmo comprato un pony o delle papere da mettere nel lago.”

Il cuore di Angie aveva preso a martellare nel costato con un ritmo folle.

“Avremmo vissuto insieme fino alla fine e poi avremmo attraversato il confine della morte per ricongiungerci.” concluse osservando con uno sguardo indecifrabile il laghetto.

“Scorpius…” cominciò lei con la bocca impastata per l’agitazione. Ma lui alzò una mano per fermarla per poi riposarla sulla sua.

“Sarebbe stato semplice Angie. Sarebbe stata la cosa più prevedibilmente romantica che si potesse pensare, un’intera vita insieme. Ma non sarebbe mai stato giusto per noi. Avremmo vissuto ignorando che cosa significa amarsi in modo viscerale e totale. Avremmo passato la nostra esistenza nella fascia protetta della sicurezza di ciò che eravamo l’uno per l’altra. Credo che infondo non saremmo stati mai realmente felici, ma solo moderatamente contenti.” si interruppe per riflettere un attimo e poi finalmente si voltò a guardarla negli occhi.

“E dunque quando penso che sarebbe stata una vita semplice, se solo lo avessimo voluto, mi rispondo che esistono persone per cui le cose semplici non sono quelle più giuste o quelle più coraggiose. Quindi va bene così.”

Scopius le passò un braccio sulle spalle e l’attirò in un abbraccio delicato, ma solido e confortante.

“Sarei stata un pessima Lady Malfoy.” sussurrò Angie sentendo il naso pizzicare per una strana commozione.

“Lo so.” rispose lui lasciandola andare mentre gli altri ritornavano verso di loro.

Nana aveva i capelli blu elettrico completamente fradici e batteva vistosamente i denti, Berty dal canto suo aveva il mantello completamente zuppo e le labbra vagamente cianotiche.

“Guarda come sei conciata! Torniamo dentro che ti becchi una polmonite.” esclamò Angie cercando di alzarsi con i suoi soliti movimenti pratici e spontanei, ma il corsetto le impediva anche le più banali operazioni. Quindi accettò la mano che Albus le porgeva e si alzò in piedi.

Vide gli occhi verde bosco di Nana cercare quelli di Scorpius per poi sentirla esclamare:

“Non se ne parla nemmeno! Io devo farla pagare ancora a questo vile marrano!” e minacciò con un pugno per aria il giovane Barrach.

“Non mi pare di essermi recentemente convertito al cristianesimo dall’ebraismo, mia cara nana.” la voce di Berty si soffermò in particolar modo sull’ultima parola, per farle intendere che non era il suo soprannome ma un aggettivo.

Gli occhi di Elena lampeggiarono di rabbia e poi si assottigliarono a due fessure minacciose.

“Tu… Infido Prefetto dei miei stivali!” urlò belluina e poi si chinò a terra per raccogliere un’enorme manciata di neve.

“Dai Elena! Non vedi che è congelato?” la rimbottò Martha dandole un colpetto al polso perfettamente assestato per farle cadere la palla di neve già formata.

“Già, sono gelata anche io.” esclamò Angie strofinando le mani l’una contro l’altra. “Torniamo?”

“Io vorrei allungare ancora un secondo verso il gazebo. Sono fioriti i Colchi d’Inverno, Scorpius?” chiese Martha facendo riferimento ad una pianta del Mondo Magico che fioriva attorno a Natale con splendide corolle indaco e gambi di ghiaccio.

“Non saprei possiamo controllare se vuoi.” propose l’altro stingendosi nelle spalle.

“Non credo che sia molto educato da parte nostra passare l’intera festa in giardino invece che nel salone! I tuoi genitori si staranno chiedendo dove tu sia finito.” insistette Angie subodorando qualcosa di strano nel comportamento di tutti.

“Secondo me a stento si sono accorti che non ci fosse più.” commentò Al sfregando le spalle di Angie per scaldarla.

“Che ore sono?” chiese ostinata la ragazza.

“Non ho nessun orologio.” si scusò Berty alzando le mani.

“Tu no, ma Scorpius ha un orologio da taschino nella panciotto. Quindi Malfoy mi diresti che ore sono per favore?”

Scopius si slacciò con calma gli alamari inferiori del suo mantello e infilò una mano nel panciotto ma quando estrasse il cipollotto dorato, Angie fu più rapida di lui e lo prese tra le dita facendolo scattare.

“Che cosa?! Sono le undici? Oh cielo… I tuoi genitori penseranno che siamo degli incivili.” borbottò prendendo precipitosamente la via del ritorno.

Mentre camminava arrancando, affaticata dal busto rigidissimo e dalle scarpe col tacco, le sembrò che i suoi amici fossero particolarmente lenti e che il parco fosse esageratamente grande.

Nelle feste di Capodanno a cui aveva partecipato negli anni passati la serata era stata una giostra ininterrotta di presentazioni e saluti formali, chiacchiere più o meno interessanti con un numero sterminato di persone. Il fatto che se la fossero svignata poco dopo l’inizio e avessero passato la maggior parte del tempo in giardino, costringendo Astoria o Draco a giustificare l’assenza del figlio, la faceva sentire profondamente a disagio.

Arrivò per prima al grande portone d’ingresso, spalancandolo con decisione, e lasciò all’elfo che le si materializzò davanti agli occhi mantello e guanti.

Le sue elucubrazioni catastrofiche tuttavia vennero presto smentite dalla realtà dei fatti, in cui nessuno sembrava aver sentito più di tanto la loro mancanza. I ragazzi presero posto ancora una volta attorno al grande camino, confortati dal calore scoppiettante delle sue fiamme.

I genitori di Scorpius passarono loro accanto quasi per sbaglio e li salutarono tutti con il consueto sorriso cordiale, chiedendo se si stessero godendo la festa, quasi che non si fossero minimamente accorti della loro fuga; eppure Angie sapeva che nulla sfuggiva agli occhi da falco di Astoria.

Mentre finalmente i suoi piedi riprendevano sensibilità nelle scarpette di raso blu, la piccola orchestra attaccò con il ritmo su cui Angelique aveva imparato a ballare. I suoi occhi trovarono a metà strada quelli di Scorp che la osservavano con pari complicità. Era un valzer.

“Balliamo?” gli chiese avvicinandosi.

La fronte di Scorpius si corrugò vistosamente, mentre il suo sguardo si assottigliava verso un punto indefinito della sala.

“Uhm… Scusami ma credo che ci sia un mio cugino che mi vuole salutare, vieni con me?” Rispose lui indicando con un cenno del capo il punto osservato prima.

“Tu non hai cugini a parte Teddy Lupin e Stephanie, la figlia di Daphne. E io non vedo nessuno dei due.” ribatté lei incrociando ostinata le braccia sul petto.

“In effetti è un cugino di mia madre, vive in Polonia, è un tipo abbastanza stravagante. Ti piacerebbe.”

“E non lo possiamo salutare dopo il valzer?” insistette la ragazza, consapevole in un modo completamente inconscio che in quello scambio di battute c’era un errore, come una distorsione sonora in una registrazione. Un dettaglio fuori posto.

“Credo che se ne stia per andare…” disse Scorpius.

“Benissimo, allora mi cercherò qualcun altro.” esclamò esasperata Angelique e fece per andarsene ma una mano di Scorpius si chiuse sul suo gomito.

“No!” quasi urlò lui fermandola.

Mentre si voltava per rispondergli per le rime, lesse sul suo viso una preoccupazione e una tensione impossibili da tenere a freno.

“Si può sapere che cosa ti prende maledizione?! Anzi, che cosa prende a tutti voi?” chiese voltandosi a guardare tutti che assistevano pietrificati alla scena tra di loro.

Nessuno fiatò, alcuni non ebbero nemmeno il coraggio di guardarla in viso e una consapevolezza che avrebbe preferito ignorare si fece largo dentro di lei.

Le stavano nascondendo qualcosa.

Ruotò su sé stessa e guardò dritto negli occhi Al. Dritto nell’anima come lui faceva con lei, come nessun altro avrebbe potuto comprendere.

“Albus che cosa sta succedendo?” chiese con la voce incrinata dal respiro tremulo.

Gli occhi di Albus abbandonarono i suoi e si fissarono inespressivi su Scorpius, una maschera di impassibilità che qualunque politico gli avrebbe invidiato. Non seppe che cosa si comunicarono, ma quando Al tornò a guardarla qualcosa era mutato sul suo viso.

C’era un dolore sottile che trapelava dalla piega della bocca, c’era rabbia mal celata che animava gli occhi. Poi le sue labbra si mossero e lei comprese quelle parole come se il tempo si fosse dilatato.

“Derek è qui.”

Il volto di Angelique perse qualsiasi espressione, la pelle naturalmente chiara parve assumere sfumature spettrali, il respiro le si spezzò nei polmoni mentre cercava di riprendersi. Il corpetto era troppo stretto per simili notizie, ora capiva perché svenissero di continuo in epoca vittoriana. Per un istante le parve di essere stata svuotata di qualunque energia.

Poi qualcosa in lei si risvegliò. Il carattere battagliero emerse dalla desolazione degli ultimi avvenimenti e guardò con uno sguardo veramente terribile Scorpius.

“Dov’è?” il tono era di una furia sommessa e gelida.

“Angelique non andare. C’è suo padre.” la pregò Malfoy.

“Tanto meglio. Dov’è? Gli ha fatto del male?” la sua mano destra corse spontaneamente al polso ma non vi trovò alcun laccio né alcuna bacchetta. Subito dopo affondò nel tessuto della gonna di seta rimanendo piacevolmente soddisfatta di trovarvi il legno di ciliegio della sua arma.

Scorpius l’afferrò per le spalle ma lei se le levò di dosso con uno sguardo furente.

“Angelique per favore, rimani qui. Non ti lascerà nemmeno avvicinare, non quando Celia è in questa stessa stanza e devono preservare le apparenze. Sarebbe capace di avvelenarti pur di non farti attraversare la sala.”

Sentì il suo sguardo stringersi a una fessura per quel nuovo dettaglio che avevano celato fino a quell’istante. Era un tradimento dietro l’altro ai suoi occhi, come se avessero orchestrato tutto abilmente per manipolarla fin da quando aveva messo piede in casa.

La sua rabbia si estendeva a tutti i presenti che avevano taciuto e favorito quell’inganno che le bruciava come sale sulla ferita aperta che lei aveva mostrato loro senza alcun tentativo di protezione. Comprese che non avrebbe ottenuto nulla brandendo la bacchetta contro uno degli ospiti più importanti dei Malfoy, forse però poteva sfruttarlo a proprio vantaggio. Ripose la bacchetta.

Si avvicinò a Scorpius tanto da arrivargli praticamente sotto il naso e parlò con voce bassa e fredda.

“Voglio vederlo con i miei occhi.”

Non c’era alcuna inflessione di richiesta o di cortesia.

Scorpius spalancò la bocca per protestare ma poi parve ripensarci. Le offrì il braccio con una riluttanza che parlava chiaramente per lui.

“Angie…” la voce di Albus era fioca e poco convinta di quello che stava facendo ma lui la chiamò lo stesso, chiedendole di tornare indietro.

“No.” disse laconica senza nemmeno voltarsi.

 

Forse per una volta in vita sua avrebbe dovuto ascoltare e accettare i consigli altrui.

Si sarebbe risparmiata lo spettacolo che ancora le si riverberava nelle palpebre appena chiudeva gli occhi.

La famiglia Schatten impeccabile, tutti ineccepibili nei loro abiti da cerimonia, che sedeva insieme ai Danes allo stesso tavolo, posto abilmente da qualcuno dei padroni di casa nel punto diametralmente opposto della sala rispetto a quello dove avrebbero dovuto sedersi loro. In modo che con l’inizio delle danze la possibilità di vedersi reciprocamente si sarebbe azzerata.

Aveva potuto osservare sia Charlotte, l’amata sorella di Derek, una ragazza della stessa età più o meno di Tristan con morbide onde castane sciolte sul vestito giallo pastello, sia Dehlia la sua matrigna.

Ciò che più le aveva stretto il cuore a un chicco di riso era stato vedere Derek in perfetta salute, col solito colorito ambrato, nessun livido né nessuna traccia delle torture che avevano infestato la sua mente nei giorni passati a testimoniare della violenza del padre. Il volto liscio e dai lineamenti sensuali accennava appena un sorriso se proprio la situazione lo richiedeva, ma per il resto rimaneva completamente inespressivo.

Angie era rimasta pietrificata ad osservare, mentre il suo cuore sprofondava sempre di più, alla vista di Celia che lo guardava dall’altro capo della tavola con aria vagamente imbronciata e di lui che sembrava del tutto assente.

Era tornata più frastornata di prima, chiedendosi quale fosse il senso di tutta quella scena, incapace di vederne la ragione.

Ora davanti alle fiamme del camino osservava le lingue di fuoco innalzarsi verso l’alto riflettendo e torcendosi le mani in grembo.

“Ti stai distruggendo le mani. Che cosa dirà la tua insegnante?”

Angelique restò immobile, con lo sguardo fisso verso le braci incandescenti.

“Sono arrabbiata anche con te.” rispose vedendo con la coda dell’occhio la chioma rame avvicinarsi.

“Beh, sappi che io avrei fatto molto di peggio rispetto a questo per impedire che vedessi quello schifo.” il tono sprezzante di Martha le causò un lieve sorriso, che si spense subito dopo.

“Non ci capisco più nulla Martha.” sussurrò Angie chiudendo le mani a pugno per smettere di stropicciarle come stracci. “Mi sembra di avere la testa in una centrifuga. Devo assolutamente parlargli… Ho bisogno del tuo aiuto.”

Si voltò e cercò speranzosa gli occhi marroni della ragazza accanto a lei.

L’espressione che aveva in quell’istante le ricordò quando al primo le aveva annunciato che sarebbe andata nella Foresta Proibita a cercare escrementi di Mooncalf, le labbra contratte dalla disapprovazione e gli occhi foschi per la preoccupazione. Proprio per questo le sue parole furono ancor di più una sorpresa.

“Stanno per fare il brindisi di mezzanotte, possiamo provarci quando inizieranno i fuochi d’artificio.”

I tratti da bambola di porcellana erano induriti dalla determinazione fino ad alterare la sua fisionomia in un modo definitivo, sembrava molto più adulta dei suoi quindici anni mentre le lunghe dita affusolate si chiudevano sulla bacchetta di tiglio argentato, per poi nasconderla tra le pieghe della gonna con un gesto naturale.

Martha le fece un cenno con la testa per indicarle di ritornare verso il gruppo di amici che già stringevano tra le mani i calici ricolmi di vino frizzante.

Angelique sentiva crescere dentro di sé una tensione sottile e penetrante, come un fischio ininterrotto, della stessa natura di quello che aveva provato nel parco.

Un cameriere le depositò tra le mani un bicchiere allungato prima ancora che lei potesse protestare che non le piaceva per nulla.

Nel vociare degli ospiti, nelle risate eccitate per l’avvento del nuovo anno, nel luccichio dei grandi lampadari di cristallo sopra le loro teste, nelle sostegno che i suoi amici, manipolatori e calcolatori per questo ancor più amabili, le davano Angie non riusciva a concentrarsi davvero su niente.

Era come esserci e non esserci davvero, come se riuscisse a percepire il proprio corpo distaccato e distante dalla mente, che ritornava ossessiva al pensiero di Derek.

Derek sotto i ciliegi in fiore a Natale, Derek che camminava al suo fianco, Derek che la baciava e le sorrideva con una felicità nuova, Derek seduto a tavola col padre, il sangue di Derek sulla neve del cortile, Derek che dentro i Tre Manici di Scopa avvolgeva le spalle di Celia in un abbraccio protettivo, Derek che giungeva al loro chiosco di soppiatto nel silenzio notturno, Derek che l’abbandonava in infermeria, Derek che le raccontava di sua madre e di Dehlia, Derek che faceva l’amore con lei…

“Dieci.”

Anche nel Mondo Magico c’era la buffa usanza di fare il conto alla rovescia. E questo le ricordò i suoi genitori, della lettera che aveva mandato loro per scusarsi; chissà come stavano festeggiando?!

Il loro pensiero la riportò al presente con la forza d’urto di una marea.

Angelique si guardò attorno e vide che i suoi amici erano accanto a lei quasi a formare un cerchio protettivo.

“Nove.”

Capiva perché avessero agito alle sue spalle, non era molto dissimile dal modo in cui si comportavano loro quando volevano proteggere Nana. Era il modo di volersi bene dei Serpeverde, un po’ contorto e pieno di contraddizioni viventi, ma sostanzialmente animato da buone intenzioni.

Le sue dita affondarono nelle tasche nascoste della gonna per trovare subito la bacchetta.

La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

“Otto”

Osservò attentamente i movimenti di Martha per capire quando sarebbe stato il momento per iniziare ad avvicinarsi.

Accanto a lei Albus si mosse un poco e lei vide le sue spalle drizzarsi immediatamente.

“Sette.”

Lo avrebbe aggirato volentieri per osservare a sua volta, se Martha non avesse scelto proprio quel momento per iniziare a camminare in modo disinvolto ma abbastanza rapido in direzione di Derek.

“Sei”

Angie arretrò, lasciando i suoi amici ad osservare la grande vetrata che dava sul giardino e da cui avrebbero avuto una visione privilegiata dei giochi pirotecnici.

“Cinque”

Sentì la tensione aumentare a dismisura mentre seguiva Martha tra gli altri invitati, cercando di tagliare in mezzo a coloro che fino a poco prima stavano ballando al centro  della sala.

Non era un’operazione semplice riuscire a farsi strada tra persone che non avevano alcuna intenzione di cedere il proprio posto convinte che glielo si volesse rubare.

“Quattro.”

Una signora con una vistosa pelliccia azzurrina si spostò di lato con riluttanza, lanciandole uno sguardo un po’ infastidito quando i suoi piedi rimasero inchiodati al pavimento.

“Tre.”

Martha avanzò per qualche metro ancora prima di capire che lei non stava più al suo passo.

Tornò indietro e quando le fu davanti seguì il suo sguardo.

“Due”

Erano a più di venti metri da lei.

Li vedeva come si osserva il cielo quando ci si immerge in acqua e si sta sul fondale a osservare le distorsioni delle onde. Li vedeva e non poteva credere di ciò che i suoi occhi le mostravano.

Celia stava abbracciata a Derek posando la testa sulla sua spalla. Derek aveva un braccio attorno alla vita sottilissima di lei.

Erano così vicini che il naso di Celia sfiorava la mandibola del ragazzo quando respirava.

“Uno”

Le sue gambe non rispondevano più, né le sue braccia, niente di lei lo faceva.

Il viso di Celia si sollevò baldanzoso e con un sorriso estasiato prese delicatamente il bavero della giacca di Derek.

“Buon Anno!”

Non lo sentì, nelle orecchie aveva il fischio acuto del presentimento e del panico ora completamente reale. Non lo sentì affatto nel boato di urla e risate, ma lo lesse sulle labbra a cuore di Celia prima che si posassero su quelle di Derek in un bacio appassionato.

Buon Compleanno Angelique. Si disse in un ultimo barlume di sarcasmo.

E poi non ci fu più nulla né da sentire né da vedere né da respirare.

Ci fu il buio.

***

Avrebbe pregato mesi prima perché Angelique fuggisse a quel modo da una sala che ospitava anche Schatten. Ora tremava per ciò che Martha gli aveva raccontato.

Le sue gambe si muovevano al massimo della velocità concessa dal vestiario. Si erano sparpagliati per il castello, alla sua ricerca, ma solo lui sapeva dove fosse. Uscì dal grande portone d’entrata e non si stupì di vederla lì, inginocchiata nella neve.

La pettinatura elaborata era stata sciolta da mani rabbiose, lasciando incompleta l’opera con ancora trecce attaccate tra loro e forcine sparse qua e là nella neve. I suoi capelli dorati erano sparpagliati tra il verde della seta della schiena.

Albus notò che i respiri erano troppo rapidi, troppo violenti per consentirle di respirare davvero.

Riprese a correre e le arrivò alle spalle, chiamandola per nome, ma Angie non rispose. Emise solo delle specie di singulti bruschi e interrotti.

“Toglimelo! Toglimelo di dosso o lo strappo!” non le aveva mai sentito una voce simile, macchiata dall’isteria.

La sua mano destra corse alla schiena cercando il nastro che chiudeva il vestito senza trovarlo e arrancando ancora più freneticamente per liberarsi.

Albus si inginocchiò e aprì la veste per rivelare l’incrocio di lacci bianchi sottostante.

“Ti prego, non respiro.” la voce di Angelique era ora debolissima e frammista di lacrime che le erano cadute sulle guance, mezze ghiacciate per il gelo.

Le sue mani corsero al fiocco alla base della schiena e lo sciolsero, consentendo alla sua cassa toracica di espandersi finalmente e al corsetto di allentarsi. Angelique emise un rantolo e si afflosciò su sé stessa, cadendo di lato e rivelando ad Albus lo scempio che aveva operato sulla sua mano sinistra.

Un bicchiere, Dio solo sapeva perché se lo fosse portato fin nel parco, giaceva per terra rotto e con rivoletti rossi sulla superfice trasparente. La sua mano era ricoperta di sangue e stretta a pugno.

Albus la prese con delicatezza e la obbligò ad aprirla.

I respiri di Angie avevano lo stesso rumore crepitante di quando si calpestano le foglie d’autunno. Minuscole fratture dentro di lei.

C’erano molteplici tagli da cui sgorgava ancora il sangue, ma ciò che lo spaventò fu il frammento di vetro conficcato nel monte di venere, lo spazio sottostante al pollice, più tutti gli altri minuscoli pezzi che si erano incastonati nella sua pelle.

Lo tolse con la massima delicatezza e durante l’estrazione Angie socchiuse appena gli occhi, ma non ebbe altra manifestazione di dolore. Tamponò la ferita con la neve per fermare il sangue e poi le fasciò la mano con la propria cravatta.

Angelique restava immobile nella neve, gli occhi vitrei e completamente persi, ormai incapaci anche di piangere. Si stava dissanguando in un modo impercettibile alla vista, ma talmente evidente che lo percepiva solo standole accanto.

E tentò come meglio poteva di arrestare l’emorragia dentro di lei.

Albus le mise un braccio sotto il collo e uno dietro le ginocchia, la attirò a sé con un certo sforzo perché era un peso morto, come se fosse svenuta. Riuscì a sollevarla quel tanto che bastava per stringerla al proprio petto e tenerla lontana dalla neve, riscaldandola come poteva solo col suo corpo.

Non seppe nemmeno quanto rimasero così prima che Nana e Berty li trovassero.

Ciò che percepì per tutto il tempo che le sue braccia sostennero il peso del corpo di Angelique fu che qualcosa si era rotto in modo irreparabile. Qualcosa dentro di lei era morto.

 

 

 

Note dell’autrice:

Mi preparo al linciaggio pubblico o eventualmente all’esultanza dei più. Inutile dirvi quanto da questo momento in poi per me sia stato difficile scrivere e immedesimarmi in ciò che succede.

Comunque vorrei ringraziare in modo speciale: Cinthia988 e Leo99. per le splendide recensioni lasciate.

Vi mando tanti baci.

Bluelectra.

  
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