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Autore: ethelincabbages    24/05/2017    5 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 37
Stumble and Fall
And I will stumble and fall
I’m still learning to love
Just starting to crawl
 
Hermione percepì il sollievo rilassarle le membra al sentire il respiro regolare di Hugo. Il bambino aveva ceduto al richiamo piacevole del suo lettino solo dopo aver finito la scorta di canzoncine da canticchiare e storie da ascoltare. Rose, invece, aveva smesso di contare le monetine che aveva vinto al Mercante in Fiera ormai da un po’, si era addormentata col malloppo stretto nel pugno, come una piccola Scrooge in fieri. Hermione avrebbe dovuto farle un discorsetto sul valore del denaro il prima possibile.
Per il momento si lasciò cullare dal silenzio che finalmente regnava nella stanza. Le giornate alla Tana, insieme a tutto il clan Weasley, non le erano mai parse così lunghe come quella appena trascorsa. Uscendo piano dalla camera dei bambini, intercettò la sua immagine riflessa nello specchio dell’atrio: le borse sotto gli occhi le appesantivano lo sguardo e l’espressione. Quante rughe e quanti anni in più le avevano impresso sul viso gli ultimi giorni?
Le note di un inequivocabile Chopin che provenivano dal suo studio le fornirono una buona scusa per non indugiare troppo su questi pensieri. Quando però scoprì Chris tutta presa dal suo Notturno preferito non riuscì a trovare il coraggio di interromperla. Aveva scordato quanto potesse essere babbanamente magica la concentrazione che Chrissie dedicava al pianoforte.
Si appoggiò all’uscio e si fermò ad ascoltare. C’era una sorta di serenità intangibile tra quelle note. Merlino stesso non aveva idea di quanta serenità avessero bisogno tra le mura di quella casa.
“I bambini dormono,” informò Chris solo a brano terminato.
La ragazza annuì e poi fece spallucce. “Avevo l’impellente bisogno di sentire un po’ di musica vera.”
Hermione si sorprese a sorridere a quel guizzo dell’arroganza della vecchia bollicina. Spartiti, pianoforti, chitarre erano sempre stati il suo orgoglio e il suo vanto.
“Posso?” Le chiese un po’ di spazio sullo sgabello. D’altronde, nonostante da un bel un po’ di tempo fosse diventato più un elemento d’arredo che uno strumento musicale, quello era ancora il suo pianoforte.
Chris si fece da parte e alzò le mani quasi ad arrendersi alla sua volontà. Hermione accarezzò con delicatezza il do centrale e accennò un paio di scale, poi, cercò di improvvisare l’unico brano che conoscesse a memoria. Una volta, tanto tempo prima, aveva anche tentato di insegnarlo a Ron, quando erano nascosti a Grimmauld Place e cercavano un motivo per non dover pensare sempre e solo alla guerra e alla loro missione.
“È terribile!” Il bisbiglio dal tono disgustato di Chris non la sorprese affatto. Aveva sempre adorato maltrattarla quando si intrufolava nel suo universo musicale.
“Suvvia, non faccio così schifo!” Ma Hermione aveva un certo orgoglio da difendere.
“Le tue dita rigide stanno offendendo la storia della musica,” infierì la ragazza, poi continuò, con un pizzico di comprensione e dolcezza in più. “Da quand’è che non metti mano a questo piano? Vedi?” Hermione osservò le dita di Chris accarezzare i tasti con fluidità, mentre ognuno di quei suoni riverberava nell’aria in armonia.
Tentò di ricreare il passaggio, l’effetto però fu ancora leggermente meccanico, era passato troppo tempo da quando esercitava le dita con regolarità.
Durante la sua infanzia, suonare il pianoforte in casa Granger era stato un dovere: due volte a settimana entrava in casa il maestro Lancel con la sua valigetta e la sua infinita pazienza, ma poi era arrivato l’Espresso per Hogwarts, e Trasfigurazioni, Aritmanzia, amici attira-guai e guerre in corso avevano lasciato sempre meno tempo per le scale e gli arpeggi. Non era mai stato così per Chris, la pazienza del maestro Lancel aveva trovato nella sua nuova allieva un modo per venir ripagata. La dedizione che Chriseys riservava alla musica era sempre stata assoluta.
Chris aveva sempre coperto silenzi e rumori con la musica. Come in quel momento: dedichiamoci completamente alla musica, per dimenticare i silenzi che ci opprimono.
“Chris?” Parlami, guardami, ascoltami, perdonami.
Parole. Hermione Granger lavorava con le parole, ogni giorno imparava sempre di più a pesarle, misurarle, usarle con attenzione per convincere, persuadere, sedurre i suoi interlocutori. Parole. Guardami, ascoltami. Fuggivano in quel frangente.
“Io vado a letto. Non fare troppo tardi, okay?”
Chris annuì brevemente, concedendole appena un’occhiata di sfuggita. Quando sarebbero tornati gli sguardi e le parole tra di loro?
“Hermione?”
“Sì.”
“Buon Natale. Io… so che è difficile anche per te.”
“Buon Natale, Chrissie.”
*
Entrò piano in camera da letto, cercando di limitare al minimo i rumori per timore di disturbare il sonno di Ron. Suo marito però non dormiva. Hermione si stupì di trovarlo ancora resistente a Morfeo; gli ultimi giorni erano stati pesanti un po’ per tutti e la stanchezza era più che evidente anche sul suo viso. Malgrado ciò, se ne stava seduto sul letto, immobile, con i gomiti sulle ginocchia e le mani penzoloni. Aveva abbandonato la maglietta del pigiama stropicciata al suo fianco.
“Cos’hai?” domandò lei, mentre allentava finalmente l’elastico che le aveva stretto i capelli per l’intera giornata.
Ron non rispose. Aveva lo sguardo fisso su un punto e Hermione si trovò a seguirne la direzione. A terra, nell’angolo tra la cassettiera e la parete, erano cadute diverse schegge di vetro, sabbia, terriccio e un paio di foglie verdi. Si accorse in ritardo di aver perso un battito cardiaco: a terra, nell’angolo tra la cassettiera e la parete, stava quello che rimaneva della camelia che Harry le aveva regalato il giorno del suo ultimo compleanno, la camelia tanto bianca e tanto dolce che le aveva fatto compagnia negli ultimi mesi. Il frantumarsi della boccia che la conteneva doveva aver spezzato l’incantesimo, la camelia era tornata alla sua natura di farfalla e ora, probabilmente, era volata via.
Ron non si smuoveva dalla sua posizione e non distoglieva lo sguardo dai frammenti di vetro, aveva sul volto un’espressione di confusione e sofferenza.
Hermione strinse gli occhi e gli si sedette accanto. Forse il tempo per rimandare le conversazioni era scaduto. “Cosa è successo?” chiese, sussurrando, non del tutto sicura di voler conoscere la risposta. Magari aveva fatto un movimento sbagliato e la boccia era caduta. Succede. Oppure l’incantesimo si era spezzato da sé e la farfalla aveva provocato la caduta, anche questo era plausibile; oppure qualcuno aveva sfogato una rabbia repressa da troppo tempo su quella piccola camelia. Qualcuno.
“È finita,” fu l’unica risposta che uscì dalle labbra di Ron.
“Cosa?” chiese lei, memore di Ulisse e del suo fingersi folle pur di non partire per Troia. Osservò Ron: respirava profondamente, poi si voltò con lentezza verso di lei, dirigendo con calma gli occhi chiari incontro ai suoi.
“Noi,” disse lui con decisione, quasi avesse portato il peso della calotta celeste sulle spalle e ora, finalmente, fosse libero di lasciarla cadere. Addosso a tutti.
“È la notte di Natale, Ron…”
“Anche Natale è finito. Venti minuti fa.”
Alla fine, Ulisse a Troia dovette andare lo stesso.
“Ron…” Ron. Ron Ron Ron Ron. Ticchettava il suo nome nella testa come una bomba a orologeria. Ron. Lo aveva deluso, lo aveva trascurato, di questo era più che consapevole, ma non potevano essere davvero a quel punto! Hermione si rifiutava di crederci, la sua mente non riusciva ad accettare quel che il suo cuore forse sapeva già da tempo.
“Abbiamo perso, Hermione. Abbiamo fallito e siamo in ritardo nell’ammettere la sconfitta.”
Si accorse appena di stare stringendo il pugno attorno al lenzuolo che copriva il duvet, il cotone era freddo e sembrava quasi rifiutare la sua mano. Quello era il suo letto matrimoniale, quelle erano le coperte che dovevano proteggerla e riscaldarla per il resto della sua vita. Finché morte non ci separi.
Finché morte non ci separi. Hermione ci aveva scommesso, su quella promessa. Era stato così difficile scegliere, chiudere gli occhi, prendere una decisione e dire sì, lasciando per sempre indietro tutte le altre vite alternative – quell’unica vita alternativa – che aveva sognato. Eppure aveva creduto a quel sì, a quella promessa. Aveva voluto crederci con tutte le sue forze. Aveva sbagliato.
“Io ci ho provato davvero a starti accanto in questi mesi, ma tu continui ad allontanarmi e non posso rincorrerti per sempre.” Era come se Ron avesse finalmente trovato il modo di distruggere la diga che teneva a freno tutte le insicurezze della loro relazione. Il fiume delle verità che aveva tenuto nascoste finora, adesso travolgeva in pieno Hermione. “Come facciamo ad andare avanti insieme, se tu non ci sei? Merlino! Ti sei ricordata della mia presenza solo quando ti ho ferito, come quando eravamo ragazzini. Sono tuo marito! Sono io quello che dovrebbe fornirti la spalla su cui piangere, darti conforto, infonderti coraggio, consigliarti. Sono io quello che dovrebbe farti ridere… Una volta ti facevo ridere. Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo riso insieme?”
Castelli, giochi, regole infrante, fotografie, bolle di sapone. Hermione scavò, cercò, inseguì nella sua memoria castelli, chitarre, scope, fotografie e Boccini d’Oro. Una volta ridevano tanto insieme. Una volta.
“Non potresti perlomeno… dire qualcosa?”
Dì qualcosa, Hermione. C’era qualcosa che avrebbe potuto dire, che avrebbe potuto frenare quella cascata inesorabile. Qualcosa che aveva provato neanche troppo tempo addietro, qualcosa che avrebbe ridato vivacità e speranza agli occhi rassegnati di Ron – lui stava sperando con tutto se stesso che lei lo dicesse, Hermione glielo leggeva nel contegno, nello sguardo, in tutte quelle accuse sparate a raffica.
“Qualsiasi cosa io dicessi non potrebbe cambiare quella decisione nel tuo sguardo.” Mentì. Una cosa c’era. “Io…” Ma Hermione sapeva di non potere più pronunciarla in maniera veritiera.
Ron scosse la testa. Avevano davvero perso tutto? Non c’era più nulla da recuperare? Rosie e Hugo? Cosa avrebbero detto Rosie e Hugo?
Le mani di Hermione abbandonarono il freddo delle lenzuola per cercare il caldo delle mani di Ron, lui non si tirò indietro. “Dimmi quello che dovrei fare, che dovrei dire.”
“Perché?” incominciò lui, invece, “perché hai scelto me?”
“Perché sapevi farmi ridere.”
Ron si lasciò andare a un sorriso amaro, appena accennato, strinse più forte la mano di lei e se la portò le labbra. “Ma non basta più, vero?” ammise, a mezza voce. Poi distolse lo sguardo e lasciò andare la mano. Sabbia, rametti e frammenti di vetro restavano nel loro angolino. Chi avrebbe raccolto i cocci ora?  “È da lui che vai se hai bisogno di un abbraccio.”
Hermione percepì appena il rimprovero. “Io non…”
“E nemmeno te ne accorgi.”
*
Era la notte del venticinque dicembre. Hermione Granger sedeva immobile sul suo letto matrimoniale a osservare Ronald Weasley che, in silenzio, raccoglieva un cuscino e andava via. Anche gli eroi cadono, nessuno lo sapeva meglio di loro.
Una o due lacrime forse le bagnarono le guance. Gli eroi cadono più degli altri. Aveva sbagliato, Hermione Granger. Aveva creduto in qualcosa che non si può promettere con certezza. Aveva fallito.
Era la notte del venticinque dicembre. Hermione Granger sedeva immobile sul letto, finché una macchia bianca non svolazzò attorno ai suoi occhi velati di lacrime. D’istinto, alzò piano la mano ad accogliere l’inaspettato ospite sulle sue dita, una piccola - libera - farfalla bianca.
   
 
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