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Autore: chantalwg    03/04/2017    8 recensioni
“Dovresti farti un tatuaggio.”
Alec credeva fermamente nelle coincidenze, nel caso che poteva portare pericoli nella vita, ma poteva anche ammettere che qualche volta le cose sembravano accadere per una ragione. Era una persona troppo pragmatica per credere davvero nel fato e nel destino.
Così anche quando Jace gli sparò quelle parole mentre entrava in negozio, rimasero un concetto astratto per lui, non importava quanto gli solleticassero la mente.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane, Max Lightwood
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Invictus

“Dovresti farti un tatuaggio.”

Alec credeva fermamente nelle coincidenze, nel caso che poteva portare pericoli nella vita, ma poteva anche ammettere che qualche volta le cose sembravano accadere per una ragione. Era una persona troppo pragmatica per credere davvero nel fato e nel destino.

Così anche quando Jace gli sparò quelle parole mentre entrava in negozio, rimasero un concetto astratto per lui, non importava quanto gli solleticassero la mente.

Alec alzò lo sguardo dal bouquet di bouvardie che stava sistemando e inarcò un sopracciglio guardando suo fratello.

“Andiamo,” disse Jace saltando sul bancone per sedere di fronte ad Alec. “Hanno finalmente finito con i lavori di ristrutturazione nel negozio di fianco. Sarà uno studio per tatuaggi. Stai pensando di fartene uno da anni. È il destino fratello!”

Alec alzò gli occhi al cielo arrotolandosi le maniche della camicia. “Non so neanche cosa vorrei farmi,” rispose impassibile, le dita che sfioravano i petali di un fiore per sistemarlo. “Non mi precipiterò a fare un tatuaggio solo perché uno studio sta convenientemente aprendo vicino al mio negozio. Non lascerò che la mia pelle venga coperta permanentemente di inchiostro dal primo tatuatore che incontro.”

Jace si allungò sul bancone per tirare un calcio alla coscia di Alec, sebbene non abbastanza forte da fargli male. “I tuoi standard sono ridicolmente alti. Non troverai mai qualcuno bravo abbastanza per te se ti rifiuti di dare una possibilità a chiunque.”

“Stai ancora parlando di tatuaggi?” replicò Alec impassibile, abbassando lo sguardo per lanciargli un’occhiata tagliente.

Jace alzò le spalle, un sorriso che gli tendeva gli angoli delle labbra. “Non lo so, dimmelo tu. Com’è stato il tuo appuntamento ieri sera?”

“Orribile.”

Jace saltò giù dal bancone lanciando le braccia in aria drammaticamente. “Visto? È esattamente di questo che sto parlando! Sono sicuro che non fosse così male.”

Alec fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro, le labbra strette in una smorfia pensierosa. Soddisfatto di se stesso, annuì brevemente e si volse verso il fratello.

“Era noioso,” disse, sebbene suonasse più come un borbottio.

Jace sospirò pesantemente e si girò quando il campanello della porta d’ingresso suonò per indicare l’arrivo di qualcuno.

“Wanda!” esclamò Jace immediatamente, la voce che si alzava per l’entusiasmo. “Dì ad Alec di smetterla di essere così dannatamente esigente!”

Alec non aveva mai osato davvero chiedere quanti anni avesse, ma Wanda era una donna anziana. I suoi capelli bianchi come la neve facevano sembrare la sua pelle rugosa dalla carnagione pallida ancora più pallida. I suoi occhi azzurri, sicuramente dopo anni di esperienza e le fatiche di una vita, erano sempre un po’ appannati, ma non riuscivano a nascondere la gentilezza che portavano davvero.

Era sempre vestita elegantemente e truccata per rientrare negli standard dell’alta classe, cosa che contrastava ampiamente con il suo temperamento. Alec era stato sorpreso all’inizio, un po’ sconcertato se doveva essere del tutto onesto, ma le si era affezionato allo stesso modo in cui l’edera cresceva sui muri, inesorabilmente e, alla fine, enormemente.

Zoppicò fino a loro. “Cos’hai fatto adesso?” chiese, il suo accento polacco pesante come lo era sempre quando era pronta a discutere.

“Niente!” esclamò Alec sulla difensiva. “Avevo un appuntamento ieri sera. Il ragazzo faceva schifo, non vedevo l’ora che finisse. Jace dice che sono troppo selettivo.”

“Pensavo che voi giovani diceste che è una cosa positiva quando un appuntamento finisce con qualcuno che finisce?” rispose lei, inarcando un sopracciglio candidamente senza ingannare nessuno.

“Wanda!” la richiamarono Alec e Jace con la stessa voce, e il suo sorriso smagliante fece sbuffare affettuosamente Alec.

“Ecco qui,” disse Wanda innocentemente, posando un sacchetto di carta sul bancone. “Panini al tonno e szarlotka.”

“Grazie,” disse Alec porgendole il bouquet.

Si erano messi d’accordo fin da quando Alec aveva aperto il negozio due anni prima. Lei gli portava i panini e i dolci polacchi che preparava nella pasticceria di cui era proprietaria di fronte al suo negozio, e in cambio lui le dava un bouquet fresco per il suo bancone ogni giorno. C’era chiaramente uno dei due che otteneva di più da quell’accordo – lui, Alec lo ammetteva – ma nessuno dei due si era mai lamentato. Era anche un’occasione per lei per fare una pausa quando ne aveva bisogno, e a lui piaceva la sua presenza nel suo negozio, familiare e sempre amichevole, sebbene completamente senza vergogna.

“Avete visto i nuovi arrivati?” chiese Wanda indicando il muro che Alec divideva con quello che apparentemente sarebbe stato uno studio di un tatuatore.

Alec scosse la testa, dando un morso al suo panino e una sberla alla mano di Jace quando fece per rubare un pezzo di torta di mele.

Wanda ignorò il grido offeso di Jace e il suo sorriso si allargò. “Il proprietario è davvero carino. Non mi dispiacerebbe averlo a colazione.”

Alec roteò gli occhi. “Sono sicuro che sia decisamente troppo giovane per te.”

“Certo che lo è, kochanie,” rispose Wanda, “non significa che non possa ammirare le sue qualità, e ce ne sono molte. L’ho visto portare dentro un po’ di scatoloni e improvvisamente mi sono sentita di nuovo sedicenne, accaldata e tutto.”

“Sei impossibile,” sospirò Alec. “E non può essere così bello.”

“Probabilmente non per i tuoi standard irraggiungibili,” intervenne Jace con la bocca piena di torta di mele, e Alec lo guardò malissimo. Sia per il commento sia per il furto della torta.

Neanche a farlo apposta, il campanello all’ingresso suonò di nuovo e tutti e tre si raddrizzarono voltandosi verso il potenziale cliente con lo stesso movimento.

Entrò un uomo, tenendo la porta aperta per la rossa che lo seguiva. Alec deglutì, la bocca che si apriva per lo stupore. Forse era per la sicurezza che l’uomo trasmetteva, o forse era il modo ipnotizzante in cui si muoveva, la grazia eterea che faceva sembrare ogni movimento del suo corpo come un vento che danzava tra i lunghi rami di un salice piangente, fluido e incontrollabile insieme. Indossava dei pantaloni da yoga aderenti e una maglietta ridicolmente larga che mostrava la maggior parte del petto e delle costole, dove si vedeva un bellissimo tatuaggio di un fiore di ciliegio, fiori rosa e bianchi che si avvolgevano intorno a un ramo che contrastavano con la sua pelle color bronzo. C’era un altro tatuaggio sul suo avambraccio, due righe di parole scritte in una bellissima calligrafia che Alec non riusciva a decifrare del tutto. Un terzo tatuaggio spuntava dalla clavicola, ma era nascosto dalla manica della maglietta.

I suoi occhi castani, messi in evidenza da un trucco smoky-eye, brillavano per l’entusiasmo e fece a tutti e tre un ampio sorriso che illuminò l’intera stanza, in un modo che la luce della mattinata estiva che filtrava attraverso la vetrina del negozio non sarebbe mai riuscita a eguagliare.

Ricordò ad Alec un’amarillide.

“Salve!” disse, mantenendo il sorriso. “Sono Magnus. Ho appena aperto lo studio di tatuaggi qui a fianco. E questa è Clary, la mia complice.”

Stava fissando Alec senza timore, ma Alec sembrava aver perso l’abilità di parlare, fissandolo e imprecando internamente contro se stesso.

“Ciao tesoro,” disse Wanda stringendo la mano tesa di Magnus e poi di Clary. “Sono Wanda. Sono la proprietaria della pasticceria dall’altro lato della strada.” Si volse verso Alec e Jace e ridacchiò. “Questi due giovani loquaci sono Jonathan e Alexander,” aggiunse ironica.

Alec si schiarì la gola, allungandosi per stringere la mano ad entrambi. “A-Alec,” mormorò, “sono Alec. Alec Lightwood. Questo negozio è mio.” Chinò la testa e batté le palpebre leggendo le parole sul braccio di Magnus. “Invictus,” sussurrò eloquentemente, e Wanda ridacchiò al suo fianco, ma scelse saggiamente di ignorarla.

“Sì! È una delle mie poesie preferite!” esclamò Magnus, gli occhi castani che brillavano per l’entusiasmo e qualcosa di più profondo, qualcosa delle persone che erano sempre una promessa per delle avventure. “Loquace eh? È… interessante,” sussurrò, gli angoli della bocca che si sollevavano, e Alec farfugliò incoerentemente, le guance cremisi.

“Magnus,” disse Clary, il tono di disapprovazione nella sua voce che non si accordava alla scintilla divertita nei suoi occhi verdi.

Lo spinse di lato senza troppe cerimonie per stringere la mano ad Alec. Aveva una presa ferma che non sembrava andare d’accordo con la sua corporatura minuta e lo lasciò un po’ sconcertato. Clary si volse poi verso Jace, i cui occhi erano leggermente spalancati, e Alec si sentì improvvisamente meglio per la sua mancanza di eloquenza, perché suo fratello non sembrava messo meglio.

“Sono Jace,” disse. “Nessun mi chiama Jonathan. Wanda ci sta solo dando il tormento. Sono il proprietario del negozio di articoli sportivi alla fine della strada, sono il fratello di Alec.”

Wanda afferrò un giornale dal bancone e lo arrotolò, picchiando Jace in testa con esso.

“Non parlare dell’anziana così,” lo rimproverò prima di girarsi verso Magnus e Clary, gli occhi blu spalancati in una finta tristezza. “Riuscite a credere come trattano una debole e anziana signora come me?”

“L’unica cosa di debole di te sono le tue doti recitative,” ribatté Alec con tono ovvio, girandosi per lanciare un’occhiata a Magnus, che stava ancora sorridendo come se sapesse qualcosa che il resto di loro non sapeva. “Non lasciatevi ingannare dalla sua apparenza fragile. È il diavolo.”

Fu il suo turno di essere colpito ma Wanda era troppo bassa per raggiungere la sua testa, così si accontentò della spalla.

Clary ridacchiò deliziata. “Beh, sono sicura che lei e Magnus andranno meravigliosamente d’accordo allora.”

Magnus sollevò le spalle facendo scivolare leggermente la maglietta dalla sua spalla, esponendo di più la sua pelle color bronzo e la punta di quello che sembrava essere un tatuaggio a forma di bussola sotto la sua clavicola. C’era una scintilla maliziosa che illuminava i suoi occhi castani però, e Alec valutò che quella rossa probabilmente sapesse di cosa stava parlando.

“Dobbiamo tornare al negozio,” disse Magnus imbronciandosi leggermente, e Alec non pensò assolutamente che era adorabile. E figo. Allo stesso momento. Decisamente no. “Abbiamo ancora molto da fare prima dell’apertura di domani.”

“Bisogno di una mano?” chiese Jace appoggiandosi al bancone con le braccia incrociate sul petto. Alec era lieto di vedere che suo fratello era tornato ad essere il solito arrogante-di-fronte-agli-estranei. “C’è Victor che mi copre al negozio, posso aiutarvi.”

“Sarebbe fantastico biondino,” disse Magnus con un sorriso genuino che era così luminoso da togliere il fiato che Alec dovette battere le palpebre per timore di diventare cieco.

“Io farei lo stesso ma non posso lasciare il negozio,” mormorò Alec indicando vagamente i fiori che li circondavano. “Sono da solo oggi.”

“Va tutto bene tesoro,” disse Magnus, il sorriso che diventava in qualche modo più impertinente. “Sono sicuro che avrò altre opportunità per vedere le tue magnifiche braccia flettersi per lo sforzo.”

“S-sì,” balbettò Alec, “sicuro.”

Magnus gli fece l’occhiolino e si girò, uscendo dal negozio come un uomo in missione, Clary dietro di lui.

Se gli occhi di Alec vagarono più in basso per deliziarsi della vista del sedere glorioso di Magnus, nessuno doveva saperlo.

Nessuno tranne Jace e Wanda, perché lo stavano fissando entrambi come avvoltoi su una preda.

Jace mise un braccio sulle spalle di Alec, dandogli una pacca sul petto per confortarlo. “Elegante fratello,” lo prese in giro, “sono così orgoglioso di te.”

“Fottiti,” si lamentò Alec spingendolo via. “Vai a renderti utile invece di rompere a me. Stai usando l’aria di cui i miei fiori hanno bisogno per sbocciare.”

Jace rise ma lasciò prontamente il negozio, lasciando lì Wanda. Lei osservò Alec attentamente e inarcò un sopracciglio ma rimase in silenzio.

“Okay,” mugugnò Alec a disagio sotto il suo sguardo penetrante. “Magari capisco cosa intendevi quando hai detto che ti sentivi di nuovo una sedicenne. Taci.”

L’unica risposta che ottenne fu un sorriso consapevole.

____

“Perché stai disegnando fiori?”

Magnus fece quasi un salto di un metro, portandosi una mano al cuore come se avesse potuto stabilizzarlo.

“Sheldon, smettila di arrivare di soppiatto così!”

Simon doveva avere qualche abilità soprannaturale per muoversi non visto. Impacciato com’era, i suoi passi sembravano più leggeri di una piuma e aveva sviluppato la brutta abitudine di arrivare alle spalle di Magnus mentre lavorava ai suoi disegni.

Magnus lo odiava.

Simon lo ignorò, appoggiandosi al tavolo vicino al suo disegno. “Allora, perché i fiori?”

Magnus alzò le spalle. “Mi hanno inspirato tutti i fiori del negozio vicino suppongo,” disse con noncuranza.

A volte era difficile da spiegare. L’inspirazione andava e veniva, spesso inaspettatamente, sempre elettrizzante e travolgente. Magnus lavorava essenzialmente sull’istinto, e quella mattina il suo istinto urlava fiori, così fiori aveva disegnato. Era semplicemente così, ma in qualche modo era un concetto difficile da spiegare a Simon, le cui abilità artistiche si limitavano alle cover orrende – Magnus stava esagerando, qualche volta non erano male – che suonava con la sua band, Sexy Vampire Mojo.

Simon mormorò pensieroso ma sembrò considerare la risposta accettabile. Aveva imparato molto tempo prima a non mettere in discussione le particolarità di Magnus, specialmente quando erano quelle artistiche.

“Ha chiamato tua madre,” disse. “Ci ha invitato a cena stasera.”

Magnus batté le palpebre sorpreso, inarcando un sopracciglio. “Ci?”

Simon sorrise, un sorriso ampio e compiaciuto. “Sai che Baboo mi ama,” disse, con abbastanza orgoglio che Magnus non ebbe altra scelta che alzare gli occhi al cielo.

“Smettila di chiamarla Baboo,” ringhiò. “Sono l’unico cui è permesso.”

“Mi ha detto che potevo!” protestò Simon.

“Ti ha anche detto che Salacious Mold era un buon nome per la tua band,” rispose Magnus impassibile, tornando ad aggiungere colore al suo disegno. “Non voleva rattristarti perché ti vuole bene per qualche ragione che va oltre la mia comprensione. Non ascoltare tutto quello che ti dice.”

“Oh, saresti geloso?” canticchiò Simon, chinandosi in avanti così che Magnus potesse vederlo muovere le sopracciglia canzonatorio.

Magnus lo mandò al diavolo. Cosa lo aveva posseduto per assumere Simon come assistente barra segretario barra permanente rottura di scatole, non l’avrebbe mai saputo.

Allontanò la sedia dalla scrivania e si alzò in piedi, togliendo della polvere inesistente dalla maglietta.

“Quand’è il mio prossimo appuntamento?” chiese.

“Tra mezz’ora,” rispose subito Simon. Almeno era bravo nel suo lavoro, cosa che era ugualmente infuriante e davvero utile.

“Più che abbastanza tempo allora,” disse Magnus annuendo, per poi uscire dalla porta.

“Per fare cosa?” gli urlò dietro Simon.

“Per allontanarmi da te!” ribatté Magnus, e fece l’occhiolino alla giovane donna che stava pazientemente aspettando sul divano di pelle nera contro la vetrina all’entrata.

Il caldo afoso dell’estate era quasi soffocante quando uscì dal negozio, il sole che batteva senza pietà sulle spalle scoperte di Magnus. La vetrina della pasticceria di Wanda rifletteva i raggi solari così prese gli occhiali da sole dalle tasche, mettendoseli sul naso prima di marciare deciso verso il fiorista di fianco a lui.

Non parlava con Alec da quando si erano incontrati la prima volta la settimana prima ma aveva visto dei lampi di disordinati capelli neri ogni tanto quando usciva a prendere una boccata d’aria fresca dopo una seduta troppo lunga con un cliente.

Forse Magnus aveva anche cercato di ottenere un’occhiata, ma nessuno poteva davvero biasimarlo. Alec era un peccato che camminava. Alto, capelli scuri e bellissimo e Magnus aveva un debole per tutto questo. Se avesse saputo che aprire il suo studio da tatuatore avrebbe portato con sé una gioia per gli occhi, l’avrebbe fatto molto tempo prima.

Il campanello suonò sopra la sua testa quando entrò. Il profumo dolce e penetrante dei fiori gli riempì subito le narici, superando gli odori della strada.
Il negozio di Alec sembrava essere uscito direttamente da una rivista. C’erano fiori ovunque, sui muri, sul pavimento, appesi al soffitto, ma in qualche modo non sembrava caotico, ma giusto. Solo giusto. Sembrava la via di mezzo perfetta tra un giardino formale e una landa selvaggia. Anche con il caldo estivo, i fiori sembravano sbocciare, i bellissimi petali che si aprivano per salutare i clienti, e Magnus si sentì benvenuto istantaneamente, come se la natura stessa lo accettasse in questo particolare ambiente.

C’era una giovane donna dietro il bancone, con indosso una maglietta verde chiaro che faceva risaltare la sua carnagione scura e i suoi capelli tinti di blu.

“Salve,” disse quando lo vide, un lieve sorriso sulle labbra. “Come posso aiutarla?”

“Salve tesoro,” disse Magnus cercando, invano, di nascondere la sua delusione. “Sono Magnus. Ho aperto lo studio di tatuaggi qui a fianco una settimana fa. È un piacere conoscerti.”

“Lily,” disse stringendogli la mano tesa. “Non ho potuto evitare di guardare dalla vetrina. Amo quello che hai fatto con il posto!”

“Davvero, grazie,” sorrise Magnus, prendendo una margherita dal piccolo vaso sul bancone per rigirarsela tra le dita. Il suo sorriso diventò in un certo modo malizioso quando si appoggiò al bancone. “Dimmi, Bel Ragazzo è in giro? Sto avendo una giornata stressante e sono sicuro che la vista di quegli occhi nocciola la renderebbe migliore.”

Lily si accigliò confusa per un secondo prima che la realizzazione scendesse sui suoi lineamenti. “Oh, intendi Alec!” esclamò sorridendo. “Alec!” urlò poi, girandosi verso la porta sul retro dietro di lei. “Tizio Figo chiede di te!”

Ci fu uno schianto e un’imprecazione a voce alta prima che la porta si aprisse e Magnus sorrise, sia al complimento sia alla vista di Alec che barcollava attraverso la porta, nascosto da una pianta sempreverde in un vaso alto. Se Magnus fosse rimasto a fissare, avrebbe notato il modo in cui i suoi bicipiti si contraevano per lo sforzo. Stava decisamente fissando.

“Di cosa stai parlando?” brontolò Alec per poi mettere il vaso per terra e girarsi. “M-Magnus,” farfugliò, battendo le palpebre come se non potesse credere ai suoi occhi. “C-ciao. Um. Cosa fai qui?”

Lily sbuffò, inarcando un sopracciglio. “Giuro che normalmente non è così scortese. È anche piuttosto severo con le buone maniere.”

Alec la guardò malissimo. “Non è ora della tua pausa pranzo?”

“Sono le undici,” replicò Lily impassibile.

“Esatto,” disse Alec. “Pausa pranzo. Adesso.”

Lily rise, dando una pacca sulla spalla di Alec. “Sei tu il capo.”

Magnus guardò la scena in silenzio, un sorriso sulle labbra. C’era qualcosa che scaldava il cuore nel vedere la loro casuale vicinanza, una cosa che solo i veri amici potevano mostrare così facilmente.

Quando se ne fu andata, Alec si girò verso Magnus. “Allora,” si fermò per schiarirsi la gola, pulendosi la mano sporca di terra sul grembiule verde scuro. “Com’è andata la prima settimana?”

“Abbastanza bene,” rispose Magnus annuendo. “Abbiamo già una forte base di clienti che venivano da noi dove lavoravamo prima. Ci seguono sui social quindi non hanno avuto troppi problemi a trovare il posto nuovo.”

“Bene,” disse Alec con un sorriso. “Siete solo tu e la piccola?”

Magnus fece un sorrisetto. “Il suo nome è Clary,” replicò fingendo un’occhiata di rimprovero che non sembrò impressionare minimamente Alec. “C’è anche Simon che si occupa dei social e di organizzare gli appuntamenti e Maia che fa i piercing.”

“Li conosci da molto?” chiese Alec, e non c’era niente di indiscreto nel modo in cui lo fece, solo curiosità genuina che fece sorridere naturalmente Magnus di rimando.

“Il patrigno di Clary è il migliore amico di mia madre,” disse, togliendo un petalo dalla margherita che aveva in mano. “La conosco da sempre. Lei e Simon si sono incontrati all’asilo e sono diventati immediatamente migliori amici, così lo conosco da altrettanto tempo. Conosco Maia tramite Luke, il patrigno di Clary. È un assistente sociale. Per farla breve, ha imparato il lavoro ed è venuta a lavorare con noi non appena ha potuto.”

Alec mormorò pensieroso, osservando le dita di Magnus che stavano ancora privando attentamente il fiore dei suoi petali.

“Che mi dici di te?” chiese Magnus con un sorriso. “Siete solo tu e Lily? Chi è per te?”

“Migliore amica,” replicò Alec subito, forse un po’ troppo immediatamente, prima di schiarirsi di nuovo la gola. “E sì, siamo solo noi due. Ma Jace non è lontano.”

“Parlando del biondino,” saltò su Magnus. “Era molto disponibile con i complimenti sulle tue capacità di fiorista e penso di aver bisogno delle tue conoscenze.”

Alec si accigliò. “Cos’ha detto?” chiese, dubbioso.

“Che hai un sesto senso con i fiori,” disse Magnus con un lieve sorriso. “Che riesci a comporre il bouquet perfetto se sai un paio di cose per la persona per cui sono.”

Alec fece un piccolo sorriso, un accenno di rossore che gli colorava le guance, e scosse le spalle, dismettendo il complimento con un cenno.
Magnus pensò fosse adorabile. “In realtà è la ragione della mia visita,” aggiunse. “Non sono venuto solo per quei tuoi begli occhi nocciola. Mi dispiace deluderti.”

Alec roteò gli occhi ma fece a Magnus un timido sorriso storto.

Magnus era decisamente fregato.

“Di cosa hai bisogno?”

Te. Nel mio letto. Preferibilmente nudo. O semplicemente che ti chini perché quel sedere sembra meraviglioso in quei jeans.

Erano tutte potenziali risposte ma Magnus si decise per una più accettabile, almeno per gli standard della maggior parte delle persone.

“Sono invitato a cena stasera e voglio prendere qualcosa per qualcuno di speciale.”

“Ti andrebbe di dirmi qualcosa di loro?” chiese Alec, una scintilla di esitazione negli occhi. “Non devi se non vuoi,” aggiunse velocemente. “Renderebbe solo più semplice per me ma non voglio forzarti a -”

“Alexander,” lo interruppe Magnus con un lieve sorriso, “va bene.”

Alec batté le palpebre, inumidendosi le labbra. “Nessuno mi chiama Alexander.”

Magnus alzò le spalle, facendogli un occhiolino. “Posso chiamarti molte altre cose se preferisci,” offrì inarcando suggestivo un sopracciglio, un tono lascivo che rendeva il sottinteso più che chiaro.

Alec sbuffò in esasperazione. “Sei sempre così sfacciato?”

“Già.”

Alec ridacchiò, scuotendo la testa con un certo affetto. “Allora… qualcuno di speciale?”

Magnus sorrise. “Anche lei è una tatuatrice,” disse, e non sarebbe riuscito a nascondere la tenerezza dal suo tono se ci avesse provato. “Mi è stata di grande supporto quando le ho detto che volevo aprire il mio negozio di tatuaggi e, beh… è così incredibilmente incoraggiante e voglio ringraziarla.”

“Sembra che tu tenga parecchio a lei.”

“Vero,” confermò Magnus, il sorriso che si allargava. “La amo da morire. È mia -”

Il telefono gli vibrò in tasca e lo tirò fuori per leggere il messaggio che Simon gli aveva appena mandato.

“Devo andare,” sospirò. “Il mio prossimo appuntamento è qui. Odio quando le persone sono in orario.”

Alec sbuffò. “Vai,” disse, “avrò il bouquet pronto per quando hai finito.”

“Grazie tesoro!” esclamò Magnus, e un attimo dopo era uscito.

____

“Dovresti fare un tatuaggio. Coprirle.”

Alec sussultò, girandosi agilmente e tirandosi giù la maglia.

“Uno di questi giorni cambierò la serratura così non potrai più irrompere nel mio appartamento come vuoi,” mugugnò.

“Sei tu quello che mi ha dato una chiave di scorta,” disse sua sorella agitandola davanti ai suoi occhi scherzosa. “Ma non cambiare argomento. Ti danno ancora fastidio. Perché non le copri?”

“Non so di cosa stai parlando,” sospirò Alec, oltrepassandola per dirigersi in cucina.

“Le cicatrici,” disse Izzy diretta, perché non era mai stata una da menare il can per l’aia. “Potresti coprirle con un tatuaggio se ti disturbano così tanto.”

“Hai parlato con Jace vero?” replicò Alec, le spalle tese mentre cercava nel frigo qualcosa da mangiare per cena.

“Potrebbe o non potrebbe aver menzionato il fatto che ti sei imbarazzato davanti al ragazzo sexy tatuato che sembra abbia inventato tutto ciò che è peccato e probabilmente scritto alcune pagine del kamasutra. Parole sue, non mie.”

Alec roteò gli occhi. “Sì beh, Jace stava letteralmente fissando a bocca aperta la piccola rossa quindi dovrebbe tenere la bocca chiusa.”

“L’erba del vicino eccetera,” lo ignorò Isabelle, spingendolo di lato per chiudere il frigo e prendere il numero della pizzeria d’asporto sulla porta, componendo il numero sul suo cellulare. Una volta che ebbe ordinato, riattaccò e incrociò le braccia sul petto, guardando Alec con un’espressione che lo faceva sentire il fratello più giovane tra i due. “Smettila di rimandare.”

“Cosa ne sai poi tu di tatuaggi?” brontolò Alec.

“Beh, ne ho uno e uscivo con un tatuatore che mi parlava del suo lavoro tutto il giorno quindi probabilmente più di te,” ritorse Isabelle inarcando un sopracciglio con aria di sfida.

“Hai un tatuaggio? Da quando?” esclamò Alec stupefatto, modalità fratello maggiore immediatamente attiva.

“Da quando sono una donna adulta che fa quello che vuole con il suo corpo,” ribatté lei e Alec alzò gli occhi al cielo ma chiuse la bocca. Non poteva negarlo.

Isabelle sollevò la maglia e Alec si chiese come aveva fatto a non averlo mai visto prima. Dal suo fianco fino a sotto il seno, c’erano due serpenti intrecciati, la pelle disegnata con tanto realismo che dovette chiedersi se non potessero iniziare a muoversi se li avesse fissati abbastanza a lungo. Le loro teste erano ai lati opposti dell’inchiostro, come se avessero in qualche modo perso la strada verso l’altro nel loro cammino sinuoso.

“Wow,” mormorò Alec dopo un po’. “È bellissimo.”

Isabelle fece un luminoso sorriso. “Vero?”

Alec sbuffò, allungandosi per scompigliare i capelli della sorella. La sua protesta venne soffocata dalla risata sottostante.

“Allora, il tizio sexy della porta a fianco… ne vale la pena?” chiese, una scintilla maliziosa negli occhi.

“Non lo so,” rispose Alec alzando le spalle. “E non penso potrebbe fare niente per me in ogni caso.”

“Ehi, non saresti il primo a coprire le cicatrici con un tatuaggio,” disse Isabelle con un tono rassicurante che riuscì a strappare ad Alec un sorriso. “Fanno cose meravigliose alle donne che hanno dovuto affrontare una doppia mastectomia.”

Digitò velocemente qualcosa sul telefono prima di porgerglielo. Alec fissò le foto per un po’, il contrasto tra il prima e il dopo talmente bello che si sentì stordito per un po’. Allungò una mano per strofinarla contro le cicatrici sulle sue costole senza davvero pensarci, ma Izzy lo fermò prima che potesse farlo, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice per tranquillizzarlo.

Alec le ridiede il cellulare quando suonò il campanello, e non si rese conto di quanto tempo aveva passato ad osservare le diverse fotografie fino a quel momento.

“Ci penserò.”

“Ottimo,” sorrise Izzy. “Ora, vai a pagare la pizza. Sto morendo di fame!”

____

Alcune persone non si preoccupavano di trovare un significato profondo dietro ai loro tatuaggi. A Magnus non importava. Dopo tutto, ognuno era libero di disporre del proprio corpo come voleva e se qualcuno voleva farsi delle stelle solo per il gusto di avere un tatuaggio o perché gli piaceva il disegno, così fosse.

Ma erano le persone che avevano una motivazione, un’intera storia per il tatuaggio, quelle che amava di più. Poteva essere difficile. Quelle storie di solito non erano felici e Magnus negli anni aveva imparato che molto spesso essere un tatuatore era molto come essere un terapista.

Le persone portavano i loro ricordi più devastanti, momenti delle loro vite che gli avevano spezzato il cuore, memorie dolorose, e gli chiedevano di trasformarle in arte, arte che più tardi avrebbe disegnato sui loro corpi per sempre.

Magnus aveva tatuato tutti i tipi di persone, dagli adolescenti spericolati che erano appena diventati maggiorenni e volevano festeggiare con un tatuaggio ai veterani di guerra che tornavano a casa induriti e feriti e cercavano un rifugio in questa forma d’arte.

Essere un tatuatore significava essere in grado di lasciare i propri problemi fuori dalla porta e ascoltare cosa aveva passato o stava passando un completo estraneo, e trasformarlo in qualcosa che più avanti avrebbe custodito, qualcosa che poteva, forse, aiutarlo ad andare avanti.

Era ciò che Magnus aveva amato di più quando aveva imparato quest’arte per la prima volta da sua madre.

Ricordava con perfetta chiarezza quando si sedeva in un angolo del suo studio a guardarla lavorare con i sui clienti – quando a loro andava bene la sua presenza lì, cosa che non era sempre stata così. Aveva dieci anni la prima volta e non ricordava il viso della donna che sua madre aveva tatuato, ma ricordava il disegno – una bellissima tigre che si estendeva sulla maggior parte della sua coscia – e ricordava la storia che c’era dietro, di come aveva da poco perso il padre che la chiamava sempre ‘piccola tigre’ anche quando aveva passato da anni l’infanzia e l’adolescenza.

Magnus aveva sentito molte altre storie tristi e la cosa non si era fermata quando aveva attraversato le sue storie tristi, o quando aveva iniziato a lavorare lui stesso.

Non erano mai riuscite a fargli perdere la sua passione comunque.

Perché quando costruiva una relazione con un cliente, dopo settimane o mesi di pianificazione, differenti schizzi e ricerca della perfezione, e quando alla fine erano soddisfatti, lo vedeva nei loro occhi, che in qualche modo aveva dato loro qualcosa di più di quanto le parole potessero dire. Che la sua arte aveva confortato qualcosa in loro.

Dava valore a tutto.

Si stava rilassando in sala d’attesa dopo un lavoro particolarmente lungo. Era stata una seduta di due ore e la schiena gli faceva male – un’altra cosa che aveva ignorato fino a quando non era diventato un tatuatore: uccideva la schiena. Aveva la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi quando la porta d’ingresso si spalancò e il suono inconfondibile di tacchi alti sul pavimento attirò la sua attenzione.

Aprì gli occhi. Jace era davanti alla scrivania di Simon, vicino a lui una bellissima donna che teneva le mani sui fianchi.

Magnus si raddrizzò sulla sedia ma non si preoccupò di alzarsi. “Biondino,” lo chiamò, e i due si voltarono in sincronia perfetta.

La donna assomigliava molto ad Alec, tutta capelli scuri e lineamenti decisi, ma dove lui aveva un rassicurante e tranquillo ma nondimeno meraviglioso nocciola, i suoi occhi erano castano scuro, bellissimi e fieri.

Si incamminò verso di lui con decisione, osservandolo con nient’altro che determinazione nel suo sguardo.

“Tu sei figo,” annunciò in tono pratico, e Magnus ebbe la sensazione di essersi perso qualcosa.

“Um, grazie?”

Jace roteò gli occhi spingendola di lato. “Hai un portfolio? Qualcosa dove possiamo vedere i tuoi lavori?”

Magnus inarcò un sopracciglio, ora genuinamente intrigato, e si alzò in piedi, indicando loro di seguirlo. Percorsero il corridoio, passando la porta dietro cui Clary stava tatuando una giovane donna e una seconda che serviva per i piercing di Maia. Li condusse all’ultima e la aprì senza altri preamboli, indicando vagamente i muri.

“Wow,” disse Jace senza fiato, gli occhi che si spalancavano.

Magnus fece un sorrisetto, guardandoli mentre giravano per la stanza, osservando attentamente le fotografie e i disegni del suo lavoro attraverso gli anni che coprivano le pareti.

“Izzy,” sussurrò Jace dopo un po’, rompendo il pesante silenzio mentre agitava la mano per attirare l’attenzione della donna. “Guarda.”

Lei fu al suo fianco con un movimento fluido che sembrava fin troppo aggraziato per qualcuno che indossava tacchi così alti.

Magnus seguì il loro sguardo per vedere quale foto avesse catturato la loro attenzione e un piccolo sorriso quasi tenero gli addolcì i lineamenti.

La cosiddetta Izzy si girò a guardarlo, qualcosa di simile alla meraviglia nei suoi occhi. “Qual è la sua storia?” chiese, e Magnus sapeva che stava parlando dell’uomo nella foto.

“Era un veterano dell’Iraq,” spiegò Magnus. “La sua squadra era caduta in una trappola e il suo braccio gli venne strappato da una bomba. Mi ha chiesto di coprire la spalla e il moncherino con l’arte come simbolo dell’andare avanti anche se non sarebbe mai più stato la stessa persona.” Distolse lo sguardo dai suoi occhi per fissare la fotografia. “Non aveva idea di cosa volesse davvero, ma aveva menzionato di come si svegliasse ancora prestissimo tutte le mattine per guardare il sorgere del sole. Aveva detto ‘sai che hai un altro giorno da vivere fino a che guardi il sole sorgere’. Così ho scelto quello.”

Per un po’ ci fu solo silenzio. Jace era ancora concentrato sulla fotografia, ma gli occhi della donna erano fissati nei suoi.

“Sono Isabelle,” disse, un sorriso che le tendeva le labbra. “La più attraente dei fratelli Lightwood.”

“Non lo so tesoro,” sorrise Magnus, “mi viene in mente un altro fratello Lightwood che può competere per quel titolo.”

“Grazie,” esclamò Jace orgoglioso.

Magnus non ebbe il tempo di correggerlo perché Isabelle sbuffò forte, in qualche modo sempre elegantemente. “Intendeva Alec,” gli disse per nulla dispiaciuta.

“Vero,” confermò Magnus.

Jace sussultò per l’affronto ma sorrise il secondo successivo.

“Allora, lo tatueresti?”

Magnus si accigliò. “Non dovrebbe essere lui a chiedermelo?”

Isabelle fece un sorriso pieno di affetto che Magnus sapeva non essere diretto a lui.

“Lo farà alla fine,” disse. “Ha bisogno di un po’ di tempo per farlo da solo. Ma il suo compleanno si sta avvicinando e io e Jace vogliamo prendergli qualcosa di significativo quest’anno, così saremmo noi a pagare.”

L’interesse di Magnus adesso era risvegliato irrevocabilmente. “Cosa vuole?” chiese.

“Non lo sappiamo,” rispose Jace assente. “Non ce l’ha detto ma ci sta pensando da un po’.”

“Beh, questo non mi dà molto su cui lavorare,” commentò Magnus inarcando un sopracciglio.

“Puoi lavorare per guadagnarti la sua fiducia prima,” disse Isabelle, la sfida evidente nella sua voce.

Magnus mormorò pensieroso, lasciando che i suoi occhi vagassero sulle varie fotografie e disegni sul muro.

Sicuramente, non poteva essere così difficile.

____

C’era un albero nel giardino sul retro dei Lightwood che aveva un significato speciale per Alec.

Le piante l’avevano sempre avuto ma questo era unico e profondamente significativo. Era un santuario, un rifugio per le anime perdute, una via di fuga dalle difficoltà di tutti i giorni della vita.

C’era qualcosa di confortante nell’essere circondato dalle piante, qualcosa di più grande di Alec, più grande di chiunque. Vivevano e duravano oltre gli anni umani. Nel vasto impero della natura, Alec era solo un altro organismo, un altro animale. Era liberatorio. I suoi problemi e le sue preoccupazioni, le sue difficoltà e i suoi tormenti, non esistevano in questa realtà e il vento che passava tra i rami e le foglie non gli lanciava mai occhiate di disapprovazione né sussurrava dubbi o giudizi.

Nel giardino, Alec era semplicemente Alec.

Era solito sedersi contro il tronco con un libro o la sua mente a tenergli compagnia e perdersi nella semplice bellezza della natura, in qualche modo complessa e così totalmente semplice.

Più che la passione stessa di suo padre per le terre e le pianure selvagge, forse era proprio quest’albero che gli aveva dato il suo amore per i fiori e le piante, così era naturale che fosse diventato un fioraio.

I fiori erano semplici, fragili e forti allo stesso tempo, ma avevano un potere oltre l’immaginazione. Trasmettevano le emozioni meglio di quanto le parole avrebbero mai potuto – o almeno lo facevano per Alec, che non era mai stato ammirato per la sua eloquenza.

Con un bouquet poteva facilmente esprimere amore, amicizia o dolore, scuse o congratulazioni.

I fiori gli parlavano meglio di quanto lo facessero le persone.

C’era sempre un’eccezione a questo, e si materializzava nella forma di tre fratelli insopportabili, impiccioni e fastidiosi. Beh, due. Il terzo non era nessuna di queste cose.

Il calore estivo era insopportabile e neanche la protezione dell’albero gli dava abbastanza ombra per salvarlo dai raggi implacabili del sole quel giorno. Sentì il suono delle stampelle venire verso di lui prima di vedere Max, troppo perso nei suoi pensieri com’era.

“Potresti rendermi più facile trovarti, lo sai,” disse il suo fratellino mentre lanciava di lato le stampelle senza fare attenzione, appoggiandosi al tronco per avere un sostegno.

Alec saltò in piedi per aiutarlo a sedersi, senso di colpa che ancora gli stringeva lo stomaco dopo tutti quegli anni.

Quando Max fu comodo gli si sedette a fianco.

“Mi dispiace,” mormorò, “avevo bisogno di pensare.”

“Intendi che avevi bisogno di torturare te stesso,” ribatté Max.

Era sempre stato troppo accorto per la sua età. Non era cambiato ora che non era più un bambino.

Alec non rispose, appoggiando la testa contro il tronco. “Ho qualcosa per te,” disse alla fine.

Max roteò gli occhi. “Sai che non è il mio compleanno giusto?”

“Taci,” borbottò Alec afferrando il sacchetto di carta che aveva portato con i suoi pochi libri, sapendo che Max sarebbe arrivato a cercarlo presto, porgendoglielo.

Max non fece troppe cerimonie prima di strapparlo, gli occhi nocciola – così simili a quelli di Alec – che scintillavano per l’entusiasmo.

Il suo volto si illuminò con un ampio sorriso alla vista dell’acchiappasogni nelle sue mani. “Grazie Alec.”

Alec si allungò per scompigliargli i capelli e forzò un sorriso sulle sue labbra, ingoiando il groppo che aveva in gola.

Max non era così facile da ingannare. Il suo viso tornò serio, la fronte aggrottata. “Sai che non ti incolpo vero?” chiese, sebbene fosse più un’affermazione. “Per tutto questo.” Indicò vagamente le sue gambe. “Quindi puoi smetterla di biasimarti.”

Alec alzò le spalle, la gola che bruciava per il bisogno di urlare. Non contro Max, ma al resto del mondo.

“Lo so,” sussurrò.

Sapevano entrambi che era una bugia, ma si assicurarono di non menzionarlo.

Seduti insieme sotto l’albero nel giardino dei Lightwood erano in pace, e nient’altro importava.

____

La madre di Magnus era stata entusiasta di ricevere dei fiori, tutto il suo viso si era illuminato con un sorriso così ampio che Magnus aveva sentito il cuore nel petto gonfiarsi per l’orgoglio.

Questo, insieme alla visita che aveva ricevuto dai fratelli di Alec, era abbastanza per dargli una scusa per entrare nel negozio del fiorista una settimana dopo quando aveva un’ora di pausa tra due appuntamenti.

Quando entrò, Alec, che era appoggiato con i gomiti al bancone, si raddrizzò immediatamente. Magnus però non ebbe il tempo di salutarlo.

“Seriamente skarbie,” esclamò Wanda, il suo accento polacco più forte di quanto Magnus ricordasse. “Devi mostrare meno pelle. Sono una vecchia signora e non sono sicura che il mio cuore possa sopportare quanto ridicolmente bello sei.”

Il suo tono era scherzosamente riprovevole ma i suoi occhi avevano solo malizia. Magnus si immobilizzò sui suoi passi, sporgendo un fianco.

“Stai parlando di me o della vista delle gloriose braccia di Alec in questa maglietta?” indagò, gli angoli delle labbra che si sollevavano.

“Entrambe sono buone opzioni,” replicò Wanda ragionevole. “Ma è gay, quindi ho rinunciato a cercare di provarci con lui. In più, è noioso. Non mi dà mai corda. Sei tu il mio nuovo preferito.”

Alec scosse la testa per la disperazione, strofinandosi la fronte con le lunghe dita. Magnus non le aveva notate prima ma erano molto lunghe. Ed eleganti. Gli fece venire in mente pensieri peccaminosi.

“Non hai una pasticceria da mandare avanti?” chiese Alec impassibile.

Wanda sbuffò offesa portandosi una mano al cuore. Magnus decise in quel momento che la amava. Non era tutti i giorni che incontrava qualcuno che condivideva il suo debole per il dramma.

“Beh, vedo che non sono la benvenuta qui,” disse con voce debole e tremante. “Riesco a capire quando non sono voluta. Chiaramente, sei più interessato a flirtare con questo bell’uomo. Magari potete guardare Netflix e riposarvi dopo. O -”

“Jace deve smetterla di insegnarti lo slang,” la interruppe Alec con un gemito, alzando gli occhi al cielo.

“Ehi, sto solo dicendo se non lo vuoi…”la voce di Wanda si affievolì mentre lei inarcava le sopracciglia suggestivamente. “Intendo, chi non vorrebbe tutto questo?” chiese indicando ampiamente se stessa.

“Qualcuno che è abbastanza giovane per essere tuo nipote,” ritorse Alec, ma era troppo affettuoso per sgridarla davvero. “Vai a fare la tigre da qualche altra parte!”

Wanda alzò entrambe le mani in segno di resa, sorridendo maliziosamente. Oltrepassò Magnus uscendo e si fermò per fargli l’occhiolino sussurrando, abbastanza forte perché anche Alec sentisse, “sai dove trovarmi.”

Magnus si morse il labbro inferiore per trattenere una risata e le fece un occhiolino di rimando. Non riuscì a trattenersi ancora per molto quando Wanda finse di sventolarsi con la mano mentre usciva dal negozio, la sua risata che la seguiva fino all’uscita. Quando si volse, Alec aveva un sorriso storto, sebbene Magnus sospettasse che non fosse consapevole di star sorridendo.

Era una bella vista su di lui.

“Come posso aiutarti Magnus?” chiese allora, gli occhi fissi nei suoi.

Magnus andò al bancone, tenendo lo sguardo nel suo per tutto il tempo.

Alec era una di quelle persone che ti guardavano negli occhi e non ti lasciavano andare a meno che non fossero distratti da qualcosa – nel caso di Alec, parlare poteva in effetti essere una buona distrazione. Non disturbava Magnus perché anche lui era una di quelle persone, solo che per lui le distrazioni erano nella forma di uomini Alti, Mori e Bellissimi con braccia forti e occhi dolci.

Poteva leggere molto negli occhi delle persone. A volte dicevano più delle parole.

Ma quelli di Alec erano imperscrutabili, bellissimi ma tormentati, e ciononostante gentili allo stesso tempo.

Forse era questo, più che il suo fisico più che attraente, ad aver colpito l’interesse di Magnus all’inizio.

“Ho bisogno di un altro bouquet,” disse, appoggiando i gomiti al bancone ed entrando nello spazio personale di Alec.

Sembrò sorpreso all’intrusione ma non si mosse, i palmi delle mani appoggiati al bancone, le braccia allargate ai lati.

“Per la stessa persona?” chiese schiarendosi la gola.

Magnus annuì con entusiasmo, un sorriso affettuoso che gli si allargava sulle labbra al ricordo dell’espressione felice di sua madre. “Sì. Ha amato il primo, hai davvero un sesto senso.”

Le guance di Alec divennero rosse. “I fiori sono più facili da leggere delle persone,” spiegò svalutandosi con un’alzata di spalle.

Magnus gli lanciò un’occhiata tagliente. “Penso che tu ti stia sottovalutando, tesoro.”

Alec stava per rispondere ma il campanello suonò dietro Magnus e volse la testa per guardare il nuovo arrivato.

Lily s’immobilizzò sui suoi passi, gli occhi che correvano su Magnus e Alec, e inarcò un sopracciglio sbuffando divertita. “Ignoratemi,” esclamò. “Torno più tardi. Vado a mangiare qualche pasticcino da Wanda davanti a Jace mentre fa un po’ di flessioni.”

Uscì solo per rimettere la testa dentro. “Amo quel tatuaggio tra l’altro,” aggiunse indicandosi vagamente la schiena.

“Grazie!” disse Magnus allegro. “È stato il mio primo!”

Quando tornò a guardare Alec, questi era già occupato a prendere un vaso verde chiaro e a riempirlo d’acqua.

“Mi piace questo posto,” annunciò senza preambolo. “Ricevo complimenti da tutte le parti. È ottimo per la mia autostima.”

Alec ridacchiò e una scintilla maliziosa gli illuminò gli occhi quando si girò a guardare Magnus. “Non mi sembri il tipo di ragazzo che ha bisogno che la sua autostima sia incoraggiata.”

Magnus sorrise ma non replicò, osservando mentre Alec prendeva i fiori senza davvero rifletterci. I suoi gesti erano decisi e sicuri, senza un’ombra di esitazione a rallentarli. Era qualcosa di incredibile, quanto fosse concentrato sul compito che aveva con intento incrollabile, canticchiando sotto voce senza realizzare che lo stava facendo.

“Perché quelli?” chiese Magnus dopo un po’.

Alec volse la testa per guardarlo, inarcando interrogativamente un sopracciglio.

“I fiori,” chiarì Magnus. “Vedo che non li hai scelti a caso. Quindi perché quelli?”

Alec prese il bouquet tornando al bancone dove Magnus era rimasto appoggiato tutto il tempo, e indicò un fiore verde brillante con un lungo dito. “Questa è un’angelica,” disse, “simbolizza ispirazione e incoraggiamento e mi hai detto che è stata di grande supporto per te quando volevi aprire il tuo negozio, quindi sembrava appropriato.”

Magnus annuì entusiasta, facendogli segno di andare avanti.

“Questo è un astro,” continuò Alec indicando un fiore a forma di stella lilla chiaro, “e questo è un crisantemo rosso. Entrambi sono simboli d’amore.”
Andò avanti a parlare dei fiori per un po’, spiegando a Magnus ogni cosa che doveva sapere su quelli che aveva scelto per il bouquet. Alla fine, Alec alzò lo sguardo per guardare Magnus, che aveva il mento appoggiato al palmo e ascoltava attentamente ogni parola che lasciava le sue labbra, e il resto della frase gli morì in gola. C’era qualcosa di affascinante nel modo in cui Alec parlava dei fiori con un tono dolce, gentile, come se stesse cercando di non spaventarli.

“Cosa?” mormorò passandosi una mano tra i capelli con un gesto imbarazzato che fece sorridere Magnus.

“Mi piacciono le persone appassionate,” disse semplicemente. “Sono davvero… ipnotizzanti da ascoltare.”

Alec gli fece un piccolo sorriso storto e mise il bouquet di fronte a Magnus prima di allungarsi dietro di lui per prendere un fiore da un vaso.

“Ecco,” disse porgendogli un bellissimo fiore rosso. “Questo è per te.”

Il sorriso di Magnus era abbastanza ampio da fargli male alle guance. “Grazie! Cos’è?”

“Un’amarillide,” rispose Alec, la mano libera che si strofinava il fianco destro nervosamente.

“Cosa significa?” chiese Magnus.

Le guance di Alec si tinsero di un rosa pallido. “Um. Niente,” disse, troppo in fretta per sembrare davvero sincero. “Penso solo che ti si addica.”

Magnus prese il fiore dalla mano di Alec mettendoselo dietro l’orecchio. “Grazie,” disse di nuovo.

Alec sorrise di rimando e piegò la testa, concentrandosi nuovamente sul bouquet. Si schiarì la gola, spingendolo verso Magnus. “Spero le piaccia,” mormorò.

“Sono sicuro di sì,” esclamò allegro Magnus, mettendo due banconote da venti sul bancone.

Alec fece per protestare ma Magnus lo zittì con un’occhiata tagliente. Allora strinse le labbra e si accontentò di un pacato “è troppo.”

“Ah sì?” chiese Magnus innocente. “Puoi ricompensare offrendomi da bere qualche volta.”

Gli occhi di Alec si scurirono quando Magnus gli fece l’occhiolino, e fece del suo meglio per nascondere la sua sorpresa. Aveva pensato che la sua attrazione non fosse a senso unico ma forse si era illuso.

“Come amici,” aggiunse velocemente, schiarendosi la gola.

Alec sembrava davvero una persona fantastica e Magnus poteva accontentarsi di un’amicizia. Ammirare il sedere dei tuoi amici e sognare le loro braccia era un comportamento totalmente accettabile.

Alec si ammorbidì immediatamente e gli fece un lieve sorriso, annuendo.

____

“Beh, almeno non rovinerai la tua relazione con il nostro vicino avendo un’avventura di una notte con lui per poi non richiamarlo più,” gli disse Clary un paio d’ore più tardi quando ebbe finito di raccontargli cos’era successo, dopo aver finito con il suo cliente.

“Ma è così carino,” si lamentò Magnus, rigirandosi l’amarillide tra le dita. “E avrei giurato che era interessato. Voglio dire, non riesco a capire perché non dovrebbe. E il suo sguardo chiaramente non voleva dire ‘rimaniamo amici’. Significava ‘voglio mangiarti’. Lo so perché il mio sedere stava già tremando al pensiero.”

Clary roteò gli occhi ridacchiando. “Non tutti sono attratti da te Magnus.”

Lui sussultò drammaticamente, fingendosi offeso. “Questo è oltraggioso, biscottino!”

Questa volta Clary rise pienamente, buttando la testa indietro. “Magari non è semplicemente da quel lato.”

“Per favore,” sbuffò Magnus. “È così gay che il mio gay radar va in overdrive solo guardandolo dalla finestra. Cosa che non faccio naturalmente,” aggiunse dopo una riflessione. “Sarebbe strano.”

Clary si avvicinò a dove era disteso sul divano, poggiando una mano confortante sulla sua spalla.

“Lascia stare Magnus,” gli disse. “Vuole che siate amici, quindi sii suo amico.”

Magnus annuì, ma si assicurò di fare il broncio mentre lo faceva, perché era la cosa adulta da fare.

____

Il negozio di Alec era sempre organizzato. Militarmente, secondo Lily, ma a Lily piaceva prenderlo in giro ogni volta che ne aveva occasione, quindi Alec non era sicuro che la sua parola fosse davvero affidabile. I vasi erano organizzati per grandezza e i fiori per colore e gli piaceva così.

Alec era una creatura abitudinaria. Probabilmente era per questo che era così disturbato da Magnus.

Sì. Era l’unica ragione.

Magnus era caos personificato, dalle punte dei capelli che cambiavano colore ogni due giorni alla varietà del suo guardaroba, alla sua completa mancanza di riguardo nel comportamento.

Era sempre gentile e amichevole, ma gli veniva naturale, non come una risposta alle convenzioni sociali come sembrava essere per la maggior parte delle persone.

Magnus era intrinsecamente buono e i suoi numerosi tatuaggi, piercing e particolarità non riuscivano a nasconderlo.

Era snervante e ad Alec non piaceva la confusione. Gli piacevano le cose chiare e precise, organizzate per colore.

Magnus era un’esplosione di colori, probabilmente la ragione per cui stava perfettamente tra i fiori del negozio di Alec.

Il fatto che l’avesse reso un episodio ricorrente non aiutava.

Non sapeva chi fosse la ragazza di Magnus, non l’aveva mai vista, ma sapeva che era fortunata ad aver trovato qualcuno come Magnus, che era chiaramente innamorato di lei e le comprava fiori tre volte a settimana. Finché non la disturbava il modo in cui Magnus sembrava flirtare con altre persone.

“Ciao tesoro,” lo salutò Magnus entrando in negozio quel giorno.

Alec dovette resistere alla tentazione di dirgli che era inutile mettere una maglietta se si vedeva attraverso come quella che indossava. Si accontentò di imprecare tra sé contro il caldo estivo invece. Non c’era più alcun mistero sul tatuaggio che aveva sul pettorale destro, proprio sotto la clavicola – era una bussola, bellissima tra l’altro.

“Ehi Magnus,” replicò Alec. “Un altro bouquet?”

“Sì,” esclamò lui saltando sul bancone per guardare Alec iniziare a scegliere i fiori.

Nell’ultimo paio di settimane era diventata un’abitudine.

Magnus entrava nel negozio di Alec con tutta la sua gloriosa eleganza, chiedeva un bouquet, guardava Alec prepararlo e chiedeva il significato di ogni fiore, ascoltando attentamente mentre Alec si lanciava in una spiegazione approfondita.

All’inizio, Alec aveva pensato che Magnus lo stesse solo assecondando e lo ascoltasse per educazione – o pietà – più che per interesse, ma poi Magnus aveva iniziato a fare domande intelligenti e pertinenti, o a far riferimento a un libro che aveva letto o a un tatuaggio che aveva fatto una volta, e Alec si era reso conto che non aveva mentito quando aveva detto che gli piacevano le persone appassionate.

Magnus si nutriva della passione degli altri e cresceva, sebbene non cercasse mai di renderla propria.

Era affascinante esserne testimoni.

Alec si era chiesto più volte di quanto fosse socialmente permesso se la ragazza o fidanzata o moglie di Magnus – o qualunque cosa fosse esattamente il suo ‘qualcuno di speciale’ – si rendesse conto di quanto era speciale. Alec lo conosceva a malapena da tre settimane e sicuramente lo capiva.

Non che l’avrebbe mai detto a qualcuno.

Il problema dell’avere fratelli era che non avevi bisogno di dirglielo perché loro lo sapessero.

Era nel mezzo di una spiegazione sui vari significati dei papaveri in base al loro colore quando il campanello suonò per accogliere un altro cliente.
Troppo concentrato sul suo compito, Alec non alzò lo sguardo fino a che Magnus non saltò giù dal bancone e si precipitò alla porta di ingresso per tenerla aperta per Max, che manovrò la sua sedia a rotelle dentro con l’agilità di anni di pratica.

“Max! Cosa ci fai qui?”

Max inarcò un sopracciglio. “Non posso venire a trovare mio fratello?” chiese ironicamente. “O ho interrotto qualcosa?”

Alec gli lanciò un’occhiataccia ma non rispose. Max si fermò di fronte a Magnus, stendendo una mano.

“Ciao, mi presento io perché è troppo strano socialmente per pensare di farlo. Sono Max, il fratello più giovane di Alec.”

“Magnus,” rispose con un largo sorriso, “il tatuatore della porta a fianco.”

Max si raddrizzò, gli occhi che si illuminavano. “Hai finalmente deciso di farlo?” indagò girandosi verso Alec con espressione speranzosa.
Alec strinse le labbra, riportando l’attenzione ai fiori davanti a lui.

“No.”

Non poteva vederlo, ma sapeva che Max aveva alzato gli occhi al cielo.

“Sei bravo almeno?” chiese d’impulso Max, e il gemito di rimprovero di Alec fu soffocato dalla risata di Magnus.

“Lo sono,” rispose Magnus semplicemente, ma con fiducia genuina.

“I tuoi hanno qualche significato?” chiese Max, indicando l’inchiostro sulla pelle di Magnus che la sua camicia trasparente non poteva nascondere.

Magnus annuì, un sorriso appena accennato sulle labbra. “Ce l’hanno tutti,” disse.

“Davvero?” chiese Alec senza riuscire a trattenersi, prima di arrossire e chinare la testa.

Voleva chiederlo ma non aveva osato. Sapeva quanto potessero essere personali i tatuaggi.

Max non si faceva questi problemi. “Cos’è quello che hai sulla schiena? Sembra bellissimo.”

“Grazie,” Magnus sorrise luminoso. “Si chiama mandala. È una porta verso la spiritualità nel luogo da cui vengo.”

“Da dove vieni?”

“Max,” intervenne Alec, “smettila di tormentarlo.”

“Va tutto bene tesoro,” gli disse Magnus con un sorriso rassicurante, cui Alec poté solo rispondere con uno storto dei suoi, incapace di trattenersi.
Max sbuffò. “Inoltre, sono sicuro che sei curioso anche tu. Semplicemente non osavi chiedere perché Magnus è troppo figo per riuscire a funzionare correttamente.”

Magnus sorrise, una scintilla maliziosa che si accendeva nei suoi occhi chiari. “Ah sì?”

“Allora il mandala?” chiese Alec, troppo velocemente per suonare innocente quanto sperava.

Magnus sostenne il suo sguardo per un momento e Alec si rifiutò testardamente di guardare altrove, evitando di arrossire un’altra volta. Stava iniziando a diventare ridicolo. Era un uomo adulto che possedeva un negozio e conduceva la sua vita. Poteva gestire un tatuatore con un dolce sorriso, un corpo da paura e occhi furbi.

“È una rappresentazione simbolica di armonia e unità in Indonesia e altri paesi asiatici,” disse Magnus alla fine. “La chiave è trovare l’equilibrio tra i quadrati e i triangoli, nello stesso modo in cui si cerca di trovare l’equilibrio nella vita. Il significato può essere versatile.” Fece una pausa e i suoi occhi scaltri trovarono quelli di Alec ancora una volta. “Proprio come me.”

“Cosa significa per te?” chiese Max, e Alec si permise di deglutire solo quando gli occhi di Magnus si spostarono sul suo fratellino.

“Simboleggia il legame tra me e mia madre,” ammise Magnus, un lieve sorriso che gli addolciva il viso. “Abbiamo disegnato il mio insieme,” aggiunse indicandosi vagamente la schiena.

“Siete molto vicini?” chiese di nuovo Max.

“È la persona che preferisco al mondo,” disse Magnus, i lineamenti che si rilassavano in un’espressione gentile che poteva solo testimoniare la sincerità nelle sue parole.

Perché ovviamente doveva anche essere genuinamente dolce.

“Fanculo la mia vita,” mugugnò Alec sotto voce.

Magnus alzò lo sguardo su di lui, inarcando un sopracciglio. “Mmh? Cos’hai detto?”

“Ho detto ‘sembra stupenda’,” mentì Alec, ignorando l’espressione consapevole di Max dietro la schiena di Magnus.

“Lo è,” confermò Magnus sorridendo, sussultando quando il telefono gli suonò due volte in tasca. Lo tirò fuori, lesse il messaggio e alzò lo sguardo su Alec.”Sembra che debba andare. Clary ha bisogno di una seconda opinione su un disegno. Grazie per i fiori tesoro.”

Alec gli sorrise timidamente porgendogli un’unica calla. “Tieni,” disse, “è l’ultima, non ne farò nulla.”

Il sorriso di Magnus si allargò e prese il fiore, facendoselo scivolare dietro l’orecchio. “Grazie.” Si volse a guardare Max, gli occhi scherzosi che trovavano i suoi. “È stato un piacere conoscerti Max. Se vuoi un tatuaggio, sai dove trovarmi!”

“Ha diciassette anni!” protestò Alec.

“Ne compio diciotto tra sei mesi,” aggiunse Max con un sorrisetto.

Magnus si volse verso Alec con un sorriso innocente. “Errore mio. Non tatuo i minorenni.” Allungò un braccio per prendere un biglietto da visita dalla tasca posteriore dei jeans e gli occhi di Alec non approfittarono del movimento per guardargli il sedere. Assolutamente no.

Magnus porse il biglietto a Max con un occhiolino scherzoso e uscì dal negozio prima che Alec potesse protestare. Non lo fece però, guardandolo andarsene scuotendo la testa sconcertato.

Quando incrociò di nuovo lo sguardo di Max, fu accolto da un sorriso smagliante e un sopracciglio indagatore inarcato.

“Cosa?” mugugnò pulendo il bancone con uno straccio per evitare lo sguardo consapevole del fratello.

“Cos’era quello?” chiese Max.

“Non so di cosa tu stia parlando.”

“Prendi questo fiore, caro vicino che per caso sei anche davvero figo,” disse Max imitando malamente la voce profonda di Alec. “A proposito, questa è una calla e simboleggia bellezza. Cogli il suggerimento e chiedimi di uscire perché io non ho il coraggio di farlo.”

Alec era troppo stupefatto per arrossire. “Non voglio che mi chieda di uscire,” disse mordendosi il labbro inferiore.

Max sbuffò. “Per favore, è decisamente il tuo tipo.”

“Oh,” lo sfidò Alec incrociando le braccia sul petto. “E qual è il mio tipo?”

“Dolce, premuroso, intelligente, con occhi teneri e sedere sodo,” ritorse Max immediatamente, un sorriso di sfida sulle labbra. “E malizioso abbastanza per tenerti teso. Senza doppio senso.”

Alec sbuffò offeso. “Sei troppo piccolo per fare doppi sensi. Torna a giocare con i peluche.”

“Chiedigli di uscire e basta idiota.”

“Non gli chiederò di uscire,” borbottò Alec.

“Perché no? Hai paura che ti dirà di no? Perché il modo in cui ti guarda come se stia esitando tra baciarti e poi chiederti di sposarlo o chiederti di sposarlo e poi baciarti dice un’altra cosa.”

Alec si chiese tra sé cosa potesse mai aver fatto per meritarsi fratelli così terribili.

“Perché ha la ragazza,” ritorse Alec testardamente.

Max sussultò, chiaramente sorpreso. “Davvero?”

Alec annuì una volta. “È venuto a comprarle dei fiori almeno tre volte a settimana.”

“Oh,” disse Max suonando stranamente deluso.

Alec riusciva a capirlo.

____

Quando Magnus aveva detto a sua madre che voleva smettere di lavorare con lei per aprire il suo studio di tatuaggi, non aveva mostrato altro che supporto incrollabile. Non si era neanche arrabbiata quando aveva portato via con sé Clary e Maia. O almeno, così aveva pensato.

Doveva essere arrabbiata. Chiaramente, non vedeva altra ragione per cui non l’aveva avvertito della pazzesca quantità di burocrazia di cui bisognava occuparsi quando si possedeva un negozio.

Downworld Ink – Clary voleva chiamarlo Human Canvas ma suonava troppo una specie di cosa artistica delle avanguardie per Magnus e Simon aveva inutilmente proposto di chiamarlo Tattoine, su cui Magnus aveva immediatamente posto il veto; la proposta di Raphael Ink Inc aveva quasi vinto il favore di Magnus anche solo per l’inusuale gioco di parole del suo solitamente scorbutico amico prima che Catarina non proponesse questo nome – stava crescendo e la loro agenda degli appuntamenti era abbastanza piena. Stava andando anche meglio di quanto Magnus avesse sperato considerando che aveva aperto solo un mese prima, ma significava anche che durante il giorno non aveva tempo per i documenti.

Quando iniziarono ad avvicinarsi le scadenze per pagare le bollette e tutto il resto, non ebbe altra scelta se non alzarsi ancor prima per arrivare prima dell’apertura e occuparsene.

Sentiva sempre la voce di sua madre nella sua testa quando era in moto, che imprecava contro il ‘motore demoniaco’. Gli aveva fatto giurare di non guidare oltre i limiti di velocità un centinaio di volte e Magnus alzava gli occhi al cielo ogni volta ma la assecondava sempre, ed era una promessa che manteneva.

Era un tragitto di soli dieci minuti dal suo appartamento al negozio e Magnus normalmente prendeva la metro, ma aveva voglia di sentire il motore sotto le dita e il vento del mattino che gli passava tra i vestiti e rinfrescava la pelle.

Quando guidava si sentiva libero ed era una sensazione meravigliosa.

Non sapeva cosa si aspettasse esattamente quando alla fine arrivò alla loro piccola strada di Brooklyn ma non era un comitato di benvenuto, non che gli desse davvero fastidio. Aveva immaginato che la pasticceria di Wanda sarebbe stata aperta perché era… beh, una pasticceria, ma non aveva pianificato di vedere Alec e suo fratello Chase così presto la mattina. Buona cosa che il suo trucco fosse a posto e i capelli impeccabili come sempre.

Parcheggiò la moto di fronte al negozio e li salutò quando il suo arrivo attrasse tre occhiate curiose. Sembravano confusi e si rese conto di avere ancora su il casco, così lo sfilò lanciando loro un sorriso prima di scendere.

Sloneczko, devi smetterla di cercare di uccidermi,” lo richiamò Wanda quando li raggiunse davanti alla pasticceria. “Sono una vecchia signora, non posso reggere così tanto sex appeal.”

“Sì Magnus,” si intromise Jace, in un tono che suggeriva più di quanto i suoi occhi dicessero davvero. “Dai una tregua a un uomo.”

Soffocò un grugnito, gli occhi che lampeggiavano per il dolore, ma quando Magnus spostò gli occhi su Alec tutto quello che trovò fu un sorriso innocente e quegli impossibili occhi nocciola.

“Ciao,” disse piano Alec, e Magnus fu tentato di sciogliersi sul posto e finire i suoi giorni in una pozza di brama sul marciapiede. “Bella moto.”

Magnus si mise il casco tra le ginocchia per slacciarsi la giacca. Faceva già caldo nonostante fosse ancora molto presto.

“Trovi?” chiese con un sorriso malizioso. “Devi solo chiedere e ti porterò a fare un giro. Qualunque giro tu riesca a pensare.”

Alec alzò gli occhi al cielo, aggirandolo per andare alla moto. Magnus si mise la giacca sul braccio seguendolo con lo sguardo.

“È la nuova Sixty2 vero?” chiese mantenendo una distanza considerevole dal motore, come se avesse avuto paura che a Magnus avrebbe dato fastidio se si fosse avvicinato di più.

Annuì ma non disse altro. C’era qualcosa negli occhi di Alec, qualcosa come nostalgia e desiderio, ma sparirono velocemente come erano venuti.
Alec si schiarì la gola, raddrizzandosi e tornando dal fratello.

“Bella moto,” disse di nuovo, sembrando improvvisamente molto a disagio.

Sollevò una mano alle costole sul suo fianco destro e cominciò a sfregarsele ma Jace allungò una mano stringendogli gentilmente il polso per fermarlo.

Magnus si accigliò e aprì la bocca per dire qualcosa, qualunque cosa. “È ora della nostra corsa mattutina,” disse in fretta Jace prima che potesse farlo, trascinandosi dietro Alec.

Magnus li guardò allontanarsi fino a che non sparirono dietro l’angolo, poi si volse verso Wanda con un’espressione sconcertata sul volto. “Cos’era quello? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”

C’erano anni di saggezza nei suoi occhi quando parlò. “No sloneczko. Non hai fatto nulla di sbagliato.”

____

Successe di domenica.

Alec aveva sempre amato le domeniche.

Non perché non c’era scuola – sebbene in parte fosse per quello, perché per quanto avesse sempre amato imparare, essere un ragazzo gay non dichiarato in una scuola privata come l’Istituto non era stato così semplice – ma per la tradizione che circondava le domeniche nella famiglia Lightwood.

Di domenica prendevano il pickup del padre prima di pranzo e andavano nei boschi. Era un’esperienza diversa per tutti loro ma Alec sapeva che non era l’unico ad amarle profondamente.

Per Jace, era un’opportunità per correre nei boschi, rendendo la natura il suo parco giochi e gli alberi i suoi compagni di allenamento. Correva, si arrampicava, spingeva il suo corpo al limite, ma Robert c’era sempre stato quando aveva bisogno che qualcuno lo rallentasse.

Izzy era per l’aspetto scientifico della natura, scoprire la biologia attraverso gli organismi viventi che li circondavano. Anche da bambina portava il suo kit da piccolo chimico osservando le foglie, gli insetti e la terra con il microscopio portatile che le avevano comprato i loro genitori.

Alec era più un’anima poetica dei suoi fratelli. Amava i boschi per la loro bellezza eterea. Di domenica cercava un angolo tranquillo e guardava il giorno invecchiare e la natura intorno a lui rimanere non curante dal sole che scendeva sotto le cime degli alberi. Guardava i fiori sbocciare, illuminati dalla luce del sole che filtrava attraverso le foglie e i rami. Il bosco non era mai silenzioso, ma era più calmo di New York e lì poteva pensare meglio. Lì, era in pace.

Poi avevano avuto l’incidente e le domeniche persero il loro fascino.

Neanche i fiori gli portarono pace dopo di allora.

____

Magnus fece il suo primo tatuaggio quando aveva diciannove anni.

Crescere guardando sua madre colorare i corpi di perfetti sconosciuti era solo servito a fargli desiderare di provarlo su di sé. Condividere questa passione con lei non era stato abbastanza per convincerla prima però, ed aveva sempre rifiutato di lasciare che se ne facesse uno. Quando aveva compiuto diciotto anni aveva dovuto affrontare il fatto che l’idea gli era rimasta e si era fissata irrimediabilmente nella sua mente.

Allora era iniziato un lungo processo di negoziazioni. Fu solo quando le menzionò il mandala che iniziò a cambiare idea. Dovette spiegarle a fondo cosa significava davvero per lui, quanto fosse importante, ma anche allora era riluttante.

“Sei troppo giovane,” ripeteva ogni volta.

“Ho diciotto anni,” diceva lui. “Posso farmelo fare da qualcun altro se voglio, ma voglio che sia tu.”

“Non ho bisogno che tu mi abbia come inchiostro permanente sulla tua pelle per sapere che mi vuoi bene tesoro,” ribatteva lei.
Magnus alzava gli occhi al cielo con la forza che solo gli adolescenti avevano. “So che tu non ne hai bisogno. Io sì.”

“Barbara,” era intervenuto Charles. “È tuo figlio. Non c’è bisogno di discutere con lui, è testardo quanto te. Fallo e basta.”

Magnus non era mai stato più grato dell’esistenza del suo patrigno.

“E va bene,” aveva sospirato lei allungando una mano. “Fammi vedere cos’hai.”

Avevano lavorato al mandala insieme, disegnando linee, scambiando opinioni e consigli e alla fine, era perfetto. Perché non simboleggiava solo il loro legame, ne era anche la prova.

Magnus non aveva mai rimpianto nessuno dei suoi tatuaggi, ma questo lo amava particolarmente.

La cosa che nessuno sapeva quando si faceva un tatuaggio però, era quanto potesse dare dipendenza.

Era per questo che Magnus aveva deciso molto presto che i suoi tatuaggi avrebbero dovuto avere un significato.

“Da dove viene questa ossessione per i fiori?” chiese sua madre sbirciando da sopra la sua spalla per osservare il suo blocco.

Magnus corrugò il naso e si appoggiò al divano per guardarla. “Sto imparando molto sui fiori ultimamente.”

“Ciò che intende, Baboo, è che il negozio di fianco a Downworld è un fioraio e il proprietario è un figo, così per caso sta passando molto tempo lì,” si intromise Simon. Era seduto su uno sgabello vicino al bancone della cucina e stava aiutando Charles a tagliare limone e zenzero per la cena.

“Pura coincidenza,” confermò Magnus lanciando a Simon un’occhiata di disapprovazione.

“Quindi è per questo che mi stai regalando tutti questi fiori!” esclamò Barbara, ma c’era solo divertimento nel suo tono.

“Ti sto regalando fiori perché ti meriti tutti i fiori del mondo,” controbatté Magnus, ed era una bugia solo per metà. “E non ne ricevevi abbastanza.”

“Ehi!” protestò Charles, gli occhi scuri che scattavano sul figliastro. “Non cercare di dare la colpa a me se tu hai una cotta figliolo.”

“Non ho una cotta!” squittì Magnus.

Clary sbuffò dal divano di fronte, dove stava coccolando Presidente Miao. “Per favore.”

Barbara si lasciò cadere sul divano di fianco a Magnus, una scintilla maliziosa che le illuminava gli occhi castani. “Allora, com’è? Come si chiama?”

Magnus non rispose, ignorando volutamente lo sguardo indagatore di sua madre.

“Andiamo!” lo incitò lei stuzzicandogli e costole. “Com’è fatto?”

“Si chiama Alec,” mormorò Simon mangiando delle patatine – era per questo che normalmente non gli era permesso entrare in cucina. “È alto, capelli scuri e bellissimo. Barba, capelli trasandati, occhi nocciola. Anche un bel sedere. È abbastanza da sogno, ad essere onesti.”

“Sei sicuro di non essere tu ad avere una cotta?” borbottò Magnus sotto voce.

“È anche molto dolce e gentile,” si inserì Clary. “E intelligente. Proprio il tipo di Magnus.”

“Ehi, tu non puoi parlare! Ti ho visto ammirare il biondino,” affermò Magnus, perché gli era sempre stato detto che la miglior difesa è l’attacco.

“Anche lui è figo,” commentò Simon alzando le spalle.

“Sei davvero fortunato che Raphael non è qui stasera,” disse Charles puntandogli contro il coltello che aveva in mano.

Simon controbatté che stava solo affermando l’ovvio e la conversazione deviò da lui per concentrarsi su Simon. Non fu abbastanza da distogliere l’attenzione di sua madre però.

“Siamo solo amici,” disse Magnus riluttante quando si rifiutò di distogliere lo sguardo. “Forse.”

“Magari dovresti iniziare con quello allora,” disse mettendogli gentilmente una mano sul braccio, appena sopra il suo tatuaggio.

E se c’era un’unica persona che Magnus ascoltava sempre, era sua madre.

____

Venne fuori che essere amico di Alec non era assolutamente difficile.

Magnus rallentò con i fiori, perché l’appartamento di sua madre iniziava ad assomigliare a una serra, ma continuò ad andare nel negozio di Alec abbastanza spesso, anche solo per una chiacchierata veloce.

Alec era sembrato cauto all’inizio, quando Magnus aveva mostrato sincero interesse per la sua vita invece che per i fiori. Aveva stretto le labbra, le sopracciglia corrugate per la circospezione, ma Magnus gli aveva assicurato che non doveva dire nulla che non fosse a suo agio nel dire ed era sembrato rilassarsi.

Per tutta la sua riluttanza a parlare di sé, Alec poteva andare avanti ore a parlare dei suoi fratelli. A Magnus non dava fastidio. Quando parlava di loro, l’intero viso di Alec sembrava addolcirsi e anche il cipiglio che aveva quando menzionava l’avventatezza di Jace o la vita sentimentale apparentemente disastrosa di Izzy non riusciva a nascondere l’affetto sottostante. Quando parlava di Max, era sempre per lodarlo, la sua intelligenza, la sua gentilezza, il suo senso dell’umorismo – per quanto sfrontato a volte, a sentire la loro madre – e il suo coraggio. C’era sempre un accenno di nostalgia nel suo tono quando parlava del fratello minore, una punta di rimpianto che Magnus non capiva, ma non cercava mai di andare a fondo.
A volte Lily si univa a loro e a Magnus iniziò a piacere anche lei. Era sfacciata ma premurosa in modi che erano invisibili agli occhi.

Quando tornava dalla pausa pranzo sapendo che Magnus sarebbe stato lì portava sempre un pasticcino dalla pasticceria di Wanda e un caffè anche per lui, con l’esatta quantità di zucchero che gli piaceva.

Non faceva mai sentire Magnus sgradito, non importava quante volte si presentava in negozio senza avvertire, ma lo accoglieva sempre con un sorriso, che diventava diabolico tutte le volte che arrivava quando Alec stava spostando vasi pesanti, la pelle che luccicava leggermente per il sudore e i capelli più arruffati del solito.

Non passava mai troppo tempo nel negozio se Magnus era lì però, scegliendo invece di prendere il volo dalla porta. Alec aveva detto a Magnus che sospettava che avesse una cotta per Maia, e dopo aver studiato Maia dopo essere tornato allo studio, Magnus era propenso a pensare che la cotta di Lily fosse reciproca, se le guance arrossate e il piccolo sorriso inconsapevole erano qualcosa cui fare affidamento.

Quando non erano i suoi fratelli o Lily, Alec parlava dei suoi genitori. Di suo padre, che gli aveva trasmesso la passione per i fiori, che portava ancora i figli a fare escursioni per una settimana ogni estate nonostante non fossero più bambini. Parlava meno della madre perché chiaramente non andavano d’accordo, ma Magnus non chiese.

Scoprì che quando Alec voleva parlare, parlava liberamente, ed era inutile fare domande perché era abbastanza preciso da riempire da solo i vuoti che voleva chiedere. Alec chiedeva però, della famiglia di Magnus, del suo studio, della sua vita.

Era una tranquilla giornata di Agosto quando Magnus finalmente osò porre la domanda che gli bruciava sulle labbra. Si erano avvicinati molto allora. Alec sapeva tutto degli amici di Magnus e del suo gatto, che era già molto, e Magnus aveva sentito tutto del periodo goth di Jace.

Così esitò solo brevemente prima di chiedere “come mai tutti questi acchiappasogni?”

Alec, che era quasi sdraiato sulla sedia, le lunghe gambe allungate con i piedi appoggiati al bancone, si immobilizzò mentre firmava dei documenti che aveva in grembo, alzando lo sguardo su Magnus con un sopracciglio inarcato.

I suoi occhi vagarono per il negozio. Gli acchiappasogni erano sparsi un po’ ovunque, aggiungendo un senso di pacifica armonia ai fiori. Il più grande era dietro al bancone, proprio di fianco alla porta sul retro, grandi piume marroni che pendevano da un intricato cerchio in salice.

Alec si morse il labbro inferiore. “È una cosa tra me e Max,” disse semplicemente.

Per allora, Magnus aveva imparato che Max non era sempre l’argomento di conversazione preferito di Alec. C’erano cose della loro relazione che Magnus ignorava, perché Alec aveva evitato di parlarne di proposito. I suoi occhi sembravano distanti in quei momenti, proprio come adesso.
“Non devi dirmelo,” disse subito, afferrando il bordo del tavolo di legno su cui era seduto non avendo di meglio da fare con le mani.

Alec scosse le spalle e la sua mano si alzò a strofinare il suo fianco destro. “Diciamo solo che abbiamo entrambi avuto incubi per un po’,” mormorò con aria assente. “Le leggende dicono che filtrano i sogni cattivi e permettono solo ai sogni buoni di entrare nella tua mente. Immagino che abbiamo trovato un po’ di conforto in essi.”

Magnus sorrise, più dolcemente di quanto si aspettasse.

“E come vanno adesso gli incubi?”

Gli occhi di Alec furono tormentati per un secondo, ma fu troppo veloce perché Magnus potesse davvero ragionarci. Quando Alec lo guardò di nuovo quello sguardo era sparito e restava solo un sorriso contrito, piccolo ma comunque da togliere il fiato.

“Non se ne vanno mai del tutto,” disse, e i suoi occhi portavano una saggezza che andava oltre gli anni. “Ma diventano meno… opprimenti con il tempo.”

Chinò la testa ma Magnus pensava non si fosse reso conto di averlo fatto. I suoi occhi erano persi nel vuoto e per un po’ fu come se avesse dimenticato che Magnus era lì. La sua mano stava ancora strofinando le costole e Magnus fu tentato di replicare il modo in cui una volta aveva visto Jace fermarlo, ma non osò.

Invece saltò giù dal bancone, facendo uscire Alec dalla sua trance con efficacia, e piegò la testa per incontrare i suoi occhi.

“Spero che trovi quella pace presto,” disse con un dolce sorriso. “A volte è solo questione di lasciar andare e andare avanti.”

Alec si accigliò. “Perché parli come se sapessi esattamente di cosa stai parlando?”

Magnus inspirò a fondo dal naso, infilandosi le mani in tasca in un vano tentativo di sembrare indifferente. “Mi sarebbe servito uno di questi una volta,“ disse indicando l’acchiappasogni sul muro con il mento. “Sono abbastanza certo che la mia ex ragazza sia la ragione per la quale sono stati inventati.”

Alec sbuffò e i suoi occhi erano limpidi ora, le labbra incurvate nel principio di un sorriso.

“Così male eh?”

“Peggio,” gli assicurò Magnus con un gesto di indifferenza.

Il campanello all’ingresso suonò per segnalare un nuovo arrivo e Magnus si girò appena in tempo per vedere Isabelle in tutta la sua gloria che navigava nell’ambiente di Alec come se lo conoscesse a memoria, i suoi tacchi alti che risuonavano sul pavimento con drammatica gravità.

“Magnus!” esclamò sorridendo. “Proprio l’uomo che stavo cercando!”

“Wow, grazie Iz,” borbottò Alec, ma era troppo pieno di affetto perché suonasse altro che sconcertato.

Isabelle roteò gli occhi, girando intorno al bancone per dare un bacio sulla guancia al fratello prima di girarsi di nuovo verso Magnus. “È il compleanno di Jace e andiamo fuori stasera,” disse. “Non ha invitato Clary perché lui è troppo volubile e lei lo spaventa. Dev’essere una cosa tipica degli uomini Lightwood.”

“Izzy,” ringhiò Alec, ma lei lo ignorò regalmente.

“Sto invitando il magnifico te perché lui non lo farà," disse invece a Magnus, indicando suo fratello con il mento, “se potessi portare anche Clary sarebbe fantastico.”

“Vedrò cosa posso fare,” rispose Magnus con un sorrisetto, “mandami i dettagli.”

Le fece l’occhiolino, salutò Alec e si fece strada fuori dal negozio con tutta la gloria che riuscì a raccogliere.

Ebbe appena il tempo di sentire Alec esclamare “da quando hai il suo numero?” e la risposta impudente di Isabelle “perché caro fratello? Sei geloso?” prima che la porta si chiudesse dietro di lui.

____

Poiché Jace amava le discoteche tanto quanto Alec, avevano deciso per un bar, nonostante gli innumerevoli tentativi di Isabelle di trascinarli nell’ultima discoteca che voleva tanto provare. Avevano fatto un compromesso e Alec era abbastanza certo di aver preso la parte peggiore dell’accordo.

Il bar era pieno e la musica abbastanza alta da riempire la sala con un’elettricità che si nutriva dei sorrisi estatici e dei corpi sudati. L’unica ragione per cui Alec riusciva a vedere il bancone era la sua altezza. Almeno Isabelle era arrivata presto, che significava che avevano un tavolo per loro, anche se piccolo.

A Jace non sembrava importare, perché implicava che Clary era schiacciata contro di lui, il suo migliore amico nerd ed eccessivamente entusiasta all’altro suo lato con il suo ragazzo scorbutico e impassibile vicino. Alec trovava conforto nel fatto che Raphael sembrava felice di essere lì quanto lui.

Almeno avevano della birra buona, pensò Alec non per la prima volta.

“Mi dispiace per il ritardo.” Vicino a lui risuonò una voce vellutata e armoniosa e Alec si immobilizzò, inumidendosi le labbra in un riflesso che era troppo tardi per evitare.

I suoi occhi scattarono su Magnus e il fiato gli si fermò in gola.

Era leggermente senza fiato, come se avesse corso per arrivare lì, ma Alec non aveva dubbi che fosse perché aveva dovuto farsi strada tra la folla. I suoi occhi erano contornati con abilità con il kajal e serviva solo a sottolineare la scintilla diabolica che mostravano spesso. Indossava una camicia bordeaux sotto un blazer blu scuro che andava perfettamente con le ciocche di capelli che aveva tinto, ma solo tre bottoni erano allacciati davvero – Alec aveva contato, perché era meticoloso se non altro – e la liscia pelle bronzea del petto era esposta, la punta della bussola del suo tatuaggio che spuntava dal tessuto. Una miriade di collane gli copriva il petto fino all’ombelico, coordinate agli anelli sulle dita.

Se avesse incontrato Magnus quella notte, se fossero stati due sconosciuti che si incontravano per caso in un bar affollato, Alec non aveva dubbi sul fatto che non avrebbe esitato a portare Magnus a casa per la notte – se non si fosse reso troppo ridicolo ovviamente.

Alec era realmente fottuto.

“Lo sei però?” chiese Raphael poco convinto, i suoi occhi scuri fissi irremovibilmente in quelli di Magnus.

Magnus sorrise e scivolò nella poltrona di fianco a quella di Alec, mettendo il casco sul tavolo prima di allungarsi verso Raphael per prendergli il drink di mano e finirlo in un sorso. Alec decise di concentrarsi sulla reazione infastidita ma in qualche modo sconfitta di Raphael invece che sulla gola di Magnus mentre lo faceva.

“Dispiaciuto o in ritardo?” replicò Magnus una volta finito, le labbra incurvate in uno dei suoi tipici sorrisi.

Era così maledettamente attraente che Alec decise di concentrarsi per arrotolarsi le maniche della camicia e prendersi il suo tempo per farlo.

Isabelle ridacchiò e se era a spese di Alec o per il battibeccare di Magnus e Raphael non ne era sicuro.

“Ma ad essere sinceri,” continuò Magnus con un gesto, “per il mio ultimo cliente mi è servito più tempo del previsto perché ha deciso all’ultimo momento che voleva che aggiungessi qualcosa al tatuaggio e poi ha insistito per offrirmi un caffè per ringraziarmi, e poi dovevo andare a casa a farmi una doccia e cambiarmi perché, che ci crediate o no, uno non arriva in tempo se vuole apparire favoloso quanto me.”

Raphael si chinò in avanti, stringendo gli occhi. “Favoloso o no, mi devi un drink.”

Magnus sbuffò ma si alzò. “Offro io,” disse prima di afferrare il braccio di Alec per tirarlo in piedi prima che potesse protestare. “Vieni con me Alexander, ho bisogno di te per farmi strada tra la folla e portare i drink di nuovo qui.”

Alec si accigliò. “Perché io?” chiese, ma erano già a metà strada verso il bar.

“Perché sei ridicolmente alto e quel tuo adorabile sguardo arrabbiato farà scappare chiunque cerchi di invadere il mio spazio personale mentre ordino da bere,” disse stringendo le labbra mentre rifletteva prima di fare l’occhiolino ad Alec. “Avrei potuto prendere Raphael ma la tua compagnia è molto più piacevole.”

“Non hai detto che è il tuo migliore amico?” chiese Alec dubbioso.

“Oh lo è,” annuì Magnus. “Migliore amico d’infanzia. Abbiamo tatuaggi uguali e tutto.”

“Ma passate il tempo a lamentarvi l’uno dell’altro,” disse Alec, più come un’affermazione che come una domanda.

“Esatto.”

Alec guardò mentre Magnus si sporgeva sul bancone per attirare l’attenzione del barman. La sala sembrava girare intorno a lui, la luce che rifletteva sul glitter sulla sua pelle facendolo splendere. Sembrava che appartenesse a quel luogo e Alec rifletté che probabilmente era così.

Non pensava ci fosse un luogo nel mondo che Magnus non potesse conquistare solo con il suo malefico carisma.

Ordinò i loro drink e si girò di nuovo per guardare Alec, che lo stava fissando abbastanza palesemente. Imprecò tra sé, uscendo dallo stordimento.
Magnus aveva una ragazza e Alec portava un bagaglio emozionale troppo pesante per chiunque eccetto che per se stesso.

Rilasciò un profondo sospiro e si appoggiò al bancone, alzando due dita per attirare l’attenzione del barman.

“Shot. Vodka,” disse velocemente, e il ragazzo inarcò un sopracciglio ma lo servì, mettendo due bicchieri di fronte a loro.

Alec buttò giù il primo in un secondo.

“Tesoro stai bene?” chiese Magnus con dolcezza, la fronte aggrottata in un’espressione preoccupata adorabile.

Alec stava davvero iniziando a padroneggiare quella cosa di urlare internamente. “Sì,” disse senza fiato, e buttò giù il secondo shot.

____

“Stai cercando di convincerlo telepaticamente a trascinarti nel vicolo sul retro così che puoi fotterlo? Perché puoi fissarlo quanto vuoi, probabilmente non succederà.”

Magnus roteò gli occhi e fece il dito medio a Raphael, spostando gli occhi da Alec per fare il broncio al suo migliore amico. “Non si è rasato Raphael,” disse con ovvietà. “Sai quanto sono deboli le mie ginocchia adesso?”

“Non dovreste essere amici adesso?”

“Lo siamo,” disse Magnus annuendo con forza, probabilmente più per l’alcool che gli scorreva nelle vene che per reale entusiasmo. “Questo non significa che ha magicamente smesso di essere attraente.”

Raphael sospirò scuotendo la testa. “Perché non gli chiedi semplicemente di frequentarvi?”

Magnus si accigliò e strofinò le dita. “Io non frequento.”

“E ciononostante, non vuoi semplicemente fottertelo e dimenticartene,” disse Raphael. “Lui ti piace. Por el amor de Dios, lo ascolti anche quando parla di fiori per ore.”

“Sono interessanti,” ribatté Magnus. “Sapevi che i bulbi dei tulipani possono sostituire le cipolle per-”

“Non mi interessa,” borbottò Raphael. “Non puoi rimanere con la paura per sempre Magnus. Non tutti sono -”

“Non farlo,” ringhiò Magnus, improvvisamente molto più sobrio, lo sguardo impassibile. “Non farlo e basta.”

Raphael sospirò alzando entrambe le mani in segno di resa. “Sto solo dicendo che dovresti dargli una possibilità, una vera.”

“Non è neanche interessato,” disse Magnus afferrando i loro bicchieri riempiti dal barman. “Si chiude completamente ogni volta che flirto con lui.”

“Per favore,” sbuffò Raphael prendendo il suo Margarita dalle mani di Magnus. “Ti guarda come se non gli dispiacerebbe assolutamente se lo trascinassi nel vicolo suo retro per fottertelo, purché tu gli prepari la colazione la mattina dopo.”

“Sono un ottimo cuoco,” sottolineò Magnus proprio mentre raggiungevano di nuovo il tavolo, e quello fu la fine di quella conversazione.

Le guance di Alec erano un po’ arrossate per l’alcool ma almeno era ancora presente a se stesso, al contrario di Jace e Simon che erano occupati a disegnare sui tovaglioli, ridacchiando l’uno con l’altro. Clary, Lily e Isabelle erano andate a ballare un po’ di tempo prima e non davano segno di voler tornare.

Magnus scivolò nella poltrona vicina a quella di Alec con tutta la grazia che riuscì a mantenere e osservò in silenzio mentre Jace e Simon continuavano a disegnare prima di fermarsi di scatto, mettendosi i tovaglioli in faccia.

Magnus batté le palpebre. “Cosa state facendo?” chiese, senza preoccuparsi di nascondere il suo scetticismo.

“Ci stiamo facendo dei tatuaggi,” esclamò Simon biascicando. “Li abbiamo disegnati noi. Puoi tatuarci?”

Magnus fissò la macchia che apparentemente Simon aveva disegnato. “Non faccio tatuaggi alla gente ubriaca. E soprattutto, non tatuo questo tipo di orrore. Quello che faccio è arte Simon.”

“So quando sei ubriaco perché sono le uniche volte in cui mi chiami con il mio vero nome,” commentò impassibile Simon ad alta voce, scegliendo saggiamente la ritirata.

“Dovresti farlo,” si inserì Alec, e Magnus volse la testa a guardarlo. Aveva un’espressione giocosa in volto. Gli stava bene. “Non vedrei l’ora di vedere Jace cercare di spiegare ai nostri genitori perché ha -” fece una pausa, afferrando il tovagliolo di Jace per studiare il disegno, “- un cane? Un uccello?”

“È una tartaruga!” esclamò Jace. “Perché sono forti amico. Vivono la loro vita e non disturbano nessuno.”

“Per favore fallo,” sussurrò Alec tornando a rivolgersi a Magnus. “Sarei per sempre in debito con te.”

Magnus rise. “Non tatuo la gente ubriaca,” ripeté. “Ho una certa etica.”

Alec fece il broncio, i suoi grandi occhi nocciola che brillavano per la delusione – e decisamente anche l’alcool.

“In più, preferirei tatuare te,” gli disse Magnus, e fu abbastanza perché la delusione diventasse perplessità, perché inarcò un sopracciglio. “Voglio dire, mi piacerebbe pungerti con il mio ago,” mormorò con un sorrisetto. “Gentilmente.”

Alec sbuffò, l’angolo delle labbra che si sollevava, e si passò una mano sulla barba. Magnus era molto tentato di fare lo stesso.

“Pensaci,” disse Magnus con un occhiolino. “La cosa migliore è che sarebbero i tuoi fratelli a pagare.”

Alec si accigliò, confuso, e Magnus si accorse del suo errore.

Avrebbe potuto farglielo ignorare, trovare qualche scusa, ma Jace aveva sentito ed evidentemente Jace ubriaco non era sottile.

“Magnus,” sibilò in un tentativo fallito di sussurrare. “Non dirglielo.”

“Sono letteralmente qui,” disse impassibile Alec. “Ti sento. Di cosa sta parlando Magnus?”

Poiché naturalmente, un Lightwood ubriaco non era abbastanza, Isabelle, Lily e Clary scelsero quell’esatto momento per tornare al tavolo. Isabelle scivolò nella poltrona di fianco a Magnus, spingendolo ancor più contro suo fratello maggiore, e si allungò per rubare la birra di Alec.

“Izzy,” ringhiò Alec. “Perché paghereste Magnus per tatuarmi?”

Isabelle tossì sul sorso di birra lanciando un’occhiata assassina a Jace. “Gliel’hai detto?”

“No! È stato Magnus!”

“Non l’ho fatto,” protestò Magnus, “mi è sfuggito qualcosa e Jace l’ha peggiorato. Non sapevo fosse un segreto!”

“Ti avevamo detto che te l’avrebbe chiesto lui dopo!” ribatté Jace.

“Questo non significa che non lo sapesse già!” ritorse Magnus. “Come faccio a sapere che non gliel’avevate detto quando siete venuti a parlarmi offrendovi di pagare per il suo tatuaggio?”

“Non lo so,” sputò Jace. “Usa il cervello! Non riesce neanche a chiederti di -”

“Basta,” scattò Alec, e il tavolo piombò nel silenzio.

Quando i suoi occhi trovarono i fratelli erano impassibili, una calma mortale che annunciava indubbiamente una tempesta in arrivo.

“Ricominciamo,” disse con calma. “Siete andati da Magnus alle mie spalle per chiedergli di tatuarmi?”

“Siamo andati da Magnus per vedere se il suo lavoro era abbastanza buono per te,” provò Isabelle.

“Lo era,” disse Jace annuendo entusiasta.

Alec fletté la mascella stringendo i denti. “Perché cazzo pensavate di avere il diritto di farlo?”

“Perché tu non l’avresti mai fatto,” replicò Jace, con una mancanza di tatto che Magnus attribuì all’alcool. “Sei spaventato e lo capiamo ma sappiamo che vuoi farlo e -”

“Voi non sapete niente,” scattò Alec, con abbastanza forza che sia Isabelle sia Jace sussultarono sul posto. “Pensate che voglia disperatamente andare avanti ma non vi è mai passato per la mente che non voglia farlo? O magari semplicemente non posso?”

“Alec,” lo chiamò piano Isabelle, la voce rotta che faceva contorcere lo stomaco come lo sguardo tormentato negli occhi nocciola di Alec.

Lui sbuffò e si alzò in piedi, volgendo gli occhi glaciali su Magnus e sua sorella. “Alzatevi,” domandò, e Magnus era troppo stupefatto per discutere. Uscì dallo stordimento solo quando si rese conto che i suoi fratelli erano troppo sgomenti per seguirlo. Magnus sbuffò, spingendo tra la folla per seguirlo. Dovette correre per tenere il passo e si trovò a maledire le sue gambe lunghe per la prima volta.

“Alexander,” lo chiamò una volta usciti e lontani dall’orda soffocante di corpi sudati. “Alec!”

Non si volse, le spalle una linea tesa, e Magnus accelerò per raggiungerlo, afferrandogli il braccio per fermarlo. “Andiamo, lascia almeno che ti dia un passaggio a casa.”

Alec si immobilizzò, voltandosi per fronteggiarlo. I suoi occhi erano in tempesta adesso e Magnus guardò le sue emozioni modificarsi attraverso il suo sguardo, ipnotizzato. C’era confusione, dubbio, dolore, così tanto dolore che era abbastanza da togliergli tutta l’aria dai polmoni.

Durò solo un secondo.

Alec liberò il braccio dalla sua presa. “Non sei meglio di loro,”ringhiò duramente. “Questo è tutto un gioco per te?”

Magnus batté le palpebre, la bocca che si spalancava. “Cosa? Certo che no!”

Alec sbuffò. “Hanno detto tutta la storia anche a te?” ringhiò. “È per questo che stai flirtando con me anche se sappiamo entrambi che non porta da nessuna parte? Hai pietà di me?”

“Alexander -”

“Risparmiatelo,” scattò Alec freddamente. “Non voglio sentirlo. Vai a giocare con i sentimenti di qualcun altro.”

A Magnus ribollì il sangue e si piantò le unghie nei palmi nel tentativo di calmare la rabbia improvvisa. “Chi cazzo credi di essere?” disse a denti stretti. “So che sei incazzato ma non è una scusa per trattarmi come -”

“Fatti da parte,” disse Alec, e si girò andandosene.

Magnus non cercò di fermarlo.

____

Alec si svegliò con un violento mal di testa, il telefono che vibrava per i messaggi che scelse di ignorare e un bruciore maledetto al fianco destro.
Gemette e si trascinò in cucina, inghiottendo due aspirine e un bicchiere d’acqua, per poi sospirare al suono del campanello che gli tormentava le orecchie. Non poteva essere Isabelle, perché non si sarebbe disturbata a suonare il campanello, e sapeva che era troppo presto perché Jace fosse alzato.

Si passò una mano sul volto stanco e trattenne uno sbadiglio aprendo la porta, sussultando per la sorpresa alla vista di Max.

“Ehi Max. Cosa ci fai qui?” chiese, senza preoccuparsi di nascondere la sorpresa.

“Dobbiamo parlare,” annunciò Max, con molta più gravità di quanto Alec fosse disposto a sopportare alle nove di mattina di domenica.

Si spostò di lato per far passare Max. Quando Alec aveva comprato l’appartamento si era assicurato che avesse gli spazi abbastanza ampi perché Max potesse muoversi con la sedia a rotelle senza troppi problemi. Fu più difficile di quanto avrebbe dovuto, ma alla fine aveva trovato il posto perfetto, dopo mesi di ricerche.

“Vuoi la colazione?” chiese seguendo Max in cucina.

“Siediti,” disse Max, con un tono che non lasciava spazio ad argomentazioni.

Alec si accigliò ma obbedì, non prima di aver acceso la macchinetta del caffè. Qualcosa gli diceva che avrebbe avuto bisogno di un caffè. O di dieci.

“Allora, io parlo e tu stai zitto e ascolti,” iniziò Max senza distogliere lo sguardo, lanciandogli un’occhiata di sfida. Fece una pausa e aspettò che Alec annuisse prima di continuare. “Jace e Izzy mi hanno chiamato ieri notte.”

“Cosa?” sputò Alec. “Non posso creder-”

“Zitto e ascolta,” ripeté Max con fermezza.

Alec chiuse bruscamente la bocca, la mano che andava a strofinare il fianco destro.

Max seguì il movimento con gli occhi, sospirando. “So che ti senti in colpa, non importa quante volte ti abbia detto di non farlo. Ti abbiamo guardato incolparti per anni e vogliamo solo che tu vada avanti. Non sto cercando di invalidare i tuoi sentimenti. Il tuo senso di colpa è molto reale ma la base di esso, Alec… è solo nella tua mente. Non è colpa tua. Niente di questo è colpa tua.”

“Ho scelto io di prendere la moto,” lo interruppe Alec, incapace di fermarsi. “Se non avessi-”

“Allora forse sarebbe successo un’altra volta,” disse Max scuotendo la testa. “Avremmo potuto scivolare su un po’ di ghiaccio in inverno. Saremmo potuti finire contro un albero in primavera. Avremmo potuto cercare di evitare un cervo in autunno. Ma non l’abbiamo fatto. Non l’abbiamo fatto. È successo allora e in quel luogo e non c’è niente che nessuno di noi possa fare per cambiarlo. Quello che possiamo fare è metterlo nel passato e andare avanti però. Se questo significa coprire le cicatrici che possiamo coprire, allora perché no.”

Alec premette i palmi contro le palpebre, mordendosi il labbro inferiore ma tenendo la bocca sigillata.

“Alec,”lo chiamò Max piano. “So che vuoi farlo. Jace e Izzy sanno che vuoi farlo. Quindi cos’è che ti ferma?”

Alec scosse la testa, le parole che si rifiutavano di lasciare le sue labbra nonostante ogni stimolo, nonostante quanto desiderasse riuscire a esprimere i suoi dubbi, ad ammettere ad alta voce quali demoni si nutrivano delle sue preoccupazioni.

“Alec.” Max gli toccò un ginocchio.

“Perché non è giusto nei tuoi confronti!” esclamò alla fine, il cuore che gli balzava in gola.

Max sobbalzò, battendo le palpebre per la sorpresa. Per un po’ ci fu silenzio.

Se l’era fatto sfuggire, aveva pronunciato quelle parole, e ora il silenzio gli pesava sulle spalle come un coltello affilato, immobilizzandolo per la paura. Gli penetrava nel cervello, paralizzando la sua mente, e le sue mani tremavano ma non poteva muoversi. Riusciva appena a respirare.

Allora, Max uscì dal suo sconcerto, solo per colpirlo duramente dietro la testa.

“E cosa suggerisci?” scattò Max, chiaramente arrabbiato adesso. “Dovremmo rompere anche le tue rotule? Pensi sia questo che voglio?”

“C-cosa?” disse Alec senza fiato, impallidendo. “No, certo che no.”

Max sembrò calmarsi di fronte all’espressione stupefatta del fratello e sospirò, guardandolo gravemente. “Pensi che io sia triste Alec? Ti sembro infelice?”

“N-no.”

Max sorrise, un sorriso piccolo, dolce, che parlava più delle parole.

“Allora non c’è ragione per cui dovresti trattenerti dal fare qualcosa che potrebbe aiutarti a sentirti meglio con te stesso,” disse Max. “Fallo e basta. Iz e Jace mi hanno detto che hanno visto alcuni dei lavori di Magnus e che ha lavorato sulle cicatrici prima.”

Lo stomaco di Alec si chiuse alla menzione di Magnus. “Dubito che accetterebbe ancora di farlo.”

Max sospirò ma era più leggero adesso, più scherzoso. “Cos’hai fatto?” chiese, stranamente con rimprovero. Alec non ebbe neanche il tempo di raccogliere i pensieri. “Sei scattato anche con lui vero?”

Alec chinò la testa per la vergogna e annuì, sentendosi esattamente come un bambino colto sul fatto mentre fa qualcosa di sbagliato.

Strinse le labbra. “Andrò a scusarmi domani,” mormorò. “Penserò a qualcosa.”

Max piegò la testa di lato per incrociare il suo sguardo e inarcò un sopracciglio. “E?”

“E chiamerò Izzy e Jace per dirgli che so che avevano buone intenzioni ma hanno davvero esagerato,” borbottò.

“E ci dispiace molto.”

Alec sussultò e alzò lo sguardo, trovando Isabelle e Jace in piedi sulla soglia della cucina, un’espressione imbarazzata sul viso.

Roteò gli occhi. I suoi fratelli erano degli idioti, non c’era ombra di dubbio.

“Lo so,” disse.

Isabelle andò da lui, circondandogli la vita con le braccia per attirarlo in un abbraccio. Alec sorrise nonostante tutto, seppellendo il naso nei suoi capelli. Profumava di gelsomino e shampoo. Jace arrivò dall’altro lato e Alec avvolse le braccia intorno ad entrambi, sentendo un calore che non aveva niente a che fare con gli ultimi giorni dell’estate.

“Vi voglio bene,” mormorò Alec, “anche se siete degli idioti impiccioni e invadenti.”

“Anche noi ti vogliamo bene,” rispose Isabelle, stringendolo un po’ più forte.

“Anche se sei testardo come un mulo fratello,” disse Jace.

“E anche se pensi ancora di doverci sempre proteggere e sei così impossibilmente altruista,” aggiunse Max.

Alec sbuffò ma non replicò. Max aveva ragione. Sotto molti punti di vista in effetti.

Forse era tempo di andare avanti.

____

Magnus arrivò presto lunedì mattina e parcheggiò la moto davanti al suo negozio, frugando nelle tasche per cercare le chiavi.

La mattinata passò come sempre. Aprì il negozio e accese le luci. Poi andò alla stanza dello staff e accese la macchinetta del caffè. Quando la caffettiera si fu riempita, diffondendo il suo ricco profumo in tutta la stanza, arrivarono anche Simon, Clary e Maia. Bevve il caffè e chiacchierò con loro come faceva sempre, ridendo alla storia di Clary, su quanto l’avesse fissata il tassista mentre stavano tornando a casa sabato perché Simon continuava a mandarle ridicole foto di disegni che voleva che gli tatuasse, dato che Magnus era ‘fottutamente ragionevole per una volta nella vita’.
Quando ebbero finito il caffè e le risate, Simon porse loro il loro orario del giorno e il primo appuntamento di Magnus arrivò poco dopo. Aveva solo due clienti quella mattina ma entrambi avevano bisogno di un lavoro lungo e meticoloso, così ebbe a malapena il tempo di fare una pausa.

Simon gli portò un panino dalla pasticceria di Wanda per pranzo, accompagnato da un biglietto che diceva ‘puoi pagarmi più tardi, kochanie, o puoi smettere di indossare una maglia, posso accettare anche quello come pagamento’. Magnus rise sul boccone che stava mangiando e andò al bancone all’ingresso, dove Simon era estremamente occupato a fare un solitario al computer.

“Non hai del lavoro da fare?” chiese, ma senza reale rimprovero. “Non ti pago per giocare a carte.”

“No,” rispose Simon. “Mi paghi per prendere i tuoi messaggi e ne ho uno.”

Interessato, Magnus si appoggiò al bancone e schioccò le dita davanti agli occhi di Simon per distogliere la sua attenzione dallo schermo.

“È passato Alec,” disse Simon, e gli occhi di Magnus si scurirono istantaneamente.

“Buon per lui.”

“Mi ha detto di dirti che gli dispiaceva e che voleva davvero parlare con te,” aggiunse Simon nonostante l’espressione disinteressata di Magnus.

“Non mi interessa,” replicò Magnus freddamente.

“Ha anche lasciato questo per te,” disse Simon facendo comparire una rosa gialla dal nulla.

“Sono i fiori ideali per delle scuse,” gli aveva detto una volta Alec. “Simboleggiano l’innocenza. È come dire ‘mi dispiace di averti ferito, non volevo farlo’, ma significano anche che dai molto valore all’amicizia di quella persona, quindi può andar bene per entrambi.”

Magnus strinse i denti e prese il fiore dalle mani di Simon. “Che stronzo,” mugugnò sotto voce, ma si allontanò con il fiore tra le dita lo stesso. “Sarò nella stanza dello staff fino al mio prossimo cliente.”

Una volta nella stanza, la sua routine tornò in fretta. Si tolse la camicia e la lanciò senza fare attenzione su uno dei divani di pelle marrone nella stanza, spingendo il tavolino del caffè contro il muro con il piede. Poi, stese il tappetino che teneva in una delle credenze sul pavimento prima di sedersi. Chiuse gli occhi e fece una serie di respiri profondi, lasciando che il suo corpo si rilassasse gradualmente.

Era un’altra cosa che sua madre gli aveva insegnato quando aveva imparato l’arte con lei. Essere un tatuatore significava che poteva passare ore chinato e la sua schiena ne risentiva. Per affrontare il dolore inevitabile, Barbara faceva yoga tutti i giorni e aveva passato questa passione a Magnus, proprio come quella per i tatuaggi.

Stese le gambe di fronte a lui e si piegò fino a toccare le ginocchia con il naso. Poi lasciò che il suo corpo facesse il resto, seguendo una routine che ormai conosceva a memoria, una successione di posizioni che aveva imparato da tempo e che riuscivano sempre a liberarlo dalla tensione nelle spalle e nella schiena.

Era nella posizione dell’albero da appena dieci secondi quando un lieve bussare interruppe la quieta pace della stanza. Sapeva che non poteva essere Maia perché era ancora con un cliente, né Clary perché aveva un appuntamento con Jace per pranzo, ed era molto strano che Simon bussasse, quindi non gli restavano molte opzioni.

Inspirò a fondo con il naso ma non rispose.

La porta si aprì lentamente dopo qualche secondo e Magnus si spostò nella posizione piegata in avanti per guardare Alec tra le sue gambe.
Il fioraio batté le palpebre, la fronte leggermente corrugata. Mormorò qualcosa sotto voce che sembrava molto ‘maledizione, sono così gay’, prima di schiarirsi la voce.

“Um. Ciao Magnus.”

Magnus lo ignorò, lasciando uscire un profondo respiro prima di poggiare le mani sul pavimento, abbassando i fianchi e alzando le spalle in un movimento rapido.

“S-sono venuto per scusarmi,” mormorò Alec chiudendo la porta dietro di sé. “Per sabato.”

“Allora non lasciare assolutamente che ti fermi,” disse Magnus, ma non lo degnò di un’occhiata.

Non riusciva a vederlo, ma percepì con perfetta chiarezza quando Alec strofinò i piedi sul pavimento dietro di lui, e ingoiò il bisogno di confortarlo. Era ancora arrabbiato. Sì. Molto arrabbiato. Tutte le rose gialle e le scuse non sentite del mondo non potevano cambiarlo.

“Possiamo farlo mentre non sei piegato di fronte a me?” disse Alec improvvisamente, sembrando giusto un po’ infastidito. “È… fuorviante.”

Magnus inspirò a fondo, abbastanza forte perché fosse esagerato, e si rimise in piedi, girandosi per fronteggiarlo accigliato, le braccia incrociate sul petto.

“Magari puoi anche mettere una maglia?” provò Alec.

Magnus inarcò un sopracciglio ma non si mosse di un millimetro.

“Bene,” borbottò Alec inumidendosi le labbra. Fece una pausa, inspirando a fondo, e i suoi occhi nocciola si spostarono dalle spalle esposte di Magnus per fissarsi nei suoi. “Mi dispiace.”

Di nuovo Magnus rimase immobile, lanciandogli l’occhiata più impassibile che riuscisse a fare.

“Io non… è qualcosa che ho ancora problemi ad affrontare ed ero arrabbiato con Izzy e Jace che sono venuti a parlare con te alle mie spalle di qualcosa che era così personale per me e -”

“E hai semplicemente pensato che sono una così brava persona che passo del tempo con te perché ho pietà di te e poi ne rido alle tue spalle, giusto?” chiese duramente Magnus, la mascella che si contraeva per l’irritazione.

“Sì. No!” sputò Alec, poi rilasciò un sospiro infastidito che sembrava diretto solo a se stesso. “Non lo so. Pietà è quello che ottengo di solito e lo odio. Ma -”

Magnus sbuffò per l’esasperazione e roteò gli occhi, superando Alec per andare al divano e afferrare la camicia che vi aveva lanciato. Alec gli afferrò il braccio prima che potesse farlo e quando Magnus si volse, pronto a respingerlo, non riuscì a farlo, immobilizzato sul posto dalla pura sincerità negli occhi nocciola di Alec, spalancati e pieni di qualcosa che Magnus non riuscì a decifrare.

“Magnus,” mormorò mordendosi il labbro. “Mi dispiace davvero. È un argomento sensibile per me e ho reagito duramente ma non avrei dovuto prendermela con te. Mi dispiace.”

Magnus lo guardò con attenzione, studiando i suoi occhi per cercare qualche segno che dicesse che non era sincero, ma come sempre negli occhi di Alec non ce n’era nessuno.

Lasciò che il silenzio si trascinasse per un po’, fissandolo senza dire una parola, ma alla fine annuì. Alec deglutì e rilasciò un respiro tremante. Gli lasciò andare il braccio e fece un passo indietro, lo sguardo che si spostava di lato e finiva sul tavolino da caffè che Magnus aveva spinto contro il muro.

Corrugò leggermente la fronte quando i suoi occhi trovarono il blocco di Magnus e si chinò per prenderlo, riportando lo sguardo su Magnus. “È tuo?”
Magnus annuì. Alec inarcò un sopracciglio in una domanda silenziosa e Magnus gli fece segno di andare avanti. Alec non esitò ulteriormente, lasciandosi cadere sul divano e sfogliando le pagine con un entusiasmo costante che era decisamente sorprendente.

Magnus si sedette di fianco a lui, guardando i suoi occhi scorrere sui fogli meravigliati, la mente attraversata improvvisamente dall’apprensione. Non aveva mai dubitato della qualità del suo lavoro prima ma c’era qualcosa nel silenzio di Alec che gli faceva desiderare di muoversi sul posto, ed era snervante.

“Sono…” iniziò Alec, e sembrò cercare le parole per un po’. “Molti fiori.”

Tra tutte le cose, era certamente l’ultima che Magnus si era aspettato, ma di nuovo, stava lentamente imparando che Alec non faceva nulla di prevedibile.

“Ero ispirato,” disse semplicemente.

“Posso vederne altri?” chiese Alec, i cui occhi erano innocenti e decisi allo stesso tempo.

Magnus si alzò sulle gambe tremanti e afferrò la camicia dallo schienale del divano facendo segno ad Alec di seguirlo. Li condusse fuori dalla sala dello staff e nel suo studio, nel suo universo, la sua terra dei sogni personale.

Proprio come i suoi fratelli prima di lui, Alec ricadde nel silenzio, muovendosi per la stanza per osservare i diversi disegni e le foto sparse sulle pareti. Quando si fermò, Magnus era poco sorpreso di vedere che era di fronte alla foto del veterano che aveva colpito l’attenzione anche dei suoi fratelli.
Alzò una mano esitante, le lunghe dita che sfioravano la foto, un’espressione che conteneva solo nostalgia e desiderio. Magnus lo guardò con le labbra strette, non volendo e non riuscendo a interrompere il suo silenzio.

Alla fine, e senza dire una parola, Alec si voltò a guardarlo e, facendo un respiro tremante, alzò le mani al colletto della sua camicia, slacciando i bottoni uno per volta con dita tremanti.

“Cosa stai facendo?” chiese Magnus in un sussurro, perché sentiva che parlare a voce più alta avrebbe rotto qualcosa che stava appena iniziando a crescere tra loro.

“Ho bisogno di farti vedere qualcosa,” replicò Alec sotto voce.

“Beh, se devi toglierti la camicia per farlo posso solo approvare,” disse Magnus, un angolo delle labbra che si sollevava.

Alec sbuffò e scosse la testa, ma lo fece con un affetto latente che fece agitare qualcosa nello stomaco di Magnus.

Si fermò quando tutti i bottoni furono slacciati e gli passò del dubbio negli occhi per un momento, ma Magnus lo vide appena, lo sguardo concentrato sulla pelle esposta. Alec si tolse la camicia e Magnus deglutì, mordendosi la guancia per impedirsi di leccarsi le labbra.

Alec si volse per mostrargli il fianco destro, quello che Magnus l’aveva visto strofinarsi nervosamente diverse volte, e i suoi pensieri precedenti svanirono nell’aria, mentre aggrottava le sopracciglia.

Sulle sue costole, dal suo fianco fino a sotto l’ascella, c’era una lunga e ampia cicatrice, sbiadita in un bianco lucido dagli anni.
Magnus fece un passo avanti per avvicinarsi e alzò una mano, ma si fermò prima di poter anche solo sfiorarla.

“Posso toccarti?” chiese, aspettando che Alec annuisse lievemente prima di muoversi di nuovo..

Passò le dita sulla cresta e sui bordi frastagliati della cicatrice, sentendo quando fosse liscia sotto il suo tocco, esaminando quanto fosse profonda, quanto si espandesse sulla sua pelle.

“Puoi fare qualcosa?” sussurrò Alec, e Magnus sentì la sua pelle vibrare mentre parlava. “Per… per coprirla?”

Magnus uscì dallo stordimento e si raddrizzò per guardarlo in faccia. “Vuoi coprirla tutta?” chiese, completamente consapevole del fatto che gli solleticava la pelle, assalito dall’intimità che erano riusciti a trovare nel suo stesso universo.

“Sì,” disse Alec. Era come se un peso gli fosse stato tolto dalle spalle, che si rilassarono per il sollievo, e Magnus dovette resistere alla tentazione di avvicinarsi di nuovo, questa volta per stringerlo tra le braccia.

“Hai un’idea di quello che vuoi?” chiese Magnus. “Jace e Izzy non l’hanno detto.”

“Non esattamente,” mormorò Alec, e sfilò il telefono dalla tasca. Si accigliò mentre scorreva le fotografie. Fece un piccolo verso di trionfo quando trovò quella che stava cercando, facendo segno a Magnus di avvicinarsi con un cenno delle dita.

L’albero nella fotografia era niente meno che maestoso, risplendeva al centro di un vasto giardino, i rami alzati verso il cielo, e la sua sola presenza era sufficiente per scacciare l’oscurità e condurre la luce del giorno sul sentiero. Sembrava potesse abbracciarti con i suoi rami e proteggerti dalla malvagità del mondo che era riuscita a sfuggire al suo regno.

Era bellissimo e forte, sublime e nobile nella sua semplicità.

Si addiceva perfettamente ad Alec.

“So che non vuol dire molto per te,” mormorò Alec, “deve essere vago, ma quell’albero significa molto per me. Non sono sicuro di come esattamente puoi trasformarlo in un tatuaggio ma -”

“Alexander,” lo interruppe dolcemente Magnus. “Molte persone hanno una concezione sbagliata dei tatuaggi. Non mi aspetto che il cliente venga nel mio studio con una chiara idea di quello che vogliono e un disegno pronto da copiare. Sicuro, alcuni di loro lo fanno. Ma questo non è qualcosa su cui puoi avere pieno controllo. Non ce l’hai. È una collaborazione tra due persone, a volte di più. È il tuo corpo, ma è la mia arte.”

Alec sembrò riflettere per un po’ sulle parole di Magnus ma alla fine annuì. “Allora come funziona?”

“Ci lavoriamo insieme,” gli disse Magnus. “Ti fidi di me?”

Le labbra di Alec si distesero nel fantasma di un sorriso e i suoi occhi brillarono limpidi quando parlò. “Starò impazzendo ma penso di sì.”

Magnus sorrise calorosamente e poggiò una mano confortante sulla sua spalla. “Posso chiederti perché quest’albero in particolare?” chiese. “Potrebbe aiutarmi ad avere un’idea migliore se capisco meglio cosa significa per te.”

Alec si tese subito.

“Non devi dirmelo,” si affrettò a dire Magnus, “posso lavorare senza saperlo.”

“No,” disse Alec scuotendo la testa. “Posso dirtelo. Ma preferirei farlo mentre entrambi abbiamo su una camicia.”

Magnus sbuffò e si chinò a prendere tutte e due le camicie, proprio quando la porta si aprì con un botto. Sussultò e si voltarono entrambi a guardare Simon, che li fissava con gli occhi spalancati.

Un sorriso malizioso gli tese le labbra. “Scusate,” disse con un tono che non era per nulla dispiaciuto. “Non pensavo di interrompere qualcosa.”

“Non l’hai fatto,” gli disse Alec, e se la sua barba era abbastanza per nascondere il suo rossore, il fatto che era senza camicia non riusciva a nascondere come si diffuse fino al collo.

“Sicuro,” disse Simon. “Sono sicuro che avete una spiegazione ragionevole per cui siete entrambi senza maglia per caso.”

“Ce l’abbiamo,” ringhiò Magnus. “Cosa vuoi Sigourney?”

“Il tuo prossimo cliente è qui,” disse Simon con un sorrisetto. Raphael aveva davvero avuto una brutta influenza sul caro ragazzo che era stato una volta. “Spero che non abbiate fatto nulla di perverso qui dentro. Questa stanza dovrebbe essere completamente igienica.”

“Oh mio Dio,” esclamò Magnus lanciandogli un cuscino in faccia. “Vattene Steven!”

Simon si ritirò nella sicurezza del corridoio, la sua risata che risuonava dietro di lui.

Magnus si rimise la camicia e quando si volse Alec era, purtroppo, di nuovo vestito.

“Ci riaggiorniamo?” mormorò, con quel suo sorriso storto che sarebbe sicuramente stato la rovina di Magnus. “Puoi venire in negozio quando hai finito e te ne parlerò allora? Se sei libero intendo.”

Magnus non poté evitare di sorridere di rimando. “Mi piacerebbe molto.”

Se non era il sorriso, il modo in cui gli occhi di Alec brillavano più luminosamente era decisamente abbastanza per far battere più forte il cuore di Magnus.

____

“Okay, che cosa ti succede?”

Alec sussultò, alzando lo sguardo dai soldi che stava contando per guardare Lily, che era appoggiata al bancone vicino a lui, le braccia incrociate sul petto, solo la testa girata a guardarlo.

“Niente,” disse accigliandosi. “Perché?”

“Hai canticchiato sotto voce per tutto il pomeriggio Alec,” rispose Lily impassibile. “Ti conosco da molti anni e non ti ho mai visto canticchiare prima.”

“Non stavo canticchiando!” protestò Alec.

Lily non replicò ma gli lanciò un’occhiata tagliente che era una risposta di per sé.

“Lo facevo?” chiese, la voce che si abbassava.

Lily sbuffò e sorrise. “Allora, cosa ti ha reso improvvisamente così allegro? Wanda ti ha dato un pasticcino in più? Hai ordinato un nuovo libro sui fiori? Oh! Lo so! Hai guardato video divertenti sui gatti?”

Aveva appena finito di parlare che il campanello suonò per segnalare un nuovo cliente.

“Stiamo chiudendo!” esclamò Lily, ma si fermò quando si girò e vide Magnus lì. “Oh, ehi Magnus!”

“Ehi Lily,” disse con un sorriso smagliante prima di girarsi verso Alec. “Ehi bellissimo.”

“Ehi,” rispose Alec. “Lasciami chiudere il negozio e poi possiamo andare a bere qualcosa?”

“Pensavo potessimo andare a fare una passeggiata,” offrì invece Magnus. “Fa ancora caldo e l’Hudson non è lontano.”

Alec annuì, ignorando volutamente il sussulto della sua migliore amica di fianco a lui, e mise le banconote che stava contando in una busta.

“Vai pure,” disse Lily spingendolo via per prendere il quaderno in cui c’erano gli ordini dei clienti. “Posso chiudere da sola oggi.”

“Sicura?” chiese Alec accigliandosi.

“Lavoro qui da quando hai aperto Alec,” disse lei seria. “Posso chiudere da sola. Vai.”

Chiaramente era inutile discutere così Alec tolse il badge e lo lanciò nella scatola sotto il bancone prima di prendere il portafoglio e le chiavi. Lily lo afferrò per un braccio prima che potesse oltrepassare il bancone.

“Cosa stai facendo?” chiese in un sussurro, dando un’occhiata a Magnus che era troppo occupato ad osservare uno degli acchiappasogni che pendevano dal soffitto per far loro attenzione.

Alec si accigliò confuso. “Di cosa stai parlando?”

“Pensavo avesse una ragazza?” sibilò Lily, riprovevole e preoccupata per lui allo stesso tempo.

“Ce l’ha,” disse, “non è come pensi.”

Lily roteò gli occhi. “Certo che lo è. Ti piace. Hai canticchiato sotto voce per tutto il pomeriggio a causa sua!”

“Io -” iniziò Alec, ma non finì, gli occhi che si spostavano di lato. Magnus doveva aver capito che era una conversazione privata perché ora lo vedeva che lo stava aspettando fuori dal negozio, chiacchierando e ridendo con Wanda. Inspirò a fondo. “Gli ho chiesto di tatuarmi,” confessò a voce bassa.

Lily sussultò spalancando gli occhi. “Davvero?” chiese, rilassandosi quando Alec annuì. “Buon per te Alec,” disse con un lieve sorriso, allungandosi per togliergli qualche ciocca di capelli dalla fronte. “Ma stai attento okay? Non farti spezzare il cuore. So che ti piace più di quanto sei disposto ad ammettere.”

Alec strinse le labbra ma annuì di nuovo.

“Okay,” mormorò Lily. “Ora vai prima che lasci la sua ragazza per Wanda invece che per te. Sai che Wanda è capace di qualsiasi cosa.”

Alec sbuffò e le diede un bacio sulla fronte prima di allontanarsi e uscire dal negozio.

“Voglio dire, tutto quello che intendo è non disprezzarlo prima di averlo provato,” stava ripetendo Wanda in quel suo tono eternamente malizioso.

“Wanda,” borbottò Alec quando li raggiunse. “Smettila di cercare di convincere Magnus a venire a letto con te.”

“Beh, tu non stai facendo nulla quindi non vedo perché non dovrei,” ritorse subito lei con un sorriso ironico. Si allungò per dargli un pizzicotto sulla guancia arrossata. “In più, stavo parlando della birra polacca, malenstwo.”

Alec inarcò un sopracciglio, lanciando un’occhiata dubbiosa a Magnus, che gli sorrise dolcemente. “È vero.”

“Fa lo stesso,” mormorò Alec, ma era divertito. “Pronto ad andare?”

“Per te sempre,” replicò Magnus con un occhiolino e Alec roteò gli occhi. “Possiamo prendere la mia moto se vuoi e poi fare una passeggiata sull’Hudson?”

Alec strinse le labbra. “Io non sono… davvero non…” fece una pausa sospirando. “Preferirei camminare.”

Magnus non sembrò infastidito. Si girò invece a fare un occhiolino a Wanda, che finse di svenire. “Ci vediamo dopo.”

“A dopo voi due,” disse lei, un’espressione scaltra ma tenera negli occhi. “Non fate niente che io non farei.”

“Questo non esclude molto,” rispose Alec impassibile.

“Esatto,” disse lei, il cui sorriso era pura malizia.

Alec sbuffò, un sorriso traditore che gli tendeva le labbra, e fece segno a Magnus di seguirlo lungo la strada.

Per un po’ camminarono in silenzio fianco a fianco, le braccia che si sfioravano ogni tanto. Alec usò quel tempo per pensare, per decidere nella sua testa cosa avrebbe detto e come l’avrebbe detto, ma soprattutto raccolse il coraggio per farlo ad alta voce. Ragionando sulle parole nella sua mente sembrava facile. Era la sua storia dopo tutto e la conosceva in ogni doloroso dettaglio, ogni ricordo che gli faceva torcere lo stomaco.

Magnus non cercò di parlare e Alec immaginò avesse compreso la gravità della situazione, l’importanza cruciale di quel momento.

Presero due caffè da portare via e si sedettero su una panchina sul lungofiume. L’estate stava finendo e le giornate stavano iniziando ad accorciarsi ma erano ancora immersi nella luce del tardo pomeriggio e Alec chiuse gli occhi, godendosi gli ultimi raggi di sole sulla pelle.

“Ho ereditato la passione per i fiori da mio padre,” disse alla fine. Sentì Magnus muoversi di fianco a lui e seppe che si era girato a guardarlo. Quando aprì gli occhi, li lasciò sulle acque calme del fiume, trovando la forza nella vita che vi proliferava, che faceva fatica ma era sempre abbondante. “È un botanico. Quando eravamo piccoli ci portava al Parco Nazionale della Foresta di Sterling ogni domenica per insegnarci tutto sulle piante. Io ero l’unico che prestava davvero attenzione. Jace lo usava come scusa per correre in giro e far casino e Izzy prendeva ogni insetto che le si avvicinava per studiarlo. Non è diventata una zoologa dal nulla.”

Fece una pausa per inumidirsi le labbra. “Max… Max era sempre con me. Mi seguiva sempre ovunque. Siamo sempre stati vicini e per qualche ragione gli piaceva passare il tempo con me. Io non ero molto più bravo socialmente di quanto lo sono adesso.”

Magnus sorrise, gli occhi che gli brillavano con affetto. “Sei suo fratello maggiore,” mormorò alzando le spalle, “ti ammira.”

Alec mormorò quietamente. “Immagino di sì. Per il mio diciottesimo compleanno i miei genitori mi hanno comprato una moto. Era un’altra delle mie passioni, questa la condividevo con mia madre.”

Alec si fermò per osservare Magnus e riusciva a vedere le rotelle che giravano nel suo cervello, gli occhi che si aprivano un po’ di più. “Ero ridicolmente eccitato, così la domenica successiva insistetti che volevo andare alla Foresta con la moto invece che fare la strada con loro. Max…” Respirò profondamente e la sua mano salì al suo fianco a strofinare la cicatrice sulle costole, ma Magnus lo fermò, proprio come facevano i suoi fratelli, prendendo gentilmente la mano di Alec nella sua.

“Max voleva venire con me,” disse sotto voce. “Mia madre non era d’accordo ma papà rise alle sue obiezioni, dicendole di lasciarci essere giovani e spensierati. Così portai Max con me.”

La sua voce si ruppe sull’ultima parola e si schiarì la voce per nasconderlo ma Magnus lo aveva sentito. Gli strinse lievemente la mano. “Non devi dirmelo Alexander,” sussurrò, ma il suo tono diceva che aveva già capito.

“Eravamo a metà strada,” disse comunque Alec. “Stava andando tutto bene. Max stava ridendo, io stavo ridendo. Conoscevo quelle strade a memoria, le avevo fatte centinaia di volte prima di allora. Alle nove di mattina di domenica non ti aspetti un autista ubriaco.”

Il sorriso di Alec divenne amaro. Secco. “L’ho visto troppo tardi. Stava guidando dalla parte sbagliata della strada e io mi ero distratto un secondo per sistemare le braccia di Max intorno alla vita. Giuro che non è stato più di un secondo. Ma quando rialzai lo sguardo, era proprio di fronte a me ed era troppo tardi. Cercai di girare per evitarlo ma ci colpì lo stesso.”

“Ricordo di aver cercato di afferrare Max per proteggerlo ma il colpo è stato troppo violento,” mormorò. “Io mi bruciai il fianco destro sull’asfalto, mi sono rotto un braccio e quattro costole ma Max…”

Fece un respiro tremante e Magnus girò il corpo per essergli di fronte completamente, il pollice che disegnava cerchi confortanti sul dorso della mano di Alec. “Prenditi tempo tesoro,” disse.

“Max era così piccolo,” disse Alec con voce rotta. “E così leggero… fu spinto in avanti e atterrò in un fosso di fianco alla strada. Gli si ruppero le rotule per il colpo.”

Magnus deglutì ma non parlò. Guardò Alec in silenzio, aspettando qualche segno che dicesse che non aveva finito. Alec scosse la testa. Non c’era molto altro che poteva dire.

Ciononostante, quando alzò lo sguardo per guardare Magnus negli occhi, scoprì che le parole gli uscivano di bocca prima che potesse fare qualcosa per fermarle.

“Tutto quello che ricordo è di essermi svegliato in un letto d’ospedale con Jace al mio fianco mentre chiedevo di Max, ma nessuno poteva dirmi dov’era e… non so quanto tempo passò ma quando uscì dalla sala operatoria e i medici ci dissero che non poteva più camminare mi sentii come se il tempo avesse rallentato. Era come se l’incidente fosse successo così in fretta e dopo il tempo era rallentato per ritrovare il suo equilibrio. Non so come spiegarlo altrimenti.”

“Ero così arrabbiato,” mormorò. “L’altro autista era morto nell’incidente e non potevo prendermela con lui, così immagino… immagino di aver incolpato me stesso invece.”

“Non è stata colpa tua,” disse subito Magnus, la voce bassa che fece muovere qualcosa nel petto di Alec.

“Sono stato io a prendere la moto e io ho deciso di portare Max con me,” ribatté Alec. “Avrei dovuto lasciarlo andare con i miei genitori e -”

“E magari l’autista ubriaco avrebbe colpito la macchina dei tuoi genitori invece,” lo interruppe Magnus gentilmente. “O forse sarebbe successo un’altra volta. Ma è successo allora e non puoi cambiarlo, non importa quanto ti biasimi per questo. Non hai fatto niente di sbagliato Alexander. Eri solo nel posto sbagliato al momento sbagliato.”

Alec sospirò. “Lo so. Razionalmente, lo so.”

Magnus fece un lieve sorriso rassicurante. “E io ero qui a pensare, sbagliandomi, che eri un ragazzo razionale e pragmatico.”

Alec ridacchiò e si scoprì a respirare un po’ più facilmente.

Magnus gli lasciò qualche secondo per raccogliere i suoi pensieri e piegò la testa di lato. “Perché l’albero?” chiese. “E gli acchiappasogni?”

Alec batté le palpebre. Aveva quasi dimenticato perché erano andati lì inizialmente.

“Dopo l’incidente non riuscivo a guardare Max negli occhi,” confessò. “Ogni volta che lo guardavo reimparare a fare le cose più semplici senza poter usare le gambe mi sentivo sempre più in colpa. Così rubai un libro sui fiori dall’ufficio di mio padre e mi nascosi in giardino. L’albero che ti ho mostrato era il mio posto preferito. Immagino… immagino mi sentissi al sicuro lì. Come se niente potesse toccarmi. Questo fino a che Max mi trovò. Erano già passati mesi dall’incidente e lui stava appena iniziando a usare le stampelle, solo per brevi distanze. Ma fece tutta la strada fino in fondo al giardino quel giorno e si sedette vicino a me.”

“Cosa disse?” chiese Magnus appoggiando il mento sulle ginocchia che aveva piegato.

“Niente,” disse Alec con un sorriso divertito ma nostalgico. All’espressione sconcertata di Magnus rise. “Si sedette lì e aspettò. E lo fece tutti i giorni per una settimana fino a che io non lo potei più sopportare.”

“La testardaggine sembra essere un tratto di famiglia,” commentò Magnus con un sorriso.

Alec sbuffò ma annuì concorde. “Così dopo che ebbi finito di urlare perché ero furioso e avevo bisogno di far uscire tutto, abbiamo parlato. Dopo di allora divenne un’abitudine. Mi veniva a trovare sotto l’albero e parlavamo. Di tutto, sebbene evitassimo di parlare dell’incidente o della sua ferita, ma in qualche modo ci avvicinammo.”

“Parlavamo molto dei nostri incubi,” mormorò Alec. “Era una conseguenza dell’incidente. Lui non dormiva molto perché quando non erano gli incubi era il dolore a svegliarlo in piena notte, e io non potevo dormire sapendo che lui era sveglio. Così lo raggiungevo in camera sua di notte e gli tenevo compagnia fino a che non si riaddormentava. Mia madre aveva un vecchio acchiappasogni polveroso in garage e quando lo trovai lo presi e lo appesi sopra il suo letto.”

Sbuffò una risata silenziosa. “Era stupido, davvero. Nessuno di noi è superstizioso, però sembrò funzionare perché gli incubi diminuirono dopo un po’. Divenne una cosa tra noi. Gli compro un acchiappasogni ogni tanto e lui ne compra uno a me. Penso sia il nostro modo di dirci a vicenda che possiamo contare l’uno sull’altro per scacciare gli incubi.”

Ci fu silenzio per un po’. Era confortevole nonostante la sua gravità, pacifico, calmo come l’Hudson, gentile come la carezza del pollice di Magnus sul dorso della sua mano.

“Così,” mormorò Alec alla fine schiarendosi la gola, “questa è tutta la storia.”

Era pronto a scusarsi per avergli aperto il cuore come aveva fatto, per aver fatto pesare a Magnus un dolore che non era il suo, ma Magnus gli strinse semplicemente la mano un’altra volta e sorrise.

“Grazie per avermelo detto.”

Alec non poté evitare di sorridere di rimando. “Grazie per aver ascoltato.”

Un altro silenzio e Alec si obbligò a non concentrarsi su quanto rassicurante fosse un semplice tocco, come il peso sul suo petto sembrasse più leggero ogni volta che coglieva uno dei sorrisi di Magnus.

Riportò gli occhi sull’acqua. “Volevo fare qualcosa per le cicatrici da un po’ ma sembrava stupido sai? Non sono sicuro che un tatuaggio possa guarire qualcosa di tutto questo.”

“Non lo farà,” disse piano Magnus. “Ma può aiutare. Ho tatuato molte persone Alec. Non tutte per ragioni importanti o spirituali, ma lo era per la molti di loro. Qualche volta è questione di andare avanti o di segnare un evento importante nella loro vita, o semplicemente affermare qualcosa su chi sono loro. C’è qualcosa di terapeutico in esso, semplicemente perché sei seduto con qualcuno e gli parli di quello che significa per te e per qualche ora hai la loro completa cura e attenzione. Marchiare la tua pelle con qualcosa che sarà parte di te perché tu hai deciso così. Non è stupido se ti fa sentire meglio con te stesso o se ti aiuta in qualsiasi maniera a superare le difficoltà che la vita mette sulla tua strada.”

Alec mormorò pensieroso, annuendo con cautela. “E i tuoi?” chiese, girando la testa per guardare Magnus. “Significano tutti qualcosa per te?”

“Sì.”

Alec si girò per mettersi completamente di fronte a lui. “Raccontami,” mormorò, ma era più una domanda che una richiesta.

“Quale?” chiese Magnus con un piccolo sorriso. “Ti ho già parlato del mandala.”

“Tutti,” disse Alec.

Magnus sbuffò, affettuosamente divertito alla sua schiettezza, ma non sembrò sorpreso. Fece una smorfia, fingendo di essere immerso nei pensieri. “Suppongo sia giusto,” mormorò Magnus, ma sembrava parlare soprattutto con se stesso.

Si mosse per sedersi a gambe incrociate di fronte ad Alec e gli lasciò la mano. Alec si trattenne dal protestare alla perdita, posandosela sulla coscia invece.

Magnus chinò la testa per guardarsi il petto, abbassando il mento, e spinse di lato un lembo della camicia per mostrare il tatuaggio a forma di bussola proprio sotto la clavicola. Non era grande, giusto abbastanza da mostrare i dettagli del disegno. Il motivo era intricato però, in un modo che era molto simile al mandala che aveva tra le scapole e ciononostante completamente diverso, raccontava una storia tutta sua.

Ognuno dei tatuaggi di Magnus sembrava raccontare una storia diversa, come parti diverse di un puzzle che, messe insieme, aiutavano a risolvere il mistero che era e rimaneva.

“Questo è quello che ho fatto con Raphael,” disse. “Lui ha l’ancora che si abbina.”

Alec inarcò un sopracciglio. “Sembra… romantico.”

“Ew, no,” esclamò Magnus con una smorfia, arricciando il naso per il disgusto. “Raphael è come un fratello per me. C’era per me in un momento della mia vita in cui tutto andava male e si assicurò di tenermi sulla strada giusta.”

“Di qui la bussola,” disse Alec.

“Di qui la bussola,” confermò Magnus annuendo. “Il fiore di ciliegio,” mormorò, questa volta alzando la camicia per mostrare le costole, “è un simbolo di -”

“So che cosa simboleggia Magnus,” lo interruppe Alec con un sorrisetto.

“Ah già. Tu e i tuoi fiori,” lo prese in giro, ma era più affettuoso che canzonatorio. “Beh, è per ricordarmi che la vita è breve e quindi dovremmo apprezzarla per le cose buone che ci dà.”

Alec annuì, un po’ bruscamente, e gli fece cenno di andare avanti. Magnus corrugò la fronte ma lo fece, arrotolandosi la manica destra per mostrare le righe all’interno dell’avambraccio.

“Invictus,” sussurrò Alec.

“Sì,” disse Magnus. “Sapevi che Henley l’ha scritta mentre era all’ospedale?” era chiaramente retorico così Alec non rispose. “Gli avevano appena amputato il piede ed era abbastanza sicuro che sarebbe morto. Così scrisse Invictus, per trascrivere il suo coraggio di fronte alla morte. Parla di tenere la testa alta quando la vita non ti pone davanti altro che offese e ostacoli. E sai cosa c’è di grande in questa poesia? Che può essere interpretata in talmente tanti modi perché dipende tutto dalla persona che la sta leggendo. A me parla di superare ogni giorno ed essere il solo responsabile del mio destino, ma può anche essere qualcosa di completamente diverso per te, o per chiunque ci stia passando di fianco.”

Quando si fermò, Alec non provò neanche a nascondere il piccolo sorriso sconcertato che gli tendeva le labbra. Si limitò a fissare Magnus stringendo gli occhi, un sopracciglio inarcato interrogativamente.

“Cosa?” chiese Magnus fissandolo di rimando attraverso le ciglia.

“Non capisco se stai rimandando o se stai evitando apposta di parlarmi.”

“Ti sto parlando,” protestò Magnus, ma i suoi occhi si spostarono di lato e Alec seppe che aveva visto giusto.

“Ti ho chiesto di raccontarmi cosa significano per te,” disse Alec dolcemente. “Mi stai solo dando una risposta generica che avrei potuto trovare su google.”

Magnus si morse il labbro inferiore e quando tornò a guardare Alec c’era qualcosa di nuovo nei suoi occhi, una vulnerabilità che Alec non pensava avrebbe mai visto in essi. La sua mano si alzò di sua volontà, afferrando quella di Magnus.

La strinse leggermente. “Non devi dirmelo,” disse con un sorriso che sperava essere rassicurante. “Ma non cercare di ingannarmi.”

Magnus sbuffò e i suoi occhi avevano una profondità che Alec non aveva creduto possibile quando si fissarono nei suoi, decisi ma delicati, irremovibili ma esposti.

“La gente di solito non si accorge che lo sto facendo,” disse Magnus a voce bassa, “sei qualcosa di diverso Alexander.”

Alec sorrise, sentendosi abbastanza ridicolo all’orgoglio che provava nel petto.

Ragazza, ricordò a se stesso. Ha una ragazza e la ama abbastanza da comprarle fiori almeno due volte a settimana. Datti una calmata Lightwood.

“Va bene allora,” si inserì Magnus nei suoi pensieri. La sua mano libera andò a giocherellare con il bordo della manica di Alec e Alec lo lasciò fare, affascinato dalla miriade di sentimenti conflittuali che riusciva a vedere muoversi nei suoi occhi castani. “Tu hai ereditato la passione dei fiori da tuo padre, io ho preso la passione dei tatuaggi da mia madre. Per un po’ fu il mio unico modo per stare con lei.”

Alec si accigliò. “Cosa intendi?”

“I miei genitori divorziarono quando avevo otto anni,” disse Magnus. “Non fu una separazione amichevole, per dirla con un eufemismo. Mio padre era un violento e abusava di noi, così quando mia madre finalmente lo sbatté fuori non avrebbe mai immaginato che avrebbe ottenuto la mia custodia. Non pensava neanche che avrebbe combattuto per me.”

“Come ha potuto un giudice dargli la tua custodia se era un violento?” chiese d’impulso Alec sbalordito.

La risata di Magnus era priva di divertimento. “Mio padre è ricco, potente e conosce tutte le persone giuste. Assunse uno dei migliori avvocati, qualche stronzo che ha fatto la sua fortuna sulla miseria della gente. Mia madre era completamente distrutta. I tatuaggi non andavano di moda come adesso e faceva fatica a tenere aperto il Labirinto a Spirale. Mise comunque tutti i suoi risparmi in quella guerra, ma non c’era niente che potesse fare alla fine. La fecero sembrare una drogata, un pericolo per me. Non ebbe neanche il diritto di vedermi il fine settimana, così io rimasi bloccato con il caro vecchio papà.”

“Ha mai -” iniziò Alec, ma non riusciva a trovare le parole, il fiato bloccato in gola.

“Oh sì,” disse Magnus con un sorriso amaro. “Ho delle cicatrici anche io tesoro. È stato allora che ho incontrato Raphael. Sua madre lavorava per mio padre e un giorno portò il figlio maggiore al lavoro. Lui era già un raggio di sole e io ero un bambino di nove anni depresso, così andammo subito d’accordo. È stato un bene però. Mi ha salvato.”

Lo stomaco di Alec si contrasse al pensiero di un Magnus più giovane – Magnus, che era così pieno di vita, che riusciva sempre a mettere un sorriso sul volto di chiunque semplicemente con uno dei suoi – che si chiudeva contro il mondo per le colpe di una persona.

“Passavo la maggior parte del mio tempo da Raphael con i suoi fratelli, rimandando sempre per rimanere un’ora in più perché sapevo cosa mi aspettava a casa. È stato Raphael a venirmi a prendere dopo scuola e a trascinarmi per un braccio per tutta la strada da Manhattan a Brooklyn fino allo studio di mia madre.”

“Non penso di aver mai visto mia madre piangere quanto ha fatto quel giorno,” mormorò Magnus con un sorriso, lieve ma impossibilmente tenero. “Non che io fossi meglio. Stava ancora lottando per riavermi con lei ma faticava a mangiare con i soldi che le stava costando e stava per perdere lo studio, la sua unica fonte di reddito, se fosse andata avanti così. Luke, il patrigno di Clary, è l’unica ragione per cui non ha perso tutto.”

“Dopo la prima volta, scappavo tutte le volte che sapevo di poter avere una possibilità e andavo allo studio di mia madre, la guardavo tatuare le persone per ore perché era l’unico modo che avevo per passare del tempo con lei. Avevo quattordici anni, ero rimasto bloccato con mio padre per cinque anni quando mia madre incontrò Charles.”

“Il tuo patrigno giusto?” intervenne Alec gentilmente, gli occhi concentrati su Magnus sebbene i suoi fossero ancora fissi sulle sue dita coperte dagli anelli che giocherellavano con il bordo della manica di Alec.

Annuì comunque. “È un uomo fantastico. Gentile, intelligente, altruista. E s’innamorò di mia madre non appena posò gli occhi su di lei, o così dice. Io credo che si sia innamorato per quanto era bella all’esterno prima di rendersi conto che lo è ancora di più dentro.”

Dev’essere genetico, rifletté Alec tra sé.

“Sembra ammirevole,” disse invece.

“Lo è,” mormorò Magnus. “Ed è anche molto ricco. Io e mia madre… non siamo abituati a chiedere aiuto. Prendiamo il nostro destino nelle nostre mani e affrontiamo qualunque cosa la vita ci metta sul nostro cammino. È così che mi ha cresciuto comunque. Ma quando raccontò a Charles tutta la storia e lui si offrì di pagarle un bravo avvocato, competente, accettò immediatamente. Avevo quindici anni allora. Sedici quando iniziò il nuovo processo e Ragnor, l’avvocato di mia madre, la fece pagare a mio padre. Ero grande abbastanza perché la mia parola avesse un po’ più di importanza rispetto alla prima volta e penso che i lividi e le ossa rotte parlassero da sole in ogni caso.”

“Questa volta vinse e io mi trasferii da lei il giorno stesso,” disse Magnus, e Alec rilasciò un respiro sollevato, come se ci fosse stato qualche dubbio sul risultato. “Si sposarono un anno dopo. Mia madre non voleva sposarsi se io non potevo andare al matrimonio.”

C’era qualcosa nel suo tono, un accenno di nostalgia e una punta di rimpianto nel suo sguardo che obbligò Alec a chiedere “com’è andata?”. Magnus inarcò un sopracciglio interrogativamente. “Dopo che sei tornato,” chiarì Alec. “Sei stato diviso da tua madre per quanto? Otto anni? Eri bloccato con un padre violento per tutto quel tempo, non riesco a immaginare che tutto sia tornato alla normalità in due giorni.”

Un angolo delle labbra di Magnus si sollevò ma i suoi occhi rimasero tristi. “Non lo fece,” mormorò. “Incontrai una ragazza e mi innamorai perché lo volevo disperatamente, volevo qualcuno che mi mostrasse l’amore che mi era mancato per anni, ma quello di mia madre non era abbastanza e Charles era ancora un estraneo per me. Come hai detto tu, ero abituato a un comportamento abusivo. Era diventato la normalità per me. Così non mi resi conto quando la storia iniziò a ripetersi con Camille.”

“Naturalmente mia madre cercò di avvisarmi, ma dopo anni passati ad essere costantemente manipolato da mio padre lo presi come un tentativo di controllarmi come aveva fatto lui. Non mi resi conto all’epoca che l’unica manipolazione veniva da Camille.” Rise brevemente. “Mamma è ancora arrabbiata con me per averla portata al matrimonio, ma si assicurò che non fosse in molte fotografie.”

Alec rise con lui e in qualche modo fu abbastanza per alleggerire la tensione del momento.

“Mi ci volle un po’ e un letterale schiaffo in faccia per rendermi conto che Camille era altrettanto malvagia e abusiva quanto lo era stato mio padre prima di lei,” continuò Magnus. “Mi feci il mandala quando ero ancora con Camille. Mi ha tatuato mia madre. Camille disapprovava naturalmente, perché voleva che mi facessi qualcosa che simbolizzasse il nostro amore.”

Alec sobbalzò. “Per favore dimmi che non l’hai fatto.”

“Non l’ho fatto,” disse Magnus divertito. “Grazie a Raphael, che è riuscito a convincermi che avrei dovuto onorare il mio più vecchio amico piuttosto che la mia ragazza. Si è fatto un tatuaggio insieme a me per evitare che facessi qualcosa di davvero stupido.”

“Vera amicizia,” commentò Alec con un sorriso.

Magnus mormorò concorde. “Così mi feci la bussola per seconda,” disse. “Feci il fiore di ciliegio quando ruppi con Camille. La violenza era stata solo a parole con lei, fino a quella volta in cui mi diede una sberla e la lasciai per sempre. Mi faceva solo sentire come se non valessi niente e che avevo bisogno di lei nella mia vita se volevo valere qualcosa. Mi fece perdere di vista le cose importanti della mia vita. Amore, amicizia, passione. Il tatuaggio serve a ricordarmi che non importa cosa affronto, devo tenere d’occhio la bellezza nella mia vita.”

“Ho fatto quello di Invictus contemporaneamente,” aggiunse, la voce appena più alta del suono del fiume che scorreva contro l’argine. “Ho perso molti anni lasciando che persone tossiche controllassero la mia vita al posto mio,” disse come spiegazione. Fece una pausa, inspirando a fondo, e gli occhi di Alec si abbassarono alle righe sull’avambraccio di Magnus, e le parole acquisirono un significato completamente nuovo. “Mai più.”

“Mai più,” gli fece dolcemente eco Alec, e le parole trovarono posto nella sua mente, stabilendosi lì per restare.

____

Il giorno successivo Magnus inviò ad Alec la prima bozza del disegno.

Merda. È maledettamente bello, fu l’unica risposta che ricevette e arrivò nel tardo pomeriggio, mentre era sdraiato sul divano di sua madre, il blocco con i suoi schizzi sulle ginocchia, a lavorare per perfezionare ogni singolo dettaglio.

Non sembrava mai bello abbastanza però. Sapeva che c’era qualcosa che mancava ma non riusciva a capire cosa esattamente, così passò a un altro disegno prima di iniziare a strapparsi i capelli.

Hai qualche richiesta a parte l’albero? Rispose. Non voglio scavalcarti e fare qualcosa con cui poi non sei a tuo agio.

Te lo dirò se succede, scrisse Alec, ma sono sicuro che non dovrò farlo. Mi fido di te.

“Stai sorridendo come un idiota. Non mi piace.”

Magnus roteò gli occhi, alzando lo sguardo dal telefono e lanciando un’occhiataccia a Raphael. “Non è vero.”

“Sì invece,” si inserì Charles dal bancone della cucina dove stava pelando le patate sotto la sorveglianza della moglie. “Chi è il fortunato?”

“Nessuno,” borbottò Magnus.

“Per favore,” sbuffò sua madre incredula, “ti conosco. Quello è il tuo sorriso stupido da ‘mi sto innamorando’.”

“Magari ho solo visto un meme divertente su twitter,” protestò.

“Dirò ad Alec che l’hai chiamato così,” disse Raphael con un sorriso sulle labbra.

“Come sai che è Alec?” chiese Magnus, la voce che si alzava, offeso.

“Non lo sapevo,” rispose Raphael muovendo le sopracciglia, “ma ora lo so.”

Magnus sbuffò infastidito.

“Alec il ragazzo dei fiori?” indagò Charles, perché la sua famiglia era decisa a irritarlo.

Raphael mormorò confermando e Magnus di rimando fece un sorriso smagliante, mostrandogli il dito medio.

“Oh, tesoro, devi farcelo conoscere!” saltò su Barbara felice. “Sono così felice che stai frequentando di nuovo qualcuno!”

“Non ci stiamo frequentando!” scattò Magnus, più bruscamente di quanto intendesse. “Siamo amici. Sto lavorando a un tatuaggio per lui, tutto qui.”

Il suo scoppio fu accolto da un completo silenzio e Magnus si accigliò, alzando lo sguardo dal blocco per guardare la sua famiglia e il suo migliore amico. Lo stavano fissando con un misto di sbalordimento ed empatia e imprecò mentalmente, mordendosi il labbro inferiore e chinando di nuovo la testa.

“Merda,” disse Raphael senza fiato dopo un po’. “Ti piace davvero.”

“E sei spaventato,” completò per lui Barbara, abbandonando la cucina per andare al divano e sedersi vicino a Magnus.

“Non sono spaventato,” mugugnò, ma la bugia era palese nella sua voce quanto lo era nel tremito delle sue mani.

Barbara sbuffò affettuosamente e gli mise un braccio sulle spalle, l’altra mano che afferrava una di quelle di Magnus per confortarlo.

“Va tutto bene Magnus,” mormorò accarezzandogli rassicurante i capelli. “È perfettamente normale.”

“No, non lo è,” disse lui con voce strozzata stringendo i denti. “Non dovrebbe essere così. Alec è…”

Ogni parola sembrava fin troppo spenta per descriverlo davvero, così chiuse la bocca, la mano che si muoveva con un gesto elegante invece.

“Non Asmodeus,” completò Barbara per lui, continuando ad accarezzargli gentilmente i capelli, e Magnus le strinse forte la mano alla menzione del padre. “E neanche Camille.”

“Non lo conosci nemmeno,” mormorò. “Come fai a saperlo?”

Barbara sorrise dolcemente, indicando Raphael con un cenno della testa. “Lui lo conosce e gli piace. Sappiamo tutti che a Raphael non piace nessuno quindi questo per me è abbastanza.”

Magnus sbuffò scuotendo la testa con affetto, e si spostò per avvicinarsi alla madre, appoggiando la testa sulla sua spalla.

“Non tutti sono pronti a ferirti tesoro,” sussurrò lei dandogli un bacio sui capelli. “E hai così tanto amore da dare. Non lasciare che le persone che ti hanno ferito vincano rifiutandoti di aprire il tuo cuore di nuovo. Ti meriti di essere felice.”

Magnus annuì, rilassandosi nell’abbraccio familiare di sua madre.

“Vero.”

“A volte devi solo trovare la persona giusta che ti aiuti a scacciare i tuoi demoni,” disse lei.

Magnus sbuffò. “Stai guardando sdolcinatamente Charles in questo momento? Perché mi offendo se è così.”

Barbara rise. “Oh, taci e chiedi al tuo fioraio di uscire così puoi avere una vera scusa per andare al suo negozio questa volta. Inizio ad avere troppi fiori qui dentro.”

“Senza offesa, ma il tuo appartamento inizia a sembrare un incubo da Alice in Wonderland,” commentò Raphael impassibile. “In effetti Magnus sembra il Cappellaio Matto.”

“Fottiti Pancopinco.”

“Non interessato,” ritorse Raphael con una smorfia. “Fotti Alec in Wonderland invece.”

Magnus alzò gli occhi al cielo, imprecando sotto voce, e sua madre e Charles risero a sue spese, ma non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo.

____

Magnus lavorò sul tatuaggio per due settimane, tra due clienti, nella tranquillità del suo appartamento la sera, mentre andava al lavoro le mattine che prendeva la metropolitana invece che la moto, mentre il caldo estivo sfumava lentamente rimpiazzato dalla frescura ventosa ma piacevole di Settembre.

Con esso arrivò il compleanno di Alec e l’ultima stesura del disegno di Magnus.

Guardò il modulo che Alec gli rese senza farci davvero attenzione, alzando lo sguardo su di lui.

“Sei sicuro di volerlo fare in una sola seduta?”

Alec fece un ironico sorriso storto. “E tu?”

“Ehi, sei tu che rimarrai steso per quattro o cinque ore mentre io ti pugnalo la carne per soldi,” ritorse Magnus. “Sarà doloroso.”

“Magnus,” disse Alec dolcemente, e il cuore di Magnus gli balzò nel petto. “Posso reggere.”

“Oh sono sicuro che puoi,” replicò Magnus suggestivo, e l’allusione non fu persa con Alec se le sue guance rosse dicevano qualcosa. “Okay, via la camicia. Oh, quanto ho sognato dirlo,” disse con un sospiro sognante, battendo le ciglia con finta emozione.

Magnus rise quando Alec alzò drammaticamente gli occhi al cielo, e andò a mettere il modulo sulla scrivania. “Stenditi tesoro.”

Alec tolse il maglione e la camicia e obbedì, sistemandosi sul tavolo. Gli si fermò il respiro in gola quando lo fece e Magnus si girò immediatamente, la fronte aggrottata per la preoccupazione di fronte ai lineamenti pallidi di Alec.

“Stai bene?” chiese immediatamente.

“Sì,” mormorò Alec annuendo brevemente, deglutendo. “È solo che… è molto simile a essere in un letto d’ospedale. Brutti ricordi.”

Magnus tornò al tavolo, mettendo una mano confortante sulla spalla di Alec. “Puoi anche metterti seduto ma sarà scomodo per te,” gli disse piano.

“E per te,” disse Alec. “Ti ucciderai la schiena se rimani piegato tutto il tempo.”

Magnus alzò le spalle. “Ci sono abituato.”

“No,” disse Alec scuotendo la testa. “Sto bene, posso sopportarlo.”

Magnus non rispose subito, prendendosi qualche secondo per studiare i lineamenti di Alec e assicurarsi che intendeva davvero quello che aveva detto. Quando non trovò traccia del suo testardo altruismo annuì.

“Hai mangiato abbastanza?”

“Per l’amor del Cielo Magnus!” esclamò Alec ridendo. “Sto bene. Inizia e basta.”

Magnus fece il broncio, premendo la carta autografica sulla pelle di Alec senza altre esitazioni, lisciandola con i palmi delle mani prima di toglierla.

“Okay,” disse mettendosi un paio di guanti in lattice. “Inizierò dal tuo fianco e salirò da lì fino all’ascella e alla spalla. Poi lo riempirò e lavorerò sulle ombre.”

Alec fece un respiro tremante, ansia improvvisamente scritta su tutto il volto, e Magnus non riuscì a resistere all’impulso di allungare una mano e togliergli una ciocca dalla fronte, passandogli una mano tra i capelli, solo una volta. Alec lo guardò, chiaramente stupito dalla tenerezza nel gesto di Magnus – ne era sorpreso lui stesso – ma non cercò di respingerlo.

“Respiri profondi,” mormorò. “Andrà tutto bene. È solo un piccolo ago. Te ne presenterei volentieri un altro più piacevole ma sto per farti sanguinare quindi probabilmente non è il momento migliore.”

Alec sbuffò, la punta delle orecchie che si colorava di un’adorabile sfumatura di rosso. “Pensi?” ribatté impassibile, ma stava sorridendo.

Con le note lievi della musica dal suo portatile che risuonavano dietro di lui, Magnus si sedette di fianco al tavolo, scambiando uno sguardo con Alec, il cui braccio destro era sistemato sotto la testa per dare a Magnus lo spazio che gli serviva.

“Pronto?”

Alec annuì.

“Se hai bisogno di qualunque cosa, chiedi soltanto e facciamo una pausa, okay?”

Alec annuì di nuovo e Magnus lo imitò, prima di piegarsi su di lui e accendere la pistola da tatuatore.

____

 La prima ora passò confusamente. Alec si era preparato per un dolore agonizzante ma non era più doloroso dei graffi che si faceva da piccolo quando cercava di accarezzare il loro gatto, Church. Church era un gatto critico ed arrogante, raccontò a Magnus, il quale si assicurò di distrarlo chiacchierando di cose leggere per tutto il tempo. Gli era sempre piaciuto Max e solo Max, ed era stato impossibilmente ostile con tutti gli altri, compreso Alec.

Ricordava affettuosamente quando sua madre gli metteva la crema antibiotica sui tagli ogni volta che era abbastanza testardo da provarci un’altra volta, e un’altra, e un’altra.

In cambio, Magnus gli raccontò di più di Presidente Miao, che apparentemente era arrogante e sdegnoso allo stesso modo, ma solo perché ‘gli piace scegliere le sue amicizie’, o così gli disse Magnus, aggiungendo con un sorriso che era sicuro che al suo gatto Alec sarebbe piaciuto.

Quando non parlavano Magnus canticchiava sotto voce, gli occhi che non lasciavano mai la pelle di Alec o la punta della pistola, e Alec lasciò che i suoi occhi scivolassero sui numerosi disegni e fotografie sul muro, senza preoccuparsi di nascondere la meraviglia nel suo sguardo ora che Magnus non poteva vederla.

Era acutamente consapevole della presenza calda di Magnus di fianco a lui, del suo respiro che gli calmava il bruciore dell’ago sulla sua pelle, del suo tocco gentile quando gli asciugava il sangue e l’inchiostro in eccesso ogni tanto.

La seconda ora fu più dura, il dolore divenne sempre più acuto ad ogni minuto che passava, ma servì solo a ricordargli un altro tipo di dolore che stava cercando di seppellire sotto l’inchiostro, ed era molto più sopportabile.

Simon arrivò a metà della terza ora offrendo loro dei dolci della pasticceria di Wanda, così colsero l’occasione per fare una pausa, ma Alec si rifiutò con decisione di guardarsi allo specchio per vedere il progresso del lavoro di Magnus sulle sue costole. Si distrasse concentrandosi sull’amichevole battibecco tra Simon e Magnus mentre si costringeva a mangiare un pasticcino nonostante la sensazione di nausea causata dalla perdita di sangue.
Simon se ne andò dopo una quindicina di minuti e Alec si ridistese senza una parola.

“Okay?” chiese piano Magnus.

“Okay,” rispose semplicemente Alec, passandosi una mano sul viso stanco.

Si addormentò durante la quarta ora, la stanchezza lo avvolse inaspettatamente nello stesso momento.

Si svegliò con un sussulto al suono secco del lattice che scattava nell’aria e dovette battere le palpebre tre volte prima che i suoi occhi si focalizzassero su Magnus, che gli stava dando le spalle mentre buttava i guanti nel cestino più vicino.

Si sentiva un po’ stordito ma era solo vagamente consapevole del dolore al suo fianco destro, come se il suo corpo fosse diventato sordo ad esso dopo i ripetuti assalti.

“Hai finito?” disse con voce rauca.

Magnus si girò a guardarlo e il suo volto si addolcì in un sorriso che fece contorcere di nuovo lo stomaco di Alec, sebbene non fosse sicuro che la perdita di sangue fosse da biasimare questa volta.

“Sì,” disse avvicinandosi. “Come ti senti?”

Alec spinse sul fianco buono per sollevarsi fino a mettersi seduto, prendendo la bottiglia d’acqua che Magnus gli porgeva con un sorriso grato. “Esausto,” sussurrò, solo a malapena cosciente delle parole che gli uscivano di bocca. “Tu?”

Magnus ridacchiò, gli occhi che gli brillavano per il divertimento. “Beh, ho appena avuto la possibilità di toccare la tua schiena nuda per quattro ore e mezza,” rispose con un sorriso ironico, “non vedo come la mia giornata possa migliorare.”

Alec sbuffò scuotendo la testa e finì l’acqua, sentendosi già meglio.

Magnus aspettò pazientemente che finisse e piegò la testa di lato. “Pronto a vederlo?” chiese a bassa voce, l’apprensione che gli oscurava i bellissimi occhi.

Alec annuì e si alzò per seguire Magnus allo specchio dall’altro lato della stanza, il cuore che gli batteva dalle tempie alla punta delle dita. Magnus gli fece cenno di mettersi di fronte allo specchio e Alec inspirò a fondo prima di muoversi, con Magnus che rimase in piedi dietro di lui mordendosi nervosamente il labbro.

Alec alzò il braccio destro sopra la testa per vedere il tatuaggio e il respiro gli si bloccò in gola.

Dall’anca a sotto l’ascella, con i rami che si estendevano sulla spalla e sul petto, sulla sua pelle era disegnato un bellissimo albero che gli copriva il resto delle ferite che non era riuscito a nascondere con scaltre bugie e sentimenti sepolti. Sembrava muoversi con il vento, i rami orientati leggermente di lato, facendolo sembrare ancora più coinvolgente e sublime nella sua devastante semplicità. E lì, sul lato sinistro, un acchiappasogni pendeva da uno dei rami, oscillando con il vento, stupendo nei suoi dettagli e ancor di più nel suo significato. Magnus non l’aveva avvertito sull’acchiappasogni, ma Alec gli aveva detto di fare come preferiva, non avendo dubbi sul fatto che sarebbe piaciuto anche a lui.

Non si rese conto di quanto tempo rimase in silenzio, o che aveva gli occhi lucidi, fino a che la voce preoccupata di Magnus risuonò dietro di lui.

“Oh Dio,” disse senza fiato, “lo odi vero? Mi dis-”

Alec non gli diede la possibilità di andare avanti. Si volse e prese Magnus tra le braccia senza avvertirlo, seppellendo il viso, e le lacrime, nel suo collo.

“Grazie,” riuscì a dire con voce soffocata.

Magnus avvolse un braccio intorno al suo fianco buono, le dita che accarezzavano la pelle nuda di Alec rassicuranti, stringendosi a lui mentre lasciava che il sollievo e la gratitudine fuoriuscissero da lui a ondate. Riusciva a sentire il battito di Magnus contro la sua guancia e usò il ritmo regolare per riacquistare una relativa calma, regolarizzando il suo respiro con quello di Magnus.

Quando si tirò indietro sembrava passata un’eternità ma Magnus non si lamentò mai e lo lasciò andare solo quando lo fece Alec.

“Andiamo,” disse gentilmente, le dita che scivolavano lungo il braccio di Alec per prendergli la mano. “Devo impacchettarti.”

Rise all’espressione confusa di Alec e gli fece cenno di risedersi sul tavolo.

Alec realizzò che la parte di ‘impacchettarlo’ era quasi letterale quando Magnus tirò fuori la carta da un cassetto. Ci vollero solo cinque minuti e Alec desiderò che durasse più a lungo, anche solo per riacquistare la ragione, e non perché il respiro di Magnus sulla sua pelle mentre lavorava gli mandava i brividi lungo la schiena.

Quando ebbe finito Magnus fece un passo indietro e prese la camicia di Alec per porgergliela con un sorriso. “Tutto fatto tesoro,” disse. “Sai già come curare un tatuaggio?”

Alec annuì. “TI ascolto davvero quando parli,” ribatté con un sorrisetto. “La maggior parte delle volte.”

Magnus roteò gli occhi e si avvicinò di nuovo per asciugare una lacrima dalle guance di Alec.

Alec deglutì. “Grazie,” sussurrò di nuovo, gli occhi fissi in quelli castani e caldi di Magnus.

Magnus sorrise e fece per ritirare la mano, ma la mano di Alec si alzò spontaneamente prima che ci riuscisse, afferrandogli il polso e tirandolo leggermente per attirarlo in avanti. Magnus sussultò sorpreso ma non cercò di respingerlo.

Alec studiò i suoi lineamenti in silenzio, il ricco castano dei suoi occhi, circondato da un ombretto blu scuro che si accordava con la sua camicia. Magnus era bellissimo, in quel suo modo unico che mescolava bellezza genuina a sensualità maliziosa, e Alec era dolorosamente consapevole che era ancora più bello dentro, il suo cuore traboccava di una gentilezza che avrebbe avuto ogni diritto di abbandonare dopo tutti gli ostacoli che la vita gli aveva messo davanti.

Fu senza sorprendersi minimamente, davvero, che Alec si rese conto che si stava innamorando di lui, se non lo aveva già fatto.

Le sue labbra scesero fatalmente su quelle di Magnus e Alec era sicuro che il suo cuore avesse smesso di battere, solo per riprendersi e battere come un tamburo nel suo petto non appena Magnus rispose al bacio con abbastanza vigore da fargli girare la testa.

La mano di Alec scese sulla vita di Magnus, posandovisi per avvicinarlo ancor di più. Magnus inspirò bruscamente e il loro respiro accelerò quando le loro lingue si incontrarono.

Baciare Magnus era pericoloso, rifletté Alec tra sé, ed era sicuro che la sola ragione non fosse quanto le sue labbra davano dipendenza contro le sue, o come stesse bene contro di lui, come se fossero stati scolpiti dallo stesso tronco.

Quando si separarono per respirare Magnus gli diede un bacio bruciante sulla guancia, le labbra che vagavano più in basso, e Alec piegò immediatamente la testa di lato per dargli più spazio, guardando la stanza che lo circondava con gli occhi socchiusi, solo vagamente consapevole che probabilmente questo non era il luogo o il momento migliore. Non gli sarebbe potuto importare di meno.

Fino a che gli importò.

Il suo sguardo cadde sulla scrivania di Magnus, trovando i resti appassiti dei fiori che aveva dato a Magnus nel corso delle ultime due settimane, come aveva fatto per gli ultimi mesi, sistemati con cura in un piccolo vaso. I fiori che Alec gli aveva dato quando Magnus era passato al negozio per comprarli per la sua ragazza.

Perché Magnus aveva una ragazza.

Gemette nonostante se stesso quando Magnus gli succhiò il collo, prima di risalire fino alle sue labbra dandogli un bacio leggero.

Magnus si accigliò quando Alec non rispose al bacio, immobilizzandosi per il timore. Era come se qualcuno gli avesse appena svuotato un secchio di acqua gelata sulla testa.

“Alexander?” sussurrò piano Magnus, con una gentilezza che gli spezzò il cuore. “Stai bene?”

Alec inghiottì il groppo che aveva in gola.

“Non posso farlo,” sputò. “Tu non puoi farlo.”

Gli occhi di Magnus lampeggiarono per il dolore ma servì solo a far infuriare di più Alec.

“Non è giusto,” continuò.

Magnus aprì e chiuse la bocca due volte prima di riuscire a pronunciare qualche parola. “I-io pensavo che tu-”

Alec scosse la testa con fermezza, interrompendolo a metà frase. “Devo andare,” esclamò sciogliendo le gambe dalla vita di Magnus – non ricordava di avercele messe ma, di nuovo, era stato completamente perso in tutto ciò che era Magnus il secondo che era entrato in quella stanza – e allontanando gentilmente Magnus per scendere dal tavolo.

“Grazie di nuovo,” disse a uno stupefatto Magnus. “Non hai idea di quello che significa per me, e mi dispiace così tanto. Non avrei dovuto baciarti. Non succederà di nuovo.”

Se ne andò prima che Magnus potesse trattenerlo, il suo richiamo disperato che riverberava ad ogni passo che Alec fece per uscire dallo studio.
Isabelle, Jace e Max lo aspettavano fuori eccitati, con ampi sorrisi sui loro volti, e Alec si immobilizzò, obbligandosi a rallentare il respiro.

“Buon compleanno!” esclamarono all’unisono.

“Fammi vedere!” pretese subito Isabelle.

“Io- io non posso,” disse Alec, e deglutì per ricomporsi. “È coperto. Te lo farò vedere tra un paio d’ore.”

Isabelle s’imbronciò, chiaramente delusa, ma durò solo qualche secondo prima che si riprendesse. “Va bene, Magnus mi ha mandato la foto del disegno prima che iniziaste e sono sicura che è meraviglioso.”

“Parlando del diavolo,” intervenne Jace con una smorfia. “Dov’è Magnus? Penso che dovrei ringraziarlo per aver convinto il nostro testardo fratello ad ascoltarci finalmente.”

“Era stanco, è rimasto dentro a riposarsi un po’,” si precipitò a spiegare Alec. “Lo ringrazierai più tardi.”

Senza un’altra parola, tornò al suo negozio, il cuore che gli batteva dolorosamente nel petto.

____

Magnus si sentì come se ogni giorno fosse un lungo, agonizzante postumo della sbornia per le due settimane successive.

Cosa vera tecnicamente solo per cinque o sei giorni. Forse sette.

Ragnor era in visita dall’Inghilterra, il che significava passare le serate in un bar ad ubriacarsi mentre Magnus doveva sopportare le prese in giro che non finivano mai dei suoi amici e i loro orribili gusti in fatto di moda.

Cercò di scrivere ad Alec e di chiamarlo ma ogni tentativo rimase vano fino a che Alec finalmente rispose due giorni dopo la loro sessione, ‘mi dispiace, ho oltrepassato una linea. Dammi solo un po’ di tempo e possiamo essere di nuovo amici’.

Così Magnus lo lasciò stare, il senso di colpa che gli stringeva lo stomaco al pensiero che aveva stupidamente buttato un’amicizia cui teneva perché non riusciva a controllare i suoi sentimenti.

Sua madre, percettiva come al solito, fu la prima ad accorgersi del suo umore che peggiorava. Lo stava guardando da sopra una spalla mentre disegnava sul suo blocco, sdraiato al suo posto preferito sul divano del suo soggiorno mentre aspettava che Charles finisse di cucinare la cena che condividevano due volte a settimana, quando parlò facendolo sussultare.

“Cosa c’è che non va tesoro?” sussurrò, abbastanza piano che Magnus fu l’unico a sentirla.

“Niente,” mentì immediatamente, una voce distaccata che non riconobbe nemmeno lui.

Barbara sbuffò indignata. “Stai disegnando a carboncino,” sottolineò, “lo fai solo quando sei triste.”

Magnus sospirò sconfitto, abbassando le spalle. “Starò bene mamma,” disse in un sussurro. “Ho solo bisogno di tempo.”

Lei si accigliò, i suoi bei lineamenti aggrottati in un’espressione preoccupata, ma gli diede solo un bacio sulla fronte, strappandogli un lieve sorriso.

“Ti voglio bene,” gli disse.

“Ti voglio bene anche io,” rispose Magnus.

Aveva ragione lei. Aveva troppo amore da dare.

____

Alec fece l’unica cosa che sapeva fare quando si sentiva triste: si immerse nel lavoro. Arrivò come una distrazione benvenuta quando Lily – che era molto meglio di lui nel trovare clienti regolari perché ci sapeva fare molto più di lui con la gente – ottenne per loro un grande contratto con un po’ di hotel della zona.

Se lo faceva andare al lavoro prima e tornare a casa dopo, così fosse.

Più lontano era dalle mura ultimamente fredde e solitarie del suo appartamento, meglio era.

Era un mercoledì ed era arrivato un’ora prima dell’orario di apertura, iniziando immediatamente con gli ordini che avevano ricevuto dai clienti. Fece del suo meglio per non strofinarsi il fianco destro quando una spiacevole sensazione di prurito gli percorse le costole.

Magnus lo aveva avvertito che sarebbe potuto succedere, era la conseguenza e il logico risultato della guarigione del suo corpo, ma non gli aveva mai detto come sarebbe stato davvero.

Gli si strinse il cuore al pensiero di Magnus, e sospirò. Faceva del suo meglio per non girare la testa verso la vetrina ogni volta che sentiva il suono di una moto passare lungo la strada, ma aveva imparato a riconoscere la Ducati Scrambler di Magnus nei tre mesi da che si conoscevano, e nessuno dei motori che risuonò dalla strada quella mattina era quello di Magnus.

Quando andò ad aprire la porta per i clienti fu sorpreso di trovare una donna fuori sul marciapiede.

Era abbastanza alta, con la carnagione color bronzo chiaro e dei penetranti occhi a mandorla, i lunghi capelli scuri che ricadevano in onde sulle spalle e sulla schiena. Gli sorrise attraverso la vetrina, le labbra che si alzavano da un angolo, e fu colpito da una sensazione travolgente di familiarità che spinse con urgenza in fondo alla sua mente.

Stava cercando di superare Magnus e chiaramente stava facendo un pessimo lavoro se iniziava a vederlo in ogni estraneo che entrava nel suo negozio.

“Buongiorno,” disse quando entrò, girandosi per tornare dietro il bancone. “Come posso -” iniziò, immobilizzandosi quando il suono inconfondibile della moto di Magnus risuonò dalla strada alle sue orecchie, “-aiutarla?” finì, battendo le palpebre per riprendersi.

Lei gli sorrise e si avvicinò al bancone con passi decisi. Si fermò proprio di fronte a lui e per un po’ non disse niente. Piegò la testa di lato, un altro gesto familiare che lo fece imprecare tra sé, e lo osservò in silenzio, i suoi profondi occhi castani che percorrevano il suo volto come avrebbero fatto con un libro aperto.

Alec deglutì, cercando di resistere alla tentazione di muoversi sul posto. “Signora?”

“Sei molto bello,” disse, ma prima che potesse ringraziarla e informarla gentilmente che gli piacevano davvero tanto i ragazzi, e uno in particolare sebbene non fosse andato molto in là, aggiunse, “capisco perché mio figlio mi ha comprato tanti fiori ultimamente.”

Alec si accigliò, confuso, e scelse il modo più eloquente per rispondere, inarcare un sopracciglio e socchiudere un occhio perplesso.

“Mio figlio,” disse lei, in un tono che suonava come se avrebbe dovuto essere esplicativo di per sé. “Mi ha comprato un sacco di fiori ultimamente e… voglio dire, sono molto belli. Stai facendo un lavoro fantastico tesoro ma, detto tra me e te, mi piacciono i fiori ma non così tanto.”

Alec stava iniziando a pensare di essersi perso qualcosa, qualcosa di cruciale tra l’altro, e ancor più importante, aveva l’impressione di sapere esattamente cosa stava succedendo, una lenta e strisciante sensazione che si faceva strada dentro di lui.

“S-suo figlio?” riuscì a balbettare.

“Sì, Magnus,” disse lei, e il suo cuore gli sprofondò nel petto. “Possiede lo studio di tatuaggi qui a fianco. Non l’hai conosciuto?”

“S-sì. Lo conosco.”

“Sei tu Alec giusto?”

“Sono io,” disse, sentendosi molto eloquente. Inspirò a fondo, respingendo la voce dentro di lui che gli stava urlando quanto fosse idiota. “Lei è la donna misteriosa?” chiese quando ritrovò la voce. “Quella per cui ha comprato tutti quei fiori?”

Lei mormorò confermando, e fu un suono bellissimo, leggero e cantato.

“Merda,” disse senza fiato. “Cazzo.”

Lei sussultò, interrompendo l’osservazione di uno degli acchiappasogni che pendevano dal soffitto per tornare a guardarlo, chiaramente sorpresa.

“Scusi,” mormorò. “Quindi non ha una ragazza?”

I suoi lineamenti furono attraversati da comprensione e i suoi occhi brillarono quando sorrise. “Non che io sappia tesoro. Sono abbastanza sicura che è un po’ preso da un bel fiorista.”

“Merda,” disse Alec di nuovo, e le lanciò un’occhiata di scuse che lei ignorò con un gesto della mano. “Mi scusi signora.” Si precipitò dall’altra parte del bancone e la prese per le spalle. “Devo andare. C’è qualcosa che devo fare. Può controllarmi il negozio per tipo dieci minuti? La mia collega dovrebbe arrivare subito.”

La madre di Magnus gli sorrise. “Esci di qui prima che ti costringa io,” disse, e Alec sapeva che l’avrebbe fatto.

Corse fuori dal negozio senza altre esitazioni, ringraziandola con parole incoerenti.

Magnus era proprio lì, appoggiato alla moto, bellissimo come sempre in un trench beige e jeans grigi strappati. Stava chiacchierando con Wanda e Alec si precipitò a raggiungerli, il cuore come un tamburo nel petto.

“Era tua madre?” chiese d’impulso, forte abbastanza da farli sobbalzare entrambi.

Magnus gli lanciò un’occhiataccia. “Sei completamente impazzito?” ringhiò. “Non mi parli per due settimane e poi mi urli qualche stronzata dal nulla?”

Sbuffò infastidito e spinse sulla moto per allontanarsi ma Alec gli afferrò il braccio prima che potesse farlo, gentilmente ma con fermezza.

“Hai una ragazza?” chiese scuotendo la testa.

“Cosa diavolo stai facendo Alexander?” esclamò Magnus liberando il braccio dalla sua presa. “Ho ricevuto il messaggio forte e chiaro, non c’è bisogno di essere crudeli in proposito.”

“No, no Magnus,” sospirò Alec. “Non è -”

“Olek,” lo chiamò Wanda di fianco a loro, un sorriso sulle labbra. “Ricomincia, skarbie. Non sei chiaro.”

Alec annuì respirando a fondo e riportò gli occhi su Magnus. Sembrava arrabbiato, le labbra una linea sottile e i denti stretti.

“Tutti i fiori che hai comprato,” mormorò, “li hai comprati per la tua ragazza?”

“Cosa?” sbuffò Magnus, ma i suoi occhi si spalancarono per la comprensione in un modo che sarebbe stato divertente se Alec non si fosse sentito sul punto di implodere presto. “No, erano per mia madre!” disse allora, e Alec non cercò neanche di nascondere un sospiro sollevato. “Pensavi avessi una ragazza?” disse poi stupefatto, suonando stranamente riprovevole. “È per questo che sei corso via?”

“Hai detto che erano per una persona speciale!” protestò Alec, “non hai mai detto che era tua madre!”

“Alexander, anche se avessi avuto una ragazza, a nessuno piacciono tanto i fiori,” disse Magnus impassibile, le braccia incrociate sul petto.

“A me sì!” affermò Alec imbronciato.

“Oh, taci e baciami, idiota!”

“Sì!” esclamò Wanda di fianco a loro, “taci e bacialo o lo farò io per te!”

Alec rise e alzò gli occhi al cielo, afferrando il bavero del trench di Magnus per tirarselo contro e coprirgli la bocca con la sua. Magnus rispose al bacio immediatamente, le mani che salivano una ad accarezzargli una guancia e l’altra che gli scivolava tra i capelli per tirarlo più vicino.

Alec era vagamente consapevole di aver spinto Magnus contro la moto a un certo punto, e della voce di Jace che urlava ‘prendilo fratello’ da qualche parte dietro di lui, ma tutto quello cui riusciva a fare davvero attenzione erano le labbra di Magnus che si muovevano contro le sue, le dita di Magnus che tracciavano un sentiero dalla sua guancia al suo orecchio, impossibilmente tenere, il corpo di Magnus premuto contro il suo, e il suo stesso cuore che urlava con battiti assordanti ‘è lui, è lui quello giusto, lui è perfetto’.

Alec lo strinse a sé, ascoltando i loro cuori battere all’unisono e giurando a se stesso che non l’avrebbe mai lasciato andare. Non fino a che Magnus l’avesse voluto.

Quando si allontanarono, ansimando l’uno sulle labbra dell’altro, Alec prese il viso di Magnus tra le mani e sorrise. Facilmente. Senza sforzo.

“Allora, vuoi andare a bere qualcosa qualche volta?” chiese senza fiato, il sorriso che si allargava alla vista di quello smagliante di Magnus.

“Dipende,” sussurrò Magnus, una scintilla di malizia che danzava nei suoi occhi. “Posso portare la mia ragazza?”

Alec sospirò, appoggiando la fronte a quella di Magnus. “Mi dispiace,” mormorò.

Magnus rise dandogli un bacio a stampo sulle labbra. “Sei perdonato. Ti comprerei dei narcisi gialli per il perdono ma il mio fioraio mi sta ignorando da due settimane perché pensava avessi la ragazza.”

“Non lascerai mai che me lo dimentichi vero?” mugugnò Alec.

“Mai,” disse Magnus, gli occhi che brillavano per quella scintilla malefica che aveva attirato Alec fin dall’inizio.

Alec alzò gli occhi al cielo e lo tirò a sé per un altro bacio.

____

“Cosa ne pensi dei tatuaggi di coppia?”

“Non mi tatuerò il tuo nome sul sedere,” ringhiò Alec, ma stava sorridendo.

Aveva certamente a che fare con il suo recente orgasmo, rifletté tra sé.

Magnus rise solleticandogli gentilmente le costole. “Non ce n’è bisogno, so già che quel sedere appartiene a me,” replicò ironico.

Alec sbuffò ma non negò, le dita che correvano dalle spalle di Magnus ai suoi fianchi e ancora più in basso a stringergli il sedere nudo per vendetta. “Cos’avevi in mente?”

Magnus gli sorrise e gli brillarono gli occhi per l’entusiasmo. Era un’espressione che non mancava mai di far sorridere Alec di rimando, anche dopo due anni insieme.

Magnus gli diede un bacio sul petto e si mosse per alzarsi dal letto, la sua gloriosa nudità esposta per il piacere di Alec mentre andava alla scrivania a prendere un pennarello. Tornò sul letto e sopra ad Alec, sedendosi in grembo a lui con un sorriso mentre lasciava che i suoi occhi corressero sul suo petto nudo.

Alec gli lanciò un’occhiata dubbiosa. “Cosa stai facendo?”

“Sto cercando il posto migliore,” rispose Magnus pensieroso.

“Lo hai già trovato,” replicò Alec con un sorriso. “Dieci minuti fa, quando mi stavi fottendo. L’hai già dimenticato?”

Magnus si chinò per dargli un lungo bacio sulle labbra. “Guardati, che fai doppi sensi,” mormorò contro la sua bocca. “Ti amo così tanto.”

“Solo perché mi hai corrotto per stare ai tuoi standard,” ribatté Alec allungandosi per averne di più. “Ti amo anche io.”

“Oh! Lo so!” esclamò Magnus, tirandosi bruscamente indietro lasciando Alec con la bocca socchiusa a battere le palpebre sorpreso.

Magnus gli afferrò il braccio sinistro senza un’altra parola, premendo il pennarello contro il suo polso.

Per un po’ rimase in silenzio, i movimenti sicuri e concentrati mentre disegnava linee e curve sul polso di Alec. Alec lo guardò disegnare tranquillo, osservando il modo in cui Magnus sporgeva appena la lingua, la fronte corrugata per la concentrazione, il naso arricciato adorabile.

Non voleva fare altro che sedersi meglio e baciare il suo ragazzo ma rimase fermo. O almeno per quanto ci riusciva.

“Smettila di agitarti,” lo sgridò Magnus, dandogli una leggera sberla sulla coscia in rimprovero.

“Ma fa il solletico,” protestò Alec, ma Magnus lo ignorò, tornando a disegnare.

Alla fine tolse il pennarello e ammirò la sua opera prima di girarsi verso Alec con un sorriso. “Ecco.”

Alec si portò immediatamente il polso davanti agli occhi, studiando il disegno di Magnus, un sorriso che lentamente gli cresceva sulle labbra. Magnus si riappoggiò contro il suo petto, le dita che tracciavano il tatuaggio sulle sue cosce con aria assente.

“Un’amarillide?” chiese dolcemente Alec, passando le dita tra i capelli di Magnus.

“È il primo fiore che mi hai mai dato,” disse Magnus a voce bassa. “Era il tuo modo imbarazzato di flirtare con me. Darmi un fiore che significa ‘splendida bellezza’ senza dirmi mai cosa significasse.”

Alec arrossì, cosa che era di per sé ridicola considerando la posizione in cui erano e da quanto tempo erano insieme. “Taci.”

Magnus rise, gli occhi che si piegavano agli angoli, e ad Alec si fermò il respiro in gola. “È stato dolce,” disse, piegandosi nel tocco di Alec tra i suoi capelli.

“Allora, tu sei un’amarillide,” disse Alec in un tentativo malamente nascosto di cambiare argomento.

Magnus sorrise, chiaramente capendo cosa voleva fare, ma alzò il viso per baciarlo sulle labbra. “Cosa sono io allora?” chiese Alec. “Se ci facciamo i tatuaggi insieme, io ho te e tu hai me giusto?”

“Tu sei buona fortuna e felicità duratura,” disse Magnus con un sorriso gentile. “Sei positività e forza e tutto ciò che di buono c’è nel mondo.”

Alec si morse il labbro inferiore ma non riuscì a trattenere il suo sorriso storto. Afferrò la vita di Magnus, girandolo tra le sue braccia per premerlo contro il materasso e rimanere sopra di lui.

“Quindi sono un girasole?” chiese, baciando Magnus sulla mascella prima di scendere.

Magnus mormorò sia per la felicità che per l’approvazione.

“Pensi che Barbara ci tatuerebbe?” chiese Alec contro il suo collo, e sibilò per il dolore soffocato quando Magnus gli tirò i capelli, molto più bruscamente dello stretto necessario.

“Non parlare di mia madre quando siamo a letto,” ringhiò.

“Scusa,” rise Alec contro la sua clavicola.

“Ma sì, lo farebbe,” mormorò Magnus, “gliel’ho già chiesto.”

Alec si immobilizzò a metà strada verso il petto di Magnus e alzò la testa per guardarlo, inarcando un sopracciglio.

“L’hai fatto?”

Magnus gli lanciò un’occhiata compiaciuta tra le palpebre socchiuse. “Sapevo che avresti detto di sì,” sussurrò. “So che sai bene quanto me che passeremo il resto della nostra vita insieme.”

“Forse dovresti sposarmi allora,” mormorò Alec, baciando il sentiero che lo riportava alle labbra di Magnus.

“Lo farei se potessi,” sussurrò Magnus, e ad Alec si strinse lo stomaco. Batté le palpebre, poggiando le mani ai lati della testa di Magnus per guardarlo, deglutendo. “Ma cosa dirà la mia ragazza?”

Alec gemette, lasciandosi collassare contro Magnus con uno sbuffo. “Due anni, amore. Due fottuti anni. Lascia morire quella battuta.”

“Mai,” rise Magnus contro il suo orecchio, prima di stringere giocosamente il suo lobo tra i denti.

“Non importa,” disse Alec alzandosi da Magnus per ricadere sulla schiena di fianco a lui. “Non voglio sposarti. Mi troverò un altro ragazzo. Come l’insegnante di quelle lezioni di salsa cui mi hai trascinato.”

Magnus si accigliò, girando la testa sul cuscino per osservare Alec, ma poi sbuffò roteando gli occhi. “Ti conosco meglio di così, Alexander Gideon Lightwood. Non sono stupido. Lo dici solo perché così non ti ci farò più andare.”

“Sei uno scemo,” disse Alec.

“Mi ami,” ribatté Magnus, girandosi per incollarsi al fianco di Alec, tracciando le linee dell’acchiappasogni sul suo tatuaggio con le dita.

“Ti amo davvero, davvero tanto,” sussurrò Alec lasciandogli un bacio sulla tempia.

“Ti amo anche io.”

Alec sorrise, in pace, e lasciò che le sue dita tracciassero le lisce linee scure disegnate sull’avambraccio destro di Magnus.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino,
io sono il capitano della mia anima.




______

Ehy guys :)
sono tornata con un'altra oneshot di Lecrit, la penultima prima della storia che preferisco in assoluto. Qui il link alla storia originale. Spero vi sia piaciuta, ditemi che ne pensate!!
See you,
Chantal
  
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