Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ethelincabbages    15/03/2017    3 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 27
Hurricane

Bollicina, fatti portare a letto.
Vai via, Chris.
Stringi. Lui non può capire.
Nel buio, le voci si rincorrevano una dietro l’altra, ciascuna declamando il proprio punto di vista, abbandonando Chriseys sola in un angolo, contro il muro, con un martellante battito sulla tempia destra a scandire il ritmo di ogni parola.
Si costrinse a non aprire gli occhi, ma in un attimo le tornò in mente quello che era accaduto il giorno prima. Vai via, ripetevano le voci, vai via. Era come sentire il ticchettio di una bomba echeggiare continuamente nella sua testa: presto sarebbe esplosa. Era così stanca. Perché era così stanca?
Scostò le tende del baldacchino che circondava il letto e si ritrovò a osservare le sue compagne di dormitorio: Elise saltellava da una parte all’altra della stanza, alle prese con un orecchino, mentre Sybil era immersa per metà nel proprio baule, scavando alla ricerca di qualche foulard o camicia perduta.
“Buongiorno, Chris,” le si rivolse Syb, dopo esser risalita a galla trionfante con un paio di occhiali da sole in mano. “Sei uno stracc-.”
Chris a stento riuscì a recepire lo sguardo preoccupato dell’amica. Tu-tu-tum. Sbatteva il martello in testa. Vai via, Chris. Tu-tu-tum. Nessuno ti può capire. Tu-tu-tum. Dovette correre verso il bagno, senza riuscire a trattenere un forte conato di vomito. Vai via, Chris.
Dimmi, Chriseys, saresti capace di uccidere?
Acqua fredda. Aveva bisogno di un po’ di acqua fredda sul viso. Lavare via il caldo, lo sporco. Gettare il martello lontano.
Saresti capace di uccidere per dimostrare di avere ragione?
Posò il capo contro la fresca ceramica del lavabo, cercando disperatamente un po’ di sollievo. Quasi come una preghiera. Per lavare via il caldo, lo sporco e quella voce. Sarebbe stata davvero capace di uccidere?
Saresti capace di uccidere per vendetta?
“Ehi, Chrissie,” si sentì chiamare dall’uscio. “Tutto bene?”
No.
Ma Sybil non si sarebbe accontentata di un semplice diniego. Alzò piano la testa, gli occhi allo specchio, gonfi, stanchi, umidi. Tirò un forte sospiro. Non c’erano più bagni in cui nascondersi. Si rivolse verso Sybil abbozzando il miglior sorriso che riuscì a tirare fuori. “Sto bene, Syb.”
“Sicura? Senza offesa, ma non hai una bella cera. Passiamo da Madama Chips prima d-,”
“No. No, no, no. Niente Madama Chips. Sto bene. Non posso andare in Infermeria,” spiegò, tirandosi in piedi. Si sentì quasi cadere, ma strinse il bordo della vasca per mantenere l’equilibrio, le voci continuavano a parlare. Sybil annuì, non era difficile capire perché non volesse andare in Infermeria. C’era Ted là.
“Forse devi riposare un altro po’. Ieri notte era tardissimo quando il professor Potter ti ha riportato in camera,” chiarì Sybil, col viso corrucciato.
“Harry?” si stupì. Ecco perché non ricordava di essere andata a letto. Era andata da Ted e poi era corsa via. A piangere. Come una bambina terrorizzata, una patetica scusa di essere umano, che corre a piangere in bagno. Da quando era diventata una piagnona? Si sedette sul bordo della vasca, cercando di mantenere l’equilibrio. “Mi ha portato Harry?” chiese ancora.
“Sì, e c’era anche tua sorella,” s’intromise Elise, spuntando tra la porta e Sybil.
Oh, pensò. Anche se non c’era niente da stupirsi. Sapeva che Hermione sarebbe arrivata a Hogwarts per parlare con la professoressa McGranitt. Era da una sicura conversazione con lei che scappava, no? Era inutile rimandare il confronto a quel punto. Doveva solo trovare le energie per vestirsi e prepararsi. Qualsiasi cosa le stesse succedendo, ormai sarebbe stato impossibile affrontarla da sola.
Quando Elise tirò Sybil per un braccio, sussurrandole qualcosa nell’orecchio, Chris ricordò i balletti per la stanza di poco prima. “E voi siete in ritardo per Hogsmeade,”constatò.
Elise annuì con gli occhi spalancati e incoraggianti. Sybil, d’altra parte, continuava ad arricciare il naso perplessa e ad adocchiare Chris tormentata. “Potremmo r-,” iniziò, ma lo sbuffo di Elise la interruppe.
“Non guardarmi così, Syb, per favore. Sto bene. E sono in punizione. Credo.” Di fatto la professoressa McGranitt non aveva detto nulla riguardo Hogsmeade e non aveva preso alcun provvedimento specifico, ma era senza bacchetta e tanto bastava a Chris per autoconsiderarsi in punizione fino a data destinarsi. “Andate pure. Senza pensieri.”
“Grazie,” le mimò Elise con le labbra. Mentre Sybil la salutava, lanciandole un bacetto sulla guancia.
 
*
 
Dovette passare più di una mezz’ora di autoconvincimento prima che Chris trovasse le energie per uscire dal proprio dormitorio. Di solito Harry non restava mai a scuola durante i weekend ma la conversazione con sua sorella non poteva più essere rimandata e il metodo più rapido per contattarla era tramite il professor Potter. Se Harry non fosse stato in ufficio, si sarebbe diretta in Guferia. Hogwarts e la sua repulsione alla tecnologia significavano anche questo.
La Sala Comune era semi deserta. La maggior parte dei suoi compagni di casa non aveva perso l’occasione di trascorrere una giornata fuori dalle mura del castello. Solo qualche bimbetto del primo biennio giocava a Sparaschiocco sul tappeto di fronte al camino, erano piuttosto carini mentre saltellavano dallo spavento per via delle carte che esplodevano. Quando la videro attraversare la Sala però interruppero il gioco, gettando verso di lei qualche occhiata preoccupata.
“Buongiorno?” disse, quasi volesse domandare il permesso di augurare loro una buona giornata. Un paio di ragazzini risposero mormorando, gli altri alternavano l’attenzione tra Chris, le carte e i propri compagni. C’era curiosità nelle loro espressioni e anche un certo timore. Chris realizzò in leggero ritardo: avevano paura di lei. Non seppe bene cosa fare con questa nuova informazione, eppure la sensazione che ne scaturì non era esattamente di dispiacere.
Non incontrò nessun altro per i corridoi: il fine settimana era fatto per l’ozio sfrenato, corridoi e aule non si sposavano bene con questa idea. Persino i quadri avevano deciso che non era più divertente spettegolare su di lei.
Quando arrivò nei pressi dell’ufficio di Harry, si rese conto che la porta era socchiusa. C’erano buone probabilità che Harry avesse deciso di fermarsi a Hogwarts quella notte. Avvicinandosi Chris sentì, infatti, la sua voce ringraziare qualcuno e poi il pop chiaro di una Smaterializzazione. Un elfo probabilmente. Erano gli elfi gli unici che potevano materializzarsi a Hogwarts, vero? Era una di quelle cose tecniche che Hermione amava ripetere, una di quelle cose che non riusciva mai a ricordare con sicurezza. Gli elfi erano creature simpatiche. Strane ma simpatiche. E le aggiustavano sempre il letto. Cosa per cui dovresti essere grata ogni giorno, Chris. Hermione diceva sempre anche questo.
I ciondoli del braccialetto che Chris portava al polso passavano ripetutamente uno per uno tra le dita perquisitori della ragazza.
“Comunque,” Chris sentì con chiarezza Harry schiarirsi la gola. “Ci deve essere un modo per sistemare le cose. Siete insieme da troppo tempo per… Cosa sta succedendo?”
“Per cominciare? Giocava a fare l’eroe con il pugnale di Bellatrix Lestrange. Il pugnale che ha ucciso Dobby, Harry! Perché è così sbadato?”
“Lo so. Ma sta cercando di rimediare, lo ha portato da Malfoy, o mi sbagli-? ”
“Ne abbiamo già parlato. E poi perché ci tieni tanto? Possiamo lasciar stare? Ho solo bisogno di tempo.”
Forse non era il caso di entrare. La discussione sembrava accesa e non poteva di certo contribuirvi lei. Sarebbe stata sua sorella a cercarla, se avesse voluto parlarle, no? Certo, sua sorella l’aveva cercata, e anche a lungo, il giorno prima. Aveva girato tutto il castello probabilmente. E lei si era addormentata, perché è di gran lunga meglio addormentarsi piangendo mentre Mirtilla blatera qualcosa che affrontare faccia a facc-
“Vieni, Chris. Non è il caso di rimuginare davanti una porta.” La voce di Hermione la sorprese al punto da farla quasi saltellare all’indietro.
“Ti si vede da qui,” chiarificò Harry.
Cosa aveva detto Sybil? L’avevano riportata in dormitorio in piena notte. Li aveva costretti a passare la notte a cercarla, era naturale che non avessero avuto modo o energie per tornare a casa. Se Chris avesse avuto bisogno di un'altra scossa al suo senso di colpa, ecco, l’aveva trovata.
Sospirò a fondo e aprì piano la porta socchiusa. La scrivania di Harry era apparecchiata a tavola da pranzo, piena di tutto quel bendidio che di solito si trovava in Sala Grande: uova, bacon, croissant, tè, caffè e succhi di ogni genere. Harry stava addentando un pezzetto di bacon e Hermione sorseggiava qualcosa, che a giudicare dall’aroma doveva essere caffelatte. Un caffelatte che, se non fosse stata terrorizzata dalla situazione in quel momento e dalla nausea di qualche ora prima, le avrebbe volentieri rubato.
In un flashback improvviso, le tornò in mente l’ultima volta in cui li aveva visti così, qualche settimana prima, quando Damian aveva riattivato la maledizione di Spartaco. Le venne in mente chi c’era con lei quella volta e il braccialetto con cui stava giocherellando perse tutti i ciondoli sul pavimento dello studio di Harry.
“Stai bene?”
“Perché tutti mi chiedete se sto bene? Non sono io quella bloccata in un letto da Madama Chips,” rispose brusca e si morse il labbro quando vide le espressioni turbate di Harry e Hermione. “Mi dispiace,” bisbigliò. “Mi dispiace, non volevo. Non volevo sbottare, non volevo farvi passare la notte in bianco, non volevo fare del male a-, mi dispiace.”
Si sentì sciocca e piccola. Perché aveva così tanta voglia di piangere? Non aveva finito le lacrime la sera prima? Avrebbe solo voluto tornare a casa, senza magia che scoppiava all’improvviso, senza voci nella testa, senza sogni strani, e senza Ted che la congedava con freddezza. Tornare a casa a piangere tra le braccia della mamma che le diceva che sarebbe andato tutto bene. Ma dov’era la sua mamma? Dov’era?
Sì sentì scivolare verso il basso, finché qualcuno non l’afferrò, portandola verso di sé. Avvertì due braccia stringerla e cullarla e qualcuno bisbigliarle di non piangere, che tutto, tutto sarebbe andato bene.
“Chrissie, ehi,” mormorava Hermione, mentre le baciava le tempie, “andrà tutto bene. Per favore, non piangere.”
Ma i singhiozzi aumentarono comunque. Le braccia di Hermione erano quasi come quelle della mamma.
“Mi dispiace,” continuò Chris a mugugnare tra i singhiozzi, “Io… non lo so… non lo so… che succede… Ted… il marchio… io…”
“Ehi, bollicina, guardami,” Hermione le prese il viso tra le mani, e con i pollici le asciugava le lacrime che scendevano copiose. “Andrà tutto bene. Vieni, siedi qua.”
Chris si lasciò guidare da Hermione, inspirando ed espirando il più possibile, nel tentativo di calmare le lacrime. Si sedette sulla poltrona prima occupata dalla sorella, che ora le si era inginocchiata davanti, afferrandole le mani. La pregava di guardarla negli occhi. “Andrà tutto bene, Chris. Parlami però. Dimmi cosa ti succede. Ho bisogno di capire come aiutarti. Va bene se non riesci a controllare la magia talvolta. Va bene se ti arrabbi e vuoi gridare, va bene s-, cosa ti succede, Chris? Parlami.”
Cosa ti succede, Chris? Perché non vuoi dirlo alla sorellina?
Saresti capace di uccidere, Chris? Dillo a Hermione. Dillo.
Chris scosse la testa, cercando di non dare troppo peso alle sue paure. Abbassò lo sguardo e si accorse che le mani di Hermione avevano perso il loro colore naturale lì dove le stava stringendo. E nonostante ciò non c’era segno di fastidio sul viso di lei: stava sopportando la sua stretta senza dire una parola, perché è così che si fa, quando si ci vuole bene, no?
“Non è così semplice,” mormorò. “Hermione, qualunque cosa sia, non è semplice.”
“No, non è mai semplice,” sentì una voce maschile intervenire. Harry. Aveva scordato Harry. Era poggiato sulla scrivania, le mani strette intorno ai bordi, le nocche bianche dallo sforzo. Chris non aveva forza di alzare gli occhi per guardarlo in viso.
“Harry, ti dispiacerebbe,” incominciò Hermione, rivolgendogli uno sguardo che pareva di scuse, “lasciarci da sole?” E Chris gliene fu grata. Non poteva, non poteva affrontare quella conversazione anche con Harry.
La scrivania barcollò nel momento in cui Harry lasciò andare le mani. Evidentemente non era molto d’accordo all’idea di uscire dal proprio ufficio.
“Per favore,” lo pregò Chris, incontrando finalmente il suo sguardo. E se ne pentì subito. Troppo chiari, troppo grandi gli occhi di Harry Potter. Lo vide socchiuderli e stringere piano le labbra, poi le si avvicinò e le diede un piccolo bacio sulla fronte.
“È solo preoccupato per te,” spiegò Hermione, una volta andato via. “Ti vuole bene. Tanto.”
“Lo so. È solo che non…”
“Non è un problema. Parla con me, Chris.”
“Non riesco a controllare la magia. Mi succedono cose, è come se sapessi fare cose che non ho mai imparato a fare.” Hermione fece per rispondere ma Chris glielo impedì. “Lasciami finire. È sempre stato così, vero? C’è sempre stata questa cosa nella testa… Non so controllarlo e so che l’hai capito: è peggiorato tutto da quan… da agosto. Non è solo nella mia testa.”
Chris lasciò andare le mani di Hermione. Le aveva strette fin troppo, e adesso erano le sue a tremare. Lentamente alzò il polsino della camicia e slacciò la fascia che le copriva costantemente l’avambraccio destro. Vide Hermione sussultare. Il Marchio era in procinto di formarsi quasi completamente: la stella a cinque punte era ancora là, ancora rossa, come il primo giorno, ma da essa ora usciva un serpente che scivolava verso la mano di Chris
“Cos’è? Quando è successo? Chi te lo ha fatto?” chiese Hermione a raffica. Scosse la testa, guardò il braccio, poi il viso di Chris, poi di nuovo il braccio.
A Chris parve di scorgere nel volto della sorella quell’espressione di attenta concentrazione che le colorava il viso ogni volta che doveva risolvere un rompicapo. Era chiaro, dopo lo stupore era subito passata all’azione. Era Hermione Granger. Stava passando a memoria tutte le possibili spiegazioni che potessero dare un senso alla comparsa di quel simbolo sul braccio della sorellina. Per un attimo, Chris si sentì rassicurata. Solo un attimo.
“Quando la mam-,” incominciò, “Io…”
Perché non parli con la sorellina, Chris?
Diglielo, dille quello che saresti capace di fare!
Puoi fidarti? Puoi davvero fidarti?
Cercò di riordinare le idee, di spiegare, ma era come se ci fosse qualcosa all’altezza dello sterno che le impedisse di dare forma al suo discorso. Non sarebbe riuscita a spiegare quello che era successo a parole. “Mi potresti prestare la bacchetta?” chiese invece. Avrebbe potuto provare anche senza, ma preferiva avere almeno la possibilità di incanalare l’incantesimo nella bacchetta, prima di perdere il controllo anche sui suoi ricordi. “È più facile così.”
Hermione capì, annuì e la lasciò fare. Chris chiuse gli occhi, navigando nella propria memoria alla ricerca dei momenti giusti. Forse non era pronta a riviverli, ma non c’era altro modo.
“Partem animi,” bisbigliò e si ritrovò a guidare Hermione tra i suoi ricordi: quando la mamma le parlò della malattia la prima volta, lo sgomento, la rabbia, il senso d’impotenza; quando trovò quel libricino nella libreria di Grimmauld Place, la curiosità, i dubbi, e poi la decisione; la frustrazione nel preparare il filtro, la disperazione nel mettere il piano in atto; la realizzazione che non avrebbe funzionato.
“Chris,” fu tutto quello che Hermione riuscì a dire quando uscirono dal ricordo. C’era indignazione nel suo tono e anche compassione.
“Non ha funzionato, ‘Mione. Ho venduto l’anima per nulla.”
“Che dici, piccolina? Troveremo un modo per capire quello che sta succedendo. Ed è ovvio che non avrebbe funzionato. Era nelle istruzioni, Chris! Perché diamine pensavi potesse funzionare?”
“Ero… Io volevo… Volevo solo che lei… volevo che non andasse via.”
A che serve? A che serve tutto questo potere se non puoi salvare le persone che ami?
“So che volevi fare, e lo capisco. Credimi, lo capisco.”
Capisce davvero?
“Mentirei se ti dicessi di non averci pensato un paio di volte anche io.  Cosa me ne faccio della magia se devo restare impotente di fronte alla sofferenza delle persone che amo? Ma non avrebbe mai potuto funzionare, tesoro.” Hermione tornò ad inginocchiarsi di fronte a Chris, prendendole il viso tra le mani. Anche i suoi occhi erano gonfi dal pianto.
“Perché, ‘Mione? Perché non ha funzionato?” Era tutto pronto. Tutto perfetto. E non aveva funzionato e non passava giorno, non passava minuto che Chris non ripensasse a quella decisione, a tutta la sua inutilità e a quello che aveva comportato. Quella voce. Era più forte da quel giorno.
Non temere me.
Non temere te stessa.
“Perché, perché, perché,” borbottò piano Hermione. Forse non aveva risposta anche lei. Abbassò lo sguardo, e lasciò scorrere un dito sull’avambraccio di Chris. Bruciava.  “Certe cose,” Chris la sentì appena, “non funzionano mai davvero.”
Perché adesso non la guardava più negli occhi?
Sa qualcosa che tu non sai.
Chiediglielo.
“Cos’è?” domandò agitata. Era vero, c’era qualcosa nel suo contegno. Qualcosa di nascosto e privato. “Cosa sai che non so?”
“Fin troppe cose,” sospirò Hermione, tirandosi in piedi. Lo aveva detto bisbigliando, quasi a se stessa. Come un pensiero di passaggio. Un pensiero di passaggio che a Chris non piaceva per nulla.  “Troveremo un modo,” disse poi, “capiremo cosa ti sta succedendo.”
Hermione sorrideva. Un sorriso forzato, quasi insicuro, non raggiungeva lo sguardo, scuro. Stava mentendo, stava coprendo qualcosa e Chris sentì montare la rabbia. Quando avrebbero smesso di trattarla come una bambola di porcellana incapace di capire quello che le accadeva intorno? D’altronde, non chiedeva molto. Voleva solo sapere la verità. Se Hermione conosceva qualcosa che avrebbe potuto aiutarla, Chris aveva diritto di saperlo.
La verità? Basta un sussurro per scoprire la verità.
Usa la bacchetta.
“Legilimens!”
 

 
Note: In questo momento, una parte di me si sente in colpa per il cliffhanger, questo e il prossimo capitolo erano stati originariamente progettati come un unicum, ma le cose da dire, da vedere, da sentire erano un po’ troppe per costringerle in un unico capitolo. In fondo, chi non ama un bel finale in sospeso?
Il titolo e alcune espressioni nel testo fanno riferimento al brano Hurricane dei Thirty Seconds to Mars, che in un refrain meraviglioso e angosciante suona più o meno così: “Tell me, would you kill to save your life? Tell me, would you kill to prove you’re right? Crash, crash! Burn, let it all burn! This hurricane’s chasing us all underground.” “Dimmi, uccideresti per salvarti la vita? Dimmi, uccideresti per dimostrare di aver ragione? Colpisci, colpisci! Brucia, lascia che bruci tutto! Questo uragano ci sta perseguitando tutti clandestinamente.”
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ethelincabbages