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Autore: Ginevra1988    26/05/2017    3 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Ognuno di noi all’inizio è una nave inaffondabile.
Poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano,
che non ci amano, che non capiscono o che noi non capiamo,
e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri.
E lo scafo comincia a creparsi. […]
Ed è solo in quel momento che possiamo vederci,

perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro.
John Green – Città di carta
 
 
La Tana
 
       15 maggio 1998
 
   Harry si buttò sul letto ancora completamente vestito; un’altra lunga giornata era finita e lui era esausto. Si tolse gli occhiali, li appoggiò sul comodino e si passò una mano sugli occhi. I signori Weasley lo avevano sistemato nella vecchia camera di Bill e Charlie e gli avevano prestato una serie di vecchi vestiti dei vari fratelli che potevano andargli bene, in attesa del giorno in cui sarebbero potuti andare con calma in Diagon Alley per le compere. Dopo il due maggio a Harry era rimasto giusto ciò che aveva addosso quella sera; anche Hermione aveva dovuto prendere in prestito gli abiti di Ginny, con la quale divideva la camera.
   Erano state due settimane molto intense: la Tana era disabitata da alcuni mesi, il ché significava che le creature magiche che di solito venivano tenute a bada aveva preso il controllo. Il demone della soffitta che aveva impersonato Ron per tutto l’anno scolastico si era auto eletto sovrano indiscusso dell’edificio e aveva preso possesso della camera da letto dei signori Weasley, mettendola a soqquadro. Ci vollero diversi giorni solo per convincerlo ad uscire dalla stanza in cui si era barricato e l’argomento decisivo fu una serie di fatture Orcovolanti di Ginny, dopo di ché il demone fu gentilmente riaccompagnato in soffitta dalla signora Weasley a suon di incantesimi. Gli gnomi avevano ridotto il giardino a un colabrodo, scavando buche ovunque e sradicando tutto ciò che non erano ben fissato al terreno. Era stato con una stretta al cuore che Harry aveva aiutato Bill e Charlie a Evanescere le macerie del capanno delle scope, ridotto ormai a un ammasso di segatura.
   Ginny, Hermione, Fleur e la signora Weasley per una decina buona di giorni non avevano fatto altro che pulire, rassettare e sistemare gli oggetti fuori posto – ed era stato un lavoro decisamente lungo e faticoso nonostante l’uso della magia. A Harry, di fatto rimasto l’unico uomo a dare una mano, erano stati assegnati tutti i compiti fisicamente più pesanti: aveva passato interi pomeriggi a dare la caccia a gnomi che non ne volevano sapere di uscire dai cespugli di rose, per non parlare dei numerosi viaggi avanti ed indietro da casa di zia Muriel per prendere tutti gli oggetti personali della famiglia Weasley ancora rimasti nel nascondiglio.
   Percy, Bill e il signor Weasley erano finalmente tornati al lavoro e rientravano alla Tana solo per cena, esausti: il Ministero era in piena ricostruzione, sia fisica dell’edificio che in termini di riorganizzazione dopo la caduta definitiva di Voldemort. Charlie era rimasto una settimana, poi aveva fatto ritorno in Romania tra i singhiozzi della signora Weasley, che aveva la lacrima decisamente facile; Harry sospettava che ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che l’emotività della donna tornasse a livelli accettabili o comunque controllabili. Bill e Fleur dormivano a Villa Conchiglia, ma per quel primo periodo avevano deciso di passare le giornate con la famiglia Weasley, mentre Percy, forse deciso a farsi perdonare, aveva ripreso posto nella sua vecchia camera e non perdeva occasione per aiutare i genitori anche quando non ne avevano affatto bisogno.
   Il vero cambiamento era quello che aveva fatto George: la prima sera in cui erano tornati alla Tana si era rifiutato categoricamente di mettere piede nella stanza che aveva diviso con Fred, urlando parole a caso sull’orlo delle lacrime finché Ron non aveva detto che poteva dormire sulla brandina che di solito occupava Harry. La mattina dopo Ron aveva due occhiaie enormi e George gli occhi più rossi e gonfi che mai, ma sembrava avere addosso l’argento vivo: a colazione aveva dichiarato a gran voce che il fratello minore era attualmente il Weasley che preferiva e che lo voleva come socio per il negozio Tiri Vispi. Ron si era ritrovato ad accettare, un po’ per la poca lucidità dovuta alla scarsità di sonno, un po’ perché vedere il gemello di nuovo reattivo non aveva prezzo. George aveva quindi sequestrato il fratello ogni giorno per risistemare il negozio di Diagon Alley e far ripartire l’attività; si aggrappava a lui e al loro progetto in modo quasi maniacale, disperato. Harry lo capiva perfettamente: avere qualcosa da fare, un obiettivo da perseguire teneva la mente occupata e i pensieri a bada. Anche Ron pareva aver compreso il comportamento del fratello e lo supportava in tutto e per tutto, nonostante ogni sera arrivasse a casa distrutto; Hermione era evidentemente dispiaciuta, si capiva lontano un miglio che avrebbe preferito passare più tempo con il suo ragazzo, ma aveva deciso di fare la sua parte e pazientare per tutto il tempo che sarebbe servito a George per elaborare il lutto.
   Dei colpi alla porta svegliarono Harry, che si era appisolato sul letto; scattò a sedere, il cuore che martellava: come tutti gli altri non si era ancora abituato al fatto che non ci fossero pericoli mortali dietro ogni angolo e bastava poco per scatenare una reazione di difesa. Si rese conto di avere la bacchetta in mano.
   “Harry, sono io”
   La voce di Ginny. Il ragazzo appoggiò la bacchetta sul comodino, si infilò gli occhiali e andò ad aprire la porta. Lei era lì, i capelli raccolti alla bell’e meglio in una coda, il viso stanco; Harry buttò l’occhio lungo il corridoio per controllare che non ci fosse nessuno, poi la prese per un braccio e la tirò in camera.
   “Hey!” protestò Ginny, ma si lasciò baciare e rispose con trasporto.
   “Mi sei mancata”
   “Ma se abitiamo nella stessa casa!”
   “Sai cosa intendo!”
   Harry la baciò di nuovo, stringendola a sé il più possibile. Fu Ginny a staccarsi per prima.
   “Mamma dice che è pronto, di scendere a mangiare. E dice anche che domani andremo a Diagon Alley!”
   Il ragazzo sorrise e affondò il viso nell’incavo del collo di lei, che lo abbracciò di nuovo. Harry respirò a pieni polmoni il familiare profumo di fiori; si sentiva finalmente al sicuro, in qualche modo a casa. Eppure non era ancora riuscito a liberarsi della sensazione di essere capitato lì per caso, di essere un di più, qualcosa di estraneo al calore di quella famiglia. Poteva solo sperare che quei sentimenti sparissero in fretta.
 

       16 maggio 1998
 
   “Adoro questo vestito!”
   Ginny, seduta sul letto addossato alla parete, sorrise guardando Hermione girare davanti allo specchio della sua camera mentre si rimirava dentro l’abitino azzurro, uno dei molti nuovi acquisti fatti quel giorno. Dopo una breve discussione davanti alla Gringott, Harry aveva piazzato in braccio all’amica una borsa discretamente pesante piena di galeoni, dicendole – o meglio, ordinandole – di comprarsi tutto quello che voleva. Hermione sembrava sul punto di morire per l’imbarazzo, ma Ginny l’aveva presa sotto braccio e l’aveva accompagnata lungo le vie di Diagon Alley in un pellegrinaggio di shopping quanto mai necessario.
   “Possiamo entrare? Siete vestite?” chiese la voce di Harry da dietro la porta.
   “Se Hermione non è vestita è meglio!” urlò Ron.
   Hermione ridacchiò come una ragazzina stupida, mentre Ginny saltò giù dal letto e aprì la porta con la bacchetta sfoderata.
   “Ronald Weasley!” ringhiò, rendendosi conto con un secondo di ritardo di essere la copia perfetta di sua madre. Cercò di lanciare al fratello una fattura a caso, ma lui la precedette e la Disarmò senza nemmeno aprire bocca.
   “Ehilà, signorina, tu sei ancora minorenne!” disse prendendo al volo la bacchetta della sorella. “Non puoi fare magie fuori da Hogwarts!”
   Ginny gliela strappò di mano e sbuffò: “In una casa piena di maghi maggiorenni chi vuoi che si accorga di una Fattura Orcovolante sul tuo stupido naso?!”
   Ron rise, scrollò le spalle e percorse a lunghi passi la stanza per prendere tra le braccia Hermione. La staccò dal pavimento e la fece volteggiare mentre lei ridacchiava rossa in volto. Si baciarono senza alcun ritegno.
   Ginny un po’ li invidiava: non avevano nessun problema a dimostrare al mondo intero quanto si amassero, al limite dell’eccessivo; forse ne avevano passate così tante insieme che quello sembrava loro un sogno che inaspettatamente si avverava. Lei e Harry invece erano in un equilibrio precario: Ginny si sentiva come un gatto che camminava su un cornicione, ogni passo andava fatto con cautela o sarebbe caduta. Non aveva dubbi sui loro sentimenti: sapeva di amarlo e sentiva l’amore di lui sulla pelle e nelle ossa. Era più una questione di quotidianità, di abitudini, di vita di tutti i giorni. Era stranamente difficile per lei capire che Harry era lì, al suo fianco, raggiungibile in ogni momento e non chissà dove a rischiare la vita; c’erano ancora notti in cui si svegliava col cuore in gola e coperta di sudore dopo un incubo: di solito nel sogno si trovava ancora a Hogwarts e uno dei Carrow o Piton davano la notizia della morte di Harry nella Sala Grande. Quando le succedeva non riusciva più a prendere sonno, vagava tra la cucina e il salotto bevendo latte caldo e leggendo qualcosa, in attesa dell’alba. Non era quasi mai sola: George non dormiva molto più di lei e spesso le faceva compagnia; una volta si erano anche addormentati insieme sul divano, lei con la testa sulla spalla del fratello, il latte rovesciato sui cuscini.
   Anche Harry sembrava avere difficoltà ad adattarsi a una vita normale; la sensazione che aveva Ginny era che lui fosse sempre sulle spine: mangiava in punta di sedia, si guardava attorno continuamente come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro, spesso era sopra pensiero e lei lo doveva chiamare più di una volta prima che rispondesse. Aveva provato a chiedergli cosa c’era che non andava, ma la domanda era risultata abbastanza stupida una volta che l’aveva detta ad alta voce, e Harry si era limitato a sorridere e ad abbracciarla. Più che parlare il ragazzo amava il contatto fisico, come se avesse bisogno costante di sentirla vicino.
   Ginny si tormentava, cercando di capire come poterlo aiutare, ma ancora non aveva trovato una risposta. Intuiva che se fosse riuscita a trovare il modo di stargli accanto sarebbe stata meglio anche lei, un primo passo verso quell’equilibrio che tanto desiderava. Avrebbe voluto parlarne con Hermione, ma l’amica era in piena luna di miele con suo fratello e non aveva proprio la testa per ascoltare i problemi di Ginny; aveva anche pensato di scrivere a Luna, ma era rimasta solo un’idea confusa in mezzo a quelle giornate piene di cose da fare.
   Harry le prese discretamente la mano mentre ancora Hermione e Ron tubavano come colombe.
   “Ciao”
   “Ciao” rispose Ginny, dandogli un bacio veloce sulle labbra. “Com’è andato lo shopping?”
   “Direi… bene! Vuoi vedere i miei acquisti?”
   “Volentieri!”
   Lasciarono i due piccioncini in camera di Ginny e si trasferirono in quella di Harry, piena di borse e pacchi.
   “Ti sei lasciato prendere la mano!” esclamò lei davanti a quella distesa colorata. Lui rise.
   “Non avevo mai comprato abiti nuovi per me, a parte la divisa di Hogwarts; di solito mi rifilavano i vestiti smessi di Dudley. Mi sono sfogato!”
   “Decisamente hai recuperato!”
   Harry aveva mantenuto gusti babbani e aveva comprato per lo più jeans, magliette e qualche camicia, ma si era lanciato anche nell’acquisto di un paio di vesti da mago piuttosto eleganti e un po’ fuori moda, davanti alle quali Ginny non riuscì a trattenere una risatina.
   “Che c’è?” chiese Harry.
   “Niente… solo… beh, sarai uno dei pochi a portare questa” disse alzando con due dita la manica di una tunica verde scuro. Lui fece una smorfia, risentito. Ginny prese il suo viso tra le mani e lo baciò.
   “Quanto sei permaloso!” disse divertita; lui la buttò sul letto di peso e cominciò a farle il solletico. Furono interrotti dalla voce della madre di Ginny, che, rimbombando amplificata con la magia su per la tromba delle scale, annunciava che la cena era pronta. I due si lanciarono in un ultimo bacio appassionato e si staccarono a fatica.
 
   Ginny si tirò su di scatto, trattenendo a mala pena un urlo; il cuore le martellava tra le costole e il sudore le aveva appiccicato la maglietta del pigiama addosso. Di nuovo il suo incubo, ma in una variante peggiore: il cadavere di Harry veniva mostrato nella Sala Grande come prova della sua morte, la bocca semi aperta, gli occhi verdi spalancati e vuoti che la fissavano. La mano andò istintivamente all’anello, appeso al sicuro alla cordicina attorno al collo; Ginny lo strinse forte, pensando a quello che le aveva promesso Harry, come lui le aveva detto di fare. Non lo lasciò finché non riuscì a regolarizzare il respiro.
   Era buio pesto, doveva mancare ancora molto al mattino, pensò con sconforto; Hermione dormiva beata nel letto incastrato di fianco al suo, sentiva il respiro tranquillo poco lontano da lei. Si alzò, Appellò con un sussurro una maglia pulita dal cassettone e uscì in silenzio dalla stanza, diretta verso il bagno. Mentre si rinfrescava continuò a ripetersi che era stato solo un sogno, solo un sogno. Ricacciò indietro le lacrime, dandosi della stupida, si cambiò e scese le scale con la bacchetta accesa, cercando di non fare rumore. Si chiese se George fosse sveglio, aveva voglia di fare due chiacchiere, giusto per distrarsi, ma arrivata al piano terra scoprì che salotto e cucina erano deserti. Con un sospiro, prese un bicchiere dalla credenza e andò al lavandino per riempirlo d’acqua, ma un bagliore in giardino attirò il suo sguardo; si avvicinò alla finestra e guardò con più attenzione: seduta sul prato c’era una figura che giocava con una bacchetta, lanciando scintille e piccole fiamme blu a intervalli regolari con movimenti svogliati. Ginny appoggiò il bicchiere sul tavolo ed uscì scalza sull’erba; man mano che si avvicinava si accorse che la figura aveva sul naso un paio di familiari occhiali rotondi. Harry sussultò quando lei gli tocco una spalla, sedendosi al suo fianco.
   “Ginny! Che ci fai alzata?”
   “La stessa cosa che fai tu, direi”
   Lui ripose la bacchetta in una tasca dei jeans, le passò un braccio attorno alle spalle e le diede un bacio sulla fronte. Stava male, lo poteva dire con certezza, lo sentiva chiaramente. Gli mise una mano sulla guancia e lo costrinse a guardarla negli occhi.
   “Parla con me, Harry. Parlami. Cosa ti passa per la testa?”
   Lui chiuse gli occhi e appoggiò la fronte a quella di Ginny, come aveva fatto la sera in cui le aveva dato l’anello, poi si staccò e si sdraiò sull’erba; lei lo imitò.
   “Non voglio sembrarti un ingrato, io… so di essere molto fortunato” cominciò Harry; era chiaro che ogni parola gli costava fatica. “I tuoi genitori mi trattano come un figlio, mi sento al sicuro. Sono circondato dai miei amici e… ho te” le prese la mano e la strinse forte. Ginny attese, paziente, stavano arrivando al nocciolo della questione.
   “Ma mi sembra di aver preso la vita di qualcun altro. E… ho la costante sensazione che questo qualcun altro presto se la verrà a riprendere.”
   “Che vuoi dire?”
   “Ginny io… io dovevo morire. Non dovrei essere qui, è stato solo l’errore di Voldemort a riportarmi indietro. E tu dovresti stare con… non lo so, chiunque altro che ti possa rendere felice, che ti possa dare una vita… normale.”
   Quella frase le fece male: lei non voleva una vita normale e un ragazzo qualunque, voleva Harry punto e basta. Le sembrava di essere già stata chiara su quel punto. Ma finalmente lui era stato sincero, si era aperto e questa era una cosa preziosa. Fece un lungo respiro a occhi chiusi; quando li riaprì sapeva che cosa doveva dire.
   “Vedi le stelle?”
   “Cosa?”
   “Sono bellissime, non trovi?”
   “S-sì…”
   Era chiaro dalla sua voce che Harry non aveva capito dove Ginny volesse andare a parare, ma che avesse comunque deciso di lasciarla continuare.
   “Se una persona vede sempre e solo le stelle pensa che non ci sia niente di più bello e luminoso; ma prima o poi arriva l’alba e il sole le cancella completamente. E una volta che hai visto il sole, che hai provato il suo calore sulla pelle, sai che nient’altro ti potrà mai scaldare allo stesso modo.”
   Si schiarì la gola e proseguì.
   “Harry, io ci ho provato. Sono stata con altre persone, ma per quanto Michael o Dean fossero stelle luminose, l’alba per me arrivava sempre. Tu sei il mio sole. Credo di averlo sempre saputo, di essere destinata a te; so che non esiste nessun’altra persona che mi possa far provare quello che mi fai provare tu.”
   Sapeva di non averlo ancora convinto, lo sentiva deglutire le lacrime di fianco a lei. Decise di forzare la mano.
   “Harry, la cosa sbagliata in tutta questa storia è Voldemort, non sei tu. Senza di lui tu saresti cresciuto con i tuoi genitori, avresti ricevuto la lettera per Hogwarts, avresti incontrato Ron e Hermione e sareste diventati amici; poi avresti conosciuto me e ci saremmo comunque innamorati.”
   Ginny rotolò sulla pancia per guardarlo negli occhi; anche al buio vide le sue guance bagnate.
   “Questa è la tua vita, tua e di nessun altro.”
   Harry ormai piangeva senza più cercare di nasconderlo.
   “Lo credi davvero?” chiese con voce spezzata.
   “Io non lo credo, io lo so”
   Lui la abbracciò, nascondendo il volto tra i suoi capelli, stringendola come se non ci fosse altro al mondo. Adesso Ginny sapeva di aver visto il vero Harry e per qualche strana ragione la cosa le riempiva il cuore di calore.

 
 
Angolo di Gin
Eccoci alle prese con il ritorno a casa, alla normalità… che fatica districarsi tra gli strascichi dell’ipervigilanza da Mangiamorte e gli incubi che continuano comunque a popolare le notti dei nostri giovani maghi.
So che questo capitolo è un po’ lento (in origine erano due, ma nel primo non succedeva proprio niente niente!), ma l’intento è quello di ricreare una quotidianità, una routine che è andata completamente a quel paese e che tutti stanno cercando di riconquistarsi.
La voglia di riprendersi la propria vita è tanta, ma il passato è pesante… e forse non tanto passato.
Spero che il miele del finale non faccia salire troppo la glicemia!
Grazie a chiunque ha letto e leggerà e soprattutto a coloro che hanno aggiunto la storia ai seguiti/preferiti/ricordati, siete più di qualcuno! Con mia dolce sorpresa :)
Smack!
Gin
   
 
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