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Autore: Urban BlackWolf    06/03/2017    2 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Testardaggine, orgoglio e tanta pazienza

 



Il leggero odore di cloro le colpì le narici facendola tornare in un istante bambina, quando, uscita dalle elementari del suo quartiere, si dirigeva con i suoi compagni verso il pulmino che li avrebbe portati alla piscina comunale di zona. Giovanna si guardò intorno cercando di orientarsi. Si trovava nell'ala medica della scuderia Ducati, dove i piloti si allenavano e quelli indisposti cercavano di recuperare. Haruka le aveva detto che avrebbe finito la sessione di fisioterapia alle diciotto e da li in avanti la piscina sarebbe stata vuota. Domandandosi che razza di scherzo le stesse preparando quella zucca vuota di Tenou, si trovò ad osservare il grande punto rosso della piantina del piano terra dove campeggiava un voi siete qui, trascritto sia in italiano che in tedesco.

“Porta il costume olimpionico di Michiru. Lo troverai nel terzo cassetto del mobile in camera da letto.” Le aveva detto chiamandola al telefono un paio d'ore prima e lei, non capendo assolutamente il vero fine di quella richiesta, aveva obbedito non facendosi troppe domande, pregustandosi però, in maniera infida e marcatamente bastarda, la goduria che avrebbe provato se fosse riuscita a vedere la bionda indossare un costume di almeno un paio di taglie più piccolo del consentito.

Un insaccato! Aveva continuato a ripetersi lungo tutta la strada che dall'appartamento Tenou-Kaiou portava al complesso argento e rosso della casa automobilistica. Eppure Giovanna Aulis avrebbe dovuto ormai sapere che quella “gran bestia gialla” che era sua sorella minore aveva qualche rotella fuori posto, avrebbe dovuto ormai conoscere il suo bizzarro carattere, come avrebbe dovuto aspettarsi un qualcosa di assolutamente fuori di testa.

“Cerchi le piscine?” Una voce maschile già conosciuta, ma non pienamente identificata, la fece voltare.

Un bell'uomo, dall'apparente età di trentacinque, quarant'anni al massimo, moro, dalla carnagione chiara e due occhi castani estremamente caldi, le venne in soccorso appena in tempo. Le diciotto erano appena scattate.

“Sei venuta a prendere Haruka?! Stai attenta a non far tardi o te la farà pagare.” Disse ilare rendendosi però subito conto dal viso corrucciato della donna di essere stato troppo famigliare.

“Perdonami... Ci siamo già incontrati, non è vero?” Giovanna allungò la mano cercando di metterlo a fuoco. Non era mai stata fisionomista.

“Perdonami tu... Stefano Astorri Teigerh - e strinse deciso. - Ci siamo visti a Bremgarten... In pista.”

“Ecco! Adesso ricordo... Giovanna Aulis...”

“Lo so. La sorella maggiore di Haru.” Ed esplose un sorriso estremamente contagioso.

Facendo altrettanto la donna gli chiese d'indicarle le vasche e lui fece di più; si offrì di accompagnarla. Camminando per ambienti modernissimi dai colori chiari, arricchiti di poster e cartelloni raffiguranti moto e piloti di tutti i tempi e di tutte le categorie, Stefano guidò Giovanna non potendo non notare quanto molto del suo atteggiamento le ricordasse Tenou.

“Perché mi guardi così?” Domandò lei un tantino irritata.

Gli spazi che stavano percorrendo erano completamente vuoti ed ovviamente sconosciuti e non amava trovarsi in situazioni come quella con al fianco un perfetto estraneo. Gente come lei, nata e cresciuta in una metropoli, diffidava sempre di chi non conosceva vivendo continuamente sul chi va la, ed anche se il sorriso del tecnico sembrava sincero e nei modi era molto gentile, il garbo che stava usando, i gesti e le movenze, non sarebbero mai bastati a fare abbassare la guardia ad una lupa urbana come lei.

“Scusami, ma non capisco proprio come alcuni qui dentro non abbiano intuito subito chi fossi. Vi assomigliate parecchio. Tu e Tenou, intendo.”

“Mmmmm.... magari." Bofonchiò poco convinta sfiorandosi il naso per niente simile a quello della sorella.

La diffidenza non la fece sentire lusingata, anzi, quando vide Haruka in accappatoio ferma a mani conserte sulla porta di accesso agli spogliatoi, le sorrise sollevata.

“Cinque minuti di ritardo! Che fai, ti fermi a prendere il caffè e a parlare del più e del meno con i tecnici mentre io sono qui che ti aspetto?” Acidissima fulminò Stefano lasciando che Giovanna la superasse entrando.

“Non credere... è che mi sono semplicemente persa per strada. Il satellitare della Prius di Michiru è settato in tedesco... Lasciamo perdere e ringrazia il cielo che non mi sia ritrovata in Austria. ” Disse rivolgendo un cenno di saluto all'uomo.

Stefano contraccambiò spegnendo poi il sorriso che gli stirava le labbra non appena puntò gli occhi in quelli glaciali di Haruka. Ripensando alla zuffa tra lei e Patrick, fece per tornare serio ricordandole che alle diciannove e trenta ci sarebbe stata una seduta con un paio di piloti della Moto 3.

“Vedi di lasciare la piscina per quell'ora. A domani Tenou.” Si girò per andarsene a casa.

“Ok, grazie. A domani Teigerh.” E chiuse la porta degli spogliatoi.

Il caldo catturò la gola di Giovanna e dopo qualche secondo iniziò a togliersi la sciarpa sbottonandosi il giaccone.

“Porca miseria, non si respira qui dentro. Perché sbraiti tanto se poi non sei ancora pronta!?”

“Io sono già pronta! Sei tu a non esserlo.” Puntualizzò slacciandosi l'accappatoio, sfilandoselo e rivelando così il suo corpo perfetto fasciato da un Arena nero e arancio ancora bagnato fradicio.

“O... cacchio ... Ruka ...” Sgranando leggermente gli occhi l'altra constatò quanto quella donna fosse ben proporzionata. I punti figagine di Tenou stavano risalendo.

“Che c'è? Non hai mai visto una donna in costume? Dai muoviti..., prima che ci ripensi.” Arrossendo leggermente aprì un armadietto facendole cenno di posarci la sua roba.

Bene.... Cosa stava succedendo? “Mi illumini?”

Haruka si grattò la testa prendendo aria. Quanto poteva essere difficile. Guardando l'altra dritta negli occhi si piegò nel chiedere imbarazzatissima; “una volta ti sei vantata di aver fatto dieci anni di nuoto. Giò... insegnami. Per favore.”

 

 

Braccia conserte, sguardo torvo, schiena poggiata al piastrellato blu di uno dei lati corti della piscina priva d'acqua, Michiru da quella improbabile prospettiva, stava inchiodando da interi minuti lo sguardo al muro immacolato che avrebbe dovuto riportare l'ormai famoso murales “commissionatole” dalla famiglia Mizuno. Vero che tutti i più grandi professionisti delle arti umanistiche nel corso della loro carriera, prima o poi, incappavano nel famigerato blocco, ma il saperlo non la consolava affatto, semmai l'abbatteva ad ogni singolo tratto di matita. E più si sentiva abbattuta e meno rendeva. Meno rendeva e più si sentiva abbattuta. Un loop pericolosamente incentrato sul nichilismo. Michiru era una perfezionista ed una professionista dalle notevoli doti grafiche e non facendo loro affatto difetto, quando decideva di cimentarsi in un progetto gioco forza che questo prima o poi prendesse vita riempiendola di orgoglio. In quel particolare momento della sua giovane vita però, la vena artistica sembrava essersi completamente estinta. La tecnica era rimasta la stessa, ma era la fantasia nell'espressione onirica ad essersi azzerata. Questa consapevolezza, unita al sapere di avere una scadenza, al continuare a non dormire a sufficienza, all'insistenza di Khloe nel volerle stare vicina, ai compiti ed alla serie infinita di domande postele quotidianamente da Ami ed al silenzio agghiacciante di Haruka, la stavano trascinando all'apatia cronica.

Alla specializzanda tutto questo non era sfuggito e la cosa non l'aveva presa assolutamente alla sprovvista, anzi, il vederla meno aggressiva e più collaborativa, anche se spesso sconfortata, non poteva che spingere Ami ad osare sempre di più, ed anche se ancora all'inizio del suo percorso di guarigione interiore, la straniera stava reagendo al dissodamento della propria psiche in maniera del tutto normale. Ora bastava solo che Michiru non si arrendesse mollando tutto. Ci aveva già provato e ci stava provando a più riprese anche sul fondo di quella piscina, torturandosi con mille domande sul perché continuasse e non se ne volasse a casa sua e ci avrebbe provato ancora.

“Ma che ci fai li sotto Michiru?!”

Lei alzò lo sguardo lentamente incrociando quello dell'uomo. Alexios la guardò stupito passando dal cobalto degli occhi di lei al bianco del muro poco distante.

“Voi artisti siete ben strani.” Affermò scoppiando in una fragorosa risata che rimbombò per tutto l'ambiente, iniziando subito dopo a scendere le scalette in acciaio.

“Artisti? Non è che mi ci senta molto in quest'ultimo periodo.”

“Se non riesci ad avere la giusta ispirazione, non preoccuparti. Vuol dire che tinteggeremo a colore. Non sentirti costretta ad inventarti qualcosa.” La raggiunse ammettendo che quello era uno dei posti che sceglieva per starsene un po' solo a pensare.

“Naturalmente solo in inverno..., quando l'acqua non c'è.”

Michiru abbassò le braccia e le difese. In effetti circondato da tre donne, ognuna con un carattere ben segnato, il “nascondersi” li sotto era il minimo che lui potesse fare per non venire sopraffatto.

Alexios sbatté i palmi delle mani un paio di volte generando un leggero eco. “Hai sentito che acustica?!”

“Me ne sono accorta non appena ho disceso la scaletta.”

“Ti ricordi quando eri solita esercitarti con il violino nel cavedio della piscina della villa? Solo che essendo all'aperto, ogni volta che pioveva si riempiva d'acqua ed io e tuo padre dovevamo usare la pompa per renderne calpestabile il fondo.”

Lei lo guardò come se avesse appena parlato dello spaccato della vita di un'altra persona. Ci pensò su qualche secondo e poi scuotendo il capo confessò di non ricordare.

“Veramente!?” Sembrò stupirsene, perché nei periodi invernali di bel tempo, Michiru passava intere ore la sotto. Dopo lo studio del padre era il suo posto preferito per suonare.

“Vedi Alexios, sono parecchie le cose che non ricordo del mio passato e non mi riferisco solamente alla mia adolescenza vissuta qui ad Atene, ma anche agli anni successivi.”

“Capisco.” Disse lasciando poi che il silenzio ne invadesse lo spazio.

Restarono così, fermi, con le spalle poggiate al muro, fino a quando la donna non lasciò che un grazie risuonasse deciso.

“Per noi è una gioia averti al Re del mare. Michiru, puoi rimanere tutto il tempo che vuoi.”

“Questa volta non mi riferivo alla vostra ospitalità e comunque lo sai che ve ne sarò sempre grata, ma a tutte le volte che hai aiutato me ed i miei genitori. Anche se i ricordi si sono parecchio offuscati, quello che non ho mai dimenticato e la vostra presenza; di tutti e quattro, ed in particolare la tua, quando cercavi di proteggermi dagli scatti di mio padre.”

“Ma non ho potuto proteggerti quel giorno, quando ti ruppe il legamento del dito. Hai smesso di suonare per questo, vero?”

Michiru non confermò e lui continuò alzando la sua mano destra. “L'indice ed il medio. Ero un promettente calciatore. Giocavo in porta. All'età di vent'anni un infortunio mi ha precluso la carriera. Vedi, quel pomeriggio, quando ti accompagnai al pronto soccorso, capii subito la gravità dello stato nel quale verteva la tua mano. I medici non poterono che confermare quello che avevo già intuito. Dopo l'operazione ho sperato tanto in un tuo recupero, ma visto che non hai scelto la carriera di tua madre...” Lasciò cadere la frase perché ormai tutto era stato detto.

Michiru ricordava poco anche di quel pomeriggio, ed in tutta onestà non avrebbe saputo dire se gli incubi che le avevano risvegliato parte della memoria su quel giorno, fossero veri e propri ricordi, enfatizzazioni delle paure insabbiate nel corso degli anni, o entrambe le cose.

“Alexios... - Lo guardò dritto negli occhi e con voce tristissima rivelò. - Si è ucciso.”

Stirando le labbra in un sorriso doloroso, lui le accarezzò una guancia. “Lo so bambina.”

 

 

Era una giornata di sole ed Alexios ne avrebbe approfittato per potare il roseto che si estendeva sul lato posteriore della villa. Adorava il lavoro all'aperto e quell'aria frizzantina non faceva altro che caricarlo positivamente predisponendolo ad un buon servizio. Le rose quell'anno sarebbero state splendide, ne era sicuro. Così, carico dell'occorrente, si stava dirigendo a passo svelto verso il primo arbusto, quando la voce dei padroni lo raggiunse. I signori Kaiou stavano dando vita all'ennesima discussione. Voltandosi in direzione dello studio al piano terra, intravide dai vetri la signora Flora inveire contro il marito puntandogli l'indice al petto e dopo un paio di frasi, scomparire dietro una porta.

Francamente mortificato, Alexios strinse le labbra riflettendo. Non era riuscito ad ascoltare l'ultima parte di quella vibrata discussione, perché distorta delle finestre chiuse, ma era facile intuire quale fosse la pietra dello scandalo; la carriera della figlia. Michiru Kaiou era un'adolescente talentuosa e molto disciplinata. L'educazione socratica impartitale dalla madre l'aveva forgiata ad una carriera che sarebbe sicuramente risultata brillante, raggiungendo e perché no, superando come importanza quella della stessa Flora. Ma l'ombra della malattia nervosa del dottor Viktor stava minando da mesi la serenità che quella particolare famiglia aveva raggiunto trasferendosi nel paese ellenico e vista la presa di posizione della signora Flora nel voler tenere nascosta al marito la sua instabilità, inevitabilmente ne stava facendo le spese la ragazza. Costretta a mentire, ad accettare situazioni drammatiche che avrebbero provato anche un adulto, Michiru stava diventando per la madre un appiglio e questo agli occhi del clan Mizuno era intollerabile. A sedici anni non si poteva essere tanto forti da caricarsi sulle spalle anche i problemi dei genitori e per cosa poi? Per mantenere un lavoro di prestigio? Un tenore di vita notevolmente altro? La libertà di continuare a seguire gli spostamenti che una carriera come quella della signora Flora esigeva?

Alexios scosse la testa. Viktor era prima di tutto un buon amico ed anche se consapevole del fatto che, fino a quando avesse continuato ad essere il suo datore di lavoro fra loro ci sarebbe sempre stato un gradino di “disparità”, si avvicinò comunque alle finestre per accertarsi che tutto fosse a posto. Fu allora che il sangue gli si gelò nelle vene. Avvertendo un'ondata di adrenalina esplodergli nel cervello agì.

Guardando a terra trovò un sasso sufficientemente grande per infrangere uno dei due vetri, se ne servì, inserì la mano riuscendo ad afferrare la maniglia e con un movimento secco aprì issandosi sul davanzale di marmo. Sentì chiaramente le schegge vetrose penetrargli la carne di entrambi i palmi, ma non provò dolore. Entrò appena in tempo per strappare dalle dita di Viktor la Beretta calibro 9 che stava puntandosi alla tempia.

“Signore?! Siete impazzito?!” Urlò gettando l'arma lontano da loro.

“Cosa le sto facendo Alexios?” Chiese guardando l'altro con lo sguardo appannato dalla confusione.

“A chi si riferite?”

“Non starò facendo del male alla mia Michiru?”

 

 

La donna aveva ascoltato senza fiatare la confessione di quell'uomo addolorato, capendo finalmente tante cose, sia del padre, che di Alexios. Ecco perché il gestore aveva reagito con tanta costernazione alla notizia della morte di Viktor ed ecco perché quando era ancora in vita, sporadicamente e senza nessun preavviso, il diplomatico sembrava guardare la figlia con un inconsapevole e rassegnato senso di colpa.

“Credo che quel giorno tuo padre si fosse reso conto di qualcosa, come credo che nel profondo sapesse che la sua bambina fosse in pericolo. Perdonami Michiru, ma allora mentii anch'io. Non ebbi cuore di dirgli nulla. L'unica cosa che riuscii a fare fu gettare l'arma in mare. Se solo avessi immaginato. Se non mi fossi fatto forviare, allora forse...”

“Forviare? Da chi? Da lei?!” Chiese sapendo già la risposta.

“Tua madre tentò di fare qualcosa Michiru. Te lo assicuro. Ma allora la medicina non era tanto avanzata come oggi. Viktor cambiò farmaci, ma non si poteva costringerlo senza rivelargli tutto e Flora non voleva che sapesse.”

Era proprio quello che Michiru aveva sempre rimproverato alla madre; non di aver spesso scelto la carriera lasciando la figlia sola con un padre dai nervi fragili, era una situazione che aveva imparato a gestire e poi lo amava e non avrebbe mai rinunciato ad aiutarlo, ma quello di avergli taciuto quell'instabilità, spingendolo a continuare nel suo lavoro, spesso stressante e destabilizzante, di aver costretto lei a fingere che andasse tutto bene, che fossero una famiglia normale, quando di normale non v'era assolutamente nulla. Adesso sapeva che anche la famiglia Mizuno era stata inclusa in questa farsa d'autore.

“E' solo per fargli mantenere la carriera ed allontanarlo da un precoce pensionamento che mia madre gli ha mentito per anni. Che gli abbiamo mentito tutti! Se papà avesse saputo, si sarebbe lasciato curare, anche se contro voglia.”

“Non lo so ragazza mia. - Confessò dubbioso. - Viktor era un uomo testardo ed estremamente orgoglioso. Non credo avrebbe tollerato di se stesso una tale debolezza. - Sorrise. - Tu per vari versi gli somigli parecchio, ma essendo donna hai ereditato dalla natura l'intelligenza nel saper chiedere aiuto.”

Improvvisamente Michiru avvertì un forte dolore alle tempie, come se una scarica elettrica le avesse percorse. Digrignando i denti dal dolore si toccò la fronte rendendosi conto di vedere leggermente appannato. Qualche secondo e tutto cessò abbandonandola.

“Cara, tutto bene?” Chiese l'uomo poggiandole una mano sulla spalla.

“Si. Credo di si.”

“Forse è meglio che Ami ti dia un'occhiata. Vieni, ti accompagno nella tua stanza.”

 

 

Giovanna era allibita. Non aveva mai visto una tale mancanza di rispetto per lo stile libero e da purista del nuoto qual'era, avrebbe dovuto avere il coraggio di far finire quell'insulto abbattendo con una serie di pallonate quel bacarozzoide morente. Invece, da canaglia e perfida sorella maggiore quale il suo DNA le imponeva di essere, si stava divertendo un mondo e non potendo sbottare a ridere sguaiatamente, perché sarebbe stata uccisa in poco meno di trenta secondi o quanto meno lasciata all'addiaccio fuori dall'uscio di casa, aveva preso a fare smorfie grottesche alla Quasimodo provando a darsi un contegno.

Dopo quella prima vasca di prova, dove l'insegnante improvvisata aveva provato a capire da quale livello partire per arrivare (forse) da qualche parte, i punti figagine della grande Haruka Tenou, Primo Ingegnere e primo pilota collaudatore del distaccamento ticinese della gloriosa casa automobilistica italiana Ducati, si erano inesorabilmente disintegrati, eclissati, liquefatti, ed ora al posto della spavalda bionda, c'era solo un essere con due braccia, due gambe ed una testa, che molto probabilmente non sarebbe mai riuscito a capire fino in fondo il meraviglioso risultato raggiunto dall'evoluzione umana in millenni d'apprendimento e che prendeva il nome di coordinazione motoria.

Mio... Dio... Pensò vincendo l'impulso di gettarsi in acqua per aiutare quell'animale ad annegare. In piedi a bordo vasca, accappatoio sulle spalle, braccia conserte e sguardo incredulo, Giovanna ammise per l'ennesima volta che l'amore che Haruka provava per Michiru fosse immenso.

“Perché lo vuoi fare se non ti piace?” Le aveva chiesto prima che l'altra si lasciasse scivolare nell'acqua.

“Per Michi.” E la spiegazione, se poteva considerarsi tale, era finita li.

Santo, Santissimo Dio... Continuò scuotendo leggermente la testa mentre l'altra riusciva finalmente a guadagnare il bordo ansimando come una locomotiva a vapore.

“Allora?” Chiese Harika aggrappandosi al corrimano interno neanche fosse un salvagente.

Allora! Allora cosa? Si disse Giovanna accovacciandosi.

“Beh Ruka, a galla ci sai stare. Questo è un fatto. Altrimenti saresti gia' morta. - ed io non ti avrei salvata... - Ma considerarlo nuotare..., mi sembra un tantino azzardato.”

“Lo so! Altrimenti non saresti qui!” Stizzita la bionda guardò altrove vergognandosi come un cane.

“Non ti offendere. E' che... con le tue gambe potresti fare molto di più. Dai prova ancora.” Consigliò.

Se soltanto l'estate precedente un'anima pia le avesse predetto che da li a qualche mese si sarebbe ritrovata un istrice come sorella ed una fuggitiva come cognata, forse avrebbe anche potuto prepararsi meglio. Per esempio... partendo per uno dei poli!

Rialzandosi ed attendendo svariati giri di lancetta, Giovanna costatò che la situazione non era affatto migliorata, anzi, alla quarta vasca di quel nuotare, la pesantezza che Tenou iniziava ad avvertire nei muscoli diede vita ad un annaspare grottesco.

“Haruka... Haruka... HARUKAAAA” L'urlo riecheggiò per tutto l'ambiente. Doveva cambiare tattica.

“Che c'è?!”

“Aspetta.” E Aulis scese in campo, o per meglio dire, in vasca.

Lasciando l'accappatoio su una delle sedie poco distanti ed avvicinandosi al bordo per togliendosi le ciabatte, prese aria gonfiando il petto, si tuffò e riuscendo a percorrere una decina di metri in apnea, riemerse solo una volta arrivata al fianco dell'altra. La bionda si sentì mortificata.

“Non è che tu non sappia fare i movimenti, ma è la coordinazione che non c'è. E poi la testa va sotto il pelo dell'acqua, non sopra. Non stai disputando una gara di palla a nuoto. Coraggio. Ora ti afferro per le caviglie così vai solo di braccia.”

“Cos'è che afferri? No, no. Le caviglie no. Così vado giù come un piombo. Già dato. Cosa credi che Michiru non ci abbia già provato?”

Giusto. Rifletté Giò pensando ad un'altra opzione. Se soltanto si fosse rammentata gli insegnamenti dei suoi istruttori, ma non si ricordava neanche cosa aveva mangiato a pranzo figuriamoci esercizi svolti trent'anni prima.

“Ok. Proviamo un'altra cosa. Vieni. - Si avvicinarono al bordo. - Metti il collo di entrambi i piedi sopra il ferro del corrimano, al resto penso io.” E rivolgendo i palmi verso l'alto attese che Haruka vi poggiasse lo sterno.

Dalla parte opposta nessun movimento. Giovanna intuì cambiando nuovamente strategia. “Sempre che tu non abbia paura.” Ormai aveva capito com'era fatta sua sorella; la si doveva pungolare sull'orgoglio, niente di più e niente di meno e grugnendo poco convinta la bionda eseguì di mala voglia.

Un piede, poi l'altro, ma non appena l'addome avvertì le dita di Giovanna, contraendo i muscoli di tutto il corpo si ritrovo' ad andare a fondo come una pietra, ingurgitando acqua, cloro, saliva e male parole. Riemergendo la bionda iniziò a tossire come se non ci fosse un domani accorgendosi solo dopo una serie inenarrabile di sfondoni, che la sorella si stava massaggiando il mento.

“Ma che sei scema!? Vuoi rompermi il naso con quelle palanche che chiami mani? Datti una calmata Tenou!”

“Scusa. Non sono abituata ad essere toccata. Ma anche tu! Che cazzo d'esercizio mi fai fare!? - Sbraitò cercando di resistere al violento pizzicore che sentiva su per il naso. - E poi il braccio mi fa male.”

See! Inventatene un'altra. Devi provare a fidarti Ruka. Non ti farò andare giù se è quello che pensi. - Lasciò uscire le mani dall'acqua. - Immagina che siano di Michiru.”

Haruka scosse la testa affermando divertita che se non voleva ritrovarsi le sue di mani addosso, sarebbe stato meglio di no.

“Opss. Vero. Va bè. Riproviamo dai. E questa volta... calmina.”

Un piede, poi di nuovo l'altro e la bionda avvertì sullo sterno il contatto dei palmi dell'altra e cercando di resistere all'istinto d'irrigidirsi, allungò il tronco portando le mani in avanti.

“Ottimo, lo vedi che non stai andando giù?! Ora, orecchio sinistro sotto il pelo dell'acqua e gomito destro portato a novanta gradi verso il tuo fianco. E fai piano o mi becchi in pieno.” Primo movimento, poi secondo, poi terzo e senza accorgersene troppo, Haruka iniziò ad ascoltare le direttive della sua insegnante.

“Tieni il tronco fermo, stai muovendoti troppo. Scodi come la tua Panigale.” La buttò sullo scherzo notando però, che serviva.

Avvertendo i muscoli dell'allieva farsi più rilassati, Giovanna iniziò ad allontanarle le mani dal tronco. Lentamente. Molto lentamente. Poco meno di cinque minuti dopo aver iniziato quell'esercizio, Haruka stava a galla da sola sincronizzando braccia e tronco.

“E brava la nostra Tenou.” Disse soddisfatta portandosi entrambe le mani dietro la nuca in modo che l'altra intravedesse con la coda dell'occhio cosa era appena accaduto alla sua rete di sicurezza. Due secondi, ed appena la consapevolezza di stare “nuotando” da sola la colpì, la bionda imitò il Titanic andando a picco.

“E no! Che fai?!” Chiese afferrando la sorella riportandola all'aria e nuovamente acqua, cloro, saliva e male parole.

“Non... farlo... mai PIU'!” Intimò strizzando gli occhi cercando così d'impedire ad un liquido non bene identificato di uscirle dal naso.

“Cosa? Lasciarti compiere i movimenti corretti in piena autonomia? Stavi andando benone Ruka.”

L'altra grufolò per nulla convinta sentendosi esausta. “ Per oggi basta. Conta che è dalle diciassette che sono in acqua.”

Giovanna la guardò dirigersi lentamente verso la scaletta. Tutto qui?! “ Ammutinata del Bounty! Che fai, molli?!”

“Sono stanca! Conta che oggi io avrei anche lavorato. Perciò...” Ferale come sempre. Quando a Tenou prendevano a girare, lo facevano con la G maiuscola.

Giusto, Haruka non era mica un Architetto precario come lei. Giovanna sospirò lasciandosi andare a qualche bracciata di stile. Era una vita che non nuotava, ma non aveva affatto perso il suo smalto. Raggiungendo la scaletta vide che la bionda che stava fissando tra l'accigliato e lo stupito.

“Se vuoi fare un paio di vasche non ci sono problemi. C'è ancora tempo prima che arrivino gli altri.” La buttò li Haruka e Giovanna che stava per afferrare l'acciaio della scaletta, capì.

Mai che quella zucca vuota si piegasse a chiedere qualcosa in più dello stretto necessario e comunque mai in maniera chiara. Cosa ci sarebbe voluto a dire"scusa mi faresti vedere come sono i movimenti corretti?". Quella donna era testarda ed orgogliosa come lo era lei a vent'anni. Vent'anni e non trentasette suonati! Quanta pazienza. Stirando le labbra Giovanna spinse con forza le gambe sul piastrellato guadagnando un paio di metri e voltandosi cominciò a nuotare.

Afferrando l'accappatoio Haruka iniziò a prendere appunti mentali. In effetti il corpo della sorella aveva un asse perfetto, il tronco non si muoveva che lo stretto necessario per dar spazio alle bracciate, le gambe non si piegavano, il battere del dorso dei piedi era delicato, ma efficiente. Le braccia si allungavano al massimo mentre i palmi delle mani aggredivano l'acqua inclinandosi leggermente verso l'esterno prima di penetrarla. La testa rimaneva in linea con il corpo ed usciva solo fino a parte della bocca per poi scomparire nuovamente, ed il tutto sembrava non costarle nessuna fatica. Nulla da dire, ci sapeva fare. In vasca era brava al pari della sua Michiru.

Un paio di minuti e la donna più grande decise di uscire. Poggiando il piede alla pedata d'acciaio guardò l'altra. “Ruka mi aiuteresti? Ho un mezzo crampo.” Supplicò allungando la mano.

“Cos'è, non hai più il fisico...” Fulminea Giovanna le afferrò il polso destro strattonandola con forza e via, un sontuoso volo in acqua.

“Così la prossima volta eviterai di essere tanto bestia. Bestia che sei!”

 

 

Buongiorno amore, dormito bene?” Chiese l'uomo raggiante placidamente seduto al tavolo da pranzo quotidiano in mano.

Buongiorno a te papà. Si ho dormito benissimo.” Rispose lei abbracciandolo per poi stampargli un sonoro bacio sulla guancia fresca di rasatura.

Che cosa vuoi fare oggi?”

In che senso? Non capisco.”

Ragazzina, non mi dirai che ti sei dimenticata che giorno è oggi?” Scherzò toccandole la punta del naso con un indice sapendo benissimo che quella furbetta lo avrebbe sempre tenuto per il collo. E come non lasciarselo fare? Amava immensamente quello scrigno meraviglioso che era sua figlia.

Michiru illuminò il volto sfoderando un sorriso enorme. “Hai tutta la giornata?”

Certo. Oggi non lavorerei per nulla al mondo. Allora, cosa vuoi fare?” La vide poggiarsi la mano sinistra al mento cogitando con fare intellettuale. “Mmmm..., vediamo.”

Intanto che ci pensi sarà il caso che ti dia una cosa.” Disse ripiegando il giornale. Come gran parte delle donne, la figlia era lenta nel decidere come passare il tempo libero.

Dirigendosi verso l'anta in vetro del mobile posto alle sue spalle, Viktor l'aprì per prendervi una custodia di raso color blu notte.

Vieni qui amore. Ecco, prendi. Oggi compi quattordici anni e voglio che questo diventi tuo a tutti gli effetti.” Aprendo la parte superiore della custodia la girò mostrando alla ragazza il suo contenuto.

Papà, ma è il violino del nonno!” Urlò entusiasta non avendo neanche il coraggio di toccarlo. Lo aveva intravisto solo qualche volta, nelle mani dello zio, accordatore ed esperto liutaio, ma non avrebbe mai pensato che il padre glielo consegnasse così presto.

Non fare quella faccia incredula Michiru. Lo so che tradizione della famiglia Kaiou vuole che questo strumento passi di padre in figlio al compimento della maggiore età, ma... - alzò le spalle. - ... pazienza. Sei talmente portata che sarebbe un peccato aspettare ancora. Hai una facilità nel vibrato da fare invidia a musicisti più grandi di te. Io non gli ho mai reso giustizia. Ora tocca a te amore.”

Michiru aprì gli occhi sentendo qualcuno bussare alla porta. Svegliata in piena fase REM ebbe bisogno di qualche istante prima di capire cosa fare per rispondere a quel suono. Via la coperta, una gamba, poi l'altra, le pantofole. Alzarsi, infilarsi la vestaglia. Un altro paio di tocchi ed iniziò a connettere.

“Arrivo.” Sbiascicò infilando le dita di entrambe le mani nei capelli per cercare di ridargli il volume perso.

“Chi è?” Chiese convinta fosse Ami.

“Michiru sono Alexios. Buongiorno. Scusa se ti disturbo, ma vorrei darti una cosa prima di uscire.” La chiave girò e la porta si aprì rivelando due occhi ancora semi chiusi.

“Perdonami, stavi dormendo! Ami mi ha detto che il mal di testa va meglio. Oggi devo andare fuori città per un cliente e tornerò solo per cena e ci tenevo a darti il mio regalo.” Sfoderando un sorriso alzò l'oggetto; una scatola rettangolare abbastanza voluminosa.

“Lo so che non si presenta bene, ma non sono mai stato bravo nell'incartare cose.”

“Non capisco.” Improvvisamente, grazie a quella frase si rese conto di quanto la situazione fosse simile a quella appena sognata. Guardando meglio l'oggetto notò quanto quel contenitore fosse in un certo senso, famigliare.

Piegando la testa da un lato l'uomo sperò che la moglie non si fosse sbagliata. Non voleva fare gaffe. “Oggi è il sei marzo. Non è il tuo compleanno?”

“Oggi è il sei?! Non me n'ero accorta. Si..., oggi è il mio compleanno.”

“Bene, allora questo è per te àngelos.” E le porse l'oggetto.

“Alexios, non sarà mica...”

“Si bambina. Apparteneva a mia sorella. Ma prima di dire o fare qualunque cosa, ti prego di guardarlo con attenzione.”

Michiru aprì il contenitore lasciando che le due linguette metalliche di chiusura scattassero sotto la forza dei suoi pollici. Le apparve così un violino, non quello che le aveva dato in mano Ami, ma un'altro, molto meno provato e sicuramente, più amato. Di semplice fattura, il legno era ancora in splendide condizioni. Lo sfiorò leggermente e nel provare un fremito ritrasse immediatamente le dita tornando a fissare Alexios.

“Guardalo bene.” Invitò ancora alzando il contenitore.

Fu dopo averlo osservato realmente che Michiru si accorse di un particolare non da poco.

“La mentoniera è a destra.” E capì le intenzioni dell'uomo.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. In questo capitolo, scritto di corsa per farlo “uscire” in concomitanza con il compleanno della nostra protagonista, sono tutti o quasi, testardi ed orgogliosi e qualcuno è paziente, o quasi.

Se vi siete trovati a leggere “l'atto più grande”, ma vi fosse sfuggito quanto, all'inizio, Giò si sentisse restia ad avvicinarsi a quella gran figona di Tenou, nel settimo capitolo è riportato un pensiero che ha lungamente e scioccamente portato nel cuore riferito ad Haruka - Che se ne farebbe una come lei, con una come me. Ecco, ora sappiamo tutti cosa, perche' vedere annaspare la bionda prima di andare affondo dev'essere una soddisfazione impareggiabile. :P

Ho voluto caratterizzare Alexios e mostrare Viktor com'era una volta. Se nel primo racconto i padri, il padre, è stato a tutti gli effetti un personaggio negativo ed alquanto dannoso, qui è, sono, tutto l'opposto. Se il secondo ha spezzato involontariamente la carriera della figlia pur amandola, allontanandola dal suo migliore amico, magari l'ateniese riuscirà a riavvicinarla ad uno dei suoi grandi amori. Chissà.

Comunque visto la data: buon compleanno sirena delle profondità oceaniche.

 

   
 
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