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Autore: Jawn Dorian    26/05/2017    1 recensioni
«Krista dice che stai cercando di diventare mio amico.»
Elliot Alderson ha un cuore gentile sepolto sotto un mare di incubi e John Watson è notoriamente l'amico di chi non ha amici.
John Watson brama ancora la guerra con ogni fibra di sè e Elliot Alderson ha una guerra dentro la testa.
L'ironia di due vite che si intrecciano quando non si sarebbero mai dovute intrecciare.
{ Sherlock (BBC) + Mr.Robot }
La cosa più strana che abbiate mai letto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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2. Il mondo del burattino era gelido, ed era un mondo che non voleva mostrare ad altri. 


Elliot ricordava ancora quando aveva incontrato Sherlock Holmes di persona per la prima volta. Lo aveva hackerato solo la settimana prima, perché era una di quelle persone che gli faceva sentire quel pizzicore, che faceva scattare come una trappola per topi quella parte della sua mente che lui tentava di sopire inutilmente. Era interessante, e per conoscerlo cercò il lato peggiore di lui, come faceva da sempre per conoscere qualcuno. Ma quell’hacking non rimase a lungo impunito, perché Sherlock Holmes si presentò da lui la settimana successiva, in un bar, munito del suo migliore sorriso di circostanza e di un cappuccino con il cacao. «Elliot Alderson, giusto? Sherlock Holmes. Oh, inutile presentarmi, sai già chi sono. Posso sedermi?» non aspettò alcuna risposta, ma si sedette di fronte ad Elliot prendendo un sorso dal suo cappuccino e facendo sparire il sorriso in meno di un secondo. L’hacker nel frattempo lo guardava, nel panico: lo avevano beccato. Era stato uno stupido, doveva cancellare le sue tracce molto prima. Come aveva potuto sottovalutare Sherlock Holmes? «Oh, non fare quella faccia allarmata. Sì, hai decisamente fatto un errore a sottovalutarmi e sì, rischieresti di finire in prigione e sì, sai essere un discreto stupido, ma per tua fortuna sei un bravo hacker. E a me serve un bravo hacker.»
Boccheggiò per un secondo, il che fece alzare gli occhi al cielo al detective. «Sì, ti sto offrendo di lavorare per me. Nel tempo libero, insomma. Ebbene?»
Non gli aveva lasciato molta scelta. Elliot schiuse le labbra e lo fissò, ma ancora non emise un suono. Holmes, spazientito, aggiunse: «So del tuo lavoretto notturno.»
Il ragazzo si mosse sul suo sgabello, sentendosi improvvisamente molto a disagio: nessuno sapeva che ogni tanto di notte giocava a fare il giustiziere. Il suo desiderio di salvare qualcuno, chiunque, di fare giustizia, non per soldi, ma per pura soddisfazione personale, era una cosa che lo spaventava. Si spaventava da solo, e il fatto che ora qualcun altro ne fosse venuto a conoscenza faceva sembrare le sue azioni più nitide, più reali. Era facile fingere che fosse tutto un sogno finché era il solo a conoscere il suo segreto. Ma ora erano in due. Non era un sogno, non lo era mai stato. Svegliati, Elliot.
«Lo sai» continuò Sherlock, con il tono più incoraggiante che riuscì a produrre «se tu lavorassi per me, mi aiuteresti a mandare in prigione molte persone che infrangono la legge, e a salvare persone innocenti che soffrono.»
Lui voleva salvare il mondo. Dal denaro, dai potenti, dal mondo stesso. Miriadi di persone avevano sofferto quanto lui e Elliot voleva preservarle almeno un po’ da quella sofferenza. Sherlock Holmes era come lui: inseguiva il brivido della caccia e salvava la gente da minacce che solo lui poteva vedere, e che agli altri erano invisibili. Holmes camminava per le strade e scorgeva una guerra perpetuamente in atto. Era proprio come lui. Avevano due modi diversi di operare, ma il risultato era lo stesso. Elliot voleva salvare il mondo. Ed in parte, almeno un po’, così avrebbe potuto farlo davvero. «Ci sto.»
 
***
Elliot doveva solo fare qualche lavoretto per Sherlock Holmes. Senza farsi coinvolgere troppo e senza dare dell’occhio. E invece non solo la sua presenza a Baker Street era ormai nella norma, ma in quel momento John Watson si trovava nel suo monolocale per una visita di cortesia. John Watson. Era surreale, ma allo stesso tempo dava ad Elliot la parvenza di sostare in un limbo sereno. Serenità, una cosa che non ricordava di aver mai provato. Non era semplice quiete, non era la calma piatta da depressione, era serenità. Mentre osservava John che si guardava intorno con aria curiosa e un tantino perplessa, non sapeva come sentirsi. John Watson sarebbe diventato suo amico. Era così che funzionava, vero? Se inviti qualcuno in casa tua, difficilmente lo fai senza volerlo. Era quello che non gli era chiaro: non voleva che John se ne andasse, ma non sapeva il perché. Flipper arrivò nemmeno un istante dopo, sbucando con entrata trionfale da dietro i cuscini e un sonoro guaito di benvenuto per il loro ospite. John si chinò per posarle qualche carezza poco convinta sotto il musetto. «Vivi qui tutto solo?» chiese il dottore, una volta che la cagnetta si fu calmata. Elliot non rispose, si limitò a guardarlo. Domanda stupida. «I vicini sono cordiali?» provò di nuovo. Altra domanda stupida, e che per altro riportava la mente di Elliot allo spiacevole pensiero che l’appartamento di fronte ora era vuoto e silenzioso come un cimitero. «D’accordo, come non detto…»
«Cosa c’è nella busta che mi hai dato?» domandò il ragazzo, posando la busta in questione sul tavolo, senza staccare gli occhi dal suo visitatore. «Oh! Formaggio, uova…un po’ di riso, due o tre carote e qualche patata. Non avevo idea di cosa ti piacesse, sono andato sul sicuro senza prendere la carne…sai, potevi essere vegetariano ed io avrei fatto una pessima figura…»
Elliot sorrise appena. Un po’ per il gesto gentile, un po’ per l’espressione buffa di John mentre gli spiegava con moderato imbarazzo il perché di quella strana lista della spesa. Risero entrambi e all’unisono, ad un certo punto, ma senza un perché. «Grazie» ripeté Elliot, e stavolta lo intendeva in modo del tutto nuovo, arricchito, e sincero. Non diede mai a John il bicchiere d’acqua che gli aveva promesso, ma John rimase comunque a tenergli compagnia per un po’. E quando Elliot lo accompagnò fuori e lo vide andare via davvero, venne pervaso da una strana sensazione di vuoto.
“Ancora” realizzò più tardi, mentre fissava il soffitto “credo di volerlo vedere ancora.”
 
***
John Watson e Elliot Alderson erano diventati amici. Era una cosa che nessuno si aspettava, tanto meno Elliot. E capì presto che non era quel genere di amicizia che poteva avere un uomo qualunque della sua età: non guardavano stupidi film o partite insieme, non si prendevano birre e non organizzavano grigliate, né tantomeno si mettevano agli angoli delle strade per fissare le ragazze. John piombava a casa sua ogni volta che poteva, giocherellava con Flipper e picchiettava sul vetro della vaschetta di Qwerty per salutarlo, lasciava del cibo ad Elliot e gli faceva una moltitudine di domande. Domande molto stupide tipo ‘Come stai?’ o ‘Come ti senti?’ a cui lui rispondeva sempre con poca sincerità. Ma la cosa che non finiva mai di stupirlo era l’espressione di John ogni volta che lui rispondeva ‘bene’. Era l’espressione stanca e un poco rassegnata di chi sapeva perfettamente che il suo interlocutore stava mentendo. E un pizzico di speranza nei suoi occhi: una parte di John che sperava di ricevere una risposta sincera, prima o poi. Ma Elliot non credeva gliel’avrebbe mai data. Difficilmente era capitato che qualcuno cercasse di farsi strada nella sua vita in quel modo, prima di quel momento, e non era nemmeno sicuro di cosa si dovesse fare in quei casi.
«Ragazzo, si può sapere cosa ti prende?»
L’arcade sarebbe stato senza il dubbio il posto ideale per riflettere e starsene un po’ in pace, se non fosse stato per Mr.Robot, che si fece trovare seduto con le gambe rigorosamente poggiate sulla sua postazione e un panino sbocconcellato in mano. «Ehi» Elliot fece finta di niente e si mise seduto ad una scrivania qualunque, ma ovviamente l’altro non demorse: «Ti ho fatto una domanda.»
«Di cosa parli?»
«Lo sai che ti conosco bene. Lo vedo quando ti passa qualcosa per la testa. E’ per via di quel dottore…il dottor Watson, mh?»
A quel punto Elliot si voltò, rassegnato al dover affrontare la conversazione. Incrociò le braccia e si appiattì contro lo schienale della poltroncina girevole. «Come fai a sapere del dottor Watson?»
«Mi piace il suo blog. E’ divertente» alzò le spalle e si servì un altro boccone del panino.
«Ti ho chiesto come sai che ci vediamo.»
«Oh, andiamo. Qui il punto è un altro: perché la cosa ti rincitrullisce in questo modo? Un tizio amico di un altro tizio per cui lavori ogni tanto bussa alla tua porta e ti porta le ricette di nonna Papera, e allora?» disse con la bocca piena e una scrollata di spalle.
«Credo stia provando ad essere mio amico. O a prendersi cura di me. Non lo so. Non capisco.»
Mr.Robot ingoiò il boccone e per un attimo sembrò pensarci su, poi continuò: «Ci pensi troppo. Lasciagli essere quello che vuole, no? Da quando te ne frega qualcosa di queste cazzate?»
«E’ diverso» ribatté quasi piccato «è…gentile senza doverlo essere. Perché è così gentile?»
«Pft, forse vuole portarti a letto, o che trovi una password per scoprire se la sua tipa ha l’amante, o magari è solo un tipo ingenuo.»
A quel punto il ragazzo si corrucciò appena. «Cosa c’entra l’ingenuità?»
«Oh, andiamo…crede che tu sia un povero orfanello solitario e ti vuole salvare, si vede lontano un miglio. E’ convinto tu sia un povero ragazzino maltrattato dai compagni durante la ricreazione che si bagna i cazzo pantaloni. Pensi che ti aiuterebbe se sapesse che sei un piccolo tossico bugiardo?»
Elliot serrò le labbra e guardò il pavimento. John non aveva idea di chi lui fosse davvero, e se l’avesse scoperto avrebbe chiamato la polizia, o comunque sarebbe scappato. Questa era la verità.
 
***
 
La scoperta avvenne presto. Era un giorno di pioggia e ad Elliot faceva male tutto. Uno di quei giorni tremendi dove voleva solo stare immobile e piangere nel solito angolino. Tutto era confuso, spaventoso, e ombre dei ricordi più brutti ballavano il tango nella sua testa: una sigaretta spenta sul suo braccio da sua madre, un schiaffo preso in pieno viso, due occhi verdi spenti per sempre, Shayla. Più o meno come ci si poteva immaginare, aveva finito per abbassare la guardia. Flipper prese ad abbaiare e solo in quel momento Elliot alzò lo sguardo. «Elliot? La porta era aper—»
Stava tirando su la seconda striscia di morfina, mentre John entrò. La cosa gli sembrò surreale, perché non disse nulla. Se ne rimase immobile con una busta in mano, l’impermeabile zuppo e stropicciato, e i capelli umidi. Schiuse solo le labbra, ma non cambiò espressione. Il cane intanto si alzò su due zampe per fare le feste al nuovo arrivato, ma quello non si mosse. E proprio mentre Elliot aprì la bocca per dire qualcosa, qualunque cosa, John si girò e uscì, chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Flipper delusa, seduta di fronte all’ingresso. Se ne era andato. Non sarebbe più tornato. Elliot in un primo momento non si mosse neanche lui. La consapevolezza di quello che era appena successo lo investì in pieno, ma non si mosse. L’idea di non rivedere più John lo infastidiva, ma non si mosse. Non si mosse per un minuto intero. Poi portò una mano alla bocca, guardò quell’unica striscia rimasta sul tavolo, e scoppiò a piangere. Non sapeva neppure per quale motivo stesse piangendo di preciso e gli sembrò che passassero delle ore. Una, due, tre ore. Forse quattro.
Il tango nella sua testa intanto andava più veloce, tutto era diventato un turbine nero eterno e psichedelico. La schiena di John e i suoi occhi delusi lo tormentarono in quell’incubo senza fine. Si rannicchiò sul divano, sentendo che i residui di lacrime sulle guance bruciavano terribilmente e la testa gli scoppiava. Si rese conto che la notte era arrivata, ormai era tutto buio. Passò la nottata con la faccia affondata sul divano, le ginocchia al petto, senza neppure riuscire ad emettere un suono o un lamento. Vide la schiena di John tante, troppe volte. Una volta provò a seguirlo, a fermarlo, a tenerlo stretto per un braccio, ma lui si era dissolto, allora tornava indietro a casa, ma lì trovava Qwerty a sgridarlo. La sua voce profonda continuò a ripetersi, nella sua testa, e rimbombava come il suono di una campana: ‘Guarda cosa hai fatto’, diceva. ‘Non sapevo che fare!’ cercò di giustificarsi con il pesciolino ‘io sono solo, io…’ ma quello non sentì ragioni, e sebbene fosse solo un pesce, si girò offeso dall’altra parte della vaschetta con un guizzo. Allora corse di nuovo, stavolta verso Baker Street, ma non c’era più niente. Nessuno avrebbe pianto al suo funerale, sarebbe morto solo in quel buco, e non avrebbe salvato il mondo, non avrebbe salvato neppure sé stesso o le persone che amava. Cosa si ostinava a rincorrere? Non riusciva a tenersi neppure una persona che gli era piombata in casa, neppure chi voleva effettivamente stargli vicino. Non sarebbe stato in grado di farlo rimanere comunque, non era in grado di far rimanere nessuno. Né suo padre, né Angela, o John…né Shayla. Nessuno.
Quando arrivò la mattina, si concentrò su chi fosse e come era finito lì. Aprì gli occhi di nuovo proprio mentre il cane ricominciò ad abbaiare, ma poi se li coprì con le mani. Sentì qualcosa di morbido, caldo e confortevole circondargli le spalle, e quando finalmente rimosse le dita dal suo viso John era chinato su di lui e lo stava coprendo con una coperta.
«Hai…finito di fare quello che stavi facendo, giusto?»
«…John?»
«Sì?»
Il dottore era esattamente come quando se ne era andato: i capelli erano sempre umidi, l’impermeabile sempre stropicciato, il sacchetto ora era per terra vicino a dove si era poggiato e Flipper, tutta felice e scodinzolante, ne stava divorando il contenuto. «Cosa- no, no! Cattivo cane— ehi!» John cercò di tirarla indietro con una mano, ma quella rimase con il muso ben piantato nel sacchetto. Sospirò, decise di lasciarla stare e si dedicò completamente ad Elliot, sistemandogli meglio la morbida coperta sulle spalle con cura. «Vuoi un bicchiere d’acqua?» chiese. Elliot rischiò quasi di strozzarsi con l’aria, mentre pronunciava un sofferto: «Sei tornato…»
«Tornato? Non me ne sono mai andato…ero solo uscito un attimo per— sai, non amo vedere le persone mentre…assumono droghe, insomma. Ho…voluto aspettare che finissi e sono tornato dentro. Ma non sono passati nemmeno venti minuti.»
«…non mentire.»
«E’ la verità» continuò con tono calmo, e in un gesto gli mostrò il display del telefono con data e ora. «Non mi sono mosso da qui fuori.»
Elliot si tirò su a sedere stancamente, passandosi una mano su tutta la faccia. Il fatto che John fosse ancora lì in realtà lo turbava più del fatto che avesse avuto allucinazioni degradanti.
«Perché…la coperta..?»
«Tremavi come una foglia.»
«Perché sei ancora qui— un momento» respirò forte e finalmente alzò gli occhi e trovò il coraggio di incontrare quelli dell’ex militare «tu…lo sapevi. Sapevi che io…»
«Che sei un tossicodipendente? Beh, sì. Lavori per Sherlock Holmes, pensavi davvero che la cosa sarebbe stata un segreto?»
«Lo ha…dedotto?»
«Sì, ma non prendertela. Lo fa con tutti quelli che incontra.»
Calò il silenzio, rotto solo da Flipper che aveva divorato anche l’ultimo biscotto della signora Hudson e che produsse un uggiolio soddisfatto. Elliot non sapeva cosa dire. John non era semplicemente tornato da lui…non se n’era mai andato, era ancora lì. Ma il suo istinto come al solito gli suggerì di correre dalla parte opposta della luce. Perché in fondo c’era conforto nel suo panico e rinunciarci era molto difficile. «Te lo avevo detto…devi starmi lontano.»
«Di che stai parlando?»
John non aveva certamente un’aria contenta o serena, ma neppure sembrava sconvolto, arrabbiato o fuori di sé. E non dava segno di volersene andare o in generale voler interrompere le sue visite in quella casa, soprattutto. «Ti va del tè?» chiese, e non ottenendo risposta se non uno sguardo spiazzato, si fece strada da solo aprendo sportelli casuali, in cerca di un bollitore.
 
***
Elliot non ci aveva capito nulla. Nei giorni seguenti continuò a pensare all’assurdità di ciò che gli era capitato. Quella a cui aveva assistito non era una reazione normale. John lo aveva visto farsi di morfina e fare lo schizzato sul divano e tutto quello che gli aveva detto era stato “vuoi un tè”. La cosa era pazzesca, e più ci pensava più non capiva. Ma non era tutto: dopo avergli fatto il tè si era assicurato per qualcosa come la sesta volta che fosse ben coperto e poi era uscito a portare fuori Flipper prima che la facesse di nuovo sui cuscini. Era tornato ancora più fradicio di pioggia e con l’ennesima busta carica di roba presa al minimarket indiano all’angolo. Gli aveva riempito il frigo, aveva rimesso le tazze e il pentolino al loro posto e dopo un breve saluto se ne era andato davvero, lasciandolo solo con la testa che quasi girava, tanto era piena di dubbi. Non aveva senso. Elliot arrivò a pensare che John Watson in sé, in quanto essere umano, non avesse senso. Era una bug nel sistema dell’umanità, un circuito fuori posto. Ma tanto avrebbe ceduto. Quell’inglesino per bene non era così tosto come credeva, e presto si sarebbe accorto di con chi aveva a che fare. Era solo uno stupido medico militare, convinto di essere un eroe per aver servito lo stesso paese che lo aveva mandato in guerra. Non era altro che un montato che provava al mondo di essere indistruttibile affiancandosi i giocattoli difettosi della fabbrica. Che ne sapeva lui di quanto la società fosse una fottuta trappola? Era un topolino nel labirinto come tutti gli altri. Con quello stupido sorriso gentile stampato in faccia, magari credeva anche di poter salvare quelli come lui che dovevano essere salvati da loro stessi. Non era diverso dagli altri, da tutti gli altri. Se ne sarebbe andato, Elliot ne era più che sicuro. Avrebbe visto il marcio che c’era in lui e avrebbe girato i tacchi, spaventato, deluso. Una crocerossina in fuga, ecco che cos’era. Nulla di più.
Ma poi Elliot pensava alla coperta, e a quegli occhi buoni che avevano visto morire troppi amici, e ai biscotti, e agli sbuffi, e a tutta la delicatezza. Al tocco lieve, alle parole rassicuranti, ad ogni piccolo gesto premuroso. E allora pensava che se ne sarebbe andato ma avrebbe fatto male. Avrebbe sentito male. E non voleva. Ma andava fatto. Meglio essere odiati per ciò che si è davvero, che amati per una cosa che non si potrà mai essere. E quindi Elliot prese una decisione: doveva mostrare a John il peggio di sé, così l’avrebbe conosciuto davvero. E così sarebbe scappato.
 
***
John teneva le cose a mente. Non il genere di cose utili che tutti tenevano a mente come la lista della spesa, i numeri di telefono, gli indirizzi, i percorsi. John teneva tutte le cose a mente sulle persone. Tutte le cose piccole, banali, e stupide che chiunque avrebbe finito per dimenticare, tutti i dettagli e le abitudini. Elliot si era accorto poco alla volta di questo suo talento bizzarro, osservandolo quando era insieme a Sherlock. Era così abile a notare le piccole cose su Sherlock, a ricordarsi quante zollette di zucchero volesse nel tè, a capire immediatamente quando era nervoso o mentiva. Sherlock notava le cose, le osservava, ma se non le considerava rilevanti le gettava via, nel retro della sua mente. John invece le conservava, le lasciava in prima fila, come fossero state informazioni preziose e indispensabili. Se prima aveva solo imparato a godersi quello spettacolo di premure inutili, ora, però, Elliot ne era diventato oggetto. E aveva anche scoperto che gli piacevano da matti.
John ogni tanto gli portava delle patatine fritte, perché sapeva che le adorava, e metteva sempre le salse a parte, perché si ricordava di quanto lui odiasse vedere le salse mischiate sulle patatine.
John gli metteva il miele nel tè, perché aveva tenuto a mente che lo preferiva allo zucchero.
John una volta, quando l’Ispettore Lestrade aveva allungato la mano per dargli una pacca sulla spalla lo aveva fermato, perché sapeva che a lui non piaceva essere toccato.
John ogni volta che qualche agente di polizia impaziente gli diceva di sbrigarsi lo zittiva subito con un ‘chiuda il becco’, ed era uno dei suoi momenti preferiti.
John portava biscottini a Flipper e cercava di non gridarle mai contro, neppure quando abbaiava all’infinito, perché sapeva che lui odiava le urla, specialmente contro un cane.
E ad Elliot tutte quelle minuscole cose piacevano. Ogni tanto se le ripassava tutte in testa, come fossero state una bella playlist di canzoni rilassanti. Ma più lui e John si abituavano l’uno all’altro, più si addomesticavano a vicenda come una volpe e un bambino, più Elliot sentiva crescere una voragine nel petto all’idea di fare ciò che andava fatto. Era piacevole avere un amico, crogiolarsi un po’ nell’illusione di non essere soli, in tutta quella delicatezza. Era bello. Era confortevole. “Solo un altro po’” pensava Elliot ogni volta “solo un ultimo giorno, un giorno soltanto.”
Non c’era droga più dolce di quella.
 
***
«Il tuo nome completo è John Hamish Watson.»
Una mattina all’improvviso Elliot decise che era il momento di farla finita. Aveva rimandato anche per troppo tempo l’inevitabile. Mentre John sistemava sul tavolo una busta di carta ricolma di ogni ben di Dio cucinato dalla sua padrona di casa, Elliot – rimasto in silenzio fino a quel momento – pronunciò quella frase, che non era altro che l’introduzione al finale di quella tragedia. «Tuo padre era un medico, e tua madre era un’infermiera. Tua sorella maggiore Harriet Catherine Watson è sempre stata prepotente con te. Tuo padre è morto in un incidente stradale quando avevi quindici anni, e tua madre lo ha seguito nemmeno dieci anni più tardi per un infarto.»
John si era girato e lo guardava. Lo guardava, in silenzio, con le labbra appena aperte, e il respiro che si faceva sempre più pesante ad ogni parola che pronunciava, ed Elliot era sicuro quella fosse la rabbia che montava. «Tu e tua sorella litigate sempre e in ogni circostanza dal giorno in cui vostra madre è morta, lei ogni tanto ti accusa di avere lasciato sola la tua famiglia quando hai deciso di arruolarti.» A quell’affermazione negli occhi di John si scatenò una tempesta. Tuttavia, solo negli occhi. Il resto del corpo era immobile e teso come la corda di un violino.
«Tua cognata si chiamava Clara Madison Hackey. Tua sorella ha divorziato da lei quando sei tornato dall’Afghanistan, e la cosa ti ha fatto arrabbiare. Ancora oggi quando litigate non fai che nominarla. Le dici sempre che con lei potevi parlare e che ti manca.» John a quel punto si appoggiò al tavolo con una mano e ingoiò a vuoto, ancora senza una parola.
«Quando ti hanno congedato dal servizio in Afghanistan ti sei sentito inutile, vuoto e stanco, come la tua vita fosse finita…finché il 29 Gennaio del 2010 non hai incontrato Sherlock Holmes.»
Fece una pausa, perché sostenere il peso di quegli occhi devastati era troppo, poi continuò imperterrito: «Al funerale di tuo padre non sei riuscito a piangere e tua madre ti ha mandato da uno psicanalista per mesi, e adesso non riesci più ad avere psicoanalisti uomini. Ti piacciono i film di James Bond e i vecchi gialli, e anche i classici romantici, perché ogni tanto li guardavi con i tuoi genitori. Quando tua sorella ha iniziato a bere avevi solo ventun anni e avevi così paura dell’alcolismo che per quasi quattro anni non hai toccato un goccio d’alcol. La prima volta che hai sparato ed ucciso un uomo l’hai fatto per salvare il tuo ex comandate James Sholto, e l’ultima volta l’hai fatto per salvare Sherlock Holmes. Soffri di incubi notturni ogni volta che qualcosa ti agita o ti rende triste. Hai confidato a Sherlock il tuo ultimo incubo dove Jim Moriarty ti faceva saltare in aria senza che tu potessi dirgli addio e—»
«Basta!»
John batté la mano sul tavolo con violenza, e il suo sguardo non espresse biasimo come Elliot si aspettava, era solo…ferito. Era quasi come in cortocircuito. Elliot non voleva. Non voleva, ma sentiva di doverlo fare, sentiva che non poteva fermarsi lì. «Ti ho mentito» biascicò come suo solito fingendo noncuranza «non ho hackerato solo il tuo telefono. Ho hackerato tutto, ogni cosa. Io hackero tutti.»
«E perché?»
Nessuno glielo aveva mai chiesto. Quando le persone lo scoprivano erano sempre troppo occupate ad arrabbiarsi o a cercare un modo per evitare la fuga di informazioni. John invece sembrava solo stanco e ferito, indifeso come non lo aveva mai visto prima, e pensò che moriva dalla voglia di chiedergli scusa, ma non lo fece. Non disse niente. Guardò altrove, come se quella domanda non fosse stata rivolta a lui. John respirò forte dalle narici e sbatté le palpebre, come un bambino che cerca di trattenere le lacrime. Ma non pianse, certo che no. Non urlò. Non fece alcun commento. Con pochi passi e una porta sbattuta fu fuori dal monolocale. E dalla sua vita.
 
***
I giorni che seguirono furono piuttosto duri. Come i primi giorni dall’astinenza di morfina. Quella che visse fu proprio come una crisi d’astinenza. Si trascinava cocciutamente in giro ed era sempre più nervoso e sofferente. Era dura vivere sapendo che doveva evitare John Watson, che doveva vivere senza John Watson. Perché in fondo John era proprio una droga: un qualcosa che gli aveva fatto dimenticare di essere sé stesso, che si era insinuato nelle sue abitudini normalmente e a cui rinunciare non era affatto facile. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, dicevano. Ma era l’ennesima stronzata che le persone si erano inventate per sedarsi e darsi un contegno, e lui non ci aveva mai creduto. Perché se smetti di vedere qualcosa, è proprio allora che cominci a bramarla ancora più profondamente e follemente fino a che non senti che ti consuma. Ed Elliot si sentiva in effetti vagamente consumato dall’assenza di John. Ci stava provando davvero: stava cercando di reprimere i sentimenti…ma invece i sentimenti stavano reprimendo lui.
«Hai fatto bene, ragazzo.»
Mr.Robot non aveva mai amato le complicazioni. E John Watson, per qualche motivo, stava diventando una complicazione bella grossa. Per questo quella fu la prima cosa che gli disse, mentre lo aspettava di fronte all’arcade.  «Che vuol dire?» gli chiese Elliot, il cappuccio in testa e le occhiaie più marcate del solito. «Vuol dire che il Dottor Watson lavora con gli sbirri, non dimenticartelo. E’ in stretto contatto con Mycroft Holmes - sai, il governo inglese in persona - tutto il tempo, insomma…per me era già un’idea balorda lavorare per Sherlock Holmes, figurati diventare amico di John Watson.»
«Quello per Sherlock Holmes è solo un lavoro. E John…John è solo—»
«Una tua debolezza.»
Mr.Robot aveva questa capacità inquietante di dire ad alta voce proprio i pensieri che lui non avrebbe mai e poi mai esternato. I pensieri che gli facevano più paura, perché erano quelli che corrispondevano maggiormente alla realtà. «Andiamo, a me puoi dirlo: hai un debole per lui, non è così? Il bravo soldatino gentile e onesto. Uno che sta entrando nella tua vita senza chiederti il permesso. E hai un debole per le persone così.»
Un beve frammento di ricordo degli occhi di Shayla la prima volta che si erano incontrati squarciò la linea retta dei suoi pensieri trasformandoli in un quadro di Pollock. Era vero: John era entrato nella sua vita senza chiedere, e rivederlo e chiedergli scusa era diventato il suo chiodo fisso, non era altro che una sua debolezza, un suo desiderio, represso per bene in fondo a sé stesso. In meno di un secondo schegge impazzite di ricordi e buoni propositi che fingeva di capire con Krista gli rimbalzavano in testa, e perfino la voce di Mr.Robot gli sembrò lontana. «Ragazzo, fidati. Hai fatto la cosa giusta, mandandolo via. Non potrebbe mai capire quello che sta succedendo qui. Insomma, una volta che ti starà vicino, per lui inizieranno i guai…non sarebbe la prima volta.»
«Torno domani.»
«Come?»
«Torno domani. Oggi devo fare una cosa.»
Le cose non dovevano sempre avere senso. Elliot si girò e corse. Il cappuccio gli scoprì la testa, ma non importava. Corse come non ricordava di aver mai fatto prima. Verso Baker Street.
 











Angolo della sprovveduta
Forse so dove sta andando a parare questa storia. Il che, francamente, mi fa stupire di me stessa. Da qui in poi cominceranno a comparire elementi e dialoghi che potrebbero far sorgere dubbi: non temete, alla fine sarà spiegata ogni cosa. Vi chiedo pazienza se ci metterò un po' ad aggiornare, ma gli esami si avvicinano imminenti e l'Estate, il caldo, i problemi emotivi che mi prendono sempre un po' alla sprovvista. Per ora sto studiando e rewatchando Lie to Me piangendo ad ogni singola puntata. Spero che anche se siete pochi stiate apprezzando. 
Grazie infinite a chi ha letto fin qui! 
  
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