僕は孤独さ – No Signal
☂
Secondo intermezzo: Agonia.
Parte prima.
C’è
una sottile linea tra amore famigliare e amore romantico. Ciò che di netto
esiste, invece, è il senso di totale disagio di fronte alla manifestazione di
una sua forma differente da quella provata dall’altra persona.
Aiko sguazzava in un senso di colpa
denso come petrolio mentre, lentamente, ripiegava una ad una le sue magliette,
sistemandole nella valigia insieme al resto del suo armadio. Camice, pantaloni,
cornici e foto. Tutto venne accuratamente messo in ordine, pezzo dopo pezzo e
solo a quel punto Masa capì che non aveva poi molto.
La
sua vera ricchezza era ben altro.
«Hai già finito?»
Voltò il capo incontrando il volto di Kuramoto, sorridente. Se ne stava appoggiato allo stipite
della porta ormai da diverso tempo, lei lo aveva sentito avvicinarsi prima con
l’udito e poi con l’olfatto, entrambi acuiti dall’intervento. Gli sorrise di
rimando, sedendosi sul letto e aprendo il cassetto del comodino, ficcando
scatoline di medicinali e ninnoli di poco conto all’interno della tasca della valigiona che chissà come avrebbe chiuso.
«Mi aspettano per oggi pomeriggio.» gli
rispose, prendendo anche il caricatore del telefono e arrotolandolo con cura
prima di chiuderlo nella tasca dello zaino del computer, che sarebbe finito
nell’ampia borsa da spalla «Questa è la vera avventura, non l’intervento:
vivere con i Quinx e vedere che succede.»
«Ti troverai bene. Sono ragazzi simpatici.»
Fece un paio di passi nella stanza e lei
si alzò, andandogli incontro e avvolgendo le braccia attorno al suo collo per
stringerlo in un abbraccio. Chiuse gli occhi, sentendo il cuore pesante come se
lo avessero incatramato.
Kuramoto
affondò il viso nel suo collo e le accarezzò la schiena, in silenzio.
Quando Aiko si
staccò, gli prese il viso fra le mani «Lavorare con te è stato un onore, ma lo
è stato molto di più vivere qui. Questo non è un addio, lo sai.»
«Lo so, ma allora perché sei tu quella che
sta piangendo?»
Capitolo dodici.
Aprile.
L’alcool
che stava ingurgitando era molto di più del cibo che nel frattempo consumava, spiluccato dal buffet. Ito le aveva riempito un piattino conoscendo molto bene i
suoi gusti, così da non farle venire il mal di stomaco mentre litri e litri di
champagne andavano ad alzarle l’euforia, già abbastanza alta in seguito alla
promozione che aveva ricevuto quella mattina stessa.
Avvolta
nell’abito bianco formale, dalla giacca un po’ stretta sulle spalle e la gonna
scomoda, Masa osservava la sala con gli occhi un po’
lucidi a causa dei diversi bicchieri vuoti che infestavano il tavolo a cui era
seduta. Si era già liberata delle scarpe alte, abbandonate accanto alla sedia,
mentre la gamba accavallata dondolava piano.
Guardava
verso i Quinx, in particolare verso il punto in cui
Urie stava cercando di fondersi con la parete, al fine di ignorare i tentativi
di socializzazione di Kuroiwa. Sia lei che il suo
partner erano entrambi stati promossi al primo livello quel giorno. Un bel
passo avanti sia per lo stipendio che per la posizione. Ito,
che le sedeva accanto e chiacchierava allegramente con chiunque passasse vicino
a loro, era salito alla prima classe.
Lo
stesso grado di Take, che invece aveva preso posto di fronte a lei e sembrava
perso in chissà quale pensiero.
«Cosa ti assilla?» aveva chiesto alla fine
la mora e lui, senza venir chiamato direttamente per nome, alzò gli occhi
castani in quelli ambrati della giovane. Non rispose, scuotendo appena il capo
e arricciando la fronte, come per voler comunicare che non era niente di che. È il vostro giorno, stava continuando
a dire in silenzio, guardando lei e Kuramoto, io sto bene. Il fatto che l’avesse capito
nonostante il silenzio era inquietante. «Sicuro? Hai una brutta cera.»
Per giusta misura, prese un altro
bicchiere da un vassoio che passava.
«Tu non stai bevendo troppo?» chiese Hirako, facendo finalmente sentire la sua voce.
«Io non ti sono mai piaciuta.» rilanciò
invece lei, con un mezzo sorrisetto, mentre con gli occhi accarezzava il bordo
della tovaglia bianca «Ma va bene così. Io non ti piaccio perché tu sei una
brava persona.»
«Sei ubriaca.» alzandosi di poco, le sfilò
il bicchiere, ficcandole in mano un crostino. Aiko
ridacchiò piano, un po’ malinconica, portandolo alle labbra mentre Take passava
il calice a Ito, il quale aveva appena finito di
parlare con Nakarai. Anche lui era salito alla prima
classe «Lei non beve più.» furono le sue ultime parole, prima di allontanarsi
dal tavolo.
«Rimane un padre migliore di quello
biologico.» soppesò Masa, inclinando di lato il capo
mentre lo guardava sparire dalla sala.
«Come la mamma però non c’è nessuno!» Saiko prese posto nella sedia vuota alla destra della
collega, sorridendo a Kuramoto mentre questi la salutava
e congratulandosi con lei. Yonebayashi ricambiò
quelle moine, prima di guardare Masa «Non vai a
salvare Urie?»
«Perché dovrei?» domandò quella, vagamente
divertita «Mi ha scaricato in
superstrada e mi bulleggia quando ci alleniamo
insieme. Se lo merita un po’ di Takeomi.»
«Takeomi è una
persona squisita.» fu la difesa del biondo, che guardava entrambe di sottecchi.
«Sì, ma Cookie lo odia.»
«Strano che Oreo
odi qualcuno.» Aizawa passò un calice a Masa, nonostante Ito gli stesse
chiedendo di non farlo e poi brindò con lei alla salute del Quinx
scorbutico «Ora scusatemi, ma mi hanno appena detto che Matsuri
ha quasi riso prima. È di buon umore ed è il momento di tirare fuori tutto il
mio repertorio di barzellette sugli ebrei. Se causerò anche una piccola risata
o un pallido sorriso, verrò ricordato per sempre qui dentro.»
Aiko
guardò il dottore allontanarsi con divertimento, scuotendo piano il capo prima
di prendere un sorso di vino frizzante «Chissà cosa ci fa lui qui. Non è un
agente.»
«Nemmeno Aogiri
lo fermerebbe dal mangiare gratis a spese del dipartimento, Aiko.»
entrambe le ragazze risero e quando Masa si alzò in
piedi un po’ traballante, anche Kuramoto scattò su,
tenendola su con una mano dietro al gomito «Dove vai? Ti accompagno.»
«Non ne ho bisogno, grazie.»
«Insisto, non cammini diritta.»
Lei lo guardò con espressione complice e
quando ancora non ci arrivò, prese un respiro «Mi accompagni al bagno a
cambiare l’assorbente, Kuramoto?»
Due secondi ed era di nuovo seduto. «Forse
meglio se viene Yonebayashi con te.»
«Posso andare da sola!»
Saiko
non venne fatta alzare o almeno non ne ebbe il tempo. Tenendo le scarpe dal
tacco alto in mano, certa che se le avesse infilate si sarebbe schiantata
contro qualcuno o direttamente sulla pavimentazione, Aiko
si avviò cercando di compiere una traiettoria rettilinea fatta di sorrisi e
saluti ai colleghi che incontrava lungo la strada. Solo quando lasciò il salone
e i suoi piedi coperti solo dalle calze fini passarono dall’accarezzare la
moquette multicolore alle mattonelle fredde del corridoio, si lasciò andare in
un lungo sospiro. Si appoggiò con il braccio alla parete, avviandosi lentamente
verso i servizi. Quella usata con Kuramoto era solo
una scusa, in realtà voleva solo sciacquarsi il viso. Non avrebbe mai e poi mai
ammesso che la sola cosa che aveva bisogno di cambiare era l’aria.
Arrivò fino ai bagni ma, prima di entrarvi,
si sentì chiamare. Dal fondo del corridoio, Tooru la
stava raggiungendo a passi veloci. «Oi.» lo salutò
con un cenno, «anche tu necessiti della toilette?» chiese quindi, scivolando
appena contro la porta a causa di una piccola vertigine.
Mutsuki
la prese al volo, «No, ma visto come camminavi ho pensato che magari avevi
bisogno di una mano.»
«Sei saggio.» Masa
fece un cenno di assenso, socchiudendo appena gli occhi, prima di ridacchiare,
brilla «Mi fa così schifo tutto questo che vorrei solo tornare a casa.»
«Non ti senti a tuo agio?»
«Non sentirsi
a proprio agio è un modo di dire che solo una persona dolce ed educata come
te può usare. A me tutto questo fa cagare.
E sai perché? Perché non me lo merito. Per niente.» ci fu un piccolo stallo e
alla fine, perdendo la voglia di scherzare, Aiko aprì
la porta, facendo per entrare «Tu vieni?»
Tooru
guardò la porta del bagno delle donne, poi deglutì piano, per poi entrare. Non
poteva di sicuro lasciarla sola in quello stato.
Masa
si appoggiò ai lavandini, facendo scivolare la spallina della piccola borsa
bianca per poterla appoggiare accanto a sé. Poi si guardò e per poco prese
paura. Era bianca come un morto. Dall’interno della borsa prese una matita nera
e tracciò di nuovo il contorno dell’occhio, recuperando anche un blush rosato per dare un minimo colore alla pelle delle
guance. Il tutto sotto lo sguardo indagatore del collega.
«Raramente ti trucchi.» le fece notare Tooru, appoggiandosi alla parete accanto all’asciugamani
elettrico. «Stai bene così.»
«Grazie» le rispose lei, aprendo l’acqua e
umettandosi una mano, che passò poi dietro al collo, all’attaccatura dei
capelli scuri «Ti senti a disagio in questo bagno?» chiese quindi, guardandolo
attraverso il riflesso dell’ampio specchio. «Cosa senti? Un senso di rigetto?
Magari non credi che sia il tuo posto perché gli altri potrebbero pensarlo o è
qualcosa di unicamente tuo?»
Mutsuki
abbassò gli occhi, a disagio «Parli come Noriko.»
«I nostri lavori si somigliano molto. Con
la differenza che io entro nella mente degli psicopatici per metterli dietro
alle sbarre e lei è inutile.» fece una
piccola pausa «Con questo non sto dicendo che sei psicopatico, sia chiaro.»
Sentendo che la ragazza ancora aspettava
una risposta, Tooru decise di dirottare la
conversazione su qualcosa che, effettivamente, lo tormentava da qualche
settimana «Tu e Urie state insieme, ora?»
Masa
lo guardò intenerita da tanta ingenuità, sempre senza voltarsi verso di lui «No.»
confermò, «A lui non piaccio abbastanza e io farei fatica a non volerlo
uccidere.» lentamente si voltò, appoggiando i fianchi al lavandino «Hai paura
che voglia fare la stronza con lui? Sei gentile. Non preoccuparti, è lui che fa
lo stronzo.»
Mutsuki
sorrise «Sei dura con lui.»
Una serie di battute di pessimo gusto
nacquero nella mente di Aiko, ma non poteva farle
perché di fronte a lei non c’era Shirazu. C’era Tooru e lui era innocente come un giglio bianco.
Semplicemente incrociò le braccia sotto al seno «Sai, le relazioni sentimentali
non sono mai semplici.» disse alla fine, parodizzando
un tono falsamente saccente «E spesso l’attrazione fisica e l’attrazione
mentale non vanno di pari passo. Probabilmente potrebbe funzionare, se solo lui
non-»
«Non volevo farti un terzo grado» la
interruppe Mutsuki «Solo, il giorno che abbiamo
parlato poco dopo il tuo arrivo, avevo capito dalle tue parole che tu fossi…. Omosessuale. »
«Sono bisessuale, in realtà.» gli confidò
con sicurezza «Penso sempre che l’attrazione vada oltre il sesso della persona
che ho di fronte. Ci sono uomini che non vedrei nemmeno se provassero in ogni
modo a conquistarmi e donne per le quali perderei la testa.»
«Deve essere bello avere tutte queste
certezze nella vita.»
Aiko
gli sorrise incoraggiante, recuperando la borsa per poi avvicinarsi «Devi
scoprire te stesso se vuoi capire gli
altri» gli disse semplicemente, prima di prenderlo a braccetto «Dopo questo
momento cuore a cuore torniamo di là
o penseranno che ti ho rapito per sedurti. E noi non vogliamo che Sasaki lo pensi, no?»
Il volto di Mutsuki
andò in fiamme fino alle orecchie. Provò a balbettare qualcosa, ma l’altra era
come un tornado. Si strinse meglio al braccio dell’altro, trascinandolo fuori
mentre proseguiva a farfugliare di tutti i modi in cui Tooru
avrebbe potuto farsi notare dal professore.
Non c’erano molte possibilità che potesse
nascere un’amicizia vera.
Però c’era spazio per lavorarci.
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«Così gli ho detto ‘Kijima, se vuoi fare di testa tua, sappi che
te lo impedirò con ogni mezzo. Questo è il mio caso, non il tuo.’ E lui
cosa ha fatto? Ha comunque deciso di testa sua.»
Masa
prese un lungo tiro dalla sigaretta, facendo uscire un po’ di fumo dalle narici,
«Sei diventato troppo tenero, Koori» disse rivolta al classe speciale Ui, che la liquidò con un gesto della mano. «No, davvero.
Un paio di anni fa lo avresti preso e lanciato fuori dalla finestra per un
affronto come questo.»
«Io concordo» Fura,
il terzo tabagista, passò il peso da un piede all’altro «Una volta eri molto
più di polso.»
Che lo stessero prendendo in giro era
ovvio, ma la poca libertà che avevano nei suoi riguardi era legata al fatto che
ogni giorno si incontrarono ad orari decisi e fissi su quel tetto, per fumare.
Una sorta di club esclusivo di persone con vizi malsani.
Fumare unisce le genti.
Rilassa anche.
Koori più di tutti ne aveva bisogno, tanto quanto di
dormire. Il caso Rose aveva preso piede da poco più di due settimane, ma non
avevano ancora ottenuto grandi risultati. Era una questione di immagine per Ui, che si era preso a carico di quella faccenda incresciosa
unendo le squadre Shimeugi, Sasaki
e Kijima sotto una unica bandiera. A far fronte
comune con loro c’era anche la squadra Ito,
capitanata proprio dal neo prima classe, il quale teneva sotto di sé tutti
coloro che erano rimasti della squadra Hirako.
Masa
aveva capito cosa tormentasse tanto Take la sera delle promozioni. Aveva
intenzione di lasciare la squadra al suo secondo, non interessandosi del fatto
che questi non solo non se lo aspettasse, ma che non se la sentisse. Perché Kuramoto aveva accettato con il cuore in gola e la
sensazione di non essere abbastanza.
Ma Aiko glielo
aveva detto chiaramente: sarebbe stato un leader molto migliore di Take, che
aveva scelto per chissà quale motivo di riportare il culo al sicuro come
braccio destro di Arima. Il perché rimaneva un
mistero, visto che la spiegazione che la S3 fosse a corto di organico non stava
in piedi. C’erano tanti valenti giovani pronti a dare la loro vita allo Shinigami Bianco, perché Hirako
aveva scelto di perdere gradi e soldi sulla busta paga?
No. Non torna.
«Aiko?» gli
occhi ambrati della moretta tornarono a spostarsi sul classe speciale, che assottigliò
lo sguardo a causa degli ultimi raggi caldi del sole, i quali finivano
direttamente a colpire il suo viso di porcellana. «Quindi? Il rapporto di Sasaki quando arriverà?»
Masa
aveva intuito che qualcosa non quadrava. Ui era una
delle persone più altere dell’intero bureau, ma anche una di quelle più
gentili. Dietro a quella che
sembrava una scorza dura si nascondeva un ragazzo a tratti insicuro. Koori Ui viveva per avere
l’approvazione di un solo, singolo uomo. Egli rispondeva al nome di Kishou Arima, colui a cui tutti
facevano capo, colui che tutti volevano impressionale nonostante fosse la
persona meno impressionabile al mondo.
Aiko
pregò di non doversi mai trovare al posto di Ui, a
invidiare il rapporto di Haise e Arima
e, soprattutto, a cercare di farsi notare dallo Shinigami
della ccg. La sua vita non sarebbe potuta andare in
senso più opposto rispetto a quella di quell’uomo, per quanto ne sapeva lei.
Nonostante non fosse la segretaria del suo
capo, Aiko sorrise all’uomo «Glielo ricorderò appena
lo vedo. Entro la fine della settimana lo avrai di certo.»
Lui annuì, facendo ondeggiare il caschetto
lucente e finendo per spegnere la sigaretta nel posacenere a muro. Poi salutò
educatamente e rientrò, seguito qualche istante dopo da Fura.
Aiko, che se la stava prendendo con una certa calma –
il suo turno era finito da un po’, in effetti- allungò lo sguardo lungo lo
spiazzo di fronte a lei. Sul tetto della sede centrale c’erano solo lei, un
paio di agenti interni che cenavano un
po’ in anticipo e poi, seduta poco lontana su una delle rare panche di legno, Noriko. Aveva accanto a sé quello che sembrava un bento mezzo vuoto
e in mano un termos. L’aria cambiò, portando con sé l’odore acre della bevanda
lì contenuta.
Di sicuro non era caffè.
Quando la psicologa la colse in fallo, con
gli occhi ancora appoggiati con insistenza sul suo viso, si voltò per
guardarla. Non correva buon sangue fra le due, Masa
poi non riusciva a tollerare che quella donna sapesse cose del suo passato,
conservate all’interno di un fascicolo troppo spesso per una ventitreenne. Non
si salutarono, né parlarono.
Aiko
continuò a fumare, senza abbassare lo sguardo e l’altra donna fece lo stesso,
creando uno stallo.
Esso si infranse solo con l’arrivo di
Urie, che spinse con forza la porta taglia-fuoco, adocchiando subito la partner
poco distante da essa.
«Fumare fa venire il cancro.»
«Anche tu, ma non posso rinunciare né a
te, né alle sigarette.»
Aiko
gli sorrise, notando con divertimento che nonostante l’altro avesse alzato gli
occhi da rettile al cielo in un moto di esasperazione, le sue orecchie si erano
tinte di rosso a causa dell’imbarazzo.
«Ad ogni modo, la giornata è ufficialmente
finita. Stiamo pensando di tornare a casa.» le fece sapere sbrigativo, mentre Aiko prendeva l’ultimo tiro di sigaretta.
«Oh sì, ti prego» mugolò, tirando le
braccia verso l’alto per stirare la schiena, mentre il ragazzo andava a
sistemarle l’orlo della camicetta azzurrina che indossava sotto al maglioncino
primaverile, tirandolo verso il basso per coprirle il ventre piatto «Grazie
mamma.» lo prese in giro per quel gesto, prima di appoggiargli una mano sulla
spalla «Non vedo l’ora di ficcarmi nella doccia.»
«Dopo i nostri allenamenti, spero.»
«…Sei un mostro.
Oggi abbiamo fatto due riunioni.»
Lui non diede segno di averla ascoltata «Oggi
possiamo prendere le bici e andare fino al campo da calcio per allenarci con i
nostri kagune.»
Masa
sospirò piano, «Così spaventiamo di nuovo i bambini?»
«…Lo facciamo
dopo cena.»
«Perché non usiamo la nostra palestra?»
«Perché tu hai distrutto tutto l’ultima
volta.»
Lei lo guardò quasi offesa, prima di
ammorbidire il viso in un sorrisetto malizioso, piegando il braccio per
passarlo dietro al suo collo e attirarlo a sé. Era alta abbastanza per
guardarlo negli occhi «Magari tu non sai cosa si prova, ma quando hai delle appendici
molto ingombranti non è semplice
manovrarle.»
«Non dicevi così l’altra sera.»
Per la prima volta da quando si conosceva,
fu Masa a rimanere del tutto senza parole. Lo guardò
per un istante con gli occhi sgranati, le labbra socchiuse per l’incredulità, a
corto di argomentazioni valide. Poi scoppiò a ridere, soprattutto perché
l’altro aveva pronunciato quella che era indubbiamente una battuta anche
abbastanza spinta nella più totale apatia, appoggiandosi con la fronte alla
spalla di Kuki.
«Sei impossibile.» sussurrò piano la
ragazza, avvertendo la mano dell’altro appoggiarsi sul suo fianco, mentre con
una certa circospezione si guardava attorno. Non che fosse strano vedere
qualcuno in atteggiamenti più o meno intimi. C’erano più agenti con l’amante al
lavoro che senza. Però Urie ci teneva particolarmente a mantenersi
apparentemente perfetto, soprattutto con Matsuri.
Ad Aiko stava
bene, perché ciò che aveva detto a Mutsuki e Sasaki era vero. Non erano una coppia, semplicemente,
avevano costretto loro stessi a inventarsi una sintonia che, non essendo
spontanea affatto, aveva trovato il suo sfogo nel sesso. Il dormire insieme,
letteralmente, li aveva decisamente uniti.
E non solo sul piano fisico.
Lavoravano molto meglio, forse anche in
virtù della chiacchierata avuta precedentemente alla loro prima volta.
Per buona educazione, comunque, Masa si scostò, ma non si separarono. Lasciò parlare Urie
di come e quanto avrebbero potuto allenarsi, anche in vista della mattinata di
riposo che li spettava il giorno seguente. Studiò attentamente il suo profilo,
chiedendosi se lo trovasse o meno bello. C’era qualcosa di affascinante in
Urie, anche se oggettivamente non era il ragazzo più avvenente che avesse avuto
a sua disposizione. Forse erano i nei particolari sotto l’occhio sinistro.
Forse il suo modo di atteggiarsi sempre un po’ ruvido, scontroso e distaccato.
Il fascino del bad boy.
Inesorabili, una serie di note
inconfondibili arrivarono fino alle loro orecchie e Masa
dovette per forza di cose smettere di fantasticare sul suo collega. Si guardò
attorno e ci mise un attimo ad adocchiare un braccio che sbucava dalla porta di
metallo, reggendo fra le mani un cellulare. La fonte di quella musica era
proprio quello.
«Questa è Celiné
Dion?» domandò prima di ridere, guardando l’espressione soddisfatta di Shirazu, mentre questi faceva capolino dall’uscio. Urie non
si voltò nemmeno a guardarlo, mentre Aiko colta da un
attimo di puro coinvolgimento si azzardava anche a intonare la canzone «Once more you open
the door and you’re here in my heart
and my heart will go on..»
«Avevo anche pensato a Witney
Houston, ma non volevo esagerare e Urie non assomiglia per niente al
protagonista di the Bodyguard»
La mora stava praticamente gongolando «Be my Di Caprio,
Cookie.» Inutile dirlo, il diretto interessato si staccò dalla ragazza di
almeno otto passi pensando a come fare per ficcare l’apparecchio nella gola del
caposquadra, che li stava raggiungendo.
«Smettetela di tubare» li apostrofò a voce
alta, così che tutti coloro che non si fossero ancora accorti di nulla,
potessero arrivare a tirare le somme di tutto quello stupido teatrino. La vena
sul collo di Urie prese a pulsare visibilmente «Sassan
ci aspetta di sotto. Andiamo?»
«Voi andate avanti» a sorpresa, Aiko si tirò indietro, controllando l’ora sul cellulare. Di
fronte all’espressione perplessa dei due, sorrise facendo l’occhiolino «Passo a
trovare un pezzo grosso e mi faccio dare un passaggio. Tanto gli allenamenti
oggi ci sono dopo cena.»
L’ufficio non era mutato per niente da
quando Kuramoto era diventato il caposquadra. La sola
cosa ad essere cambiata era l’aria che si respirava all’interno. Per Aiko era più distesa, per Ito
invece asfissiante.
«Shirazu mi ha
ascoltato e ha usato Baciala da la
Sirenetta?»
Aiko
ridacchiò sotto ai baffi, sistemandosi sulla sedia di fronte alla scrivania
dell’amico «No, ha deciso di darsi ai classici e si è buttato sulla colonna
sonora di Titanic.»
«Ah, perché nessuno mi ascolta mai?»
Si scambiarono una lunga occhiata, prima
di iniziare a parlare del più e del meno per dieci minuti. Masa
gli spiegò per filo e per segno come Ui aveva
bocciato il progetto sotto copertura ideato da Haise,
di quanto inquietante fosse il padrone del negozio di maschere e dei suoi
pensieri riguardo all’astio che Koori covava nei
confronti del capo dei Quinx. Lui non la interruppe
nemmeno una volta, rimanendo rilassato contro lo schienale della sua sedia, con
il solito sorriso serafico sulle labbra.
«C’è un motivo preciso per cui volevi
vedermi, comunque?» di punto in bianco, Masa si
ricordò dell’urgenza con cui Kuramoto l’aveva
chiamata in mensa, chiedendole di passare appena possibile. Non aveva detto che
l’avrebbe fatto in giornata ben sapendo che gli allenamenti di Aikido dovevano
venire prima per quieto vivere domestico, ma visto che erano stati posticipati
dal maestro in persona aveva colto la palla al balzo.
Passava troppo poco tempo insieme a Ito in quell’ultimo periodo, voleva rimediare. Un anno
prima erano stati inseparabili.
«In realtà sì.» le disse il biondo,
improvvisamente con nervosismo mal celato. Si mise diritto sulla sedia, facendo
una piccola pausa prima di iniziare ad articolare quello che sembrava un
discorso che si era preparato prima «Sai che è difficile per me prendere il
posto lasciato vuoto da Take. Abbiamo passato tre ore a sviscerare la cosa il
giorno stesso in cui è successo, fino a che il sake
non ha vinto e io mi sono ubriacato.» Quell’ultima affermazione strappò un
sorriso alla ragazza, che a sua volta si sentiva tesa. Kuramoto
serio non era se stesso «Il punto è che
devo scendere a patti con questa nuova realtà e sto cercando di armarmi
di tutto ciò che penso possa essermi indispensabile. Per questo ti sto
chiedendo, anzi ti sto pregando di
tornare in questa squadra. Ho bisogno di te.»
Nel giro di nemmeno un’ora, Aiko si ritrovò di nuovo ammutolita. Non in termini
piacevoli, però. Si sentì uno schifo, ma sapeva che doveva stroncare ogni
minima scintilla di speranza in merito.
«Kuramoto-»
«So che sei nei Quinx
da nemmeno quattro mesi» la interruppe lui, deciso a spiegarle per filo e per
segno il suo punto di vista prima di sentirsi dire di no. «Ti sei sottoposta a
un intervento chirurgico invasivo, hai fatto un addestramento intensivo e ora
che ti sei stabilizzata ti sto chiedendo di mollare tutto e fare marcia
indietro. Lo so, non ha senso. Però aspetta di sapere cosa ho da offrirti.» lei
si morse il labbro, incerta sul volerlo o meno sapere, ma poi annuì facendogli
cenno di andare avanti «Se torni in questa squadra avrai carta bianca sulle
indagini, come hai sempre voluto tu. E potrai farlo perché voglio promuoverti.»
Allungò la mano, chiedendole di poter stringere la sua. Aiko
glielo concesse. «Ho già parlato con Machibita e
anche a lui sta bene: puoi diventare il vice caposquadra. Per questo ti chiedo
almeno di pensarci.»
Masa
rimase in silenzio per almeno due minuti, soppesando ogni singola parola
dell’amico. Poi gli strinse di più la mano «Ok. Ci penserò su, ma sappi che
difficilmente potrò accettare la tua offerta. Ora come ora non sono più un
agente normale e assumerti il rischio di avere un Quinx
in squadra è troppo. Soprattutto ora.»
Lui sorrise, vittorioso nell’essere
riuscito almeno a farla riflettere sulla questione. «Va bene, mi sembra un ottimo
compromesso.»
Entrambi si sollevarono, stringendosi in
un abbraccio che durò forse un po’ troppo. Quando tornarono a prendere posto,
l’aria si era distesa.
Kuramoto
però non aveva finito di liberarsi di certi sassolini nelle scarpe.
«Lui sa cosa è successo?» chiese quindi a
bruciapelo «Urie Kuki, intendo. Gli hai raccontato di
cosa è successo due anni fa?»
Aiko
si raggelò sulla sedia, guardandolo «No.»
La risposta arrivò lapidaria e tagliente
come una lama d’acciaio.
Tanto affilata da stroncare il discorso
sul nascere.
In realtà, Aiko
non sapeva bene a cosa si riferisse Ito. Erano
successe parecchie cose due anni prima. Forse intendeva lo scontro col Gufo in
cui avevano perso Orihara. Magari la notte in cui Osaki era stata assassinata, mentre raggiungeva il
ristorante dove lui e Take stavano cenando. O magari parlava dell’incidente stradale.
La risposta non sarebbe cambiata in ogni
caso.
«Abbiamo parlato di suo padre.» per
riportare di nuovo un’atmosfera rilassata, Masa
proseguì a parlare «Non voglio turbarlo, però. Non sembra, ma è una persona che
prende parecchio a cuore le situazioni.»
Non era vero. Urie era un muro. Masa avrebbe potuto provare a buttarlo giù in ogni modo, le
sarebbe sempre sembrato apatico e insofferente. La sola volta che si era un
minimo interessato a lei era stata la sera in cui, per l’appunto, avevano
parlato di Mikito Urie.
«E dimmi, Aiko,
lui ti piace oppure ti stai divertendo come sempre?»
Non c’era nessuna cadenza sarcastica o
amara nella domanda di Ito. L’aveva posta con la
solita leggerezza nonostante Masa fosse a conoscenza
dei suoi reali pensieri. Non era nella natura del biondo fare lo stronzo.
Piuttosto, se lo sarebbe tenuto per sé.
«La prima volta che l’ho baciato ero
ubriaca. La prima volta che ci sono finita a letto, prima stavo piangendo e ci
siamo fatti anche uno spinello. Non è esattamente la storia d’amore che
vorresti raccontare ai tuoi figli, non credi?»
La conversazione si stava allontanando un
po’ troppo dalla sua zona di confort, così Masa si
alzò prima di rendere la cosa insopportabile. Sorrise, nonostante si sentisse
atterrita. Non le era mai successo prima di sentirsi a disagio con Kuramoto. Era sempre stata la persona a cui si era sentita
più vicina, lì dentro.
Avrebbe dovuto aspettarselo però, una
volta cambiata squadra.
«Torno a casa, gli altri mi stanno
aspettando.» gli mentì, sporgendosi sulla scrivania per baciargli la guancia «Tienimi
aggiornata per il concerto dei リンガール,
mi raccomando.»
«Lo farò, tu fai la brava!»
«Come sempre, buonanotte!»
Chiuse la porta dietro alle sue spalle,
prendendo un respiro e chiudendo gli occhi, prima di avviarsi decisa fino
all’ascensore. Si sentì scossa nell’anima dalla permanenza in quell’ufficio e
quando guardò l’ora sullo schermo del suo smartphone
trasalì nel realizzare che vi era rimasta solo quindici minuti. Le era sembrata
un’ora.
Si chiese se ci fossero possibilità che i Quinx non fossero ancora tornati, quando il nome di Yonebayashi apparve lampeggiando sull’apparecchio che
stringeva ancora in mano. Un po’ sorpresa, accettò la chiamata «Saiko? Stavo pensando di chiamar-»
-Macchan….
Ti prego, vieni qui.-
La voce della compagna di squadra era
spezzata. Sembrava spaventata. Masa si mise subito in
allerta «Cosa sta succedendo?» domandò quindi «Dove sei? Sei in pericolo?!»
-Aogiri-
disse l’altra, sottovoce, come se temesse di essere sentita –Ci hanno attaccati
nel parcheggio. Sono tra il terzo e il quarto piano e-
La linea cadde. «Saiko!
Merda!» Aiko provò a richiamare, pigiando velocemente
il tasto dell’ascensore, come se quel gesto potesse aiutarla ad andare più
veloce.
«Aogiri!? Non è
possibile!»
Permise a mala pena all’ascensore di
arrivare al piano terra. Sfrecciò nell’atrio rapidamente, rendendosi conto che
non aveva con sé la sua quinque e che quindi si
sarebbe basata solamente sulle sue abilità col kagune.
Avrebbe anche chiesto aiuto, ma non
incontrò nessun investigatore sulla sua strada e non aveva di certo il tempo di
chiamare.
Se Saiko aveva
chiesto a lei, cosa poteva essere successo agli altri?
Doveva far presto, l’avrebbe scoperto da
sola cosa diavolo stava succedendo.
Aiko
aveva trovato Saiko immobile, ai piedi della rampa
interna delle scale che portavano al terzo livello del parcheggio custodito del
ccg. L’Aogiri doveva avere
avuto una discreta dose di coraggio per attaccarli in casa loro, ma in effetti il
parcheggio era un po’ distaccato dal palazzo principale e arrivarci le aveva
impiegato cinque minuti di corsa.
E lei non era umana.
«Sei ferita?!» le aveva chiesto,
inginocchiandosi accanto a lei. L’altra l’aveva guardata con gli occhi a palla
e il colorito chiaro sul viso tirato, prima di scuotere il capo lentamente. «Ti
sei battuta? Con chi?»
«Non lo so, non l’ho mai visto.» tenendosi
il braccio con la mano paffutella, la più giovane delle due mostrò il cappotto
strappato e il sangue rappreso sul suo tessuto «Mi ha morsa, ma sto già
guarendo.»
«Come te la sei cavata?»
Mentre Aiko la
aiutava ad alzarsi, Yonebayashi guardò oltre la sua
spalla, per quanto le era possibile a causa del discreto divario fra le loro
altezze «Un uomo mi ha salvata, ma non so perché. Sembrava un ghoul.»
Masa
la guardò stupita «Cazzo, oggi è la giornata delle sorprese incredibili»
ironizzò, prendendole la mano e avviandosi per le scale. Dovevano
ricongiungersi agli altri e trovare soprattutto Sasaki
«Come era fatto?»
«Grosso» ponderò Saiko,
tenendosi vicina a lei «Aveva addosso una mantella che sembrava fatta di
stracci e in mano aveva una quinque. Sembrava rotta
però.»
A quelle parole, Aiko
si pietrificò. Si voltò verso di lei, con le labbra socchiuse e gli occhi
sgranati, con una domanda che le ballava sulla punta della lingua ma che non
voleva abbandonarla. Non ebbe il tempo di porla.
Una risatina leggera le gelò il sangue
nelle vene e portò via il poco colore sulle guance di Saiko.
Tornando a guardare in alto, sulle scale
di fronte a loro, Aiko la vide.
«Eto.»
La bambina con le bende ridacchiò
nuovamente, portando le mani dietro alla schiena e dondolando sui piedi.
Masa
sciolse la fibbia del cappotto lungo fino ai polpacci e lo lasciò cadere dietro
di sé, tenendo protetta Saiko, mentre i suoi occhi
non si spostavano da quell’immagine grottesca.
Falsamente innocua.
«Perché siete qui?» chiese, denti stretti,
mentre un tremore alle gambe la tradiva.
Eto
non rispose, si limitò a dondolare dalla punta dei piedi ai talloni, inclinando
di lato il capo. L’abominevole occhio rosso dalla sclera nera la trapassava
come un proiettile.
Aiko
non riuscì a trattenersi.
Con tutta la forza di cui disponeva,
abbatté quattro delle sue code sul ghoul rompendo il
muro alle sue spalle quando questi scansò il colpo. La vide appoggiarsi ai
tentacoli e scansarsi, prima di salire in piedi sulla finestrella che dava
sull’esterno, sprovvista di vetro.
«MACCHAN NO!»
Saiko
non aveva ancora finito di gridare, che Aiko si era
lanciata in una corsa su per i gradini rotti, saltando poi dalla finestra,
esattamente come aveva appena fatto Eto.
Contrariamente a qualsiasi previsione, Masa tornò più di mezzora dopo, sporca di terra e sangue,
con un taglio quasi guarito sulla guancia e i jeans laceri sulla coscia della
gamba destra.
Il resto dei Quinx,
circondati dai colleghi, la videro arrivare a capo basso. Sasaki
si precipitò da lei prima ancora che la ragazza si fu avvicinata la nastro che
separava l’ingresso del parcheggio, reso inagibile dallo scontro, dal marciapiede
pedonale.
«L’ho persa.»
«Meglio così» le disse il mentore, tenendosi
una mano sul petto, mentre Yonebayashi li
raggiungeva, abbracciando la vita della mora, la quale le appoggiò una mano fra
i codini blu. «Sono felice di vederti tutta intera. Mi sono spaventato a morte
quando Saiko mi ha detto che hai seguito un capo di Aogiri.»
«Perché ci hanno attaccati?» chiese stanca
Masa, provata dalla corsa.
A risponderle, fu Urie «Sono alleati con Rosenwald.»
Masa
prese un respiro.
Chiuse gli occhi.
Poi li alzò al cielo.
«Cazzo, è proprio un giorno ricco di
sorprese.»
☂
Nonostante vi fosse una parete a separarla
dal magazzino di cemento nel quale si stava consumando la violenza, poteva
nitidamente sentire non solo l’odore ferroso del sangue misto a quello ben più
acre del liquido secreto dal kagune, ma anche il
ticchettio incessante e fastidioso delle sveglie, che continuavano a suonare e
suonare senza fermarsi.
Labbra Cucite, accomodata sui gradini
freddi della scalinata che conduceva in quel seminterrato buio, ascoltava e
aspettava che il divertimento di Eto avesse fine. Con
il mento appoggiato al ginocchio e lo sguardo distante, perso in un pensiero,
sospirò chiedendosi quale follia avesse spinto quel tedesco pazzo a
commissionare un lavoro di quella portata proprio ad Aogiri.
Il gioco non poteva valere la candela.
Un altro urlo, straziante, arrivò alle sue
orecchie, sfumando sostituito dall’incedere cadenzato di passi appena udibili.
Alle sue spalle, qualcuno stava scendendo i gradini senza fretta. Portò una
mano alla maschera, che pendeva lungo il collo, per nascondere il viso, ma non
servì. Il profumo che le arrivò alle narici era famigliare, al punto tale che
abbassò anche il cappuccio che le copriva i capelli.
«Lǎoshī…»
«Méi méi.»
Tatara le si fermò accanto, guardandola
serio dall’alto, prima di chinarsi a sua volta per sedersi un paio di gradini
più in basso. Lei lo osservò mentre portava le mani grandi ma sottili dietro
alla nuca, iniziando ad allentare la maschera rossa per sfilarsela, liberando
così il viso.
Lo sguardo dell’altra mostrava un
interesse mal celato di fronte alla sua presenza lì, in quel momento «Perché
sei venuto? Oggi sono io che devo occuparmi di lei. La accompagnerò a casa non
appena avrà finito. Credevo fossi stanco.»
«Infatti lo sono. Però, voglio assistere a
ciò che uscirà da quella porta quando Eto avrà
terminato la trasformazione, prima che venga affidata a Noro.»
La fronte della giovane si increspò,
perplessa «Affidata?»
«Sì, anche lei è una donna, a quanto pare.»
La lasciò a meditare su quell’ultima affermazione, estraendo dalla manica del
cappotto lungo e bianco un contenitore per alimenti. Glielo sventolò sotto al
naso, costringendola a prenderlo e ad aprirlo «Ora mangia, sarà una nottata
lunga.»
«Sai che non posso rimanere fino all’alba…» In ogni caso, non contestò quello che più che un
gesto gentile, sembrava un ordine. Guardò dentro al contenitore di plastica,
inclinando di lato il capo, prima di afferrare una strisciolina di tessuto
chiaro «Prima i poi capirò perché hai questa passione per il cervello.»
Lui non la guardò nemmeno, prendendo un
cellulare e tenendo gli occhi rossi
sullo schermo «Ognuno ha i suoi vizi.»
«Ok, ma è pieno di colesterolo e la
consistenza non è il massimo.» portò il boccone alle labbra, masticandolo
rapidamente. Ne mangiò un po’, prima di
passare quella sorta di merenda condivisa al ghoul di
fronte a lei, che terminò il pasto, tornando poi ad occuparsi di chissà quale
cavillo. Dal modo in cui si scambiava email con il
suo interlocutore, sembrava importante.
I minuti divennero mezz’ore, le mezz’ore
divennero ore. Era abbondantemente passato il momento di coricarsi quando,
finalmente, la porta pesante di fronte al loro si aprì in uno sfrigolio di
cardini.
Eto
indossava solo un sorriso compiaciuto e il sangue della sua vittima, quando si
mostrò ai due. Le punte dei capelli erano annodate a causa dei grumi rossi che
le ricoprivano. Li spiò divertita, notando come la giovane si tenesse appena un
po’ distante rispetto al corpo massiccio dell’albino.
«Ci vorrà ancora parecchio.» trillò
deliziata di fronte alla prospettiva di chissà quante ore –forse giorni- di
torture. Labbra Cucite si domandò cosa mai potesse averla attratta di Rosenwald, cosa stesse cercando di distruggere. Non sapeva
niente del ghoul aristocratico, ma avrebbe presto
chiesto delucidazioni a qualcuno. Magari ad Eto
stessa «Tesoro, tu vai pure.» le disse
addolcendo il tono «Non vogliamo mica che la tua Colomba, si insospettisca
notando la tua assenza.»
Annuendo, questa si alzò in piedi «Non
sospetta di nulla.» decretò con tono morbido, avvicinandosi per spostarle la
frangetta verde dalla fronte «Fino a che continueremo ad usare il nome Uzume, andrà tutto come deve andare. Non ci sono le basi
per sospettare nulla.»
Tatara
le guardò apatico, prima di tornare a dedicarsi ai suoi affari, come se fosse
ben abituato a quella sorta di moine.
Eto
sembrò fare le fusa come una gatta, mentre guardava l’altra donna alzare la
maschera e sistemare le bende che aveva allentato sul viso «Ormai ci siamo
quasi. Quando il ccg farà la sua mossa, allora la
faremo anche noi. Si sa, dopotutto, che i bianchi muovono per primi.»
Non appena Labbra Cucite ebbe sistemato il
cappuccio della mantella bianco sporco, si scambiarono un ultimo sguardo. Poi questa
si rivolse a Tatara «Lǎoshī.
» Lo chiamò, incoraggiata da Eto «Se ce ne sarà
l’occasione, voglio farti un grande dono.»
Lui non parve sorpreso «Per quale motivo?»
«Per rimediare alla mia debolezza in
passato.»
L’albino spostò gli occhi sottili sul Gufo,
prima di rispondere all’apprendista «Deve essere un regalo molto grande per
compensare.»
«Se uno non bastasse, provvederò con
altri.»
Unì il pugno alla mano aperta, inchinandosi
a lui, prima di superarlo, salendo le scale a rapidi passi. Eto
la guardò sparire, prima di fissarsi nuovamente su uno dei capi
dell’organizzazione, con entrambe le sopracciglia alzate e le braccia
incrociate sotto ai seni tondi.
Lui alzò il mento, come per invitarla a
parlare.
«Sei troppo duro con lei. È migliorata.»
«Peggiorare non poteva.» si levò anche lui
in tutta la sua altezza, portando le mani alla maschera rossa per rimetterla
sul naso e sulla bocca. Quando si fu di nuovo nascosto dietro di essa, concluse
il discorso «Nemmeno se mi donasse la Cina intera potrebbe rimediare alle
perdite di tempo che mi ha dato negli ultimi anni.»
«Signor Tatara, hai il cuore più duro
della pietra con cui hanno costruito la Muraglia.»
Gli lanciò uno sguardo obliquo, prima di
tornare ai suo svaghi, chiudendosi la porta alle spalle con lentezza, così da
continuare a scrutarlo con i suoi grandi occhi verdi.
Rimasto solo, Tatara non trovò più un
senso nella sua presenza lì. Raccolse il contenitore di plastica, avviandosi
per le scale.
«Non sarà mai freddo quanto il tuo, Eto.»
Continua…