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Autore: Urban BlackWolf    15/04/2017    3 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La luce all'improvviso

 

 

 

Un altro paio di pennellate e si accorse di aver finito il colore sulla tavolozza. Michiru sorrise soddisfatta scendendo dal trabattello per avere una migliore prospettiva. Aveva quasi terminato il suo murales. Qualche altro giorno e avrebbe potuto ritenere l'opera pronta per essere consegnata ai Mizuno.

Aveva composto gli strati pittorici di quell'immagine pensando ad Haruka e colore dopo colore, aveva goduto nell'immaginare la faccia di sincera ammirazione che sicuramente le avrebbe messo su una volta vistolo. In verità l'idea di partenza era nata da un mezzo litigio. Qualche settimana prima, durante una telefonata serale fattale dopo l'euforica immersione con Ami nel parco marino a qualche miglia dalle rive del Re del mare, Michiru si era sentita dire dalla compagna di non poter capire cos'avesse provato, quali sensazioni e quali emozioni una ninfa d’acqua come lei avesse sentito nell'abbandonarsi completamente a quell'abisso e allora aveva provveduto disegnando quelle imagini.

E come la sua Haruka, tante altre persone impossibilitate a raggiungere quei fondi, con la sua opera forse avrebbero potuto capire almeno un pò l'incredibile senso di libertà scaturita da un'esperienza simile. Portare un piccolo pezzettino di quel parco acquatico sulla terra ferma, riproducendo il più fedelmente possibile, i colori e le immagini che aveva potuto vedere laggiù quel giorno, era sembrata a Michiru una bellissima idea. I colpi di luce provenienti dalla superficie, le sfere biancastre che come impronte deformate giocavano a rincorrersi l'una con l'altra sul fondo ocra picchiettato di conchiglie, i pesci noncuranti che continuavano a gironzolare tra le correnti e parte di quella chiglia che settant'anni prima era stato un incrociatore greco, ormai ridotta a scheletro eroso dalla salsedine e casa di crostacei multicolori. Tonalità blu di ogni sfumatura, unite ai grigi, ai rossi e ai gialli. Ebbene si, Michiru era proprio soddisfatta.

Sentendo bussare ad una delle vetrate vide Ami farle cenno di aprirle la porta finestra che dava sul viale interno. Aveva dovuto iniziare a chiudersi dentro per non vedersi gente spuntare fuori da ogni dove. Con la primavera la pensione stava andando riempiendosi.

Posando tavolozza e pennello corricchiò fino al vetro lasciando girando la chiave per far poi scorrere il telaio sulle guide. La donna più giovane le sorrise mostrandole una busta bianca con l'intestazione e le lettere dorate del King George. “Appena arrivati!” Disse sapendo che sarebbe stata capita al volo.

I biglietti per la prima del concerto di Flora al Megaron Concert Hall.

“E quanti sono?” Chiese lasciandola passare per poi richiudere a chiave. Credeva, sperava che la madre glieli avrebbe portati di persona. Illusa.

“Non so. Non l'ho aperta del tutto, perché credo ci sia un messaggio per te.” E porgendole la busta la guardò aprirla prontamente con un paio di gesti secchi.

Contò i biglietti costatando che fossero cinque. Uno anche per Khloe dunque, pensò Michiru leggendo poi il biglietto che li avvolgeva ad alta voce. Non aveva alcun problema a farlo in presenza di Ami.

Scusami, ma gli impegni sono più pressanti del previsto e non sono potuta passare a consegnarteli di persona. Ti chiamerò quanto prima. Mamma.”

Facendo una smorfia si mise il foglietto nella tasta del camice da lavoro riponendo poi con cura i biglietti nella busta riconsegnandola all'altra. “Li tieni tu?!”

“Ok. Mia madre vorrebbe ringraziarla.”

“Non c'è ne bisogno, ma se proprio ci tiene potrà farlo di persona alla prima. Sono biglietti top class, che permettono di accedere anche al palco e ai camerini.” Spiegò tornando verso il murales.

Perché Michiru avvertiva nervosismo? Si sentiva come una drogata in crisi d'astinenza. Prima troppo e adesso niente. Voleva forse la mamma?!

“Michi, che c'è?” Chiese il medico.

Era dall'attacco di febbre che le due non avevano più avuto occasione di parlarsi, perché dalla partenza di Haruka, in pratica Michiru aveva iniziato a “vivere” nelle piscine per poter finire il suo lavoro, con tanti saluti alle loro benefiche chiacchierate.

“Non lo trovi destabilizzante?”

“Cosa, il comportamento di Flora?”

“Si!”

Ami le andò vicino poggiandosi al trabattello. “In tutta onestà... no, anzi, a me sembra che tua madre stia reagendo proprio come stai facendo tu da gran parte della vita.” Una risposta che alle orecchie dell'altra sembrò una critica e neanche troppo velata.

Stizzita chiese spiegazioni che il medico diede senza batter ciglio. “Anche tua madre ha sensi di colpa. Sta scappando. Da una parte vorrebbe riavvicinarsi a te e dall'altra è spaventata, ed accampa scuse per star lontana da quello che prova. Anche se in tutta onestà, credo che la preparazione di un concerto sia realmente molto faticoso ed impegni gran parte della giornata.”

“Già. - Ammise accettando onestamente la critica rivoltale. - Ma se vuoi, il tempo per una telefonata o un sms lo si trova sempre.” Ferale finalmente riuscì a guardarla negli occhi.

Aveva evitato di farlo sapendo che la specializzanda avrebbe sicuramente fatto caso alle occhiaie di sonno che le erano riapparse sul viso.

E prontamente Ami non mancò. “Non hai dormito o hai fatto l'ennesimo incubo?”

No, si ricomincia. Pensò la più grande esasperata.

“Ti avverto che non ho alcuna intenzione di parlare di ciò che ho sognato questa notte!” Disse guardandola storto.

Ma Ami da quell'orecchio non voleva sentire.

“Michiru... stai facendo come tua madre.” E a quelle parole avvertì la struttura metallica del trabattello vibrare.

Uno scossone con entrambe le braccia e Kaiou esplose. “Basta! Non ne posso più!” Urlò disperata.

Piegando la schiena in avanti poggiò la fronte al pianale metallico. Quello che aveva sognato era solo affar suo!

Dalla reazione troppo esagerata Ami capì molte cose, in pratica tutto. “Hai sognato nuovamente Victor? Questa volta è stato un sogno o un ricordo?”

Ascoltandola continuare per nulla intimorita, Michiru la fissò con uno sguardo carico di rabbia. “Ho detto basta...”

“Il girarci in torno non fa che lacerarti. Affrontalo una volta per tutte.”

Cercando di respirare più lentamente per dare un freno ai battiti nel petto, la straniera tornò ad appoggiare la fronte al metallo e qui attese di calmarsi. In vita sua esplosioni di rabbia non ne aveva quasi mai avute e comunque era sempre riuscita a gestirsi non perdendo il controllo di se. Ammise a se stessa che questa volta era andata molto vicina al baratro.

“Ho sognato. Non era un ricordo.” Dichiarò dopo circa un minuto continuando però a tenere la fronte bassa.

Ami le lasciò altro tempo e quando Michiru fu pronta, le chiese di raccontarle cosa avesse sognato.

“Non lo immagini? - Disse storcendo la bocca, ma non ricevendo dall'altra alcun segnale, continuò chiudendo gli occhi per focalizzare. - Ero davanti alla porta dello studio di mio padre e sapevo cosa stava per fare. Urlavo. bussavo con tutta la forza, fino a ferirmi le mani, il legno si macchiava di sangue, ma lui non rispondeva. Poi... un rumore.” Finalmente alzò la testa per guardare l'altra. Gli occhi lucidi.

“Il tonfo di qualcosa che cade in terra. Con molta probabilità... una sedia.”

Ami sospirò mentre Michiru tornava a curvare le spalle in quella posa contrita.

“Devo farti una domanda Michi. Se non avessi preso quel sonnifero e avessi realmente potuto raggiungere quella porta, come credi avresti bloccato quell'evento?” Doveva riuscire a farle ammettere una volta per tutte che la morte di Viktor non era assolutamente dipeso da lei.

“Parlandogli.”

“E cosa credi gli avresti detto?”

“Che lo amavo. Che quello che stava per fare non aveva senso. Che se si fosse tolto la vita avrei dovuto continuare la mia senza di lui.”

“E credi che ti avrebbe ascoltata?”

“Non lo so! Forse.”

Ami avvertì un fremito ed un comando interiore; insisti!

“E dimmi, ti ha mai riconosciuta quando era soggetto ad una crisi?”

“No, mai.” Disse pianissimo.

“E se avesse voluto continuare nel suo proposito?”

“Glielo avrei impedito con la forza.”

“Come?”

“Sarei entrata.

“Si chiudeva mai nel suo studio lasciandoti fuori?”

“Assolutamente no e...” Michiru si bloccò come se grazie a quella serie di scambi verbali, avesse di colpo iniziato a razionalizzare.

“Perciò in quel frangente anche se fossi scesa e ti fossi trovata davanti alla porta del suo studio...?” Chiese l'altra trattenendo il respiro.

“Non avrei potuto fare nulla...” Dichiarò Michiru quasi con pudore.

Cosa confermatale anche dalla madre. Si era chiuso dentro e tu non avresti potuto far nulla.

“Oddio Ami...”

“Ora comprendi cos'è realmente successo. Lo hai sempre saputo, è che non potevi ammettere che l’uomo che amavi e rispettavi così tanto, potesse compiere un gesto irrazionale come quello. Colpevolizzando te, affrancavi lui, Michiru. Ma anche i genitori hanno le loro fragilità ed esserne consapevoli non sminuisce quello che proviamo per loro.”

Era finita. Dopo vent'anni di supplizio psicologico, era finalmente finita. Michiru non era certo una stupida ed avrebbe potuto servirsi molto prima del forte raziocinio datole dalla natura, ma non ne aveva avuto il coraggio, preferendo scappare dalla verità tentando di proteggere l'immagine che aveva di suo padre finendo per soffrire le pene dell'inferno, piuttosto di ammetterne le labilita' che la malattia aveva scavato nella mente di Victor.

Ami lasciò che si sfogasse, che piangesse sommessamente le ultime lacrime di quella disgraziata storia che l'aveva allontanata dalla sua terra, dalla sua casa e dagli affetti più cari.

 

 

Dodici ore di macchina, tanto era durato quel viaggio iniziato male e proseguito peggio, ed in quel lasso di tempo Giovanna sentì di stare a più riprese sul punto di eruttare come un super vulcano.

Era iniziato tutto all'alba. Causa un black-out che aveva interessato la zona del Canton Ticino la notte prima della partenza per la città di Le Mans, tutte le sveglie di casa Tenou-Kaiou si erano ritrovate in tilt non attivandosi per le cinque, ora concordata per la sveglia. Così le due sorelle avevano continuato a sbavare sui loro reciproci cuscini ben oltre le sette e mezza. Crogiolandosi nel calduccio della sua copertina come se fosse stata la protagonista di una striscia dei Peanuts, Giovanna aveva dormicchiato fino alle otto, quando un urlo agghiacciante seguito da una serie d'improperi all'indirizzo di divinità nordiche forse mai realmente esistite, l'avevano costretta a tirarsi su dal materasso del divano letto appena in tempo per vedere Haruka spalancare la porta agitatissima.

“Cazzo! Cazzo! Cazzissimo! Giovanna muoviti è tardi!”

Buongiorno! E da li già si doveva intuire come sarebbero andate le cose.

Ma perché fare programmi, se tanto prima o poi arriva la sfiga a disfarteli?! Possibile che Ruka ancora non lo capisca? Aveva pensato fiondandosi verso il bagno degli ospiti evitando di scontrarsi con l'altra.

Così una volta in autostrada verso Zurigo e da li, dritte fino alla frontiera con la Francia, a circa metà del tragitto, era andata consumandosi la seconda “sciagura”.

Ravvisato uno scossone proveniente dalla parte posteriore destra della sua Mazda, la bionda aveva sgranato gli occhi capendo immediatamente il problemuccio. Avevano forato. Nulla di più semplice per una come lei, si era detta la maggiore che la sera precedente aveva saputo come Tenou si fosse trasformata nella paladina di tutti i motori salvando una BMV dalle grinfie di un incompetente. Certo, cosa facilissima, se fatta al sole, con il bel tempo, non sotto una pioggia torrenziale. Un'altra ora di supplizio.

La scena era stata più o meno questa; Giovanna intenta a reggere un ombrellino che satebbe stato inutile anche se sul ciglio di quell'autostrada si fosse trovata da sola ed Haruka, accovacciata in cinque centimetri d'acqua, che mani serrate su una chiave a crociera tirava moccoli al cielo, alla terra e a tutto ciò che ci viveva nel mezzo.

Una volta finita l'operazione, sempre più scorata, Tenou aveva imboccato la prima stazione di servizio e da li i bagni, per cambiarsi e sistemarsi alla bene e meglio i capelli là dove, in teoria, ci si asciugavano le mani. Per il metro e sessanta di Giovanna tutto facile o quasi, ma per un metro e settantacinque come la bionda, la cosa si era palesata più ardua del previsto. Sentendosi la testa ridotta come due spolverini, le due avevano poi preso un caffè degno del miglior campo di cicoria transalpino, risalendo in macchina senza fiatare.

In fine verso il Comune di Le Mans, un incidente qualche chilometro avanti a loro le aveva costrette a più di quaranta minuti di blocco totale. Motore spento. Braccia conserte. Pensieri omicidi.

Se becco chi ci sta portando rogna, parola mia che gli tiro il collo! Aveva pensato Giovanna stando bene attenta a non respirare troppo forte per non attirarsi contro le ire funeste dello spolverino dalla zazzera bionda seduta al posto di guida.

Arrivate in albergo prenotato loro dalla Ducati, la situazione si fece leggermente più rosea quando dopo una doccia rigenerante, Haruka diede alla sorella il bomber della scuderia e ricordandole che da li fino alla fine del lavoro sarebbe stata come una di loro, si diressero a cena in perfetto stile women in red.

Sembrava più rosea, ma in realtà l'apocalisse le stava aspettando proprio dietro l'angolo, perché non appena varcata la porta d'accesso al ristorante interno, Haruka a mo di segugio, avvertì l'aria mefitica e l'olezzo del nemico gallico, puntando i piedi e masticando un vaffa.

Ora, in un albergo nei pressi della mitica pista di Le Mans, stava per andare in scena l'ennesima sfaccettatura di quel viaggio nato male e proseguito peggio.

“Tenou, ma guarda un po' che sorpresa.” Sentì provenire dalla sua sinistra. Una voce fastidiosa, dall'accento franco e dallo stesso poderoso potere di un gesso sulla lavagna.

Non è possibile! Pensò sfoderando uno dei sorrisi più ipocriti mai prodotti negli ultimi tempi. “Blank, anche tu qui!?”

Dominik Blank era un normanno proveniente dalla Yamaka. Cresciuto nella piccola officina di famiglia, si era fatto strada come Ingegnere grazie alla sua bravura, al fascino e a doti “politiche” che Haruka, in tutta onestà, invidiava perché non sue. Si conoscevano da circa quattro anni e da quando le loro strade si erano incrociate sulle piste, non avevano perso occasione per darsi noia, facendosi scherzi anche abbastanza infantili e piuttosto pesanti, l'ultimo dei quali era andato ad appannaggio della bionda, onde per cui sapeva che il prossimo tiro mancino sarebbe spettato a lei. Vedendolo seduto accanto ad un suo amico, del quale però non ricordava il nome, ebbe una gran brutta sensazione.

“Giovanna, non dar confidenza più del dovuto.” Disse sottovoce per poi recarsi verso i due uomini che, alzandosi all'unisono, le salutarono con mani protese.

“Allora Haruka, qual buon vento? - Chiese mentre indicava il compagno di scuderia. - Ti ricordi di Philip?”

“Certamente. - Spudorata mentirosa. - Mi porta lo stesso vento che ha spinto voi della Yamaka. La modifica al tracciato, Dominik.”

Una grassa risata per poi fissare Giovanna ferma dietro alla sorella. “Chi sarebbe la tua amica?”

“Questa è mia sorella, l'Architetto Giovanna Aulis.” Pronunciò con una punta d'orgoglio tanto che l'altro lasciò partire dalle labbra un mezzo fischio compiacendosi per la scelta della casa rivale.

“Adesso la Ducati si serve persino di architetti paesaggisti! Pronti a tutto per riprendervi dalle ultime cadute, vedo.” Prima presa per i fondelli.

Haruka stirò le labbra e non volendo dargli soddisfazione lasciò correre. “Se non vi dispiace... Il viaggio è stato lungo e siamo affamate. Con permesso.” Si congedò reprimendo l'impulso di saltargli al collo per strapparglielo a morsi.

Andarono a sedersi il più lontano possibile mentre un cameriere portava loro l'acqua e la carta dei vini.

“Cerchiamo di non bere troppo. Domani mattina dobbiamo stare il pista abbastanza presto e non voglio rischiare di fare lo stesso casino di oggi. Per rimetterci in paro con la tabella di marcia ed arrivare qui per cena, ho spinto tanto e sono esausta. In più mi sta montando un mal di schiena feroce.”

“Avremmo potuto darci il cambio se fossimo venute con la macchina di Michiru.”

“Ci avremmo messo il doppio del tempo. Vai a due all'ora quando guidi quell'ibrida.”

L'altra fece una smorfia rammentandole che non amava correre con i veicoli degli altri, soprattutto se assenti, per poi cambiare discorso e chiederle perché quei due francesi della Yamaka le stessero fissando ridacchiando a più riprese.

“Stanno preparando qualcosa, ecco perché, ed io non sono in vena di goliardie.”

Neanche cinque minuti ed il cameriere arrivò portando un cestino di pane, una bottiglia di bianco ed un paio di piatti coperti.

“I signori del tavolo quattro avrebbero piacere di offrirvi uno dei nostri piatti tipici. Prego...” E scoperchiò.

O Dio dell'universo, pensò Giovanna coprendosi la bocca con la destra.

O porca zozza, pensò Haruka alzando le sopracciglia al piatto fumante di escargot.

“Buon'appetito.” Ed il ragazzo sparì nella cucina poco distante.

Dal tavolo “rivale” iniziarono a salire risatine e per non ammettere di provare uno schifo immenso per quelle creaturine tanto viscide, Haruka si girò verso di loro facendo un cenno di ringraziamento con la testa.

“Spero tu gradisca Tenou.” Sfotté lui convinto d'aver già vinto.

“Blank sei sempre tanto... premuroso. Grazie.” E tornando a guardare il viscidume pensò velocemente a come uscirne illesa.

“Le hai mai mangiate?” Chiese a Giovanna che intanto non riusciva a staccare gli occhi dal piatto.

“Credi che in vita mia abbia partecipato a cose tipo survivor? Certo che no!”

“Bèh è ora. Iniziamo con il toglierle dal guscio.” Suggerì non ricordando esattamente come si facesse.

“Le vuoi mangiare?!” Domandò l'altra sporgendosi in avanti.

“Non gliela lascio la soddisfazione di una vittoria tanto facile!” Sospirò iniziando ad inserire una sorta di specillo metallico dentro il guscio.

Tirata fuori la prima creaturina, Giovanna la guardò per poi scuotere la testa. “Non mangio ciò che mi fissa.”

“Si che la mangi.”

“Ruka... ha gli occhietti...”

La bionda si arrese lasciando andare specillo e forchetta prendendo un grosso respiro. “Così non mi aiuti.”

“C'è poco da aiutare! Guarda, hanno anche le antenne. No! Il lumacone, no! E che cavolo! Ma che vengo dall'Italia per farmi prendere per il culo dal primo francese che passa?! Dammi piuttosto il cestino del pane.”

“Rimpinzarti di mollica non manderà via quel saporaccio metallico, te lo assicuro.” Deglutì rivelandole di averle dovute assaggiare una volta.

“Ed è un'esperienza che non ripeterai sorella. Se il francese vuole giocare sporco gliela faccio passare io la voglia di riderci alle spalle. Passa il pane e tira fuori tutte ste cose.” Disse cercando di nascondere i suoi movimenti dietro alla stazza della bionda.

“Che intenzioni hai?” Chiese iniziando ad eseguire.

“Quando ero più giovane, mentre la gran parte dei miei coetanei si facevano una vita sociale fuori di casa, io passavo i miei pomeriggi davanti alla televisione. Hai mai visto Mr Bean? - Haruka negò continuando l'operato di eviscerazione. - Non importa, ma sappi che il mio oziare adolescenziale ti sta per salvare Ruka.”

Una baguette! Quale pane più meravigliosamente adeguato per compiere il suo piano delittuoso. Iniziando a svuotare con sapienza le porzioni deposte nel cestino, Giovanna arrivò a creare tante piccole "casette", dentro le quali, ad una ad una, ci infilò le lumache. Una lumaca, un pezzo di pane. Poi, con l'aiuto di un'agilita' manuale sorprendente, una volta richiuse le fette con la mollica, tutto torno' in bell'ordine nel paniere. Piatti svuotati. Cestino intonso.

“E come direbbero qui... e voilà, le ge son fe.” Sorrise posando sulla tovaglia di cotone bianco una mano sopra l'altra. Alla Kaiou.

Ad occhi sgranati Haruka richiuse la bocca fino a quel momento rimasta leggermente aperta.

“Te l'ho detto... non è una mia idea, altrimenti sarei un genio. Ora però sarà meglio filarsela prima che qualcuno se ne accorga.” Alzandosi si riappropriò della giacca rossa e bianca, rimettendo a posto la sedia. L'altra la seguì poco convinta.

Sporgendosi indietro e posando un gomito sulla traversa della sedia, Dominik guardò Haruka venirgli incontro e poi i due piatti vuoti lasciati solitari sulla tavola. Le aveva mangiate?

“Tenou che piacere costatare che la nostra cucina è stata di tuo gradimento.” Disse pensando che avesse comunque fatto uno sforzo sovrumano per finirle. Se non si era cresciuti con quel sapore era difficile accettarlo sul palato.

“Graditissima, grazie ancora. Ci vediamo in pista.”

“Naturalmente.” La guardò allontanarsi per poi far cenno al cameriere di portargli un altro cestino per il pane.

“No, aspetti signor Blank, mi permetta. - Rimasta indietro Giovanna afferrò il loro cestino con fare sicuro. - Sarebbe un peccato. Tanto erano deliziose le escargot che ci avete così carinamente offerto, che io e mia sorella non abbiamo minimamente pensato al pane. Troppo golose, lo riconosco.”

“Veramente... Bèh grazie Architetto. Spero di rivederla domani in pista.” Sorrise prendendo il vimini intrecciato.

Un saluto civettuolo e la donna raggiunse Haruka già vicina alla porta. “A francese... mò magnatelo te er lumacone.” Bofonchiò cercando di non tradirsi perché intravistolo afferrare voglioso un pezzo di pane.

Da quella sera per Giovanna Aulis, l'Ingegner Blank divenne... er lumaca.

 

 

Michiru seguì il resto del pubblico alzandosi in piedi per l'ennesimo e questa volta conclusivo, applauso. La prima di Flora era stata un incredibile crescendo di emozioni sonore, tanto che anche il direttore dell'orchestra si era spesso elettrizzato durante quelle due ore di pura affinità classica. Vi erano stati anche un paio di assoli, uno all'inizio ed uno alla fine del concerto, e due bis, urlati a gran voce da un pubblico praticamente in visibilio. Il primo di Mozart, il secondo una composizione giovanile della stessa artista. Un brano semplice se paragonato a quelli che l'avevano preceduto, ma ricco di armonico sentimento, di vibrante patos. Flora teneva a quel brano tanto che non l'aveva mai suonato in pubblico e non perché se ne vergognasse, ma perché apparteneva alla sua famiglia ed al ricordo che aveva di essa. Apparteneva a Victor, a Michiru e ad una lei più giovane.

Appena erano state lanciate nell'aria immobile della cavea le prime note, l'orecchio assoluto della figlia le aveva riconosciute subito, sobbalzando per poi portarsi una nocca alla bocca in maniera tanto rapida che Ami, seduta alla sua sinistra, l'aveva guardata non capendo. E continuando a tenersi premute le labbra in una posa tra il sorriso ed il pianto, Michiru aveva finito per chiudere gli occhi.

Solo dopo qualche secondo l'amica, dandole un colpetto sul braccio con il gomito, le aveva fatto riaprire le palpebre e a quel gesto una piccola e discreta lacrima aveva accarezzato la guancia di Kaiou perdendosi poi nella piega del mento.

“Michi che c'è?” L’altra non aveva risposto, ma portando la destra sul suo braccio, glielo aveva stretto come a volerla rassicurare.

Quel brano si intitolava semplicemente Occhi e Flora l'aveva composto durante l'allattamento della figlia, quando le due non facevano altro che guardarsi adoranti. La donna l'aveva scritto pensando alle iridi innamorate di Victor e a quelle sognanti della sua bambina. Era stato quello il primo pezzo di classica che Michiru aveva ascoltato e spesso, soprattutto quando non riusciva a dormire o nelle sere di riunione famigliare, Flora lo suonava guardando quel piccolo frugolo perdersi nel fascino di quelle note.

Finita l'esecuzione Ami era scattata in piedi, con la madre e la sorella, mentre l'amica lo aveva fatto lentamente, come a richiamare forza nelle gambe, asciugandosi con il dorso della mano le gote umide osservando Flora inchinarsi verso il pubblico per dirigersi poi dal direttore d'orchestra che, da prassi, le aveva baciato la mano come Primo Violino.

 

 

Un paio di colpi alla porta del camerino e Paul andò ad aprire sapendo già chi fosse. Era stato molto chiaro con la sicurezza; soltanto poche persone avevano l'autorizzazione per passare la zona filtro ed accedere all'area riservata agli artisti. Una di queste era Michiru Kaiou.

Ed infatti una volta aperta, il sorriso della donna lo contagio’. “Signor Maiers, buona sera.”

“Michiru che piacere. Prego, si accomodi.” Esordì eseguendo un ampio gesto d'invito e un dejavu, ricordò il primo giorno greco al Kin George, quando l'aveva fatta entrare nella suites luxury.

Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente, ne era più che convinto. Anche se Flora non ne aveva fatto parola, aveva intuito che la famosa sera del malessere della figlia, il rapporto tra le due si era rinsaldato.

“Flora si sta cambiando. Allora, spero che i posti siano stati di vostro gradimento.”

“Si, i migliori che si potessero sperare. Grazie ancora per averci fatto recapitare i biglietti.”

“Io ho solo eseguito. Lo sa che il tutto è stata un'idea di Flora.”

Certo che lo sapeva, ma sapeva anche che l'organizzazione di tutto l'evento ricadeva interamente sulle spalle di quell'uomo ed era stato oltremodo gentile ad interessarsi tanto e tanto celermente.

“In effetti devo ammettere che senza le sue capacità di gestione degli eventi, la mia fama non sarebbe tanto elevata.” Flora comparve dalla porta della saletta da bagno con in dosso un abito più comodo di quello splendore esibito in scena.

“Ciao Michiru, hai trovato difficoltà con la sicurezza? Di questi tempi l'asticella dei controlli ha dovuto alzarsi e di parecchio.” Chiese mentre Paul si congedava per andare in sala stampa.

Un sorriso, una stretta di mano e l'uomo si dileguò.

Michiru tornò allora a guardare la madre scuotendo la testa. “Affatto. Tutto perfetto. A proposito; ti porto i saluti di Alexios. Si scusa per non essere potuto venire, ma la pensione non poteva restare senza entrambi i gestori ora che si sta riempiendo per le vacanze pasquali. Anche Agapi è dovuta tornare subito dopo la fine del concerto. Avrebbe voluto ringraziarti di persona, ma non se l'è sentita di fare ancora più tardi. La mattina ha la sveglia all'alba, ma ti manda questo. - Ed estraendo un biglietto dalla borsa continuò porgendoglielo. - Mi ha detto di dirti “da madre a madre” convinta che avresti capito.”

L'altra lo prese e leggendolo sorrise richiudendolo con estrema accortezza. “O Agapi Agapi. Sarebbe stata un'ottima amica se avessi avuto l'umiltà di starla a sentire più spesso.”

Michiru alzò le sopracciglia divertita. Un'autocritica? Incredibile.

Flora le fece cenno di servirsi di un succo mentre abbandonava il foglietto sul piano della specchiera. “Se vuoi serviti pure cara. Puoi rimanere qualche minuto o devi scappare?” Chiese guardandola nella sua posa composta; schiena ben dritta e mani abbandonate sul grembo.

“Tranquilla. Non ho problemi di orario.” Rispose ricordando le parole di Khloe che sapeva in macchina con la sorella nei pressi dell'ingresso principale.

Prendetevi tutto il tempo che vi serve, Kaiou. Mamma tornerà in taxi e se sarà necessario, Ami ed io resteremo ad aspettarti anche tutta la notte. Non sarebbe stato necessario, ma Michiru avrebbe approfittato di quella gentilezza per stare un po’ con sua madre.

Flora andò a sedersi su un divanetto mentre la figlia si perdeva a guardare il violino usato per il concerto. Era già stata catturata dal magnetismo di quell'oggetto quando lo aveva visto al Kin George.

“Mi hai stupita mamma. Non credevo che avresti eseguito in pubblico il nostro brano.”

“L'ho fatto perché sapevo che eri in sala. Consideralo un pensierino per il tuo compleanno. Anche se molto in ritardo. - Ed osservando con quanta ammirazione la figlia stava continuando a guardare quello strumento, prosegui' quasi con imbarazzo. - Ti confesso che questa volta avrei voluto usare quello di tuo nonno, ma... non me la sono sentita. E' tuo e non ne ho il diritto.”

L'altra si voltò incredula. Lo aveva ancora? Erano anni che non aveva più avuto occasione di vederlo. Sinceramente credeva fosse andato perduto in qualche trasloco.

“L'ho conservato per anni, ma non ti ho mai detto nulla perché pensavo che non potendolo usare avresti sofferto nel saperlo ancora in mano alla famiglia. Ogni tanto ne registro il timbro usandolo ed accordandolo, per non lasciarlo rovinare dall'inattività. Ma non mi fa piacere farlo.” Per Flora era come profanare il legame tra padre e figlia. Anche se ne portava il cognome lei non era una Kaiou.

“E' un gesto bellissimo. Solo il cuore sensibile di una musicista poteva compierlo. Grazie mamma.” Disse sedendosi mentre la sentiva ridere.

“Mio Dio cara. Sensibile proprio no. Non è da me!” Cercò di sviare tornando a guardarla e chiedendole come stesse.

“Molto meglio. Decisamente. Sono un paio di notti che dormo serena. Credo... - Distolse le iridi come colpita da un improvviso pudore. - Credo di aver lasciato andare definitivamente l'anima di papà.”

Flora si drizzò sulla schiena arpionandosi le mani. Ecco perché gli occhi della figlia erano tanto cambiati dall'ultima volta che si erano viste sulla spiaggia. Ora emanavano una qualche ritrovata armonia interiore.

“Avevi ragione tu mamma. Non fu colpa mia.” E bastò per far capire alla madre.

Poggiandosi sui cuscini della spalliera, Flora rivelò che anche per lei la fase di guarigione da quell'evento era stata lenta ed avvilente. “Michiru, la scorsa notte ho parlato sembrando di sapere perfettamente il fatto mio, ma per arrivare a dirti quelle frasi con convinzione ho dovuto lavorarci su anch'io. Dopo la morte di tuo padre mi sono colpevolizzata come te e l'ho fatto per anni e non soltanto verso di lui, ma soprattutto verso di te. Se fossi rimasta a casa? Una domanda che mi ha perseguitata per tanto tempo e che forse, come madre, mi perseguita ancora oggi. Ma dentro di me ho anche altri quesiti, come; se non avessi spinto Victor ad ammazzarsi di lavoro? Se mi fossi accontentata di seguire un tenore di vita più basso o semplicemente, se avessi accettato un marito che cambiava nel carattere diventando sempre più dipendente dai farmaci? Sempre meno il Victor del quale mi ero follemente innamorata da ragazza e sempre più una persona che non capivo, che non accettavo e della quale a volte avevo paura? E se Michiru avesse avuto una madre presente, come sarebbe stata la sua vita? Avrebbe fatto scelte diverse? Avrei potuto aiutarla nel farle?”

Nelle ultime domande la figlia lesse la sua omosessualità. Consapevolezza questa che aveva portato Michiru ad andarsene di casa una volta sepolto il padre.

“Allora tu lo amavi ancora?”

“L'ho sempre amato cara, anche se con il passare degli anni non avvertivo più nel petto quel sacro fuoco che per esempio vedo in te quando parli della signora..., di Haruka.”

Michiru strinse i denti avvertendo un brivido. L'aveva chiamata per nome. Non lo aveva mai fatto e nel suo volto non c'erano sentimenti come il disgusto o il rancore.

“Ma sono un'egoista. Lo sono sempre stata e credo che non cambierò mai questo mio lato oscuro, perciò si, mi porterò la colpa per non aver saputo capire tuo padre per tutta la vita, anche se ho imparato a convivere con le mie domande. - Stirando le labbra distolse lo sguardo impacciata. - Invece, per quanto riguarda te sono stata vigliacca. Almeno a mia figlia avrei dovuto stare accanto. Ma ero troppo presa da questa mia ossessione che ha il nome di carriera. E dove mi ha portata? Ho tutto questo, ma in fondo non ho niente.”

“Mamma...” A quelle parole Michiru le si avvicinò un poco mettendole una mano su una delle sue.

Ma Flora s'irrigidì. Non era avvezza all'essere compatita. “Parliamo un po' di te invece. Quando affermi di stare molto meglio è una tua alzata di testa o te lo ha detto la dottoressa Mizuno?” Pungolò e conoscendo il carattere della figlia aspettò l'inesorabile reazione.

Puntuale un broncio e negli occhi la determinazione di chi sa di non aver bisogno del permesso di altri per fare ciò che ritiene giusto per se. “Sono io che non ho più incubi e che sento di essere tornata in me, ma se ti fa piacere sappi che è d'accordo anche lei.”

Flora rise di gusto. La sua ragazza aveva un caratterino niente male, ma aveva trovato pane per i suoi denti. Voleva fare la “bambina grande”? Perfetto.

“Cosa non faresti per tornare a casa da lei, vero Michiru?”

Un improvviso rossore e la figlia tolse la mano per guardare altrove. Cosa diamine intendeva dire?

“Oh.... adesso sei tu a provare pudore cara? Dopo tutto quello che mi hai sbattuto orgogliosamente in faccia durante la nostra ultima conversazione?”

Abbassando la testa Michiru chiese scusa. Era stata davvero molto sfacciata.

“Comunque, ammetto che sia una donna estremamente interessante. - Vide gli occhi della figlia diventare enormi dallo stupore sentendosi in diritto di continuare. - Bada Michiru, questo non vuol dire che le mie reticenze nei confronti del vostro rapporto siano cadute. Sto solo affermando l'ovvietà. Haruka è una donna affascinante, molto bella e credo sia anche intelligente, onesta e leale, ma di controparte è strafottente, arrogante e credo abbia una punta di saccenza troppo marcata.”

“Lo so. Mi ha raccontato del signor Maiers ed anche se non lo ha fatto apposta, con il suo comportamento da so fare tutto io gli ha mancato di rispetto.”

“Lo ha trattato da stupido omino ignorante. Ed il bello è che lo ha fatto con estrema gentilezza.” Concluse secca e la figlia non replicò.

Qualche secondo e Flora incrociando le braccia al petto, le rivelò una cosa che Michiru non avrebbe mai più dimenticato per il resto della vita.

“Già, è strafottente ed arrogante, ma è tipico dei cavalli di razza. Lo sono anche io. Michiru... - la guardò dritta negli occhi. -... hai scelto bene.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Come dire “tutto bene quello che finisce bene”. Beh dovevo dare a Flora una chance per diventare meno odiosa, no? Diciamo che l'abbiamo presa per stanchezza, dopo un concerto e dopo aver conosciuto la nostra bionda. Il fascino Tenou ha colpito ancora ed ha affondato la corazzata “madre” alla stragrande.

E' stato un capitolo abbastanza pesante per Michi, soprattutto la prima parte, ma i nodi sono venuti al pettine e spero che, se fra voi ci dovesse essere una psicologa, si muova a pietà. Non e' la mia specializzazione. Ho fatto del mio meglio. Kaiou ha dovuto concentrare in poche settimane quello che in genere si fa per una vita intera. Almeno credo.

Stemperata la pesantezza di ricordi di vita brutti con quelle due casiniste in trasferta. Mi sono rifatta alla puntata di Mr Bean dove al ristorante nasconde pezzi di carne alla Tartara ovunque. Pane incluso. Giovanna non sta bene di testa e avvolte lo dimostra pienamente!!!

Non mangio ciò che mi fissa.”

Si che la mangi.”

Ruka... ha gli occhietti...”

Così non mi aiuti.”

 

Un salutone a tutti.

 

 

   
 
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