Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ethelincabbages    19/04/2017    5 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 32
Contro un equilibrio sempre un po' precario

 

Distesa a faccia in giù, ascoltava il silenzio. Era sdraiata e percepiva contro la pelle il pavimento freddo, rivestito di un marmo gelido e scosceso. Nel silenzio.
Poi una nota. Una nota distinta, un la chiaro e colorito tintinnò nell’aria. Un pianoforte.
Seguirono dei piagnucolii confusi, come di un gattino sofferente.
Aprì gli occhi e si sorprese ad assaporare polvere sulle proprie labbra. Una luce bronzea, forse un tramonto inoltrato, penetrava da una lunga finestra angolare. Sotto quella finestra, un pianoforte a coda, una sagoma scura contro le lunghe pareti giallo pastello, troneggiava in una stanza altrimenti vuota.
Nell’angolo contiguo, nascosto dalla penombra, stava la cosa che continuava a piagnucolare. Non era un gattino. Pareva fosse un bambino, piccolo e nudo, rannicchiato a terra con la pelle ruvida e rossa, come scorticato. L’ombra ne offuscava i dettagli del viso, ma sembrava sforzarsi di respirare.
Si alzò con lentezza, levando via la polvere dai propri vestiti; avrebbe dovuto aiutarlo, era piccolo, fragile e ferito, anche se disgustoso. Avrebbe dovuto prenderlo, consolarlo, ma non ci riusciva.
“Non possiamo fare niente per lui, ora.”
Un giovane uomo stava seduto sullo sgabello. Era stato lui a suonare la nota, probabilmente pigiando un tasto a caso. Stava fermo sullo sgabello, la mano destra immobile sulla tastiera, la fronte corrucciata quasi a porre una qualche misteriosa richiesta a quei tasti.
Abbandonò il bambino scorticato e raggiunse il ragazzo, per prendere il suo posto davanti ai tasti bianchi e neri. I suoi tasti. L’uomo rimase saldo nella sua posizione, senza dire una parola, la squadrava col suo paio di occhi chiari, grigio-azzurri, quasi bianchi.
Uno, due. Iniziò, come sempre. Tre, quattro. Come i battiti del proprio cuore. Uno, due. Come il ruggito del mare. Tre, quattro. E il clangore di due incantesimi che si scontrano. Uno, due. Le ferite, nell’addome. Tre, quattro. Colpi secchi di pugnale. A chiudere i conti. A spegnere i fuochi. Per sempre.
“Non hai nulla da chiedere, Chris?” I due occhi chiari continuavano a fissarla.
“Siamo morti, Tom?”
 
*
 
“Chrissie…” L’aveva chiamata. Solo ora riusciva a pronunciare il suo nome. Solo ora, dopo aver ascoltato le parole di Hermione – lei ci credeva che quegli occhi, quelle mani, quelle labbra, quella rabbia fossero ancora parte di Chris –, solo ora, dopo aver controbattuto colpo su colpo nella sciocca speranza di batterlo senza farle male.
Aveva pronunciato il suo nome solo alla fine. Il suono del mare non gli aveva raggiunto l’udito se non in quel frangente. “Chrissie…” E poi era accaduto tutto così in fretta. Pioveva, pioveva tanto, ed era sempre più buio. Harry non seppe neppure rendersi conto di quando il pugnale si allontanò dalla gola di Hermione.
Aprì gli occhi e il sangue che sgorgava copioso nel fango era quello di Chriseys.
“No, no, no, no,” sentì cantilenare la voce di Hermione. La stringeva tra le braccia per impedirle di cadere sul terreno sporco e bagnato.
Harry cadde in ginocchio accanto a loro. No, no, no. Non stava succedendo davvero. Era un incubo e presto si sarebbe svegliato, una delle sue stupide paranoie. Adesso avrebbe riaperto gli occhi e tutto sarebbe scomparso. Senza acqua, senza fango, senza sangue, Tom Riddle morto e sepolto e Chris che ride alle sciocchezze di Ted. No, no, no. Non era stato sufficiente perdere sua madre, suo padre, Sirius, Silente, Fred, Remus… quale pena infinita stava scontando? Quale colpa doveva ancora pagare? Non aveva pagato abbastanza? No, no, no. Non potevano portarsi via anche la sua bambina.
“Harry, non…” La voce di Ron gli arrivò spezzata dal vento e dall’affanno, mentre Hermione mormorava parole senza senso apparente, una dopo l’altra. Erano incantesimi. Bisbigliava tutti gli incantesimi medici che aveva letto in chissà quale libro e che le tornavano alla mente in quel momento. Bisognava fermare l’emorragia, impedirle di perdere tutto quel sangue.
“Harry,” richiamò Ron. “Non possiamo muoverci, ora.” Gli si era avvicinato a fatica. Aveva diversi tagli sul braccio destro che brillavano rossi alla fioca luce crepuscolare ma, con una cocciutaggine tutta Weasley e l’aiuto di qualcuno degli incantesimi analgesici imparati in Accademia, ricacciava via il dolore.
Non possiamo muoverci, Harry. No. Nessuno di loro poteva muoversi ora, tranne lui. Doveva correre subito. Bisognava fermare tutto quel sangue e portare immediatamente Chris al San Mungo. Annuì e, senza perdere altro tempo, strinse forte la bacchetta e sparì in un lampo alla ricerca dei migliori medici del mondo magico.
 
*
 
Uno. Por una cabeza de un noble potrillo.
Due. Que justo en la raya afloja al llegar.
Un, due. Tango argentino. Anno 1935. Metro binario.
Per un colpo di testa. Sorrise. Era come se le sue dita scegliessero automaticamente dove andare a posarsi. Per un colpo di testa. “No olvides, hermano, vos sabes no hay que jugar,” intonò sotto lo sguardo gelido di Tom. Forse non gli piaceva il tango? Magari portava alla mente ricordi tristi: gli anni ’30, l’orfanotrofio, Silente, il maniero dei Riddle.
Por una cabeza todas las locuras. A sua madre piaceva questo tango, lo suonavano in un film famoso. In diversi film, forse. “Ah, il tango,” diceva, sospirando, rievocando chissà quali avventure di gioventù. “Hermione,” poi chiamava, disturbandola in una di quelle sue infinite ricerche di studio, “tu, dovresti ballare di più.” La tirava su per un braccio e la costringeva a fare un giro di danza. Chris ridacchiava, mentre continuava a esercitarsi. Ah, il tango… Dovevano ballare di più.
Tom non parlava, guardava nell’angolo opposto, verso quella cosa. Non guardare nell’angolo opposto, continua a suonare, si impose lei. Si concentrò sulla musica e su quel giovane uomo col volto perfettamente simmetrico e gli occhi di ghiaccio. Voleva apparire calmo e neutrale, ma lei lo conosceva ormai. Sì, che lo conosceva. Col pollice della mano sinistra continuava ad accarezzare l’anulare della destra, come se si aspettasse la presenza di un anello; e ricordava, sì, quella musica portava alla mente tanti ricordi.
Que importa perderme mil veces la vida; ¿para qué vivir?
 
*
 
Si era trascinato addosso la pioggia, il fango e la paura. La sentiva tra le dita, la paura. Aveva passato anni a combattere i peggiori mostri che questo pianeta avesse mai prodotto, il suo sangue aveva pulsato e bruciato sotto i peggiori incubi e mai come in quel momento aveva sentito la paura corrergli nelle vene.
L’aveva sorpreso. L’aveva colto di sorpresa, come un temporale che si nasconde dietro le nuvole in una tranquilla serata estiva. Tu sei in giardino a riposare, ti godi la brezza leggera che ti accarezza fresca la pelle, i bambini si divertono sull’altalena nel cortile e tutto va bene. Poi un lampo e un tuono. Si scaraventano contro l’altalena e istantaneamente senti il panico salirti nelle vene. I tuoi bambini stavano giocando sull’altalena e niente va bene. Non c’è uragano che tenga, devi correre e portarli via in salvo.
Chris aveva bisogno di lui.
I mattoni rossi del magazzino Purge & Dowse Ltd. perdevano gran parte del loro colore sotto la scarsa luce dei lampioni sulla strada.
Harry era vagamente cosciente delle chiacchiere che si alzavano al suo passare dalle bocche degli attendenti in sala d’aspetto, aveva addosso quintali di fango, d’altronde. Tuttavia, attraversò l’atrio senza guardarsi attorno. La signorina in accettazione era occupata a scribacchiare qualche foglio.
“Ho bisogno di una squadra di soccorso.”
“Come, sc-?”
“Capitano Harry Potter, signora,” chiarì, e in un gesto che non aveva mai fatto con tanta consapevolezza, passò una mano tra i capelli, lasciando libera alla vista la cicatrice a forma di saetta che gli marchiava la fronte.
“Sì, signore.”
“Ho un codice rosso. Scogliere Bianche, Dover. Ferita di arma da taglio, con lama maledetta o avvelenata. Ho bisogno del professor Lane e della migliore squadra che avete. Adesso.”
Doveva correre a portare via la sua bambina dall’altalena.
 
*
 
La luce che proveniva dalla finestra stava affievolendosi. Ma le dita di Chriseys e i tasti con cui sapientemente giocavano continuavano a combinarsi con la memoria della ragazza, i ricordi si catapultavano uno contro l’altro. Anni dopo anni, ricordi di una, due, mille vite.
Hermione le aveva mentito per la durata intera della sua esistenza. Sua madre, suo padre, Harry, probabilmente anche Ron, e chissà quanti altri avevano partecipato a quella menzogna. La volevano protetta e ignorante. Perché dovevano mentirle? Sentì nuovamente la rabbia accecarle lo sguardo e le lacrime bruciarle gli occhi. Perché era così sola? Perché si sentiva così sola nonostante tutte quelle voci, tutta quella gente, tutte quelle mani che volevano guidarla?
Le dita interruppero la loro danza di colpo: si voltò di scatto a controllare Tom Riddle che stava ancora seduto accanto a lei senza proferir parola. “So quello che stai cercando di fare. Non riprenderai il controllo, non vincerai tu.”
Tom aveva smesso di giocherellare con le dita. Guardava ora, alternativamente, le mani di Chris e il crepuscolo oltre la finestra. “Non ho fatto nulla,” si difese appena, ma a Chris parve di notare una leggera piega delle labbra verso l’alto. Non avrebbe fatto il suo gioco.
“Non lascerò che la rabbia e l’odio governino gli ultimi istanti della mia esistenza,” proclamò, lasciando andare il pianoforte. “Io non sono te.”
“Manchi di coraggio.” Tom piegò la testa di lato, abbozzando un ghigno che smosse appena la perfetta simmetria di quel viso efebico. “Guardami negli occhi, Chriseys.”
Chris sentì il peso della spada prima ancora di vederla materializzarsi nella sua mano. La luna era ormai alta in cielo, la stanza si era vaporizzata nella notte, un vento affatto timido soffiava tra i rami e le foglie di qualche sempreverde. Avvertì sotto la pianta del piede il solletico dell’erba fresca e un poco umida. Le sue scarpe erano sparite, o forse non le aveva mai avute.
Tom scosse la testa, a metà tra lo scocciato e il divertito. Adesso si trovava di fronte a lei, impeccabile nella sua divisa scolastica, anche lui impugnava una spada. “Davvero?” mimò con labbra. Poi aggiunse il suono della sua voce: “Sei così prevedibile,” sembrava lamentarsi, tuttavia, s’inchinò con tranquillità. “Tirati su, vediamo cosa ti ha insegnato Potter.”
 
*
 
“Mi congratulo, mi congratulo, capitano. Il suo intervento tempestivo le ha permesso di conservare il braccio intatto. Eh, ma io l’ho sempre detto al colonnello Rowen che il corso di primo magisoccorso è fondamentale nel percorso dell’Accademia …” Il Professor Geoffrey Marcel Rufus Longwaters spiegava e parlava e tossiva e parlava. Era un ometto dai capelli bianchi sparsi a destra e a manca, col viso tondo e sproporzionato, gli occhi troppo grandi e il naso troppo piccolo. Si era intrufolato nell’ambulatorio da qualche minuto e aveva iniziato a borbottare ordini, spiegazioni e complimenti al Capitano Weasley. Forse non aveva sentito che c’era Harry Potter alla fine del piano terra.
Ron osservò con simpatia la fronte crucciata della giovane medimaga – Guaritrice May –  che gli aveva ricucito il braccio. Gli aveva rifilato un paio di pozioni dal gusto altamente discutibile, ma il tutto era necessario per assicurarsi la salvezza completa del suo tanto amato quanto indispensabile arto. Del dolore lancinante di qualche ora prima non era rimasto che uno strano senso di intorpidimento e una perfetta fasciatura.
Mentre il professor Longwaters continuava a cianciare, Ron cercò di ripercorrere quello che era accaduto durante quell’assurda giornata, ma era così difficile ritrovare un filo logico, una successione sensata di causa ed effetto, in tutto quello che era successo. Malfoy, Hogwarts, Dover, Chrissie.
Un soffio, erano stati solo ad un soffio dall’innescare lo scenario ideale per una terza guerra magica. Una parola in più, una parola in meno, un incantesimo finito male. Solo un soffio.
Si congedò dalle chiacchiere dell’invadente professore adducendo come scusa il riposo dovuto al suo stato di paziente. Aveva bisogno di un bagno caldo, con l’essenza di vaniglia e papavero. Un bagno, un calice di Burrobirra, un divano, Rosie che legge e Hugo sulle gambe che chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera. E Hermione.
Lo stato delle sue ferite gli aveva impedito di seguire lo sviluppo delle condizioni di Chriseys non appena era entrato in ospedale. Adesso era giunto il momento di affrontare la realtà.
I corridoi degli ospedali hanno sempre un qualcosa che ricorda i labirinti, così lunghi, così confusi, così vuoti. Porte, scale, ascensori, barelle, gente con gli occhi bassi e spenti. Un soffio, solo un soffio, sarebbe bastato. In quei corridoi, tutti uguali e tutti diversi, Ronald Weasley si ritrovò a contemplare la precarietà di una pace raggiunta - tanto più preziosa, tanto più fragile, tanto più difficile da costruire -, la precarietà di ogni tipo di pace. I compromessi diplomatici tra pregiudizi, miseria e interessi economici, il silenzio di un animo adolescente sconvolto dalla morte, dalle menzogne e dai sogni infranti oppure la calma apparente tra le quattro mura della tua casa, una casa fin troppo silenziosa e quieta. E spenta.
Spinse piano la porta, per paura di disturbare Chris. Ma Chris dormiva ancora, e forse nulla l’avrebbe potuta disturbare in quel frangente. Era distesa nel letto, tra tubi e strane luci di monitoraggio. Al capezzale, i suoi genitori.
Il senso di abbandono che l’aveva accompagnato fino a quel momento a causa dell’assenza di Hermione al suo fianco si tramutò immediatamente in senso di colpa nel vedere il corpicino di Chris in quello stato. L’istinto, maturato in dieci anni di matrimonio, gli suggerì di raccogliere in silenzio il proprio ego ed offrire a sua moglie una spalla su cui posarsi. Ma l’istinto tradisce. A Hermione non serviva una spalla – o almeno, non la sua.
Li osservò con attenzione. Osservò la scena come uno spettatore che si ritrovi a guardare uno scontro frontale durante una partita di Quidditch: lo spettatore vede con chiarezza che le scope si scontreranno ma non può fare niente per impedirlo e niente per distogliere lo sguardo.
Hermione aveva il viso arrossato dal pianto e aveva raccolto i capelli in uno chignon frettoloso, tracciava sovrappensiero disegni astratti sul braccio di Chris adagiato sopra il lenzuolo; Hermione scaricava le sue emozioni nel contatto fisico, negli abbracci, nelle carezze, nelle strette di mano, lo aveva sempre fatto, continuava a farlo. Harry le cingeva il braccio e nascondeva parte del viso nell’incavo del collo di lei, mentre anche lui manteneva fisso lo sguardo su Chriseys.
Non parlavano. Non si guardavano. Entrambi incredibilmente concentrati e soli, del tutto incapaci di realizzare la sconveniente intimità che tradiva quell’abbraccio. Del tutto ignari della sua presenza.
Li osservò con attenzione, poi, chiuse la porta.
 

Note: La chiusa di questo capitolo mi lascia sempre un po' triste. Triste la vita, vero? 
Ho scritto questo capitolo lo scorso luglio, e lo ricordo con vividezza perché da poco erano accaduti i terribili fatti di Nizza, e il cuore piangente di Ron era un po' il mio. Quanto è fragile uno stato di pace? Quanto è precario, tanto è importante...
In ogni caso, spero che le note positive del capitolo siano arrivate, perché qualcosa di positivo c'è, se cercate bene, a partire dal titolo, che si rifà a una canzone dei Nomadi, il cui ritornello è un piccolo indizio sulle condizioni e sul futuro di Chriseys.
Il brano suonato da Chris è, invece, Por una cabeza di Carlos Gardel, le parole che intona in italiano sarebbero, più o meno, così: "Per un colpo di testa di un nobile puledro, che proprio sulla riga si affloscia all'arrivo. Non dimenticare, fratello, tu lo sai che non devi giocare. Per un colpo di testa, (farei) qualunque follia! Che importa perdere mille volte la vita pur di continuare a vivere?" Interpretatelo come più vi aggrada!

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ethelincabbages