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Autore: Madame_Padfoot93    24/05/2017    6 recensioni
L’amore di Daphne è un amore impossibile, illuso. È un amore intenso e folle. Un amore non corrisposto, calpestato. Un amore che solo il giallo tulipano può comprendere.
Un amore disperato.
Daphne/Draco Asteria/Draco
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nome sul forum / EFP: Mdame_Padfoot/Madame_Padfoot93
Titolo:Un tulipano giallo
Iintroduzione:L’amore di Daphne è un amore impossibile, illuso. È un amore intenso e folle. Un amore non corrisposto, calpestato. Un amore che solo il giallo tulipano può comprendere.
Un amore disperato.
Generi:Introspettivo, Angst
Personaggi: Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Asteria Greengrass
Avvertimenti: Riferimenti al suicidio
Note ed eventuale uso dei punti bonus: La storia si concentra sul personaggio di Daphne Greengrass e sul suo rapporto con Draco: un rapporto inizialmente reale, conclusosi ma mai dimenticato. Daphne comunica al mondo il suo amore attraverso il linguaggio dei fiori. Per questo ho voluto associare la citazione “Non puoi fidarti di chi calpesta i fiori”: il fiore, in questo caso, è il tulipano giallo, simbolo di amore non corrisposto nella maggior parte dei casi e di ciò che prova Daphne. E chi lo calpesta è Draco, ma allo stesso tempo anche la sorella Astoria. Le emozioni espresse da Daphne dunque si concretizzano con il linguaggio del simbolo della primavera, i fiori appunto. Nel testo ho cercato di creare frasi spezzate e varie ripetizioni: è una scelta voluta, con l’obiettivo di trasmettere sempre maggiore ansia e di comunicare la crescente follia del personaggio di Daphne.
Ho voluto spingere molto sulla personalità della “mia” Daphne, tracciando non solo la relazione con Draco ma anche (e soprattutto) con la sorella Asteria. Quello che volevo esprimere era un discorso folle, a tratti sconnesso, fatto di ripetizioni, ma che non fosse completamente senza senso. Spero di esserci riuscita.
La storia nasce di getto per poi essere modificata, rivista… Allo stesso modo il titolo è stato cambiato dozzine di volte. Ho deciso, infine, di lasciare “Un tulipano giallo.” : quello di Daphne è un amore disperato, impossibile e il tulipano giallo ha, generalmente, questo significato. Inoltre non è unico, perché molti di noi sono passati per un amore disperato.
Una piccola nota va alle parole dette dall’officiante, le stesse dette al matrimonio di Bill e Fleur in Harry Potter e i Doni della Morte. (Cap 8 Il matrimonio).
Ps: la storia ha subito modifiche dopo il contest “Un contest quattro stagioni, grazie” di Mary Black, a cui ha partecipato.

 

 

 

 

Un tulipano giallo

 

 

Asteria volteggiava leggera tra le sue braccia. Il suo sorriso illuminava qualunque cosa. La sua risata si confondeva tra le note della melodia suonata dall’orchestra.
Piccoli bianchi fiori d’arancio si intrecciavano tra onde scure dei suoi capelli, emanando un lieve profumo ad ogni giravolta. I suoi fianchi erano serrati dalla presa salda di lui, che le concedeva piccoli baci sul mento.
Gli invitati, felici, li osservavano estasiati, augurando loro ogni bene, ogni felicità. Loro non sapevano. Non potevano sapere.

 

Lui era stato mio. Lo era stato molte volte.
E io ero stata sua. Lo sono ancora. Sua, solo sua.
Sua, sin dal primo giorno che lo vidi, nel lussureggiante giardino del Manor della sua famiglia, un giorno di primavera: rincorrevamo insieme i candidi pavoni, mentre i nostri genitori discutevano sul nostro futuro ad Hogwarts e fuori da quelle mura.
Sua, quando il temporale ci sorprese e dovemmo trovar rifugio nelle stalle dei cavalli alati della mia famiglia: guardava lascivamente il mio corpo, coperto dal leggero abito, talmente bagnato da attaccarmisi addosso ma che presto raggiunse terra.
Sua, un pigro giorno di primavera pieno di sole, quando avremmo dovuto studiare per i G.U.F.O.
Sua, all’insaputa di tutti. Non mi importava nulla. Non mi importava che nessuno sapesse. Non mi interessava che lui frequentasse altre ragazze o che quelle giocassero con i suoi capelli chiari. Lui tornava sempre da me. Con la vaga promessa, sussurrata tra un sospiro e un bacio, che lo sarei stata per sempre. E io ci ho creduto. Gli ho creduto. Ho creduto ai suoi racconti di un futuro insieme.
« Ti sposerò ».
Quei tiepidi giorni di Maggio, passati tra libri e gemiti, erano diventati il mio nascondiglio di pace, i miei momenti felici. Erano i miei ricordi più belli.
Ma l’anno dopo, qualcosa in lui si era spezzato, incrinato, cambiato per sempre.
Non mi rivolgeva più nemmeno una parola, un gesto, uno sguardo. I suoi occhi erano freddi e distaccati: sembrava che nulla lo interessasse minimamente; persino prendersela con i Grifondoro sembrava essergli tedioso. Lo guardavo impallidire, dimagrire, divenire l’ombra di se stesso.
Volevo sapere cosa gli fosse capitato, cosa fosse successo. Volevo chiedere a quelli che lo affiancavano più spesso. Ma sarebbe stato stupido e sospetto: tra tutti noi non ci sono altro che legami di rispetto e cortesia, raramente di amicizia. Gli stessi che legano i nostri padri.
Poi eccolo. Un nuovo Maggio. Ma, stavolta, non era luminoso e caldo e le giornate non erano più pigre e cariche di passione. Questo Maggio era freddo, tremendamente freddo. È stato così anche quella sera in cui fece entrare i Mangiamorte all’interno di Hogwarts, quella sera in cui tentò di assassinare il vecchio Preside, la sera in cui fuggì. La sera in cui scoprii che era diventato uno di loro. Eppure non mi importava nulla. Io ero sua.
Lui mi sposerà.
E la guerra giunse, per entrambi, per tutti: non c’era più spazio per l’amore, nessun angolo di pace, nessun posto felice in cui rifugiarsi. Solo ricordi; ricordi che, in quei giorni, mi portavano infinita dolcezza e voglia di continuare. E se tutti pensavano a come sopravvivere, in qualunque modo, in qualsiasi caso, io mi perdevo solo in quei giorni.
La guerra finirà. Lui mi sposerà.
Mi ritrovai a ripetermi questo ritornello giorno dopo giorno e quando Potter arrivò al castello, pregai che fosse davvero arrivata la fine per quella guerra che non era mia, di cui non mi interessava nulla, che non mi apparteneva e a cui io non appartenevo. Non mi importava neppure chi ne sarebbe uscito vincitore. L’unico mio pensiero era quello di ritrovare Draco. Il mio Draco. E di poter finalmente stare con lui. Il resto non contava.
La mia preghiera era stata ascoltata, la guerra era finita. Potter aveva vinto ed era tornata la pace. Ma Draco non era più al castello. Seppi di lui solo attraverso i giornali e il mio cuore traboccò di gioia nel saperlo vivo e libero.
Tornerà da me. Mi sposerà.
Passarono giorni, mesi, primavere.
I fiori del mio giardino fiorivano ed appassivano, rifulgevano e morivano.
Gli scrivevo ogni giorno, ma non trovavo mai il coraggio di mandargli quelle lettere in cui esponevo, gridavo tutto il mio affetto, il mio amore per lui.
Ero convinta che non l’avrei mai più rivisto. Fino a quel giorno.

 

L’inverno stava ormai cedendo il passo alla primavera. Le giornate erano un poco più lunghe, più calde. I colori erano più vividi, i profumi più intensi. Molti considerano la primavera come la stagione della nuova vita, della rinascita. Ma quella primavera, per me, sarebbe stata putrida e fredda, senza alcun colore.
Seduta sulla poltrona, vicino la finestra, guardavo fuori, perdendomi tra i mille colori del giardino. Ma una risata raggiunse le mie orecchie. Era forte e sicura. L’avevo sognata tante notti. L’avevo desiderata tante volte. Era la sua. Lui era qui. Era tornato, tornato per me.
Era in salone. Parlava con mio padre di affari. Di che genere, non saprei: li ascoltavo parlare, nascosta sulla cima delle scale, e il mio cuore, finalmente libero da quella coltre invernale e dal ghiaccio gelido, era talmente in tumulto da rimbombarmi nelle orecchie. Dovevo prendere coraggio, scendere quelle scale, andargli incontro. Dovevo farlo. Ma non lo feci.
Vidi mia sorella entrare leggiadra nel salone e salutare con un sorriso mio padre. Vidi mio padre presentarle il giovane erede dei Malfoy e lui prenderle la mano, posandovi un lieve bacio. Vidi lei arrossire timidamente e illuminarsi come una fulgida stella.
Sentii il mio cuore cominciare a creparsi, ad avvizzire, sfiorire.

 

Li spiavo passeggiare, mano nella mano, nel giardino della villa; erano soliti fermarsi davanti ai tardivi lillà viola. Innamoramento, nuovo sentimento amoroso. Lui li raccoglieva, li portava al viso per respirarne il profumo e ne offriva un mazzetto a lei, che timida allungava la mano tremante.
Li osservavo mentre ridevano l’una nelle braccia dell’altro vicino alle acacie, ormai sul punto di appassire: sembrava che ridessero di quei piccoli fiorellini gialli, che pian piano si lasciavano cadere alla brezza calda. Amore non corrisposto. Ridevano di me, del mio amore.
Li seguivo, mentre lei indicava le purpuree rose. Amore passionale. Li annusava, tenendosi una ciocca di capelli, che le cadeva sul viso, con la mano, mentre lui l’osservava rapito.
Non era lo sguardo lussurioso che mi rivolgeva quando, accondiscendente, gli permettevo di entrare nel mio letto, in me. Nei suoi occhi, in quel momento, brillava una luce nuova, che andava oltre al desiderio di possederla: voleva proteggerla, starle accanto, amarla.
Credevo che avrebbe scelto me. Credevo che avrebbe amato me. Che avrebbe guardato me in quel modo, solo me. Ma io per lui ero come quei piccoli, insignificanti fiorellini bianchi, che spuntavano timidi e discreti tra le lunghe foglie di alloro eternamente verdi. Quei puntini candidi non avevano nulla a che fare con le maestose orchidee, tanto care a lei. Lui l’abbracciava, la stringeva come se potesse scappare, come il tesoro più prezioso. Lui, l’uomo che io amavo. E che amo.

 

La odiavo perché lei fioriva, sbocciava in bellezza; il suo profumo lo inebriava, il suo candore lo scioglieva, la sua risata lo riscaldava, come i tiepidi raggi solari, ogni giorno più caldi, più intensi.
La odiavo perché io appassivo sfinita, svuotata, logorata; marcivo di gelosia e invidia e nonostante la profumata e mite brezza mi accarezzasse il viso, io sentivo dentro sempre più freddo.
La odiavo perché ritornava a casa con boccioli di rosa, che portava al petto estasiata, del più intenso e vivido rosso: rosso come il colore delle sue guance quando lui le prendeva la mano, portandosela alle labbra; rosso come il vestito che la drappeggiava la sera in cui annunciarono il loro fidanzamento; rosso come il sangue che ci univa. Rosso come il sangue che un giorno sarebbe sgorgato.
La odiavo perché lui era stato mio. E io ero stata sua, solo sua. E adesso, accanto a lui, con lui, per lui c’era lei.
La odiavo perché lei si stava prendendo tutto: la mia gioia, l’affetto dei nostri genitori, il suo amore.
Quella che doveva essere la mia vita. La mia.
La lascerà. Lui mi sposerà.
Mi ripetevo questo mantra nella mia testa continuamente, incessantemente, dondolandomi sui talloni nella mia vestaglia candida, il mio vestito da sposa. Lo ripetevo a mia madre, portandomi le mani nei capelli, urlando, sputandolo fuori dalle labbra secche, mischiato al sapore di un’amara medicina. Lo ripetevo ai variopinti fiori dell’aquilegia. Follia. Loro come me si dondolavano al vento tiepido, sotto i caldi raggi.
L’ho ripetuto anche quel giorno.
Sposerà me.
Me.


Nella stanza degli ospiti di Villa Malfoy, Asteria si guardava all’immenso specchio, fasciata dal lungo e candido abito da sposa. Sorrideva, radiosa, e le guance erano pallide per il nervosismo e l’emozione, rendendola ancora più eterea, luminosa. Era una stella, un astro accecante. Mi notò, osservandomi dal riflesso allo specchio e il suo splendido sorriso si allargò.
« Daphne! Menomale che sei qui. Aiutami ad acconciare i capelli. Ho davvero bisogno del tuo aiuto! »
Aveva detto queste parole con dolcezza. Eppure alle mie orecchie sembravano parole velenose, maligne, crudeli.
Lo sa.
Sa che io lo amo. Sa che l’ho sempre amato. Sa che oggi lo strapperà via da me, per sempre. Sa che oggi, appena lui pronuncerà quel fatidico Sì, io ne morirò.
Mi avvicinai a lei, lentamente, e la feci accomodare alla tolette, mettendomi alle sue spalle.
Raccolsi in una mano i morbidi capelli castani, così simili ai miei, che emanavano riflessi rossastri o dorati, a seconda di come la luce li colpiva. Nell’altra, tenevo la
bacchetta con cui sollevavo la boccetta di Tricopozione.
« Oh Daphne. Sono così felice che tu sia qui, ad aiutarmi ».
Diabolica.
« Nostra madre è così impegnata negli addobbi, da essersi dimenticata di me… ».
Intrigante.
« Sono così nervosa… ».
Maledetta.
Presi i piccoli fiori d’arancio e li intrecciai ai suoi capelli. Matrimonio felice, fecondità. Li avevo incantati, affinché potessero rimanere freschi e profumati per tutta la giornata.
« Sei silenziosa… È successo qualcosa? ».
Sorrisi, cercando di sembrare più sincera possibile: non le avrei mai dato la soddisfazione di vedermi sconfitta.

 

Era una calda e soleggiata mattina di Maggio.
Amavo quel periodo dell’anno. I fiori primaverili risplendevano e coloravano il giardino, un tempo tetro e silenzioso; il canto degli uccelli riempiva l’aria tiepida e i raggi del sole accarezzavano lievemente il viso. La primavera portava un nuovo inizio: significava che ci sarebbe stata sempre una rivincita sulla devastazione e sulla distruzione. È la stagione perfetta per un matrimonio.
Eppure, quella maledetta primavera, aveva portato con sé anche la morte.
Sedevo su una sedia in prima fila, vicino a mia madre e al mio futuro sposo, quello che i miei genitori credevano fosse giusto per me e di cui io a stento ricordavo il nome. Ne avevo accettato la corte per puro dispetto, sperando che lui se ne accorgesse: lo avevo fatto per attirare la sua attenzione, per risvegliare una probabile e possibile gelosia. Invece ne avevo ottenuto un sorriso di cortesia e le più sentite congratulazioni.
Il profumo degli anemoni, che avevo intrecciato ai miei capelli, mi riscosse.
Perché mi hai abbandonato?
Io ero solo tua, ma tu non sei mai stato mio.
Come risuonavano vuote quelle promesse. Come sembravano falsi quei baci, quei sospiri, quei gemiti. Mentre il mio amore, invece, era reale, vivo, bruciante.
Era un dolcissimo fiore e tu l’hai pestato, senza nessuna pietà.
Il brusio alle mie orecchie era incessante. Sentivo lo sguardo di tutti i presenti addosso.


Com’è che non si sposa prima la maggiore?”
Avrebbe dovuto sposarlo lei il giovane Malfoy.”
Dopotutto, non ha la stessa bellezza e leggiadria della sorella.”

 

Sentivo quelle parole rimbombare nelle orecchie, lambire il mio cervello, percuotere la mia anima.
Mi confondevano e mi davano la nausea, come il forte odore floreale che impregnava l’aria.
Soffoco. Non riesco a respirare.
Lei ha avuto tutto. Tutto. E io non avevo più nulla. Aveva vinto e io stavo morendo.
All’improvviso il brusio cessò. Una lieve musica prese il suo posto.
Mi voltai, come tutti, per vedere Asteria percorrere quei metri che la separavano dall’altare. Dal suo amore. Dal mio amore.
Non riesco a respirare.
Lei incedeva lenta e raggiante, lungo il tappeto bianco, accompagnata da nostro padre, fiero ed emozionato. Gli ospiti la indicavano estasiati, ma lei non li guardava neppure: la sua attenzione, tutta la sua attenzione, era diretta a Draco. Il quale guardava quell’astro splendente incantato, stregato. Non aveva mai guardato nessuna così. Non aveva mai guardato me così.
E guardando quei chiarissimi occhi capii che era la fine.
Non la lascerà. Non mi sposerà, mai. Non riesco a respirare.
Tra le mani, Asteria stringeva un piccolo bouquet di peonie bianche e rose rosse. Amore imperituro, eterno e amore passionale mescolati tra loro. Sontuose ed esotiche orchidee arricchivano il padiglione in cui si svolgeva la cerimonia. Amore lussurioso.
Così fuori contesto.
La luminosa stella raggiunse l’altare, emozionata, tesa, nervosa, felice.
L’officiante, nella sua veste verde smeraldo, parlò.
« Signore e signori… Siamo qui riuniti oggi per celebrare l'unione di due anime fedeli… ».
Quello che venne detto dopo, io non lo ascoltai.
La mia mente era rivolta a quei meravigliosi giorni di Maggio, di parecchie primavere prima, quando lui mi sussurrava che ero sua; quando facevamo l’amore anziché studiare; quando io credevo che lui mi amasse; quando mi giurava che lì, su quell’altare, accanto a lui, davanti a tutte queste persone ci sarei stata io. Non lei. Io.
Ti sposerò.”
Eppure io ero lì, su quella sedia, a torturarmi le mani, a mordermi le labbra, a cercare di frenare un pianto, che molti scambiarono per sincera commozione per la sorella.
« Vuoi tu, Draco Lucius, prendere Asteria come tua legittima sposa… ».
« Sì, lo voglio. »
E a quel, pronunciato così sonoramente, così dolcemente, con quello sguardo pieno di emozione, sentimento… amore, io capii di essere morta.
Non respiro.
« … dunque io vi dichiaro uniti per sempre. »
Non respiro.
Come sembrava fredda quella soave brezza profumata.
Come sembravano immondi e privi di qualsiasi colore i fiori del giardino.
Come sembrava irritante il richiamo dei pavoni albini .
Come sembravano sciocchi e vuoti i miei ricordi.

 

Asteria volteggiava leggera tra le sue braccia. Il suo sorriso illuminava qualunque cosa. La sua risata si confondeva tra le note della melodia suonata dall’orchestra.
Piccoli bianchi fiori d’arancio si intrecciavano tra onde scure dei suoi capelli, emanando un lieve profumo ad ogni giravolta. I suoi fianchi erano serrati dalla presa salda di lui, che le concedeva piccoli baci sul mento.
Gli invitati, felici, li osservavano estasiati, augurando loro ogni bene, ogni felicità. Loro non sapevano. Non potevano sapere.
Erano loro i pazzi, i ciechi, gli stolti.


Osservo i tulipani gialli, fermati da un nastro verde, sul mio comodino.
Mia madre li porta spesso. Crede che mi piacciono. Lo crede perché li avevo raccolti anche quel giorno. Li avevano ritrovati tra le mie braccia. Volevo essere una sposa.
Ero uscita dal padiglione, a cercare aria.
Non respiravo.
Stavo passeggiando attraverso il giardino di Villa Malfoy. Costeggiavo i tardivi tulipani gialli. Amore disperato.
Quei fiori mi parlavano, sembravano capirmi. Ne raccolsi qualcuno: nessuno se ne sarebbe accorto. Nessuno si sarebbe accorto dell’assenza di quei poveri fiori, che urlavano, strepitavano, piangevano il loro amore folle, impossibile.
Io sono un tulipano giallo.
Nessuno si sarebbe accorto della mia assenza, mentre le immacolate calle tra cui mi ero stesa si macchiavano di rosso. Chissà dove avevo preso quel pugnale… che buffo, non ricordo.

 

Stavo morendo quando mi ritrovarono…
Affacciata alla finestra della mia camera, poso lo sguardo sul giardino. È un nuovo Maggio. Nuovi fiori sono nati. Io mi dondolo nella mia vestaglia candida, il mio unico abito da sposa. Canticchio una canzoncina. Credo che sia la stessa del matrimonio.
Osservo Asteria rincorrere un bimbo biondo, che calpesta impudentemente i fiori del giardino. Somiglia moltissimo a lui. Mi aveva rubato anche quella gioia. Rido, sguaiatamente. Sembro pazza. Sono pazza.
Non ho più nulla.
È colpa sua.
Sorrido... tanto, ormai, sono morta.
Sono morta dopo quel Sì.
















Note finali Padfoottiane:
Arieccomi qui! Ciriciao a tutti... o almeno a chi è rimasto. Volevo ricordarvi che la storia ha partecipato al contest "Un contest quattro stagioni, grazie" di Mary Black, classificandosi al secondo posto. Qui sotto metto lo specchietto relativo a questo contest:

Nickname sul forum: Madame_Padfoot
Nickname su EFP: Madame_Padfoot93
Titolo della storia: Un tulipano giallo.
Coppia scelta: 10. Daphne Greengrass/Draco Malfoy/Asteria Grrengrass. Le spose di Maggio sono le più belle – mentre una sorella prende vita, l’altra muore lentamente.
Raiting: Arancione
Contesto: Fine della guerra / Pace.
Genere: Introspettivo, Angst.
Note/Avvertimenti: Riferimenti al suicidio.
Note dell’Autore: Maggio non è solo il mese più bello per sposarsi: siamo nel pieno della Primavera e nuovi fiori sbocciano o sono già nel più vivido splendore, ognuno con un significato particolare.
Daphne associa ogni suo stato d’animo a un particolare fiore, che sembra parlare per lei. E a lei.
Ho ricercato quelli tipici della stagione, associando a ciascuno il significato più comune. Le emozioni espresse da Daphne dunque si concretizzano con il linguaggio del simbolo della primavera, i fiori appunto. Nel testo ho cercato di creare frasi spezzate e varie ripetizioni: è una scelta voluta, con l’obiettivo di trasmettere sempre maggiore ansia e di comunicare la crescente follia del personaggio di Daphne.
Ho voluto spingere molto sulla personalità della “mia” Daphne, tracciando non solo la relazione con Draco ma anche (e soprattutto) con la sorella Asteria. Quello che volevo esprimere era un discorso folle, a tratti sconnesso, fatto di ripetizioni, ma che non fosse completamente senza senso. Spero di esserci riuscita.
La storia nasce di getto per poi essere modificata, rivista… Allo stesso modo il titolo è stato cambiato dozzine di volte. Ho deciso, infine, di lasciare “Un tulipano giallo.” : quello di Daphne è un amore disperato, impossibile e il tulipano giallo ha, generalmente, questo significato. Inoltre non è unico, perché molti di noi sono passati per un amore disperato.
Una piccola nota va alle parole dette dall’officiante, le stesse dette al matrimonio di Bill e Fleur in Harry Potter e i Doni della Morte. (Cap 8 Il matrimonio).

Il giudizio di Mary Black lo trovate tra le recensioni (comunico che nel frattempo la storia ha subito modifiche).

La storia ha partecipato al contest di sunshower_ "al modo in cui appasiscono le rose", classificandosi terza. Andate e leggete le altre storie in concorso. 


Io vi mando un grosso bacio e un grande ciriciao


Madame_Padfoot

 

  
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