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Autore: sparewheel    27/03/2017    7 recensioni
Affrontando le conseguenze di un desiderio espresso involontariamente, Emma finirà per ottenere quello che mai avrebbe creduto possibile e per scoprire che un futuro inaspettato può essere ben più prezioso di un desiderio realizzato.
Swanqueen ambientata qualche tempo dopo gli eventi della 6x10 e che non segue gli sviluppi della 6B.
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti, Zelena
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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As you wish

"La sorte appaga i nostri desideri, ma a modo suo, per poterci dare qualcosa al di là dei desideri stessi."
(Johann Wolfgang von Goethe)
Capitolo 1.

Sullo schermo scorrevano rapidi i titoli di coda, segnando la fine del film e anche di quella che era stata una tranquilla serata in famiglia al 108 di Mifflin Street.
Facendo attenzione a non rovesciare la ciotola di popcorn che si era poggiata addosso qualche tempo prima, Emma portò la mano destra ad intercettare uno sbadiglio, mentre di fronte a lei Henry si stava stiracchiando, cercando la forza di abbandonare la poltrona sulla quale si trovava ormai da quasi due ore.
“Avevi ragione ragazzino, era proprio un film interessante. Non è vero Regina?” chiese Emma, voltandosi in direzione del divano sul quale si trovava l’altra madre di suo figlio.
Ma, semisdraiata sul fianco destro e con le braccia strette al corpo all’altezza del petto, Regina dormiva profondamente. Le sue labbra erano dischiuse appena e una ciocca di capelli le copriva parzialmente il viso, che appariva comunque disteso, sereno, come ben poche altre volte Emma aveva avuto modo di vederlo.
Le faceva tenerezza.
Ed era incantevole.
“Di solito non si addormenta mai mentre guardiamo la tv, doveva essere davvero stanca” constatò Henry, accarezzando sua madre con lo sguardo. “La svegliamo, così si mette a letto?”
“Se la svegliassimo adesso dubito che si metterebbe a letto” mormorò Emma, facendo vagare lo sguardo nella stanza. Pacchi di patatine e popcorn giacevano abbandonati in vari angoli del pavimento, una ciotola semivuota si trovava in equilibrio precario sul bracciolo della poltrona e ben due tazze campeggiavano sul basso tavolino di fronte al televisore, ignorando bellamente i sottobicchieri che erano stati loro assegnati all’inizio di quella serata… se Regina si fosse svegliata e avesse visto quel casino l’avrebbe uccisa, Emma ne era certa.
“Hai ragione, doveva essere davvero stanca. Lasciamola dormire ancora un po’ e mettiamo a posto noi” suggerì quindi, speranzosa.
“Io ho già apparecchiato la tavola per la cena, ho fatto i compiti e ho scelto il film da guardare. Adesso tocca a te ma’ ” bisbigliò prontamente Henry, posando un bacio sulla guancia di sua madre, per poi dirigersi verso la porta della stanza. “E non fare troppo rumore mentre metti a posto, la mamma ha il sonno leggero!” ghignò tra un sorriso e uno sbadiglio, imboccando le scale che lo avrebbero portato al piano di sopra e dritto tra le braccia di Morfeo.
Emma sorrise sconsolata, ma per nulla sorpresa di essere stata incastrata in così breve tempo e con così poca difficoltà. Suo figlio era sempre stato bravo con le argomentazioni e, soprattutto, era davvero un asso nel farle fare ciò che voleva lui. Se l’aveva portata a credere nelle favole e nell’esistenza del lieto fine dopo anni di radicato scetticismo e totale assenza di legami, di certo Henry avrebbe potuto anche farle smuovere i pianeti.
O un satellite. Cosa che in effetti aveva già fatto, assieme a Regina.
La stessa Regina che l’avrebbe uccisa se non avesse messo tutto a posto, ricordò.
Sospirando, Emma si mise all’opera e in breve tempo riuscì a completare il tanto noioso quanto necessario compito. Ormai muoversi tra quelle stanze e svolgere quel tipo di azioni le era familiare, anche se non le era mai capitato di farlo da sola, circondata da silenzio e luci soffuse.
Una situazione insolita, certo, ma che non la metteva per nulla a disagio.
Era bello avere più di un posto in cui potersi sentire a casa.
D’improvviso, degli strani rumori la distolsero da quei pensieri rassicuranti. Parole farfugliate, forse lamenti. Emma non riusciva a definirli.
“Regina?” chiamò, lasciando rapidamente la cucina per tornare in salotto.
Non ebbe risposta, ma trovò l’altra donna ancora stesa sul divano, il volto teso e gli arti in continuo movimento mentre continuava a farfugliare parole che, nemmeno quando fu vicina, Emma riuscì ad interpretare.
Un incubo, Regina stava avendo un incubo.
D’intinto, si accovacciò accanto al divano e le strinse una mano, ma quando fece per accarezzarle i capelli si bloccò con le dita a mezz’aria.
Poteva toccarla?
Doveva svegliarla?
Aveva letto da qualche parte che svegliare le persone durante un incubo poteva essere pericoloso. O non svegliarle poteva essere pericoloso?
Dannazione, non lo ricordava.
E nessuno le si era mai nemmeno avvicinato quando per anni si era svegliata nel cuore della notte tremante ed in preda alle lacrime, quindi l’esperienza non poteva certo darle una mano.
Paralizzata, ma coi pensieri che correvano follemente alla ricerca di una soluzione, Emma sentì l’ansia crescere di pari passo al desiderio di aiutare Regina.
Vederla sofferente ed in preda a chissà quali orrori riportava a galla sensazioni che ormai da settimane stava cercando di sopprimere. Diverse immagini si sovrapposero alla visione attuale, il volto sofferente di Regina una costante. E lei si sentiva impotente.
E inadatta.
E spaventata.
E… inspirando in modo quasi animalesco, Regina si sollevò bruscamente dal divano, gli occhi spalancati e il corpo tremante.
Emma si riscosse e in un istante la strinse a sé.
“Va tutto bene, sei a casa. Era solo un brutto sogno, solo un brutto sogno”.
Continuò a ripeterlo come un mantra, per Regina e per sé stessa.
Andava tutto bene, tutto bene.
“Emma…” sussurrò la mora, abbandonandosi a quell’abbraccio. Chiuse gli occhi e cercò di regolarizzare il respiro, il cuore che le batteva all’impazzata.
Gli incubi erano tornati a tormentarla, ma non erano reali. Il suo morbido e comodo divano era reale, la sicurezza della sua calda casa era reale, l’aver preparato la cena con Henry qualche ora prima era reale.
L’abbraccio forte di Emma era reale.
Dopo aver preso un grosso respiro, Regina aprì gli occhi e si mosse, riposizionandosi sul divano. “Scusami” disse, schiarendosi la voce. “Adesso va meglio”.
Emma sciolse l’abbraccio e si allontanò leggermente, combattuta tra la necessità di guardare il viso di Regina, per leggerle negli occhi la verità di quelle ultime parole, e l’esigenza di toccarla, di saperla vicina, al sicuro.
“Hai avuto un incubo” fu tutto quello che riuscì a dire.
“Complimenti per l’acume sceriffo” scherzò Regina, cercando di sdrammatizzare e di porre fine a quella situazione imbarazzante.
Ma il volto di Emma rimase serio, la bocca tirata, a voler trattenere la domanda che sapeva le sarebbe scappata inesorabilmente.
“Eri di nuovo in quella foresta?”
“Emma…”
“Lo prendo come un si”. E la frase le uscì più secca e sofferente di quello che voleva.
“Era solo un brutto sogno Emma. Capita… capita a tutti” le sorrise, Regina.
“Capita? È successo altre volte?”. L’ansia stava tornando, assieme al senso di colpa e alla paura e agli altri mille sentimenti confusi che le si agitavano dentro, sormontati dalla voglia di sapere.
Perché, dopo tutte quelle settimane, Emma ancora non sapeva bene cos’era successo in quella dannata foresta. E non poteva rimproverare che se stessa.
“Tutti facciamo brutti sogni, lo sai. Ciò che conta veramente è svegliarsi in una realtà che non sia peggio dell’incubo. È così che ci si può lasciare tutto alle spalle”. Il sorriso di Regina adesso era solo accennato, ma nelle sue parole si percepiva tutta la dolcezza di una madre che rassicura il proprio bambino. E ancora una volta Emma ebbe la sensazione che quelle rassicurazioni fossero per entrambe.
“Ok” le rispose rassegnata, alzandosi in piedi.
Chiuso l’argomento, Regina ebbe finalmente modo di prendere coscienza dello spazio che la circondava e del tempo che doveva aver passato addormentata visto che il televisore era spento e il suo salotto era pulito e ordinato come quando ci era entrata.
“Henry non…”
“No, no. È a letto da un po’ ” si affrettò a risponderle Emma. “In effetti si è fatto tardi. Che ne dici di offrirmi una tisana della buona notte prima che torni a casa?”
Regina la guardò divertita e ben poco sorpresa da quella richiesta. “Sidro?” e il ghigno di Emma fu la risposta che si aspettava.
Fece per alzarsi, quando la bionda la bloccò. “Ci penso io”.
E pochi minuti dopo avevano entrambe vuotato il secondo bicchiere, l’aria era più leggera ed era davvero arrivato il momento di andare a letto.
Regina si alzò dal divano con la testa che le girava leggermente. Accompagnare Emma alla porta e prepararsi per la notte avevano richiesto più forze del solito, ma ce l’aveva fatta. Sistemò meglio la testa contro il cuscino e chiuse gli occhi, pregando per un sonno privo di incubi. E mentre il pensiero cosciente pian piano si allontanava, la mano sinistra si poggiava sul collo, ad accarezzare una ferita ormai scomparsa, ma ancora fin troppo presente.


Correva, correva senza sosta. Gli alberi e gli arbusti erano fitti, il sole vi penetrava appena. E lei non sapeva dove stava andando, ma sapeva che doveva allontanarsi, che doveva scappare. Anche se le mancava l’aria e il fisico le urlava di fermarsi. Anche se la vista era sempre più annebbiata e il cuore le batteva all’impazzata, incapace di accettare quello che stava succedendo.
Erano troppo vicini, era spacciata.
Ma almeno lei sarebbe stata salva.
“REGINA!” urlò una voce fin troppo cara e familiare.
E Regina sentì un dolore lancinante al collo mentre una nuvola di fumo la avvolgeva, rendendo ancora più sfocato e scuro il paesaggio circostante.
  
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