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Autore: piccolo_uragano_    30/03/2017    9 recensioni
“Perché ogni volta che c’è in giro Lord Voldemort facciamo figli io e te, Martha?”
Martha accennò un sorriso. “Perché ogni volta che io e te facciamo figli c’è in giro Lord Voldemort, Sirius?”
Remus trattenne una risata. “Ed è per questo che sono vent’anni che ti ripeto che è quella giusta.”
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Non è una di quelle storie tutte miele e amore in cui Sirius trova la sua perfetta metà e vissero tutti felici e contenti. Martha darà a Padfoot del filo da torcere, insegnandogli ad amare e a restare.
(Si parte dal 1976 fino a poco dopo la battaglia di Hogwarts; in teoria è finita, dopo anni, ma in pratica.....)
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ti amo più di ieri e meno di domani.'
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M'abituerò a non trovarti, 
m'abituerò a voltarti e non ci sarai. 
M'abituerò a non pensarti
quasi mai, quasi mai.

(Luciano Ligabue)






Martha stava in piedi, immobile, a fissare il mondo fuori dalla finestra dell’ufficio di Silente.
Pensava a tutto e non pensava a nulla. Pensava al momento in cui, in quello stesso studio, lei e Rose avevano appreso della morte di loro padre. Lei era rimasta immobile, con la mano sul grembo che cullava Robert, che quel giorno prese quel nome. Rose si era piegata su quello stesso pavimento, urlando, ed era stata la prima volta che l’aveva vista piangere. Era stato il giorno in cui, pian piano, aveva iniziato a togliersi la maschera da  dura.
Pensava a Damian, che era probabilmente seduto nella cucina di Grimmauld Place a convincersi che sarebbe andato tutto bene. Cercava di ignorare tutte le domande che le frullavano nella testa, perché,più ci pensava e meno risposte riusciva a trovare.
Rimetti insieme i pezzi, Martha.
Era nella stanza dei Black. I Black razzisti, fedeli ad un credo che faceva acqua da tutte le parti, i Black di cui non aveva mai voluto sapere nulla. Era con Sirius, perché Fierobecco, che riposava in quell’enorme stanza, era stato ferito. Sirius era insospettito dalla forma e dalla profondità della ferita, che gli era stata di sicuro inflitta, visto che era sotto l’ala. Stava brontolando qualcosa sull’elfo, che avrebbe dovuto dargli da mangiare ogni mattina, quando Rose, con espressione sconvolta, era entrata nella stanza, dicendo solo: “Prendete i mantelli,  si va in trasferta.”
Allora, lasciando Sirius nella stanza da solo con l’ippogriffo, era corsa giù dalle scale, e all’ingresso aveva trovato Severus Piton, che aveva dipinta sul pallido viso un’espressione più che preoccupata.
Lo sapevano. Sapevano da settimane che sarebbe successo qualcosa.
“È Harry, vero?” domandò, guardandolo.
“Credo che il Signore Oscuro abbia definitivamente penetrato la sua mente, facendogli credere che tuo marito sia in pericolo di vita all’Ufficio Misteri.”
Furbo. Astuto. Diabolico.
“E se lo conosco bene, si sta precipitando là.” Disse, Appellando il cappotto, mentre Sirius scendeva le scale. Martha scosse la testa. “Oh, per Merlino …” sospirò, chiudendo tutte le porte. Vide Rose uscire dalla stanza di Gabriel e Nicole, e, con la stessa aria terrorizzata che sapeva di avere lei, raccomandò a Damian di non allarmarli per nessun motivo al mondo. Sirius, che era accanto a lei, gli chiese di dare un occhio anche ad Anya, che dormiva nella stanza accanto, e quando lui provò ad obbiettare, fu Rose a zittirlo: “Ho bisogno di saperli al sicuro.” Gli disse. Poi, gli aveva delicatamente baciato la guancia. “A dopo.”
“Non fare stronzate, Rosie, non fare l’eroina della situazione.” Le disse lui, con il suo immancabile accento francese.
Rose aveva sorriso e scosso la testa. “Fidati di me!”
A dopo.
Fidati di me.
Non fare l’eroina.

Era ancora immersa nei suoi pensieri quando sentì la porta aprirsi. Si voltò lentamente, sentendo Sirius fare lo stesso, e vide Harry e Robert rientrare, accompagnati da Kayla, che, più pallida che mai, iniziò a fare domande ancora prima di avere entrambi i piedi nello studio.
“Cosa è successo? Mamma! Perché hanno queste facce? Perché Robert ha preso a pugni il muro? Oh non credere, ho visto la mano anche se la nascondi. Allora? Mi dite cosa sta succedendo? Perché hai pianto, mamma?”
Sirius si avvicinò e le baciò la fronte.
“No, non è un buon segno. Non mi state tranquillizzando, non mi state tranquillizzando affatto. Perché non parli, papà? Eh?”
Sirius le indicò le due sedie davanti alla scrivania di Silente. Lei, dopo aver lanciato sguardi diffidenti ad ognuno di loro, si sedette. E Sirius, con la sua innata grazia, si sedette sulla sedia accanto.
“Ho bisogno che tu stia zitta, qualche minuto, principessa. Ci sono delle cose che ti dobbiamo raccontare.”
“Voglio sapere cosa è successo.” Si impuntò lei.
Pop. “E lo saprai” disse Silente, apparendo in quel momento dietro la sua stessa scrivania. “ma ci sono delle cose che dovete sapere. È una storia che avremmo dovuto raccontare a Harry tempo fa, e sono sicuro che lui vorrà condividerla con voi.”
“Professore, è  colpa mia.” Disse Harry.
“Eravamo d’accordo.” Disse Martha, indicandolo. “Mai più.”
“Esattamente, che cosa sarebbe colpa tua?” domandò Kayla, che iniziava a spazientirsi.
Sirius si alzò dalla sedia, facendo cenno a Harry di sedersi, mentre Silente ne faceva apparire una terza, invitando Robert a prendere posto. Prese poi posto sulla sua solita poltrona, dicendo prima di tutto che Ron e Hermione stavano bene, così come Neville e Luna. Tonks avrebbe passato qualche giorno al San Mungo, invece, ma non era nulla di preoccupante.
Kayla incrociò le braccia e accavallò le gambe. “Preside, con il dovuto rispetto, mi sto preoccupando.”
“Avrai ogni dettaglio, Kayla, hai la mia parola.” la rassicurò il Preside. “Ma ciò che è accaduto questa notte, è solo colpa mia. Colpa degli errori di un vecchio.”
Il suo primo errore, ammise guardando Harry, era stato quello di non essere sincero. Tutto l’Ordine sapeva da un pezzo che Voldemort avrebbe cercato di penetrare la mente di Harry. Ammise di essersi dimenticato cosa volesse dire essere giovani. Per un momento, anche Sirius si sentì colpevole di quel terribile delitto: in quel momento, si sentì più vecchio che mai. Con i gomiti sullo schienale della sedia di Kayla, riconobbe a sé stesso di non essersi mai sentito così vecchio come in quel momento, e probabilmente se si fosse guardato in uno specchio e si fosse visto con i capelli bianchi e pieni di rughe, non si sarebbe affatto stupito.
Silente iniziò a parlare, raccontando a Harry cose che, se Martha avesse potuto scegliere, non gli avrebbe mai raccontato. Raccontò del suo pericoloso e sempre più profondo legame con Voldemort, dato dalla cicatrice e dalla sua mancata morte quindici anni prima. Come lo aveva capito lui, lo aveva capito Voldemort, decidendo di sfruttarlo a suo favore. Aveva prima deciso di mostrargli qualcosa di realmente accaduto, come l’attacco ad Arthur Weasley prima di Natale per vedere come avrebbe reagito, e poi gli aveva mostrato Sirius torturato davanti alla Profezia, per farlo correre là, e sapeva che sarebbe stato fortemente attirato dalla sfera con il suo nome tanto bene quanto sapeva che l’avrebbe presa.
Hai visto papà?!” esclamò Kayla. “Hai visto papà, in pericolo? Oh, Harry! Hai detto di aver visto qualcuno!”
“Quello è colpa mia.” Ammise Robert, portandosi una mano sul petto. “Non volevo sapessi che era papà, perché sapevo avresti reagito in questo modo, e …”
“Sempre la solita storia, Robert! Sempre, per Salazar! La devi smettere con questa fissa del dovermi proteggere, perché sono abbastanza grande per sopportare l’idea che mio fratello abbia visto nostro padre in pericolo!”
“Hai detto che credevi che Voldemort mi stesse sfruttando a suo favore!” si intromise Harry. “Non mi avresti creduto!”
Kayla indicò Sirius con una mano. “Infatti non mi sembra sia morto!”
Alla parola ‘morto’, i quattro congelarono. Kayla li guardò, uno per uno. Poi si soffermò su Silente, che non aveva minimamente cambiato espressione. “Non me lo direte fino a quando lei non lo avrà deciso, giusto?”
“Credo invece sia giusto raccontarti ora come sono andate le cose.” Rispose il Preside. “Dopo che tu e Harry avete discusso sul Lago – oh, certo che lo so, io so tutto – dicevo, dopo quella discussione, i tuoi fratelli hanno cercato di mettersi in contatto con i vostri genitori tramite il camino di Dolores Umbridge.”
“E abbiamo trovato solo Kreacher, che ci ha detto che in casa non c’era nessuno.” Rispose spazientito Robert.
“Non lo ha detto a te.” Precisò Silente. “Vedi, a te non avrebbe potuto dirlo. Nelle tue vene scorre sangue Black, non avrebbe potuto mentirti, perché sei parte della famiglia che deve servire. Lo ha detto a Harry. So che voi credete che la famiglia non sia solo una questione di sangue, e questo vi fa onore, ma per gli elfi domestici non è così. Harry è figlio di Martha e Sirius solo da un punto di vista legale ed affettivo, il che per Kreacher non significa nulla; per questo, è stato perfettamente in grado di mentire. Ha ferito Fierobecco in modo che il focus dell’attenzione fosse ben lontano dal salotto e dalla cucina, e quando Harry è apparso nel camino, gli ha semplicemente mentito.”
Sirius si coprì il viso con le mani, mettendo insieme i pezzi: poco prima di Natale, aveva urlato all’elfo di ‘uscire’. Dove sarebbe potuto andare, se non da qualcuno che rispettava, ammirava e stimava, imparentato con i Black?
Martha scosse la testa, capendo cosa  Sirius stesse pensando. Ovviamente era andato da Bellatrix e Narcissa, le più fedeli seguaci di Voldemort. Certo,certo, certo. Martha si batté il palmo della mano sulla fronte per tre volte. Stupida, stupida, stupida. Erano quindi, almeno sei mesi che non erano più al sicuro. Le venne da vomitare alla sola idea.  Stupida, stupida, stupida. Aveva anche litigato con Sirius per colpa di quell’ordine idiota dato all’elfo. Se solo lo avesse cercato meglio, avrebbe capito che non c’era … e se lo avesse capito, forse …
Mentre Silente spiegava ai ragazzi ciò che i loro genitori avevano semplicemente appena intuito, l’alba accarezzava Hogwarts fuori da quelle giganti finestre.
I ragazzi erano poi stati beccati dalla Umbridge nel suo ufficio, e lei ne aveva ovviamente approfittato per dirgliene quattro e aveva quasi ordinato a Piton di dare a Harry del Veritaserum. Sirius parve stupito quando Silente raccontò che si era rifiutato. Era infatti stato Piton a mettersi in contatto con il Quartier Generale, e quando lo aveva fatto, aveva trovato Rose e Damian intenti a litigare in cucina.
Litigavano. Martha si sentì nuovamente lo stomaco stretto in una morsa. Come avrebbe detto a Damian quanto appena successo, se l’ultima cosa che avevano fatto insieme era stata litigare?
A dopo.
Fidati di me.
Martha pensò all’espressione preoccupata di Rose quando le aveva detto di prepararsi per uscire. Tutto tornava: era solo troppo tardi.
“Che è successo, poi?” domandò Kayla, guardando sua madre. Martha trattenne il respiro, poi capì: era giusto che fosse lei a dirle tutto.
“Io e papà eravamo a controllare Fierobecco, quando … Rose è piombata in camera dicendo che c’era un’emergenza. Sono scesa all’ingresso e ho scambiato un paio di parole con Piton, capendo che c’eravate di mezzo voi. Ci siamo Smaterializzati nel centro di Londra e poi abbiamo cercato in ogni modo di entrare al Ministero. Quando ci siamo riusciti, ci siamo catapultati all’Ufficio Misteri e abbiamo trovato il caos: Harry, Robert, Ron, Hermione, Ginny, Luna e Neville combattevano con una dozzina di Mangiamorte. Abbiamo … fatto quello che potevamo. Davvero.”
“Hai ucciso qualcuno?”
“Non ho mai ucciso nessuno, credo … credo solo di aver ferito davvero gravemente un paio di loro.” Ammise Martha, facendo un respiro profondo. “A un certo punto, stavamo … stavamo vincendo. Eravamo in netto vantaggio, seriamente. Vicinissimi a vincere con a malapena qualche ferito. Certo, Ron era fuorigioco per via del cervello che lo aveva attaccato e anche Hermione se l’è vista brutta, ma andavamo alla grande. Avevo già ordinato ai tuoi fratelli di andarsene, ma come immaginerai, si sono rifiutati. Le uniche persone che stessero ancora combattendo, erano tuo padre e sua cugina Bellatrix, l’uno contro l’altra, lanciandosi incantesimi colmi di odio. Poi lei ha riso: non conosci Bellatrix, Kayla, ma ti assicuro che se la conoscessi, beh, sapresti che quella risata precede un perfetto Anatema Che Uccide.” Martha si fermò un attimo, per guardare il soffitto e cercare in ogni modo di non piangere. “Io e zia Rose eravamo esattamente tra Sirius e la bacchetta di Bellatrix, avevamo capito perfettamente cosa sarebbe successo e abbiamo avuto la stessa idea del cazzo. Abbiamo … abbiamo saltato, Kayla, abbiamo saltato per evitare che l’incantesimo raggiungesse il suo destinatario.” La voce di Martha tremava, mentre Robert non riusciva a guardare in faccia nessun membro della sua famiglia.
Kayla aprì leggermente la bocca. “Tu e papà siete qui.” Disse, con un filo di voce. “E zia Rose no.”
Fu in quel momento, fu davanti alla consapevolezza di Kayla, che Martha scoppiò a piangere. Il fatto che Kayla avesse appena capito, forse senza rendersi conto, ma che avesse capito, il fatto che Kayla ormai fosse tanto grande e consapevole da capire, la fece crollare di nuovo.
Kayla l’aveva vista piangere moltissime volte: era cresciuta sentendola piangere quasi ogni sera, perché la lontananza dall’uomo che amava – dall’uomo per cui aveva saltato per morire al suo posto – la faceva crollare a ogni tramonto. Ogni sera si rendeva conto che un altro giorno era passato senza di lui, e piangeva. A volte cercava di nasconderlo, a volte no. Ma era un pianto diverso. Era un pianto più maturo, era cresciuto, più consapevole: tutti sapevano che avrebbe trovato un modo per riportare Sirius a casa, prima o poi. Ma da questo, da quello successo quella notte, non si torna indietro.
“Zia Rose è … è morta?” domandò la giovane Serpeverde.
Martha non aveva ancora fatto i conti con quella frase, nuda e cruda. Rose è morta.
Fidati di me.
Sirius annuì, lentamente, ma con decisione.
Il tempo sembrò congelarsi in attesa di una reazione da parte di Kayla: dopo meno di un minuto, si limitò ad alzarsi e, in completo silenzio, a lasciare la stanza. Sirius rimase a fissare la porta, e stava per seguirla, quando Robert chiese a Silente una cosa che stupì Martha e Sirius.
“Lei sa dove vanno, vero? Kayla e i gemelli, intendo.”
“Naturalmente.” Rispose Silente, con il suo solito tono pacato.
“E non è nulla di pericoloso?”
“Non credi che, se fosse qualcosa di pericoloso, li avrei già messi in guardia? È qualcosa di speciale, è una benedizione da parte di un mondo che non ci appartiene; è qualcosa che, fino a quando non ne ho visto con i miei stessi occhi, credevo fosse un leggenda meravigliosa, una favola per bambini.”
Allora, sotto le pressanti domande di Martha, Robert raccontò che lei e i gemelli dall’inizio dell’anno tendevano a sparire per ore, tornando senza rendersi conto di che giorno fosse o di quanto tempo fosse passato. Qualche volta si erano lasciati sfuggire qualche parola come ‘Jack’ o ‘Dottore’ ma non era mai abbastanza perché lui fosse in grado di saperne di più.
Silente tranquillizzò i coniugi Black, per poi dire che quello era il momento che avevano temuto e aspettato dal momento in cui avevano accolto Harry in casa loro: era il momento della verità.
A Martha girava la testa. Si accorse che le sembrava di vivere in un circolo vizioso, in una spirale senza fine, da che ne avesse memoria. Erano sempre quelle le parole che temeva e che doveva usare e sentir usare. Sentire di nuovo quella dannata profezia, insieme a Harry nel Pensatoio, le aveva riportato alla mente immagini appartenenti a una vita precedente. Una vita precedente che ruotava attorno alle stesse parole.
L’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive.
Aveva ignorato il ricordo di quelle parole per troppo tempo. Erano le stesse dannatissime parole che avevano costretto Lily e James a vivere segregati in casa durante quelli che, ancora non lo sapevano, sarebbero stati i loro ultimi mesi di vita. Erano parole che aveva cercato di girare in ogni modo possibile per cercare di dare loro un significato diverso da quello che avessero, senza successo.
L’uno dovrà morire per mano dell’altro.
Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive
.
Non aveva mai creduto che Voldemort fosse morto: non lo aveva mai creduto perché non era stato Harry ad ucciderlo, e perché era convinta che persino Voldemort fosse troppo furbo per morire come ogni altro essere umano.  Forse, ammise, avrebbe voluto che anche Rose fosse stata così furba.
L’uno dovrà morire per mano dell’altro.
L’idea di Harry che ammazzava Voldemort, in un qualsiasi modo, era qualcosa di anormale. Come avrebbe fatto? Amava Harry. Lo amava come un figlio, e lo amava al di là di ogni immaginazione per incarnare al meglio i suoi amici che aveva perso. Ma come avrebbe fatto? Non ci erano mai riusciti loro, il primo Ordine della Fenice, studiando ogni sua mossa e mettendo a rischio tutto. Non ci era mai riuscito Silente, che riusciva sempre in ogni sua impresa. Come avrebbe fatto, lui? Alla fine, era solo un ragazzo.
Se l’idea di Harry che uccide Voldemort era così assurda, d’altro canto l’idea di Voldemort che ammazza Harry era insostenibile. Avrebbe fatto di tutto, si disse, arrivando davanti ai numeri undici e tredici di Grimmauld Place. Avrebbe fatto di tutto perché non accadesse.
Trovò Remus seduto sul marciapiede.
“Tu sei fuori, a farti vedere in giro.” Disse Sirius, che camminava silenziosamente dietro Martha. “Non è ancora passato nessuno che tentasse di …”
Ammazzarti. Stava per dire ammazzarti.
“Non lascerai che questa cosa rovini il tuo umorismo del cazzo, eh, Padfoot?” lo istigò Martha. Lui le sorrise, o almeno ci provò: quel che produsse fu una smorfia spaventosa. “Perché non entri?”domandò Martha.
“Perché devi essere tu a dirlo a Damian.” Rispose lui, secco.
Martha annuì, pensando alla formula che avrebbe fatto apparire il numero dodici tra gli altri due.

Hermione leggeva il Profeta della Domenica stesa sul letto dell’infermeria, pregando Robert di smetterla di riempire Madama Chips di domande sulla sua condizione. Ginny stava nel letto accanto al suo con la caviglia tenuta alzata, Ron in quello davanti al loro con parecchie pustole lungo le braccia.
“Non mi sembra ve la stiate passando troppo bene, qui, eh?” disse Kayla, entrando con occhi gonfi e arrossati. Finse un sorriso che Harry decise di prendere per buono.
“Anche tu non sei uno splendore.” Le disse Ron.
Lei rubò una Cioccorana dal suo comodino. “Non c’è male.” disse, alzando le spalle.
“Sai chi mi ha mandato quella cioccolata?” le disse Ron. “Fred e George.”
Kayla gli puntò contro l’indice sinistro. “Bene! Se l’avessero mandata a me, di sicuro sarebbe stata avvelenata.”
“La smettete?” li incalzò Ginny. “Kayla, Fred mi ha scritto decine di lettere in soli tre giorni perché dice che ti deve parlare.”
Lei sembrò ignorare la cosa. “Il negozio di scherzi procede benone, se vi mandano tutta questa roba. E se ne sono andati da quanto, due giorni?”
“In realtà sono quasi due settimane.” Disse Robert, decidendo di lasciare perdere Madama Chips.
Kayla rifiutò il contatto visivo con il fratello maggiore, rifilandogli un “Oh. Strana creatura, il tempo.” come risposta. Poi tornò a guardare Ginny. “Magari durante l’estate farò un salto al negozio di scherzi, così, per curiosare.”
“Solo per curiosare, immagino.” La incalzò Hermione.
Kayla alzò le spalle. “Non ho granché da dirgli.” Rispose, sedendosi sul letto accanto a quello di Ginny.
“No, ovviamente.” Replicò Robert. “Hai deciso di adottare la tecnica ‘facciamo finta che non sia mai successo niente’ anche con lui, vero?”
La sorella abbassò lo sguardo, mostrandosi vulnerabile per la prima volta da quando aveva messo piede in Infermeria. “Beh, sì, finché … Finché aiuta.”
Robert annuì. “Finché aiuta.” Ripeté. “Quando cambi tattica fai un fischio, okay?”
“Agli ordini, capo!” scherzò lei, senza sorridere.
Harry fece il suo ingresso in Infermeria, mostrandosi più pallido e pensieroso che mai. “Ho appena litigato con Malfoy.” Disse, prima ancora di salutare.
“Lo vedi? Ci vuole poco per tornare alla normalità!” disse Kayla, guardando Robert.
“E la McGranitt ci ha dato un sacco di punti.”
“Davvero? Quanti?” domandò Ron.
“Cinquanta a testa.”
“Cinquanta?”
“Anche a me?” chiese Kayla.
“Si, beh, anche se noi ne abbiamo guadagnati …” Ron contò  con le dita. “Trecento! Trecento punti!”
Ron rise, visibilmente sollevato. “Abbiamo ancora qualche speranza di vincere la Coppa delle Case!”
Kayla alzò le spalle. “Finché aiuta.” Ripeté, guardando Robert, che, in tutta risposta, le fece l’occhiolino.

Martha sentì chiaramente il freddo di casa Black penetrarle le ossa. Era fredda e, soprattutto, non più sicura. Aveva mosso appena un paio di passi, con il solo desiderio di stringere Anya tra le sua braccia e portarla via, quando Damian, con addosso un grembiule da cuoco, sbucò dalla cucina.
“Era ora!” esclamò. “Dodici ore, quasi!”
Martha avrebbe voluto rispondere. Avrebbe voluto domandargli scusa con quel suo stesso entusiasmo. Avrebbe voluto che Rose sbucasse improvvisamente da dietro di lei e dicesse al padre di sua figlia di non romperle le palle, ci avevano messo il tempo che dovevano metterci. Perché Rose con lui era sempre stata tanto rude da arrivare a farsi amare.
Non riuscì a dire nulla. Aprì la bocca un paio di volte, senza riuscire a dire nulla.
“Anya sta giocando con Gabriel di sopra.” Disse lui, levandosi il grembiule. “Nicole si è addormentata un paio d’ore fa, è stata durissima, cercava Rose da quando aveva messo piede fuori casa.”
Aprì la bocca, di nuovo, riuscendo a farne uscire solo aria.
“Hai una faccia tremenda, Martha, dove sono gli altri?”
“R-Remus e Sirius sono fuori … a fumare. Tonks è al San Mungo, la d-dimettono domani mattina.”
Lui elaborò un secondo le informazioni appena ricevute, poi si morse un labbro. “E Rose?”
Martha sentì chiaramente il suo cuore tremare e quello di Damian accelerare. Qualsiasi cosa avesse detto in quel momento, non avrebbe di certo attutito il colpo. Aprì la bocca, per la quarta volta, senza spiccicare parola. Così, si sentì in dovere di tapparsela con entrambe le mani e scuotere semplicemente la testa.
Non seppe mai grazie a cosa, non capì mai se Damian, alla fine, lo aveva sempre saputo che sarebbe finita così, ma in quel momento, esattamente come Kayla poco prima, lui capì.
“Ha fatto l’eroina, non è vero?”
Fidati di me.
Martha sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime quando fece cenno di sì con la testa.
Damian si appoggiò al muro. “Io … io le avevo chiesto di non … di non fare stronzate.”
Fidati di me.
“Lo so.” Disse lei, con voce tremante almeno quanto la sua. “Lo so davvero.”
In due anni che si conoscevano, non avevano avuto mai modo di parlare seriamente di niente: Rose aveva avuto lo strano buonsenso di scegliere una persona chiusa e silenziosa. Era difficile parlare con Damian, perché nascondeva tutto dietro un’espressione tranquilla e indecifrabile. In quel momento, però, sembrava stesse cadendo in mille pezzi.
“Abbiamo una bambina, io … e Gabriel, oh no, gli è già successo una volta …”
Ormai, stava blaterando senza rendersi conto di cosa stesse dicendo. Senza darle il tempo di rendersi conto della cosa, abbracciò Martha. Lei, in un primo momento imbarazzata, rimase indecisa sul da farsi, per poi scegliere di ricambiare l’abbraccio e fare del suo meglio per ascoltare il suo sfogo.

Martha stava cullando Nicole nel tentativo di farla addormentare, ma lei sembrava non voler smettere di piangere. Era la prima volta che passava con sua nipote così tanto tempo, e se ne pentì: quella neonata era uno spasso. Faceva delle facce davvero buffe, sebbene fosse nata solo da pochi mesi. Era identica a Rose, ma questo non la stupì affatto perché conosceva Rose talmente bene da sapere perfettamente che non sarebbe mai stata così poco testarda da lasciare che loro – loro che erano rimasti – non la rivedessero ogni volta che, da quel giorno in avanti, avrebbero guardato Nicole.
Era, esattamente, lo stesso tipo di testardaggine per cui Harry assomigliava a James,  e per cui Kayla e Robert erano la fotocopia degli originali fratelli Black. In quella guerra senza fine,  non era permesso dimenticare nessuno.
Erano passate quasi ventiquattro ore e tutti sapevano tutto, e persino Alastor Moody aveva fatto le condoglianze. A chi, poi, non era dato saperlo. Damian, nato da una famiglia Babbana, aveva chiesto a Martha di dare a Rose una degna sepoltura, senza bacchette e senza magia. Martha si era trovata spaesata, perché ancora non aveva pensato al fatto che avrebbe dovuto organizzare un funerale.
Per la prima volta, si concesse di pensare a suo padre. Robert Redfort era stato sepolto alla babbana, diciott’anni prima, poco fuori Londra. Pensò per un secondo a quel funerale: pensò a quanta paura avesse di come sarebbe stata la vita in questo mondo senza di lui, pensò a sua madre, ancora perfettamente in grado di intendere e di volere, che, distrutta dal dolore aveva consegnato a Sirius una lettera che Robert teneva nella giacca. Pensò a quella lettera in cui suo padre affidava al suo futuro genero le donne della sua vita e pensò alla strana consapevolezza espressa in quella lettera che le cose sarebbero andate in quel modo.
Fu un attimo.
Posò Nicole nella culla, anche se non era assolutamente addormentata, e senza nemmeno chiudere la porta dietro di sé, scese le scale per raggiungere l’appendiabiti all’ingresso. Riconobbe la giacca di Rose con estrema facilità, e prima che Sirius, spaventato dal fatto di averla appena vista correre sulle scale, potesse chiederle cosa stesse succedendo, lei aveva tirato fuori dalla tasca una busta che conteneva almeno tre fogli.
Il retro della busta recitava ‘da aprire solo quando avrò tirato le cuoia’.
Oh, Rose. Non ti smentisci mai.




Nulla, se non un enorme grazie come sempre.

 
   
 
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