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Autore: dream_more_sleep_less    08/04/2017    1 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The last chance
XXXIII


Il fatto che Rosalie fosse venuta a dargli sostegno lo fece stare tranquillo sia nei giorni precedenti che in quel preciso momento. La signora Twain, in un certo senso, era sempre stata affettuosa e rigorosa con lui, come una vera madre. Il pensiero l'aveva sempre rattristato.

Non sarebbe mai riuscito a ripagare il debito che sentiva di avere nei confronti di quella donna, era sempre stata presente nella sua vita da quando suo padre era sparito.

Certe volte anche il solo pensiero gli toglieva il respiro perché quello non era un suo compito.

Rosalie gli poggiò una mano sulla spalla, quasi conoscesse i suoi pensieri. In fondo era una madre, era normale che li conoscesse. Con già due figli ormai era navigata come madre.

Sospirò.

Stavano aspettando fuori dall'ufficio della vicepreside e Lance non riusciva a fare a meno di pensare che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe volontariamente rivolto la parola al terzino.

 

Arrivarono con qualche minuto di ritardo.

Una volta accomodati la signora Steel prese subito parola.

"Ci dispiace avere convocato voi signori per un motivo così grave oggi, ma dobbiamo discuterne le conseguenze," disse, facendo poi una breve pausa.

"Il mio collega ed io abbiamo cercato di non fare la cosa più grossa di quanto non sia già, ma il preside ha voluto prendere seri provvedimenti."

Leeroy stava quasi per alzare gli occhi al cielo per tutte le cavolate che uscivano dalla bocca della vicepreside. Come a suo solito cercava di fare bel viso a cattivo gioco, non per niente era considerata la più viscida e infame tra i professori.

Cercò però di stare tranquillo e non aprir bocca, non voleva peggiorare ancora di più la situazione o sarebbe finito al patibolo.

Guardò di sottecchi Lance, seduto accanto a lui, per vedere la sua espressione, ma il ragazzo sembrava assurdamente concentrato ad ascoltare attentamente le parole della donna, senza considerare le altre presenze. La cosa lo innervosì non poco e tornò ad osservare i suoi genitori che sarebbero stati giudice, giuria e carnefice dopo quell'incontro. Non degnò Stan di uno sguardo, come se non fosse presente. Era lì per sentire il verdetto, non per delle scuse false da una persona che si era presa gioco di lui.

"Per questo dobbiamo decidere come procedere dopo quanto accaduto. Per il signor Stark non ci saranno seri provvedimenti, è uno studente modello. Per quanto riguarda il signor Rogers, invece, dati i precedenti, saremo costretti a sospenderlo per una settimana."

"Non si potrebbe evitare la cosa visto che è uno dei miei titolari?" parlò Stan per la prima volta.

"Purtroppo, come abbiamo già detto, la sospensione è già ufficiale da lunedì, e non posso farci nulla. Sono molto dispiaciuta."

Leeroy aveva la nausea ad ascoltarli. Mentre suo padre sembrava pensare ai fatti suoi, sua madre era stoica; sembrava aspettare il momento adatto per parlare.

"Sì, ma non è giusto, il ragazzo ha lavorato tanto," fece la signora Twain in difesa di Leeroy; lo conosceva da una vita e non capiva perché per una scazzottata dovevano farne un affare di stato con tanto di denuncia.

"Non si è mai comportato bene, nè durante le partite, né durante le lezioni, e il suo rendimento non è tra i migliori," disse la signora Steel con aria contrita.

"Con ciò cosa vorrebbe insinuare?" domandò Amanda con tono calmo.

"Signora Rogers..."

“È signora Whynter,” la bloccò subito.

La signora Steel sembrò arrossire, non capendo, e anche per il tono deciso della donna davanti a lei.

"No, la prego, mi illumini, cos'ha Leeroy per meritarsi un verdetto simile? Non penso sia l'unico a cacciarsi in situazioni di questo tipo, con gli altri ragazzi non è mai stata sporta denuncia, vorrei sapere perché ora e perché con lui," disse la madre del ragazzo, partendo in attacco; aveva il fuoco negli occhi.

"Capisco che voglia proteggere suo figlio, ma vede, non sempre..."

"No, lei non capisce, evidentemente non ha dei figli," sentenziò subito in risposta. Amanda aveva quel dono di colpire le persone dritte al loro punto debole. Maurice sembrò per la prima volta ascoltare la conversazione.

La vicepreside boccheggiò. "Come si permette?"

Amanda si avvicinò alla scrivania, tirando fuori dalla borsa a bauletto una busta, e ve la appoggiò.

"Signorina Steel,” iniziò con tono di scherno. "questa è la risposta del mio avvocato."

"Ha intenzione di fare causa alla scuola?" domandò Stan con tono disinteressato, dopo averla aperta e aver letto velocemente i vari fogli. La sua collega sgranò gli occhi.

Maurice quasi rise sotto i baffi, adorava il carattere della moglie.

"Se voi volete andare avanti in questo modo, sì. Sarete entrambi, assieme al preside, citati in giudizio. Più il professore di storia, come si chiama?" chiese con tono disinteressato.

"Il signor Morris?"

"Esattamente,” fece Amanda con un sorriso solare che parve inquietare tutti nella stanza, eccetto il marito. "Ora, signori, possiamo metterla in due modi," propose la signora Whynter, schiarendosi la voce. "Possiamo procedere come voi avete iniziato e vi posso giurare che per quello che Stan ha fatto, non solo lui, ma anche la scuola finirà su tutti i giornali d'Inghilterra, causandovi non pochi problemi. Oppure facciamo come dico io."

"Signora, queste sono minacce,” disse la vicepreside, sconvolta. Fece per continuare, ma un' occhiata di Maurice la fece subito desistere.

"Voi ritirate la denuncia e noi lo faremo a nostra volta. Mio figlio non verrà sospeso, tornerà ad allenarsi e non verranno presi provvedimenti, nemmeno per Lance..."

"Sa che è impossibile?" fece Stan, non capendo dove la donna volesse arrivare, ma lo divertiva come stava mettendo in ridicolo la Steel.

"Credete che non conosca i problemi della scuola, come la facciata da riverniciare o i computer obsoleti?" disse con tono ovvio. "Tutti gli studenti si lamentano di quanto questa scuola stia cadendo a pezzi, non avete neppure fondi per corsi extra in caso qualcuno ne avesse bisogno,” continuò con tono sufficiente, ridicolizzandoli quasi. "Questi ragazzi avranno bisogno di maggiori comfort, non è vero?" aggiunse poi, sorridendo.

La vicepreside parve per un attimo ammaliata, ma si riscosse subito.

"Questa è corruzione."

"Si chiamano donazioni, signora Steel, e sono queste a migliorare le scuole. E in questo caso miglioreranno anche i nostri rapporti d'ora in poi, non trova?"

Calò il silenzio nella stanza. Amanda non attese nessun tipo di risposta e rimise mano alla borsa, tirando fuori il libretto degli assegni davanti a tutti quei volti ammutoliti.

"Credo che venticinque per il momento siano un buon incentivo. L'altra metà l'avrete a denuncia ritirata,” disse, lasciando poi cadere il pezzo di carta sulla cattedra.

La signora Steel lo afferrò al volo, guardandolo incredula.

"Ma signora Whynter, lei non può farlo."

"In realtà l'ho già fatto. Si ricordi di ritirare la denuncia entro venerdì, o l'assegno non sarà piu valido. È stato un piacere,” fece infine, con un altro sorriso. "Leeroy ora possiamo andare."

Il ragazzo rimase per un momento interdetto; si era aspettato di tutto, tranne quello.

La vicepreside corse subito fuori dall'ufficio a chiamare il suo superiore, non si era mai sentita così umiliata in vita sua.

Lance e Rosalie raggiunsero la signora Whynter nel corridoio, solo Maurice e Stan rimasero seduti e studiarsi a vicenda, finchè l'allenatore non cedette.

"Senti, mi dispiace, non era mia intenzione far venir fuori un casino del genere."

Il signor Rogers si accarezzò i capelli per sistemarli un po'; era un po' piu lunghi del normale e lo infastidivano.

"Beh quel che è fatto è fatto, non credi?" disse l'uomo, senza smettere di fissarlo negli occhi.

"Cercherò di rimettere le cose a posto."

"Mia moglie l'ha già fatto."

Maurice si alzò e, augurando una buona giornata, raggiunse gli altri. Non sarebbero tornati a bere una birra al pub come una volta per un po' di tempo.

 

"Mamma, che cavolo hai fatto?" disse Leeroy alla madre una volta fuori, con aria scovolta.

"Quello che andava fatto. Ora tornate in classe, io e Rosalie andiamo a prendere un caffè."

"Credo che dopo questo serva ad entrambe. Poi devo anche tornare a lavoro,” disse la signora Twain, controllando l'orologio.

Lance continuava a guardarsi le punte delle scarpe, ancora scosso; non riusciva ancora a credere a cosa fosse appena successo. Quella donna non avrebbe dovuto farlo, come avrebbe potuto ripagare una cosa simile? Perché diavolo si era data tanta premura anche per lui?

Leeroy doveva averle detto qualcosa. Si sentì in balia degli eventi, come sempre senza poter fare nulla. Avrebbe dovuto riuscire a tirarsi fuori da quella situazione da solo.

"Non doveva farlo,” le disse con tono colpevole.

Amanda lo guardò stupita per un momento. "Stan non doveva azzardarsi a fare una cosa simile, né tanto meno la scuola. Mio figlio è un cretino, se vorrai ripagarlo con la stessa moneta, non verrò a prenderti per le orecchie. Non sono quel tipo di madre. Ma stai tranquillo, non la passerà liscia, vero puffetto?"

Il terzino arrossì fino alla punta delle orecchie. Come aveva osato?

"Ma ti sembra il modo di chiamarmi a scuola?!" rispose sconvolto.

Rosalie rise. "Chiamavo Adam cucciolo da quando era bimbo, aveva degli occhi enormi. Ora è un teppista perditempo. Mi chiedo se riuscirà mai a prendere quella laurea, mi fa dannare,” ammise la donna in un sospiro.

"Adam è un bravo ragazzo, così come Abigail, vedrai che si raddrizzerà quando capirà che se continua così finirà l'università a trent'anni,” commentò Amanda.

La signora Twain sospirò ancora. "I maschi sono tremendi, non potevo avere due femmine?"

"Volevo anch'io una femmina, non questo ritardato di figliolo," scherzò la signora Whynter, indicando il suo ragazzo.

Leeroy preferì non controbbattere; era già stato troppo imbarazzante fino a quel punto.

"Lance, se vuoi stasera vieni pure a mangiare a casa nostra," disse Rosalie, guardandolo con fare amorevole.

"Grazie, ma stasera devo lavorare, sarà per un altra volta."

"Non farti problemi, ok?" disse lei, ancora sorridendo.

Il portiere si sentiva affogare per tutto quell'affetto non giustificato. Sorrise semplicemente.

Maurice uscì in quel momento, squadrando da testa a piedi Stark, come se non l'avesse mai visto; gli incutè timore per qualche secondo.

"Una volta nessuno si azzardava a fare denuncie per queste cose, erano i genitori che prendevano a ceffoni i figli se si azzardavano a fare cose simili,” commentò l'uomo con tono grave.

"Questo non è il Medioevo,” lo apostrofò la moglie.

L'uomo annuì e basta, poi tornò a fissare Lance. "Se dovesse tornare a casa con un occhio nero, non dirò nulla."

Lance rimase perplesso per un momento. Quell'incontro era stato fuori estraniante, come se non fossero dei genitori a parlare, ma dei ragazzi della loro età. Annuì imbambolato, vedendoli poi andare via.

"Roy, dopo gli allenamenti fila a casa,"intimò il padre al figlio.

"Sì Mars, tutto quello che vuoi," rispose il ragazzo. Affranto; sapeva già che non avrebbe avuto una bella accoglienza.

 

Quando rimasero soli si scambiarono una veloce occhiata e subito dopo Leeroy scappò quasi verso la sua classe, a passo spedito. Lasciò Lance ancora più intontito di prima in mezzo al corridoio, a fissarlo mentre se ne andava. Il portiere scosse la testa e lo seguì.

"Parliamo,” sentenziò, giungendo alle sue spalle per poi spingerlo dentro i bagni alla loro sinistra. Prima di chiudersi la porta alle spalle controllò che nessuno stesse arrivando. Non voleva scocciatori.

A dir la verità non voleva nemmeno parlargli. Si maledì perché non era mai stato così impulsivo.

"E che cazzo, potevi fare come una persona normale,” si lamentò Leeroy, sistemandosi la maglietta.

"Chiudi il becco. Hai detto anche ai tuoi di noi?"

Rogers inarcò un sopracciglio, capendo subito dove l'altro volesse arrivare.

"No, non sanno nulla. Come io non sapevo nulla di quella scena alla Robert de Niro,” rispose sarcastico. Lo innervosì quell'insinuazione. “Se pensi che vado a piangere da mamma per farmi togliere dai casini, non hai mai capito un cazzo"

Lance si sentì un coglione.

"Miles è venuto a parlarti?" domandò Leeroy, notando il silenzio del compagno di squadra.

Il portiere negò con la testa. “È venuto Adam, è incazzato con Miles per l'occhio nero."

Rogers si strofinò gli occhi, sbuffando. "Stavo per colpirlo io, ma Reginald mi ha preceduto. È stata una scena epica. Un po' agghiacciante, ma epica,” disse, facendosi scappare una risata, per poi guardarlo di sbieco.

"Non doveva venirlo a sapere."

"Se Adam si fosse fatto gli affari suoi, non sarebbe successo."

Cadde il silenzio per un momento e lo passarono a studiarsi a vicenda. Leeroy si perse per un momento a fissare il capolavoro di cubismo che era diventata la faccia dell'altro.. Si sentì tremendamente in colpa. Poggiò la mano destra sulla guancia tumefatta di Lance, facendosi scappare una carezza, e in tutta risposta l'altro l'afferrò per allontanarla.

"Nessuno dei due deve scusarsi," fece in un sospiro. Il contatto con la pelle di Rogers l'aveva fatto vacillare per un secondo.

Il terzino lo guardò con un espressione interrogativa, non capendo.

"Anch'io avrei fatto la stessa cosa,” disse amaramente. E questo perché si trattava di lui. Se ci fosse stato Miles o Drew o persino Daniele, sarebbe andato dritto da Stan. Ma trattandosi di Leeroy, l'avrebbe preso a pugni senza riserve. Gli faceva uscire il peggio ed il meglio e si odiava per il modo in cui perdeva il controllo.

"Lo so perfettamente,” ammise Leeroy con tono fermo. Non avrebbe mai avuto paura di prenderle dal portiere. Come lui riusciva a tirar fuori il peggio dell'altro, Lance tirava fuori il meglio di lui.

 

Parlare come stava facendo in quel momento con lui non l'avrebbe mai fatto con nessun altro. Non sapeva se la cosa lo rendesse felice o triste, ma lo lasciava alla deriva, senza sapere come reagire.

Lance si sentì come se fosse stato colpito di nuovo in faccia. Come poteva Leeroy accettare tutto quello?

Lui stesso non riusciva ad accettare l'aiuto di altre persone, ma Rogers riusciva ad accettare sia il male che il bene. Amanda non avrebbe dovuto aiutarlo. Quella sensazione di stordimento passò in quel momento. Si passò entrambe le mani sulla faccia come per risvegliarsi, doveva essere lucido, anche se tutto ciò che provava erano solo sensazioni negative.

"Te l'avevo detto che era una pessima idea,” gli rinfacciò, quasi con tono stanco.

"Non mi sento in colpa per aver scopato con te, se è di quello che parli,” rispose Leeroy, punto sull'orgoglio, risultando quasi sarcastico. Come poteva pensarlo?

"Era complicato prima e ora lo è ancora, se non peggio. Dimmi dannazione perché dovremmo continuare."

 

Leeroy rimase spiazzato. Gli aveva fatto mettere tutto in dubbio con una sola frase. Dannazione, pensò. Sgranò gli occhi e fece per parlare, ma uscì solo aria.

Lance scosse la testa: la loro relazione si bastava solo sulla stessa aria che respiravano, e non bastava. Non gli rispose e andò alla porta.

Rogers rimase fermo immobile, non capendo cosa fosse appena successo.

*

 

Quell'ultima partita prima delle vacanze di Natale stava andando bene, anche se il giocatore migliore della squadra era in panchina. Stranamente Leeroy l'aveva scelto da solo, non sentendosi in grado di giocare insieme al portiere al momento. Naturalmente non aveva detto questo a Stan, ma solo a Miles. Ne aveva parlato con lui e gli aveva chiesto di fare passaparola. Al suo posto aveva fatto andare Andy; il ragazzino si meritava un battesimo del fuoco. Se la stava cavando bene seguendo le direttive di Lance e di Drew.

Dalla panchina, però, anche se riusciva a vedere bene i giocatori, non seguiva i loro movimenti come suo solito. Si sentiva catatonico dall'ultima volta che aveva parlato con il portiere.

Per sua fortuna i suoi genitori non erano venuti a vederlo; anzi, era stato lui stesso a dir loro di non presentarsi perché non avrebbe giocato.

Maurice l'aveva messo in punizione dopo che era tornato a casa. Sarebbe dovuto andare a scuola in autobus e la X-box era off-limits. Gli sembrò anche una cosa giusta. Non provò nemmeno ad obiettare.

Si era sentito un vero idiota negli ultimi giorni. Avrebbe dovuto semplicemente rispondere e invece no, aveva fatto la figura di quello che parla a vanvera senza sapere quello che dice.

A casa non aveva chiuso occhio, era rimasto a fissare il soffitto, a pensare a tutte le risposte possibili ed immaginabili.

Si sarebbe fatto prendere a padellate nei denti da Amanda.

Era stato lui ad iniziare tutto, lui che era andato a cercarlo dopo gli allenamenti per avere dei chiarimenti, finendo pure all'ospedale,per poter continuare quella cosa che neppure sapeva cosa fosse. Quando poi Lance aveva messo le cose in chiaro, si era bloccato.

In verità era convinto che Stark l'avrebbe preso a pugni di nuovo o mandato al diavolo. Tutto, tranne quella domanda.

Fu scosso dai suoi pensieri dall'arbitro che segnava la fine della partita con il fischietto. Avevano vinto due a uno grazie a Miles e a Daniele. L'unico gol subito era stato dovuto ad Andy, ma era stato comunque bravo.

Quando vide il portiere avanzare verso la panchina, si alzò di riflesso e scappò nello spogliatoio.

Non aveva la forza di vederlo, nè di parlare con gli altri membri della squadra.

Per sua fortuna Maurice gli aveva concesso l'auto quel giorno, così non avrebbe dovuto aspettarlo per tornare a casa.

Scappò a casa senza guardarsi indientro, dandosi del vigliacco.

*

 

"Come mai vuoi parlarmi di punto in bianco? Pensavo non volessi più vedermi dopo l'altro giorno,” sentenziò il più grande, entrando nell'appartamento con fare circospetto. Non si fidava molto di Lance quando era arrabbiato.

 

"Siediti e chiudi il becco."

 

Adam fece come gli era stato detto, contro la sua volontà; aveva l'impulso di mandarlo al diavolo.

"Allora?"

"Io e te prepariamo i prossimi due colpi per febbraio e marzo,” sentenziò senza timore.

"Noi cosa?"

"Non era una proposta, ma un ordine. Mi servono i soldi per andarmene da qua dopo il diploma, mi sono rotto le palle.”

"Dove vorresti andare?" domandò scettico.

"Ovunque, ma non qui.”

Adam cercò negli occhi dell'altro una parvenza di cedimento, ma non la trovò. Si sentì responsabile.

Aveva fatto troppi casini da quando Alexandra era partita e aveva peggiorato troppe cose; come il loro rapporto. Si era ritrovato in un pozzo senza poter affogare o risalire, costretto a morire di stenti.

"Avrò bisogno di tempo."

"Prendi tutto il tempo che ti serve, ma a fine febbraio si lavora. E non dire nulla a mia sorella, ha già dato troppi problemi,” disse con tono irremovibile. Andò a prendere due birre come di sua consuetudine, offrendone poi una al più grande.

"D'accordo. Ho già qualche idea,” rispose Adam, degluttendo a vuoto. Non avrbbe discusso per il momento i modi dell'altro, non ne aveva il diritto.

"No, questa volta andiamo a chiedere un lavoro al nostro amico. Mi sono rotto di cornici e cazzi vari. Voglio roba di valore,” disse il ragazzo, aprendo la bottiglia con fare disinteressato.

"Sai che più la posta è alta, più è pericoloso.”

"Non mi interessa, voglio i soldi."

Adam si strofinò la faccia, poi per evitare di mandarlo al diavolo aprì a sua volta la bottiglia e prese un lungo sorso. Si rinfrescò il cervello per vedere se davvero aveva capito il punto della situazione.

Sarebbero dovuti essere ancora più cauti di prima. Avrebbero potuto davvero rischiare la galera a questo punto.

"Parlerò con lui e cercherò allo stesso tempo altri obiettivi. Poi ne discuteremo di nuovo,” disse il più grande pacatamente, sperando che l'altro non scoppiasse. Gli sembrava completamente un'altra persona, quella che non sarebbe mai voluto diventare.

Non lo stava facendo per fargliela pagare su, questo ne era sicuro, doveva essere successo qualcos altro.

"D'accordo. Ci vediamo quando? Venerdì sera daanti al palazzo?" fece Lance.

"Devo prima prendere l'appuntamento per queste cose, non posso semplicemente presentarmi là,” chiarì Adam. Quella situazione era già irreale così e le richieste di Lance la peggioravano e basta.

Prese un respiro profondo. Parlare in quel momento sarebbe stato un grave errore.

"Mi spieghi qual è il problema?" sbottò Adam, scrutando l'espressione dell'amico per trovarvi una risposta.

"Nulla." Stark fu secco, irremovibile.

Twain scosse la testa, ridendo quasi. "Se questo tuo tono lo chiami nulla, allora siamo a cavallo."

Pensò bene di lasciar perdere. Non era il momento adatto.

*
 

Erano quasi le undici di sera e Leeroy se ne stava solo con un maglione sulla sdraio del giardino, interno a fissare il cielo per una volta libero dalle nubi. Sentirsi risucchiare da quell'oscurità lo faceva sentire in pace con se stesso. Aveva sempre avuto di abitudine fermarsi a soppesare la volta celeste quando era in stallo. Sua madre ormai non gli diceva più nemmeno di rientrare per il freddo.

Era suo padre Maurice che il più delle volte lo affiancava e restava in silenzio al suo fianco, e neppure quella volta si fece attendere molto. In un certo senso gliel'aveva trasmessa lui quell'abitudine, ma non ricordava come o quando. Da quando aveva memoria,si rivedeva sempre con suo padre in giardino a fissare il cielo.

Maurice quella volta, però, gli accarezzò i capelli, facendo poi finta di tirarglieli prima di accomodarsi su un'altra sdraio. "Sei un idiota."

Leeroy annuì, senza però rispondere. Era contento di riaverlo a casa.

 

 

 

 


 


 


 

   
 
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