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Autore: Horror_Vacui    01/05/2017    2 recensioni
Stiles Stilinski ha perso tutto: la moglie, la casa e il lavoro. Torna così a vivere con suo padre, dopo aver passato otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, emerso dopo aver sorpreso la moglie con un altro.
Stiles incontra Malia, una misteriosa e problematica giovane donna, che in seguito alla morte del marito si è data alla promiscuità. Malia si offre di aiutare Stiles a riconquistare la moglie consegnandole una lettera, ma solo se lui in cambio farà qualcosa di veramente importante per lei: partecipare a una gara di ballo.
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Stalia AU basato sull'omonimo film di David O'Russell.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Malia Hale, Sceriffo Stilinski, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 2. Malia


Stiles tornò a casa con delle buone notizie, era frizzante e positivo.
Attraversò il salotto di fretta, diretto in cucina dove c'era il telefono fisso. Suo padre lo seguì a ruota, non era di buonumore.
«Non appena sei uscito i Giants hanno fatto una chiamata a sorpresa e abbiamo perso la partita. Sei in questa casa, ti prego mostra del rispetto per quello che faccio. E poi dovremmo passare del tempo insieme, io cerco di tenerti fuori dai guai, ti prego» disse con tono accorato.
Suo padre parlava parlava parlava, ma Stiles aveva in mente tutt'altro mentre si liberava della pesante felpa foderata di plastica.
«Papà, ho una buona, ottima notizia sai? Un'ottima notizia!» sorrise entusiasta e pettinò con le dita i capelli umidi che gli si erano incollati alla fronte.
Noah levò gli occhi al cielo. «Sentiamo, quale sarebbe?»
«Le cose si mettono bene» disse, portando la cornetta del telefono all'orecchio. «Lo so, lo so perché mi hanno invitato da loro».
«Chi? Chi ti ha invitato?»
«Scott e Allison, mi hanno invitato a cena domani sera. E io lo so, io lo so perché l'hanno fatto, Scott ha detto che Allison parla ancora con Lydia. E quindi deve esserci un collegamento, ne sono certo».
Suo padre gli si accostò e gli mise una mano sul braccio.
«Senti, magari lei sta ancora con quello».
«Intendi Jordan Parrish? Ma va, figurati» lo scansò.
«Sì invece, lei potrebbe ancora stare con lui. Ha paura di te, non ti vuole più».
Lui e Lydia si amavano, lei non sarebbe mai stata davvero con un altro, mai mai mai. Avevano fatto un giuramento davanti a tutti, davanti a Dio e lei era felice, eccome se lo era.
«Non sai di cosa stai parlando, dici solo cazzate!» urlò spingendolo via.
«Stiles, figliolo, sono tuo padre. Pensi davvero che ti mentirei?»
Si guardarono per alcuni attimi, entrambi seri, entrambi risoluti. Stiles iniziò a comporre un numero, ma Noah afferrò la mano che stringeva la cornetta.
«Metti giù il telefono, non puoi chiamarla».
«Papà, papà lasciami, che stai facendo? È la mia vita, sono un uomo adulto, ho il diritto di fare una telefonata!» lo strattonò, mettendolo con le spalle al muro. Lo sceriffo però non mollò la presa.
«Mi vuoi ascoltare? Vuoi tornare là? Vuoi tornare in clinica?» gli domandò con gli occhi lucidi.
Anche a Stiles venne voglia di piangere, ma qualcuno aveva suonato il campanello.
Era Jackson Whittemore, uno dei nuovi arrivati in centrale dopo che lui e Parrish erano andati via.
Li guardò con sufficienza e parlò con il tono strascicato di chi è costretto a dire e fare qualcosa che preferirebbe non dover dire e fare.
«Salve signor Stilinski, scusi l'interruzione ma mi è stato chiesto di controllare questa casa. Sono l'agente Jackson Whittemore, sono l'agente di ronda, so dell'ingiunzione restrittiva e suo figlio è andato alla sua vecchia casa... non va bene. Sono stato assegnato al suo caso, perciò ci vedremo molto spesso. Si faccia un favore, rispetti l'ingiunzione restrittiva, centocinquanta metri» disse poi rivolto a Stiles.
«Per qualsiasi cosa non esiti a contattarmi» diede a suo padre un biglietto da visita. «Lo sceriffo le manda i suoi saluti, arrivederci».
Stiles era bipolare, non sordo, né cieco, né stupido.
«Da quanto tempo è che non sei più lo sceriffo? E quando avevi intenzioni di dirmelo? Ti ho detto di non dirmi bugie e invece mi riempi di cazzate. E poco fa? Poco fa hai... hai detto... hai detto che non mi avresti mai mentito!» gridò non appena la porta fu chiusa.
«Figliolo, sono stato mandato in pensione con qualche mese di anticipo, tutto qui. Non volevo turbarti dicendotelo all'improvviso».
Stiles allargò le narici come un toro infuriato, ma aveva ancora il controllo.
«Usa la scusa del figlio fragile e malato con qualcun altro, okay? Tu... tu hai... tu hai scommesso, hai continuato a scommettere nonostante il richiamo ufficiale dopo la diffida. È questa la verità».
La rabbia era sfumata nella delusione e la positività si era dissolta come la schiuma del mare.
Più tardi Noah lo accompagnò alla seduta di terapia senza dire una parola, entrambi avevano le loro ragioni per stare in silenzio, anche se Stiles fu costretto a mordersi la lingua per non parlare: la malattia aveva vinto troppe volte, non sarebbe successo ancora.
Quando entrò nello studio del dottor Deaton capì che la notizia della sua visita non autorizzata era già arrivata al suo orecchio, lo capì dalla smorfia di disappunto sul viso di solito calmo e pacifico.
«Ho saputo cosa è successo stamattina. Sei andato da solo alla tua vecchia casa».
«Wow, le notizie corrono in fretta» ghignò sotto i baffi alzando le mani in segno di resa.
Deaton però non aveva voglia di scherzare.
«Hai preso le tue medicine?»
«Ancora con questa storia? Non prendo più quella roba, mi fa star male!»
«Dimmi una cosa: preferisci essere quello che torna in galera o in ospedale? Mmh? Quindi prendi le tue medicine e se starai meglio, le ridurremo».
Stiles sospirò, si massaggiò le tempie e stropicciò gli occhi.
«Lydia aspetta che mi rimetta in sesto e che dia alla mia vita un ordine e allora tornerà da me. Ed è meglio di qualunque medicina».
«Stiles, c'è la possibilità – e voglio che tu sia pronto per questo – che magari non torni. Il vero amore comporta lasciarla andare e vedere se torna, nel frattempo quando ascolti quella canzone non voglio che tu cada a pezzi, perciò studia una strategia, d'accordo? Ti servirà».
«Fammi dire una cosa, devo dire una cosa. Okay, ecco cosa credo sia la verità, ecco cos'ho imparato in ospedale: uno deve fare tutto quello che può, deve impegnarsi al massimo, se fai così, se rimani positivo, vedrai spuntare il sole tra le nuvole».
Deaton annuì, per niente convinto, e poi si alzò per accompagnarlo alla porta.
«Studia una strategia, d'accordo?»
«Sai, il mio amico Scott dà una festa stasera ed è una di quelle cose tutte alliccate, sua moglie Allison è una fissata con cose del genere. Non so, non mi sento a mio agio con un vestito, voglio indossare la maglia degli Eagles che mi ha regalato mio padre per il compleanno».
Al sentire nominare gli Eagles il dottore si fermò sulla soglia e si girò a guardarlo. Nei suoi occhi c'era una scintilla diversa, che Stiles non aveva mai visto prima.
«La maglia di chi?» chiese mortalmente serio.
«DeSean Jackson».
«DeSean Jackson è il massimo» disse secco e lapidario.
E così Stiles si ritrovò davanti alla porta della casa di Scott con un mazzo di rose bianche in una mano e la giacca nell'altra. Voleva mettere in mostra la maglia a costo di sentire freddo, ma smise di esserne orgoglioso nell'esatto momento in cui suonò il campanello.
Che stava facendo lì con una maglia degli Eagles addosso? Cosa avrebbe detto Allison a Lydia? Che era il solito Stiles infantile e che non stava facendo progressi.
Girò sui tacchi pronto ad andarsene quando la porta venne aperta e Scott lo accolse con il solito sorriso forzato e un completo da uomo dall'aria costosa.
«Stiles! Che stai facendo?»
«Me ne devo andare, non posso restare. Avanti, ho sbagliato, non dovevo metterla» disse indicando la maglia con il numero dieci.
«Ma va, stai benissimo! Mi piace quella maglia, magari ce l'avessi io!»
«No, a Allison non piacerà e poi tu sei in cravatta».
«Tu sei l'ospite d'onore, puoi vestirti come ti pare» gli sorrise di nuovo, ma stavolta in modo sincero. A Stiles vennero in mente i tempi del liceo e tutte le serate passate insieme a ridere, bevendo birra sottomarca sul tetto di casa sua, fu quindi la nostalgia a parlare per lui.
«Va bene» si arrese e varcò la soglia.
Un delizioso profumo di arrosto lo investì, Allison li aspettava in piedi con la figlia tra le braccia. Era fasciata in un abito aderente verde menta, portava i tacchi alti, Stiles adorava i tacchi alti, e aveva i lunghi capelli castani ordinati in morbide onde sulle spalle.
Era tipico di Allison, nonostante avesse una bambina a cui badare non rinunciava a sembrare la reginetta del ballo. Stiles pensò che avrebbe potuto trovarla attraente se non fosse stata simpatica come un chiodo ficcato sotto la pianta del piede.
«DESEAN JACKSON E' A CASA NOSTRA!» urlò Scott.
«Chi? Il novellino dell'anno?» chiese Allison raggiungendoli. Quando lo vide la sua espressione cambiò «Ti sei messo una maglia per cenare?»
«Non è mitica?» Scott provò a contagiarla con la sua allegria, ma senza riuscirci.
«Non per una cena» fu infatti la gelida risposta della donna, che non gli staccò gli occhi di dosso, come volesse distruggerlo lì, seduta stante.
Prima che la situazione precipitasse, Scott lo prese sottobraccio e lo condusse in salotto.
«Guarda qua, abbiamo appena rinnovato tutto!» gli indicò la stanza con un ampio gesto.
L'ultima volta che Stiles era stato lì le pareti erano bianche, c'era due divani Ikea, una lampada Ikea, un mobile Ikea e un piccolo televisore Samsung. Adesso però quello sembrava il salotto di un ricco avvocato, con le pareti color guscio d'uovo, i mobili di design e un gigantesco ritratto di famiglia sopra il caminetto in pietra.
«Wow, è fantastico, favoloso!».
«Sì, è vero e sto pensando di rifarlo di nuovo».
«Perché vuoi rifarlo? Devi averne di soldi da buttare» ridacchiò.
«Be' sì, il mercato sta andando bene, ce la caviamo. E poi sai, lei vuole di più e io le do di più».
Stiles guardò il suo amico dritto in faccia e si rese conto che il sorriso che gli incurvava la bocca non arrivava agli occhi. Provò pena per lui, ma non compassione.
«Davvero? Credevo che il mercato stesse andando male, un sacco di gente sta perdendo il lavoro».
«Sì esatto e sai, non per offendere, ma questo è il momento giusto per colpire» disse Scott battendo i pugni uno contro l'altro. «Arraffi qualche immobile commerciale a prezzi stracciati, lo rimetti a posto ed è così che fai i soldi» assunse un'espressione corrucciata, ma fu solo un momento, un battito di ciglia e tornò a sorridere.
«Posso dire una cosa? Sì, ti dirò questa cosa e voglio che tu la prenda bene, perché lo sai sono senza filtri, e tu non stai bene, non stai per niente bene. Hai quella da quando sono arrivato» disegnò un cerchio immaginario davanti alla faccia dell'amico.
«Quella cosa?» chiese Scott, toccandosi il naso preoccupato.
«Quella faccia, proprio quella faccia».
«Che faccia?!»
«Quella del tizio dietro il bancone con la pistola puntata alla schiena» rispose come se fosse ovvio, ma non era per niente ovvio e infatti Scott sollevò le sopracciglia stranito.
«Sì, sai nei film action quando il ladro entra in un negozio per una rapina, ma poi arriva qualcuno e allora si nasconde dietro il bancone, dice al titolare del negozio di comportarsi normalmente altrimenti gli ficca una pallottola nello stomaco e quel poveretto è costretto, è costretto a dar retta ai clienti stronzi, con un bel sorriso stampato sulla faccia, nonostante abbia la canna di una pistola schiacciata contro la schiena. Eh be' sai, di solito quel tipo non fa una bella fine, no signore, fa una fine di merda, davvero di merda e tu amico mio sei quel tipo e tua moglie, tua moglie credo proprio che sia il ladro, solo senza pistola».
Al solito, aveva parlato in fretta, facendo uscire un vomito di pensieri che rischiavano di comprimergli il cervello. Si guardò intorno, sperando che Allison non avesse sentito, si affacciò fuori dal salotto per controllare che lei non fosse lì ad origliare, anche se era certo che lei non sarebbe rimasta nascosta, no Allison era una donna d'azione, l'avrebbe preso a calci.
Scott nel frattempo sembrava finalmente tornato in sé.
«Via libera?» sussurrò e, quando Stiles gli fece cenno con la testa, riprese a parlare.
«Lo so, so di cosa parli e hai ragione, ma non so come affrontare questa situazione. La pressione» annaspò in cerca d'aria «io non sto bene, non sto bene per niente, ma non dirlo a nessuno. Mi sento come se fossi schiacciato» si mise una mano attorno al collo, sgranando gli occhi.
«Schiacciato da cosa?» sapeva già la risposta, ma aveva imparato tanto in ospedale, anche ad ascoltare gli altri.
«Da tutto! La famiglia, la bambina, il lavoro, quei cazzoni dell'ufficio ed è come se... come se cercassi di liberarmi ma poi mi sento... mi sento» spostò la mano e la premette forte sul viso «mi sento soffocare».
«Porca. Vacca. Scott, devi fare qualcosa».
Scott tirò su col naso, si sistemò il colletto della camicia e lisciò la cravatta.
«Non si può essere felici continuamente» disse con un alzata di spalle.
«Chi ti ha detto che non lo si può essere?»
«Stiles, è così, devi fare del tuo meglio, non hai scelta».
«Non è affatto vero».
«No, non si può, non si può e basta».
La discussione venne interrotta dal campanello, che suonò tre volte, salvando Scott da una lunga, lunghissima ramanzina a base di positività ed excelsior.
«Aspettavate visite?»
«No, solo un altro invitato a cena. Spero non ti dispiaccia se c'è anche la sorella di Allison. Ti dispiace? Ho detto a Allison di non invitare altre persone, ma sai com'è fatta, lei...»
«Chi?» lo interruppe, perso nei suoi pensieri. Stava cercando di capire chi fosse, ma aveva solo il vago ricordo di una ragazza con dei lunghi capelli castani e l'aria annoiata.
«Malia, la sorella di Allison».
Quel nome fece scattare un click nella mente di Stiles e di colpo si ricordò di Malia. L'aveva vista due volte, la prima al matrimonio di Scott, era sola, indossava uno degli orrendi abiti giallo crema delle damigelle; la seconda ad una grigliata per il 4 luglio, non che le avesse prestato particolare attenzione, aveva però quasi litigato con il suo fidanzato, Isaac, anche se non sapeva il perché.
«Malia? Malia e Isaac, giusto?»
«Solo Malia» disse Scott con tono triste.
«Perché? Cos'è capitato ad Isaac?»
«Be', non c'è un modo carino per dirlo... è morto».
«Isaac è morto?!»
Era sconvolto, davvero sconvolto. Credeva che lei l'avesse lasciato, non che fosse morto!
«Già, purtroppo sono cose che capitano».
«Com'è morto?»
«Ti prego, non ne parlare» lo supplicò Scott, ma era più forte di lui, doveva saperlo subito.
«No, dai com'è morto?»
«Ti ho detto di non...»
«Com'è morto chi?» chiese una voce femminile alle spalle di Scott.
Malia era entrata nella stanza con l'andatura e lo sguardo perso, come se loro non fossero lì e lei fosse solo di passaggio. Indossava un cardigan nero senza camicia, i primi due bottoni erano slacciati e lasciavano intravedere la linea tra i seni, in cui si tuffava il ciondolo della collana, un crocefisso ricoperto di piccoli zirconi neri. I capelli erano corti, tagliati di netto fino a metà del collo, lisci e castani. Le labbra erano diverse da quelle della sorella, Allison aveva delle labbra sottili sempre pronte ad arricciarsi, mentre le labbra di Malia erano voluminose e a forma di cuore, gli angoli leggermente piegati in giù in un grazioso broncio perenne.
Gli occhi erano scuri e brillanti come le pietruzze della sua collana, sostennero il suo sguardo e per un breve istante a Stiles sembrò di vedere una scintilla di sfida.
«Malia, lui è Stiles. Stiles, lei è Malia, mia cognata» Scott fece le presentazioni, nonostante loro si conoscessero già. Aveva ripreso a sorridere come un idiota.
Stiles continuò a guardarla, non poteva staccarle gli occhi di dosso. Indugiò sulle gambe lunghe e le calze a rete, la linea sinuosa dei fianchi e poi tornò al viso. Era bella, davvero bella, di quella bellezza che faceva muovere qualcosa all'altezza dello stomaco. Anche Lydia lo era, ma Stiles non le faceva mai dei complimenti, e ora poteva dimostrare a Allison e Scott che era migliorato, loro le avrebbero detto che era migliorato.
«Sei carina» disse, provando a mantenere un tono di voce neutro.
«Grazie» il broncio di Malia s'incurvò in un sorriso dolce.
«Non ci sto provando».
«Non... non l'avrei mai pensato».
«Vedo che ti sei impegnata e io voglio migliorare per mia moglie, ci sto lavorando. Voglio riconoscere la sua bellezza, prima non lo facevo mai, lo farò ora, perché staremo bene io e te Lydia – faccio pratica – com'è morto Isaac?»
L'espressione di Malia mutò, come se le avesse infilato un coltello nel cuore. Era risentita e delusa.
Scott dietro di lei si coprì il volto con le mani e gli fece segno di smettere.
«Ehm... come va il lavoro?»
«Mi hanno appena licenziata».
Scott si era ormai appoggiato al caminetto e aveva nascosto la testa fra le braccia.
«Ah, davvero? Come mai?... Voglio dire, m-mi dispiace, com'è successo?»
Malia scosse la testa. Era odio quello che leggeva adesso nei suoi occhi?
«Ha qualche importanza?»
Il ticchettare svelto di tacchi sul parquet li avvisò dell'arrivo di Allison.
«Amooore, come sta andando? Gli hai già fatto vedere la casa?» chiese gioiosa rivolta al marito.
Stiles dovette mordersi la lingua per non commentare quel repentino cambio d'atteggiamento. Erano proprio sicuri che lui fosse l'unico bisognoso di cure?
«Non ancora! Dai, andiamo a vedere la casa!»
«Sì, andiamo a vedere la casa» disse Malia e stavolta la sfida bruciava intensa nel suo sguardo.
La prima stanza che visitarono fu la cucina, spaziosa e moderna, piena di elettrodomestici che Stiles non aveva mai neanche visto, seguirono la stanza della bambina, il ripostiglio super-organizzato, la graziosa camera degli ospiti, il bagno al piano terra, quello al primo piano e poi la camera da letto, che era un'esplosione di fiorellini color lavanda. Allison saltellò fino in fondo alla camera, dove c'era una rientranza rettangolare circondata da una spessa cornice d'acciaio. Anche lei, proprio come Scott, aveva iniziato a ostentare una felicità che non le apparteneva.
«Dai, indovinate cos'è!» esclamò con l'energia di una venditrice televisiva.
Stiles disse la prima cosa che gli venne in mente.
«Oh, è un televisore».
«No! Adesso tocca alla mia sorellina».
Malia sollevò gli occhi al cielo e sospirò.
«Ehm, è lo schermo di un computer» disse svogliata.
«No, dai avanti avanti avanti, metteteci più impegno!»
«Un forno a legna?» propose Stiles. «Una lampada» continuò Malia.
«Fuochino fuochino fuochino!»
«È un cassetto dell'obitorio da dove tirano fuori i cadaveri e li iniettano di formaldeide».
L'assoluta indolenza di Malia nel parlare di cadaveri e obitorio mise tutti a tacere. Allison si morse le labbra a disagio e Scott aprì la bocca per poi richiuderla, incapace di dire qualcosa.
Stiles nel frattempo si era perso a immaginare che quello fosse davvero un cassetto dell'obitorio.
«Ma il corpo dove andrebbe?» chiese più a se stesso che agli altri.
«Oddio, era una battuta!» lo rimbrottò Malia con una punta di esasperazione.
«In realtà è un caminetto» intervenne Scott, accendendolo.
L'ultima tappa fu il bagno che si trovava in camera da letto, Allison li mise davanti all'ennesimo strano oggetto.
«Abbiamo un AirPort in ogni stanza. Datemi un iPod» puntò il palmo aperto verso Stiles.
«Non ce l'ho» rispose lui e Allison lo guardò come se gli fosse spuntato un naso sulla fronte.
«Cosa? Chi non ha un iPod?!»
Per la prima volta quella sera, Stiles si sentì a disagio. Guardò Scott, poi Malia, che abbassò lo sguardo mortificata.
«Be' non ce l'ho un iPod e neanche un cellulare. Non vogliono che faccia telefonate, pensano che chiamerei Lydia».
Scott lo incoraggiò, dandogli una pacca sulla spalla.
«Dai, non ci pensare».
«Ma io la chiamerei» si affrettò a precisare Stiles.
«Ehm... sì, facciamo così, ti regalo uno dei miei iPod, ne ho uno vecchio» continuò Scott, fingendo che lui non avesse detto niente, poi diede a Allison il suo iPod. La moglie lo mise sul supporto al muro e subito si diffuse una musica delicata.
«Ecco, vedete? Posso mettere la musica per la bambina in ogni stanza».
«Di tutte le stanze in cui ci sono AirPort sono contenta che tu c'abbia portato in bagno» disse Malia, rovinando l'illusoria atmosfera di serenità.
Allison la fulminò con lo sguardo e allora Scott tossicchiò per spostare l'attenzione su qualcos'altro.
«La bambina dorme, che ne dite di andare a cena prima che si svegli?»
«Sì, giusto amore, andiamo».
Il bagno era piccolo, Malia fece in modo di strusciare il fondoschiena contro la mano di Stiles. Non si era trattato di un caso, lo capì quando lei gli sorrise da sopra la spalla prima di uscire dalla stanza.
A tavola trovarono un ricco centro tavola fatto di fiori e candele profumate, le portate erano così raffinate che Stiles si chiese se Allison non le avesse ordinate da un ristorante o servizio catering.
«Stiles era un poliziotto, Malia. Ha un sacco di racconti pazzeschi» disse Scott, tagliando la sua bistecca di cervo.
Malia non parve impressionata.
«Poliziotto? Qui a Beacon Hills? Immagino che tu abbia dovuto salvare parecchi gatti incastrati sugli alberi e aiutare vecchiette ad attraversare la strada» si rigirò la forchetta tra le mani, annoiata.
«In realtà dovevo vedermela con ladri, rapinatori di banche, casi di violenza domestica e spaccio. Niente di così fico come aiutare animali indifesi, mi dispiace» fu la sua risposta piccata.
Malia mise da parte la forchetta e gli sorrise di nuovo come aveva fatto in bagno.
«Sai, Malia fa questa cosa del ballo, da anni. È davvero bravissima, parteciperà alla gara del Ben Franklin Hotel» s'intromise allora Allison con una nota di nervosismo nella voce.
Malia non la prese per niente bene e la guardò con disgusto e disprezzo, ma Stiles era troppo concentrato su come fare buona impressione per rendersene conto.
«Oh, davvero? Mia moglie ama ballare, Lydia ama ballare».
Malia ignorò quell'informazione e si rivolse alla sorella.
«Perché devi parlare di me così?»
«Mi vanto di te, non posso vantarmi della mia sorellina?» si sforzò di sorridere.
«Non parlare di me in terza persona, io sono presente».
A Stiles ricordò un animale selvatico pronto a saltare al collo della sua preda, quasi la sentì ringhiare. Allison invece era rossa come un peperone dalle guance fino alla punta delle orecchie.
«Ti prego basta, cerca di essere gentile. Sforzati» disse, guardando il piatto.
«Wow, wow, wow, affascinante» sfuggì a Stiles.
«Scusami,» disse Malia «non volevo essere villana».
«Sì, lo so lo so» annuì l'altra energicamente.
Eppure era certo che Malia non avesse alcuna intenzione di cedere, aveva di nuovo quella scintilla negli occhi.
«Che medicine prendi?» gli chiese.
«Io? Nessuna. Una volta prendevo Litio, Seroquel e Abilify, ma ora non li prendo più. Mi fanno stordire e mi ingrassano pure».
«Già, io prendevo Xanax ed Effexor, ma concordo, non ero tanto lucida e allora ho smesso».
«E hai preso il Klonopin?»
«Oh, sì!» ridacchiò lei.
«Vero? Stai sempre tipo: "Che giorno è oggi?". E che mi dici del Trazodone? Oh, calma piatta. Ti toglie ogni luce dagli occhi».
«Sì, vero, d'accordissimo!»
Stiles era così preso da quella conversazione, finalmente nelle sue corde, da non notare le facce sconvolte di Allison e Scott, finché non sentì il silenzio tappargli le orecchie.
«Sono stanca, voglio andare» annunciò Malia balzando in piedi.
«Cosa? No, no, no! Non potete andare, non abbiamo nemmeno finito l'insalata e poi c'è l'anatra e... e ho fatto il gelato al peperoncino» provò a fermarla Allison, ma lei era irremovibile, decisa, granitica.
«Ho detto che sono stanca. Che fai, mi accompagni a casa o no?» chiese a Stiles.
«Dici a me?»
«Sì, a te. Mi accompagni a casa?»
«Tu sei proprio un'asociale, hai un problema» le rispose lui prima di riuscire a frenare la lingua.
«Ah io ho un problema?! Metà delle cose che dici sono strampalate. Spaventi le persone».
«Dico la verità, se-sei antipatica» alzò le mani in segno di resa.
«Perché, io non dico la verità?»
Stiles ci pensò su e nel frattempo che ci pensava calò di nuovo il silenzio.
«Che dici, li porto a casa?» chiese Scott alla moglie, lei esasperata annuì.
«Sì, portali a casa, adesso».
«E tu smettila di parlare di me in terza persona! Tu ci godi quando io ho dei problemi, ci godi, così tu sei la figlia brava, avanti dillo!» l'accusò con asprezza.
Allison allora si alzò in piedi per fronteggiarla, aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra.
«No, non è vero. Io volevo solo passare una bella serata! Si può sapere che problema hai?»
«Oddio... nessuno, sto bene, sono solo stanca e voglio andare, va bene? Tu sei pronto?»
«Davvero te ne vuoi andare ora?» chiese ancora una volta Allison.
«Sì, davvero!»
Nonostante tutto, Stiles la seguì. Aiutare gli altri era parte della sua filosofia di vita e Malia sembrava davvero bisognosa di aiuto.
Camminarono per parecchi metri in silenzio, le strade erano deserte, illuminate dalla luce arancione dei pochi lampioni lungo il marciapiedi. Faceva freddo, si strinsero entrambi nelle loro giacche e di tanto in tanto Malia continuò a lanciargli occhiate maliziose. Si sentiva strano, aveva voglia di metterle un braccio attorno alle spalle per farla smettere di tremare.
«Eccomi qua» disse lei una volta arrivati. Gli si piazzò davanti, afferrò i lembi della sua giacca e lo guardò negli occhi. Gli occhi di Malia scintillarono nonostante la luce scarsa e Stiles ne fu attrattato come una gazza ladra. «Senti, non esco con un uomo da prima del mio matrimonio, perciò proprio non mi ricordo come si fa» disse lei con voce roca.
«Come si fa cosa?»
«Ho visto come mi guardavi, Stiles. Tu l'hai sentito, io l'ho sentito. Non essere bugiardo, non siamo bugiardi come loro. Io ho una casetta qui sul retro che è completamente separata da quella dei miei genitori, non corriamo il rischio che ci possano beccare. Detesto che tu ti sia messo una maglia a cena perché detesto il football, ma puoi scoparmi se spegniamo la luce, va bene?»
Stiles non riusciva a capire se a sconvolgero fosse stata la proposta o il tono assolutamente piatto e disinteressato con cui Malia l'aveva fatta. La guardò a bocca aperta, per la prima volta dopo tanto tempo qualcuno era riuscito a farlo stare zitto.
«Senti, sono stato bene stasera e ti trovo molto carina, ma sono sposato» sollevò la mano sinistra per mostrarle la fede nuziale. Malia rise senza gioia.
«Sei sposato? Lo sono anch'io» mostrò anche lei un anello con un grosso solitario luccicante.
«No, non confondiamo, lui è morto».
Malia a sorpesa lo abbracciò, iniziando a singhiozzare. Spinse il viso nell'incavo della sua spalla e baciò la pelle sensibile del collo. Stiles provò a divincolarsi e a quel punto si ritrovarono viso contro viso, le labbra così vicine che potè quasi assaporarle, ma si fermò risoluto. Lei sorrise e poi lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva in corpo ed entrò in casa, lasciandolo in piedi sul prato inebetito.
Era positivo? Era negativo? Non sapeva stabilire come si sentiva. Era il caos.

Si trascinò a casa come un automa, quella sensazione che aveva alla bocca dello stomaco da quando aveva visto Malia era aumentata di intensità, era quasi insopportabile e gli faceva battere il cuore all'impazzata. Salì le scale di corsa e si buttò sul letto ancora vestito. Strizzò le palpebre e si costrinse a pensare ad altro, ma ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la curva del suo seno che si alzava ed abbassava e ripensava a quelle labbra rosse. Aveva le narici piene del suo profumo alla lavanda, lavanda come il colore della camera di Scott.
Tolse la giacca e la gettò a terra, aveva caldo e non riusciva a trovare una posizione comoda per ritrovare la calma. Si rigirò sul piumone, affondò la faccia tra i cuscini, ma l'immagine di lui e Malia su quel letto color lavanda non voleva andare via. Nella sua mente le sbottonava il cardigan, mentre lei lo baciava e gli toglieva a sua volta la maglia di DeSean Jackson.
Si costrinse a pensare a Lydia, ai suoi capelli rossi e alla pelle diafana. Lui era sposato, avevano giurato davanti a Dio... ma cosa avevano giurato? Non ricordava bene le parole di sua moglie.
Si disse che riguardare il filmino del matrimonio sarebbe stato un ottimo modo per smettere di pensare a Malia. Scese in salotto e controllò tra i VHS, poi andò nello studio di suo padre, ma niente: la videocassetta contenente il filmino del suo matrimonio non c'era. Eppure ricordava di averne data una copia al padre anni prima...
Salì di nuovo al piano di sopra ed entrò nella camera di suo padre, incurante del fatto che lui stesse già dormendo.
«Papà, papà, papà. Sveglia, sveglia ti prego» lo scosse piano parlando sotto voce.
Noah si svegliò di soprassalto e accese la luce sul comodino.
«Che succede?» guardò la sveglia «Stiles, è notte fonda! Che ti passa per la testa?»
«Il video del mio matrimonio. Non riesco a trovare il filmino, ti ricordi dove l'hai messo?»
L'ex-sceriffo sbuffò seccato «Stiles, è tardi, ho sonno, ne riparliamo domani».
«C-cosa? No, no, no, ne parliamo adesso. Ci sono centinaia di VHS con tutte le partite degli Eagles nel tuo studio, sono ordinate per data e stadio in maniera maniacale, com'è possile che non ti ricordi dove sia? E poi quando posso avere un telefono? Sono un adulto, ho bisogno del mio cellulare!»
«Lo avrai a tempo debito. Ricordi la tua ingiunzione restrittiva?»
«Sì, cazzo papà, me la ricordo! Non fai che ricordarmela di continuo!» urlò dando un calcio alla poltroncina accanto al letto.
«Bene, allora avrai un cellulare quando la smetterai di pensare a Lydia».
«MA È MIA MOGLIE!» gridò alzando le braccia al cielo e poi uscì dalla stanza.
Suo padre lo seguì fino allo studio, Stiles aveva già iniziato a gettare tutte le cassette giù dagli scaffali.
«Stai cercando di tenermelo nascosto, non è vero?!»
«Stiles, smettila di urlare e posa quelle cassette, porca troia!»
«NON STO URLANDO! Sono solo frustato perché non trovo quel cazzo di video!» tirò un pugno a uno scaffale vuoto e riprese la sua ricerca, nonostante la ferita aperta alla mano.
«Calmati, i vicini ti sentiranno!»
«No, no che non mi calmo, non me ne frega un cazzo se mi sentiranno! Si possono svegliare tutti quanti, non mi vergogno per niente! CHE SI SVEGLI L'INTERO QUARTIERE! È IL MIO MATRIMONIO! È IL VIDEO DEL MIO MATRIMONIO!»
La canzone, sentiva di nuovo quella canzone, altri flash dell'incidente nella doccia gli passarono davanti agli occhi. Sua moglie nuda, la sua espressione contratta dal piacere mentre Parrish le baciava i seni, lui che spaccava la faccia a Parrish con il doccino fino a trasformarlo in una maschera di sangue.
Il padre nel frattempo gli si avvicinò per provare a fermarlo, ma lui era troppo preso per accorgersene e gli tirò una gomitata in pieno viso che lo mandò al tappeto.
«Oddio, oddio papà mi dispiace!» si mise le mani tra i capelli, disperato. La canzone era sempre più forte, come se provenisse da una gigantesca cassa da discoteca.
Noah si rialzò rifiutando il suo aiuto, aveva il labbro spaccato da cui usciva già copioso il sangue, macchiandogli il piagiama e la moquette. Il telefono aveva preso a squillare.
«Che c'è? Ora picchi tuo padre? Vuoi picchiarmi? Ti faccio vedere io!»
Lo afferrò per la maglia e lo spinse a terra, lo immobilizzò e gli tirò due pugni in faccia.
«Non voglio picchiarti, papà! Smettila o dovrò farlo!» si riparò il viso con le mani.
Stiles non sentiva più la canzone, voleva solo sprofondare nel pavimento e restare nascosto lì per sempre.
«Mi dispiace, mi dispiace» disse, piangendo senza freni.
Qualcuno suonò il campanello ed entrambi si fermarono, come congelati.
Noah si alzò, prese un fazzoletto dal pacco sulla scrivania, per asciugare il sangue che non aveva smesso di colare dalla bocca.
«Polizia! Aprite per favore» disse la voce strascicata di Whittemore. Suo padre aprì la porta.
«Signor Stilinski, ho ricevuto molte telefonate. La gente del vicinato ha paura, devo entrare» disse ed entrò senza aspettare un invito. Raggiunse Stiles che era ancora steso sul pavimento.
«Che sta succedendo qui? Abbiamo ricevuto un sacco di segnalazioni dai vicini. Rimettiti in piedi» gli diede un colpetto alla gamba con la punta della scarpa.
«Agente, lei deve trovare Lydia, quel Parrish la sta manipolando!»
Jackson aggrottò le sopracciglia e suo padre si affrettò a sollevarlo dal pavimento.
«Scusi agente, mio figlio ha un piccolo problema con le medicine, ma andrà meglio».
«Ah sì? Davvero? Vuoi tornare ad Eichen House? Sappiamo tutto della tua esplosione dal dottore».
«Quale esplosione? No, no, no, Alan è un bugiardo, questo non è vero! Non gli è permesso di parlare di queste cose!» disse guardando suo padre, nella speranza che gli credesse.
«Senta, non può dire questo a Lydia, la prego».
«Mi dispiace devo fare rapporto e lei ha il diritto di leggerlo» Jackson scrollò le spalle.
«No, mi ascolti! Posso scriverle una lettera per spiegarle quanto sto meglio? Solo cinque minuti» Stiles sembrò quasi che volesse mettergli le mani addosso, tanto che l'agente fece qualche passo indietro e suo padre lo costrinse a sedersi.
«Siediti e sta' zitto! Devi rispettare la tua ingiunzione restrittiva, quindi niente lettere e una distanza minima di 150 metri. Tutto chiaro? Ora vado a fare rapporto, vi saluto».
Il baratro era vicino e lui non vedeva più il fondo.

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Angolo autrice

Grazie per essere arrivati fin qui e grazie per le belle recensioni e i messaggi privati. Non mi aspettavo che questa storia piacesse così tanto! Fatemi sapere se vi è piaciuto questo capitolo, ma anche se non vi è piaciuto, se c'è qualcosa che posso migliorare e quali parti avete preferito.
Al prossimo capitolo,

Jenny.


   
 
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