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Autore: Thalassa_    17/05/2017    2 recensioni
Questa è una storia da tempo sepolta.
È una storia di grandi amicizie, di fragorose risate, di amori impossibili, di eroi e di codardi, di promesse mantenute e di promesse infrante.
È la storia di un tempo sepolto, un tempo in cui pensavano di essere forti e invincibili, protetti dalle mura di Hogwarts, da Silente, dal loro coraggio e dalla loro bontà. Un tempo in cui sembrava che l’estate non dovesse mai finire.
Questa è una storia da tempo sepolta, e i suoi protagonisti sono sepolti con lei.
Ed è una storia che comincia così:
C’erano una volta quattro Malandrini…

Un viaggio insieme ai protagonisti della vecchia generazione, da quando ricevono la lettera per Hogwarts seguendo tutta la loro crescita.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
Capitoli:
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Disclaimer (da intendersi valido per l'intera storia): Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K.Rowling. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


PARTE PRIMA
PRE-HOGWARTS


Capitolo I – L’estate in cui tutto incominciò

 
15 giugno 1970
Spinner’s End
 
Tieni la mente chiusa, tieni la mente chiusa, si ripeteva Severus, gli occhi chiusi, i pugni serrati, rannicchiato a terra con la testa tra le ginocchia. Aveva letto dell’esistenza dell’Occlumanzia in un libro di sua madre, e da quel momento l’idea si era insinuata nella sua mente.
“Chi è padrone della sua mente è padrone di sé stesso” mormorò, tenendo ancora gli occhi chiusi, inspirando profondamente. Se solo fosse riuscito a chiudere la mente, avrebbe impedito a quello che non voleva vedere e non voleva sentire di entrare dentro di lui; e se non l’avesse visto, sarebbe stato come se non fosse successo…ma Severus aveva solo dieci anni, non possedeva ancora una bacchetta e non c’era la minima possibilità che riuscisse a praticare l’Occlumanzia, o quello che credeva di aver capito di essa da un libro. Perciò, per quanto si sforzasse e si concentrasse, non riusciva a tenere fuori le voci che lo circondavano: sua madre e suo padre che gridavano, suo padre che la insultava, sua madre che si difendeva lanciandogli contro un bicchiere, come una Babbana qualunque.
“Tu, ragazzo! Cosa stai facendo lì per terra?” urlò suo padre. Severus non poté più ignorarlo, dal momento che si stava rivolgendo direttamente a lui, e aprì gli occhi.
Suo padre gli stava puntando un dito contro, malfermo sulle gambe, gli occhi offuscati pieni di disprezzo. “Eileen, guardalo, e tu osi dire che è normale…
“Fa così perché è spaventato, Tobias!” gridò sua madre con la voce rotta dal pianto.
Severus si alzò in piedi e guardò suo padre negli occhi, cercando di tenere lo sguardo fermo anche se arrivava a stento al petto dell’uomo.
“Non guardarmi così” sibilò suo padre, l’alito che puzzava pesantemente di alcol, “Fuori dalla mia vista! Vai! Vai!” Severus guardò sua madre con aria interrogativa, incerto sul da farsi. Nel frattempo suo padre era sprofondato su una sedia di legno scheggiata; Severus sperò che gli si conficcasse una scheggia nella schiena.
“Perché non vai a giocare fuori, Severus?” gli disse sua madre con voce gentile, sforzandosi di far apparire un mezzo sorriso sui suoi lineamenti duri. Incoraggiato dal suo tono, Severus trovò il coraggio di farfugliare, con voce flebile: “La tua bacchetta?”.
L’espressione di sua madre si indurì e Severus seppe subito che era stato un errore.
“Hai sentito quello che ti ha detto tuo padre, vai!”
Suo padre ricominciò a urlare, e Severus corse via, scappando dalle voci dei suoi genitori che si scambiavano orribili epiteti. Corse a perdifiato finché casa sua non fu più visibile, ma le voci dei suoi genitori continuavano a rimbombargli nella testa: sua madre che urlava anziché difendersi seriamente – la sua bacchetta doveva essere di nuovo nascosta da qualche parte – non poteva Schiantarlo, una buona volta?, suo padre che diceva che Severus non era normale, ma cosa voleva saperne lui, uno stupido Babbano, che se la tenesse la sua normalità…
Si guardò intorno. Aveva corso a perdifiato lasciando che fossero i suoi piedi a guidarlo, non che ci fossero molti posti dove andare a Cokeworth. Era una bella giornata di giugno e Severus grondava di sudore per la corsa. Nella fretta aveva scordato di prendere il cappotto, e così nulla poteva nascondere i buchi nella sua camicia, troppo grande per lui. Nessuno dei suoi vestiti gli andava bene, perché nessuno era stato comprato per lui; gli abiti che indossava provenivano alternativamente da negozi di seconda mano, dal guardaroba di suo padre o, peggio, di sua madre.
Nonostante il caldo, Severus si pentì di non aver preso con sé il suo cappotto nero; senza si sentiva nudo, esposto allo scherno di chiunque posasse gli occhi su di lui. Sarebbe stato meglio tornare a casa e sgattaiolare in camera sua, dove nessuno poteva vederlo, e rileggere per l’ennesima volta uno dei polverosi volumi rubati dalla libreria di sua madre, eppure i suoi piedi l’avevano portato vicino all’ingresso del parco.
Erano le sei di pomeriggio, ma le giornate si stavano allungando e c’era ancora luce. Forse sarebbe riuscito a vederla. Forse sarebbe stato un giorno fortunato.
Dopo un attimo di esitazione, imboccò il vialetto dell’ingresso secondario del parco, cercando di camminare più silenziosamente possibile e non farsi notare.
Una risata cristallina riempì l’aria, e il cuore di Severus iniziò a battere più forte, mentre si acquattava dietro a un cespuglio come aveva fatto già molte altre volte. La risata proveniva da una bambina dell’età di Severus con una gran massa di capelli rosso scuro che sembrava uscita da una fiaba. Severus l’aveva osservata un numero sufficiente di volte per sapere che anche il suo nome sembrava uscito da una fiaba: Lily, Lily Evans.  In quel momento, Lily Evans stava facendo schizzare l’acqua della fontanella verso la sorella maggiore, una ragazzina ossuta con il naso a punta e una voce fastidiosa.
“Piantala, Lily!” protestò a gran voce la ragazzina più grande “mi stai bagnando tutti i vestiti e i capelli!”.
Lily rideva e rideva, allegra e spensierata, e la sua risata riempiva l’aria e il cuore di Severus; le voci dei suoi genitori nella sua testa si acquietarono.
“Ma dai Tunia, è solo acqua, e poi oggi è una bella giornata, sorridi un po’ ogni tanto”.
Per tutta risposta, la bambina chiamata Petunia arricciò il naso e annunciò che era ora di tornare a casa. Severus dovette trattenersi dall’urlare “no!”, e guardò con tristezza le due sorelle allontanarsi verso l’uscita del parco. Ormai era passato un mese dalla prima volta che le aveva notate, e ben presto aveva capito che Lily era speciale, proprio come lui.
Lily si girò a raccogliere una margherita mentre camminava, e così Severus poté ammirarla per l’ultima volta quel giorno: minuta, i capelli rosso scuro infuocati dal sole che stava iniziando a scendere verso l’orizzonte, gli occhi verdi pieni di allegria e meraviglia nell’ammirare il fiore appena raccolto. Severus non aveva mai visto niente di più bello. Rimase senza fiato acquattato nei cespugli finché non fu sparita dalla sua vista. Valeva la pena tornare tutti i giorni per vederla, anche solo per poco; e prima o poi avrebbe trovato il coraggio di parlarle, e dirle che anche lui era un mago, ma ora era ancora troppo presto, nessuno dei due ancora ricevuto la lettera da Hogwarts, anzi lei non sapeva nemmeno che esistesse Hogwarts.
Un’idea lo colpì come una folgorazione: avrebbe potuto essere lui a rivelarle che era una strega! E allora lei avrebbe saputo che avevano qualcosa in comune, e sarebbero diventati amici, e lei avrebbe lasciato da parte quella sua stupida sorella Babbana…
Tornò a casa con un passo leggero e baldanzoso, pieno di speranza; fu persino tentato di iniziare a fischiettare, quando sentì una risatina alle sue spalle. Un ragazzino lo stava indicando al suo amico, puntando il dito e ridacchiando, mentre l’altro sussurrò in maniera udibile, con un ghigno:
“Suo padre dev’essersi bevuto tutti i soldi dei vestiti!”.
I due ragazzini corsero via vedendo che Severus si era voltato verso di loro.
Severus fece per inseguirli, ma fu distratto dalla sua immagine riflessa nella vetrina del negozio accanto a cui stava camminando: era magro, con i capelli neri unti che gli ricadevano ai lati del volto, la camicia sbrindellata e attaccata al petto per il sudore, i pantaloni troppo corti che gli lasciavano le caviglie scoperte. Come aveva anche solo potuto pensare di parlare con quella ragazzina? Tornò a casa con le spalle basse e il cuore appesantito.
 
20 agosto
Cokeworth, alle altalene
 
Il parco giochi era deserto, quel pomeriggio. Metteva un po’ malinconia. Lily preferiva quando c’erano tanti bambini con cui poter giocare, invece sua sorella era l’unica compagnia disponibile quel giorno. Erano sempre andate abbastanza d’accordo, ma da quando Petunia aveva compiuto dodici anni era diventata insopportabile e si dava un sacco di arie, credendo di essere chissà quanto più grande di lei. Due anni non sono poi molti, rifletté Lily, dondolandosi sull’altalena.
Un’enorme ciminiera dominava l’orizzonte.
Chissà che faccia farebbe Petunia se riuscissi a saltare fino a là sopra, fantasticò. Sorrise tra sé al pensiero. No, la ciminiera era decisamente troppo lontana.
La grande quercia davanti a loro, però, era decisamente più raggiungibile. Lily rise mentre si dava lo slancio per dondolare sempre più in alto, molto più in alto di Petunia.
“Lily, non farlo!” strillò prevedibilmente sua sorella maggiore.
Ma Lily non aveva la minima intenzione di ascoltarla. Aveva fatto quel gioco già tante volte e sapeva che non era davvero pericoloso. Sono leggera come un uccello, anzi, come una piuma, pensò. Arrivata al punto più alto dell’arco, lasciò andare l’altalena e si gettò verso il cielo con uno scoppio di risate. Si librò nell’aria come una trapezista, atterrando con leggerezza sull’asfalto del parco giochi.
“La mamma ti ha detto di non farlo!”
Petunia fermò l’altalena piantando i talloni dei sandali a terra con uno scricchiolio, poi balzò in piedi, le mani sui fianchi.
“La mamma ha detto che non puoi, Lily!”
“Ma io non mi sono fatta niente” ribatté Lily, che ancora rideva. Perché sua sorella doveva essere sempre così irritante e rovinare tutti i giochi? Non poteva volare anche lei, invece di stressarla?
Forse il prossimo gioco le sarebbe piaciuto di più. Petunia adorava i fiori.
“Tunia, guarda. Guarda cosa so fare”.
Petunia si guardò intorno con circospezione, ma il parco giochi era deserto; probabilmente voleva assicurarsi che nessuno assistesse a quelle che chiamava “le stramberie di Lily”.
Lily ignorò pazientemente il suo sguardo e raccolse un bel fiore bianco caduto da un cespuglio. Petunia si avvicinò, chiaramente dibattuta tra la curiosità e la disapprovazione. Lily aspettò che la sorella guardasse bene, poi tese la mano aperta. Il fiore apriva e chiudeva i petali come graziosa ostrica.
“Smettila!” strillò Petunia.
“Mica ti fa del male” obiettò Lily, ma poi chiuse la mano sul bocciolo e lo gettò di nuovo a terra, irritata. Ultimamente, lei e Petunia non facevano che litigare. Possibile che avesse da ridire anche sui fiori, adesso? Le erano sempre piaciuti tanto, e Lily voleva solo farle un regalo…  
“Non è giusto” protestò Petunia, ma il suo sguardo aveva seguito la caduta del fiore a terra e vi indugiava. “Come fai?” domandò, con un chiaro tono di desiderio.
“È ovvio, no?”
Lily sobbalzò per lo spavento. Dal cespuglio poco distante da loro era appena sbucato un ragazzino.
Petunia strillò e tornò di corsa alle altalene, ma Lily, per quanto allarmata dall’improvvisa apparizione, rimase dov’era. Possibile che Petunia si spaventasse proprio per tutto? Era solo un bambino come loro.
Certo, non si poteva dire che avesse un bell’aspetto. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana camicia simile a un grembiule.
Il bambino sembrava in imbarazzo; forse si era pentito di essere uscito dal suo nascondiglio. Un cupo rossore invase le sue guance giallognole. 
“Che cosa è ovvio?” gli chiese Lily.
Il bambino apparve agitato. Scoccò un’occhiata a Petunia che gironzolava vicino alle altalene, poi abbassò la voce e disse, rivolgendosi solo a Lily: “Io so cosa sei”.
“Cioè?” chiese, scettica. Le sembrava una frase quanto meno misteriosa. Pensava forse di impressionarla?
“Tu sei…una strega” sussurrò il bambino.
Lily si ritrasse, tremendamente offesa.
“Non è una cosa carina da dire!”
Si voltò, naso per aria, e si allontanò a grandi passi verso la sorella.
“No!” esclamò il ragazzino. Ormai era paonazzo. Perché non si toglieva quel ridicolo cappotto, se aveva caldo? Saltellò dietro di loro, come la caricatura di un pipistrello.
Lily lo guardò con disprezzo, e per una volta sapeva che lei e Petunia condividevano la stessa espressione. Erano tutt’e due aggrappate a uno dei pali dell’altalena come se fosse la tana in una partita di acchiapparello. 
“Lo sei” insisté lo strano bambino. “Sei una strega. È un po’ che ti tengo d’occhio. Ma non c’è niente di male. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago”.
La risata cattiva di Petunia arrivò su di lui come una doccia fredda, prima che Lily potesse dare voce al suo sbalordimento.
“Un mago!” strillò sua sorella, rinfrancata dopo lo spavento per l’improvvisa apparizione. “Io so benissimo chi sei. Sei il figlio degli Snape! Abitano giù a Spinner’s End, vicino al fiume” spiegò a Lily, e dal suo tono si capiva che trovava l’indirizzo poco raccomandabile. “Perché ci stai spiando?”
“Non vi spio” rispose Snape, in pieno sole, accaldato, a disagio, con i capelli sporchi. “Non te, comunque” aggiunse sprezzante. “Tu sei una Babbana”.
Non aveva idea di cosa significasse – una volta a casa avrebbe chiesto alla mamma se era una parola proibita – ma non si poteva fraintendere il tono con cui l’aveva pronunciata. L’intento era chiaramente offensivo, e Lily era irritata. Come poteva spiarle e sbucare fuori da un cespuglio per dare a lei della strega e dire a sua sorella una parola con la B?
“Lily, su, andiamo via!” esclamò Petunia. Per una volta, Lily le obbedì immediatamente e si allontanò, scrutando torva il bambino-pipistrello.
 
Qualche ora più tardi, Lily faticava ad addormentarsi. Si girava e rigirava nel suo letto senza trovare la giusta posizione.
“Sei una strega” le sussurravano due occhi neri, nel buio. Ripensandoci, non c’era stata cattiveria in quello sguardo. Il figlio degli Snape sembrava molto serio. Forse quel bambino era matto, e credeva davvero a quello che aveva detto. O forse era solo molto ingenuo.
Lily non era più una bambina piccola e non credeva più alle fiabe, figuriamoci alla magia. Eppure, non poteva negare a sé stessa che a volte faceva cose proprio strane. Strano suonava come una parola cattiva quando usciva dalla bocca di sua sorella, storta in una smorfia di disgusto; nella testa di Lily, strano era qualcosa di affascinante e misterioso.
All’inizio, capitavano e basta. Quando era molto arrabbiata o impaurita e desiderava intensamente qualcosa…beh, accadeva. Poi gli incidenti erano diventati più frequenti, finché qualche tempo prima Lily aveva capito che le cose strane non capitavano semplicemente intorno a lei. Era lei che le faceva capitare.
Nessun altro sa fare le cose che faccio io, pensò. Sua sorella a volte la tormentava chiedendole di spiegarle il trucco, ma Lily non sapeva mai cosa dire. Non c’era nessun trucco. “Basta che ti concentri” le rispondeva, ma Petunia sbuffava e se ne andava. E se fosse veramente magia? Se fossi veramente…una strega?
“Tunia?” chiamò piano, certa che la sorella fosse ancora sveglia nel letto accanto al suo. Nel sonno, Petunia aveva un respiro pesante che tranquillizzava Lily quando si svegliava all’improvviso dopo un incubo.
“Che vuoi, Lily?” bofonchiò sua sorella, la voce impastata dal sonno.
Lily ci ripensò. Non voleva sentire la risata cattiva di sua sorella schernirla. Se le avesse chiesto cosa ne pensava della magia, l’avrebbe probabilmente raccontato a tutta la scuola. O forse no, si sarebbe vergognata troppo. L’idea che sua sorella si vergognasse di lei era perfino peggio.
“Niente, buonanotte” sospirò.
Non c’è niente di male, aveva detto il bambino. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago.
Lily decise che il giorno dopo sarebbe andata a cercarlo, senza Petunia, e gli avrebbe chiesto di dimostrargli che era veramente un mago. Forse anche lui sapeva far aprire e chiudere i fiori. Ne avrebbe portato un intero mazzo alla mamma, poi, e a Petunia, anche se lei li avrebbe buttati via. Sarebbe stata contenta, sotto sotto, Lily ne era sicura. Si girò risolutamente sull’altro fianco e si addormentò.
 
 
10 settembre
Cokeworth, in riva al fiume
 
Era tremendamente scomodo stare rannicchiata in quella posizione e per di più un pezzo di resina caduta da un ramo le si era appiccicata al vestito nuovo, ma non poteva permettersi di essere scoperta, perciò non si mosse. Aveva seguito sua sorella fin da casa, stando attenta a non essere vista, e i suoi sforzi erano stati ripagati.
Non ci aveva creduto neanche un po’, quando Lily aveva detto alla mamma che usciva per andare dalla sua amica Annabelle, che abitava in fondo alla via. Innanzitutto, Lily era una pessima bugiarda: aveva pronunciato la scusa troppo in fretta e senza guardare la mamma negli occhi. La mamma, però, era stata troppo intenta a tirar fuori il servizio buono per gli ospiti che sarebbero arrivati quella sera, e non ci aveva fatto caso; e comunque nessuno dubitava mai della bella, buona, brava Lily. Così sua madre si era limitata a raccomandarsi di non fare tardi e di salutarle la signora Brown.
Inoltre, Annabelle Brown e Lily non erano più amiche da un po’, per la precisione da quando il biondo e lentigginoso Simon Bradley, per cui Annabelle aveva una cotta, aveva regalato a Lily un mazzo di fiori di campo che aveva raccolto personalmente, arrossendo furiosamente. Lily quel giorno aveva guadagnato un ammiratore e perso una migliore amica; per quanto si fosse prodigata a scusarsi con lei, Annabelle non aveva più voluto rivolgerle la parola. Petunia la capiva.
Del litigio con Annabelle sua mamma non sapeva nulla, e teoricamente non avrebbe dovuto saperlo neanche Petunia, visto che Lily non l’aveva raccontato a nessuno; ma Petunia era sempre la prima a sapere certe cose.
Perciò, appena aveva sentito sua sorella balbettare quella scusa assurda, aveva deciso di seguirla, certa che stesse andando a incontrarsi di nascosto con quel ragazzo orribile – di nuovo – e non era stata delusa. 
Lily e Snape erano seduti per terra uno di fronte all’altro, a gambe incrociate. Anche nella penombra del boschetto, Petunia riusciva a distinguere chiaramente il disgustoso sguardo di desiderio con cui il bambino fissava sua sorella. Anche lui evidentemente pensava che fosse bellissima, come lo pensava Simon Bradley e come lo pensavano i loro genitori. L’unica che sembrava non rendersene conto – di quel viso da fata, spruzzato di lentiggini, di quei capelli lunghi, folti e setosi di un rosso cupo e ardente, di quegli ammalianti occhi verde bottiglia – era proprio Lily. Finge, pensò Petunia con asprezza, finge di non saperlo.
 I capelli di Petunia erano castani e stopposi, il suo naso troppo lungo, i suoi gomiti troppo spigolosi; la gente spalancava gli occhi per la meraviglia sentendosi dire che erano sorelle.
Parlavano a voce bassa, e Petunia non osava avvicinarsi di più per timore di essere vista. Il suo udito, raffinato da anni passati a origliare conversazioni e pettegolezzi, le permetteva comunque di cogliere stralci della stramba conversazione.
“Noi siamo a posto” stava dicendo Snape “non abbiamo ancora la bacchetta…”
Petunia trasalì. Bacchetta? Una bacchetta magica? E cos’altro, poi? Conigli che escono dal cilindro e donne tagliate a metà?
Vieni qui, Tunia, non ti faccio niente, disse un’inquietante versione stregonesca di Lily nella sua testa, devo tagliarti a metà per l’esame di ammissione alla scuola dei pazzi, ma poi ti ricompongo, tranquilla.
Petunia scacciò quel pensiero fastidioso come se fosse stato una mosca. Quante altre idiozie aveva intenzione di mettere in testa a Lily, quel bambino ripugnante?
Petunia si chiese come facesse Lily a stargli vicino senza ritrarsi disgustata. Indossava persino la stessa ridicola camicia! Non aveva altri vestiti?
“È vero, no? Non è uno scherzo? Petunia dice che mi racconti delle bugie. Dice che Hogwarts non esiste. È proprio vero?” chiese Lily, timorosa.
Allora sua sorella teneva in conto quello che diceva, realizzò Petunia, trionfante. Era la prima frase sensata che sentiva in quella conversazione folle. Petunia l’aveva detto e ripetuto a Lily, che Hogwarts non esisteva, la magia non esisteva, era una cosa irrazionale da libri di fiabe per bambini, che era solo uno scherzo di quel ragazzino perverso, ma Lily scuoteva la testa ogni volta, caparbia. Eppure evidentemente qualche dubbio ce l’aveva anche lei, sulla propria ingenuità o sulla propria sanità mentale, forse.
Petunia l’aveva detto e ripetuto che la magia non esisteva, ma ogni volta che lo diceva ne era sempre meno convinta. Lily faceva cose strane. Cose che non sarebbero dovute essere possibili. Quando Petunia le chiedeva di svelarle il trucco, Lily scrollava le spalle e diceva che le veniva naturale. Naturale era l’ultima parola che avrebbe scelto Petunia, per descrivere un fiore che si apriva e si chiudeva da solo o sua sorella che atterrava leggera come una piuma sui propri piedi dopo essere caduta da un albero. Petunia si era sforzata e sforzata, ma non le era mai riuscita nessuna delle cose che Lily giudicava naturali, e ora iniziava ad avere paura…iniziava a crederci anche lei…
“È vero per noi” rispose Snape. “Non per lei. Ma noi riceveremo la lettera, io e te”.
“E arriverà davvero con un gufo?”
“Di solito…”
Un gufo portalettere! A papà verrà un colpo vedendo un gufo piombare in salotto, pensò irrazionalmente. Quando si rese conto di quello che aveva appena pensato, si ritrasse con orrore. Non arriverà nessuno stupido gufo, si rimproverò mentalmente.
Non le era sfuggito il disprezzo con cui Snape si era riferito a lei. La sensazione di essere tagliata fuori era doppiamente sgradevole, se a escluderla era uno che abitava a Spinner’s End.
Quando la mamma aveva sentito che il figlio degli Snape le aveva avvicinate al parco, il labbro le si era arricciato in un’espressione di disgusto e aveva proibito severamente a entrambe le figlie di avvicinarsi alla zona di Spinner’s End. “Se vi si avvicina ancora strillate e chiamate aiuto” aveva raccomandato. Petunia avrebbe ubbidito, ma Lily no. Lily ci stava parlando proprio ora, seduta a mezzo metro da lui e si stava bevendo tutte le scemenze sulla magia che quello le rifilava per rendersi interessante.  
“Come vanno le cose a casa tua?” chiese Lily. Avevano abbassato la voce, ma Petunia non aveva bisogno di ascoltare. Tutti in paese sapevano che Tobias Snape era un ubriacone e che la famiglia viveva nella miseria.
“Severus?”
“Sì?”
“Parlami ancora dei Diserbatori”.
Eh?
“Perché?”
Perché non sembrava la domanda giusta da fare a qualcuno che avesse appena chiesto di parlargli di “diserbatori”. Forse, ripensandoci aveva detto qualcosa di più simile a “disseccatori”. Petunia sporse in avanti il lungo collo per sentire meglio cosa stessero dicendo. La professoressa di matematica le diceva sempre che si sarebbe trasformata in una giraffa a forza di allungare il collo per sbirciare i compiti dei compagni.
“Se uso la magia fuori dalla scuola…”
“Non ti danno ai Dissennatori per questo! I Dissennatori sono per chi fa cose veramente brutte. Sono le guardie della prigione magica, Azkaban. Tu non puoi finire ad Azkaban, sei troppo…”
Ora Petunia era sicura di aver sentito bene. Dissennatori. Non era nemmeno una parola vera! Per non parlare di Azkaban! Doveva assolutamente saperne di più. Perché quello stupido ragazzino doveva parlare così piano? Si sporse ancora un po’ in avanti. Ancora solo un centimetro…solo un altro…
Perse l’equilibrio. Riuscì a non cadere rovinosamente a terra mettendo istintivamente un piede in avanti all’ultimo minuto, ma il suo nascondiglio ormai era saltato. Rimase paralizzata dalla vergogna mentre due occhi verdi e gentili la guardavano sorpresi e due occhi neri la pietrificavano, pieni di rabbia e disprezzo.
“Tunia!” esclamò Lily, come se fosse contenta di vederla. Falsa, falsa, falsa Lily. Snape al contrario non fece nulla per nascondere la sua rabbia e balzò in piedi, gridando:
“Chi è adesso che spia? Cosa vuoi?”
La sua espressione la spaventò. C’era qualcosa di crudele in quegli occhi neri. Senza fiato, cercò disperatamente qualcosa da dire. Lo scherno e il disprezzo erano due armi che Petunia aveva affinato negli anni per difendersi dalle prese in giro dei compagni di classe. “L’offesa è la miglior difesa” era una frase che aveva preso alla lettera.
“Cos’è che hai addosso?” chiese perfida, indicando il petto di Snape, “la camicetta di tua mamma?”
Petunia udì un sonoro crac provenire da qualche parte sopra la sua testa, e prima che avesse il tempo di rendersi conto di cosa stava succedendo, qualcosa di grosso e pesante la colpì sulla spalla. Barcollò all’indietro e scoppiò a piangere per il dolore e lo spavento. L’ultima cosa che vide prima di correre via fu il lampo di soddisfazione negli occhi di Snape.
Petunia corse a perdifiato senza pensare a dove dirigersi. Voleva solo andare via, lontano da Snape, lontano da Lily, via, via!
Quell’orribile ragazzo aveva fatto precipitare il ramo senza nemmeno sfiorarlo, e l’aveva fatto con cattiveria, per farle del male. Non poteva più negare a sé stessa che quella era magia vera.
Snape era un mago, e Lily era come lui. Un mostro come lui.
 

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N.d.A.
Mi scuso in anticipo perché so già che abuserò dello spazio delle note per i miei sproloqui, ed essendo questo il primo capitolo sarò particolarmente prolissa.
Innanzitutto, un sentito ringraziamento a M a i e Lily_Ginny che hanno messo la storia tra le seguite sulla fiducia, dopo un prologo di appena cento parole. Grazie anche a tutti gli altri lettori silenziosi!
E ora passiamo alle note vere e proprie.
  1. Sulle scelte di traduzione: i nomi delle quattro Case e dei luoghi (Stamberga Strillante et similia), così come i soprannomi dei Malandrini, sono presi dalla prima edizione Salani. Non ho mai apprezzato molto la scelta di tradurre i nomi propri, e avendo iniziato a scrivere questa fanfiction appena dopo aver terminato una rilettura della saga in inglese, avevo deciso di mantenere i cognomi originali: Snape, Longbottom, McGonagall etc. Senza quasi rendermene conto, scrivendo ho deciso di fare due eccezioni. La prima è Silente, per il quale l’adattamento italiano del nome è talmente azzeccato da risultare quasi profetico; l’ho mantenuto perché lo trovo più evocativo ed efficace di Dumbledore, e anche perché per il lettore italiano il nome “Silente” è di una familiarità tale che a parlare di “Dumbledore” sembra quasi si parli di una persona diversa. La seconda eccezione è il professor Lumacorno con il suo Lumaclub, perché si tratta di una vera e propria traduzione del suo cognome e non di un adattamento che cerca di aggiungere un qualcosa in più rispetto al nome originale.
  2. Sulla gestione dei ricordi consegnati da Snape a Harry nel settimo volume. Molte di quelle scene (praticamente tutte, a dire la verità) contengono elementi essenziali della trama e pertanto non mi era possibile saltarle, perché avrebbero sottratto qualcosa allo sviluppo logico della vicenda. Ho scelto di riportarle riscrivendole da un punto di vista diverso rispetto a quello di Snape, cercando di non tradire il brano originale. In particolare, in questo capitolo ho sfruttato i punti di vista di Lily e di Petunia. I dialoghi sono naturalmente presi da “Harry Potter e i Doni della Morte”. Nella scena con il punto di vista di Lily, ho ripreso il brano in maniera quasi letterale, mentre in tutti gli altri ho variato/varierò di più.  Fatemi sapere cosa ne pensate!
  3. Sulle scelte narratologiche: la storia ripercorre dall’inizio alla fine l’arco narrativo dei personaggi più importanti della Vecchia Generazione (i Malandrini, Lily e Severus), alternando i loro punti di vista nelle diverse scene per cercare di mostrare uno spaccato di ogni personaggio. Ho fatto uno sforzo immane per evitare errori di focalizzazione, ma sicuramente me ne sarà sfuggito qualcuno, perciò se ne trovate segnalatemeli!
  4. Su questo capitolo: l’ho ambientato nell’estate del 1970 basandomi sulla descrizione di Snape, che secondo Harry dimostra nove o dieci anni, e sul fatto che né lui né Lily hanno ancora ricevuto la lettera. Ho immaginato che nell’anno che segue Lily e Snape abbiano avuto il tempo di costruire la loro amicizia e arrivare a Hogwarts da “migliori amici”.
  5. Sui generi selezionati per la storia: giuro che quando li ho scelti non ero ubriaca :D Ho selezionato “commedia” e “drammatico” perché quando si parla dei Malandrini, necessariamente i due generi si compenetrano. “Introspettivo”, invece, l’ho scelto a causa dell’alternanza di punti di vista, che mi permette di sondare l’animo di diversi personaggi.
Scusate le note chilometriche, prometto di non blaterare in questo modo a ogni capitolo. Recensioni di ogni tipo sono estremamente gradite, e accetto parimenti apprezzamenti e critiche (soprattutto se argomentate). Fatemi sapere le vostre impressioni, soprattutto sull’IC dei personaggi che è un po’ la mia fissa! ;)
   
 
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