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Autore: ethelincabbages    31/05/2017    3 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 38
Incanti terapeutici e altri palliativi
Nel corso della sua lunga vita Molly Prewett in Weasley aveva affrontato e conosciuto tante cose, anche lezioni che nessuno vorrebbe imparare.
Il punto a croce non era che l’ultima sfida. I ragazzi non erano mai stati particolarmente entusiasti del suo uncinetto –  tranne Harry, lui aveva sempre amato i suoi maglioni di lana – ma il ricamo era un’altra cosa. Era una stanza tutta per sé, era un privilegio che si concedeva alla fine della giornata, alla luce aumentata di sette candele Splendor. Il ricamo erano draghetti, unicorni, lettere intarsiate impossibili da riprodurre, erano dettagli, dettagli che le permettevano, punto dopo punto, di dimenticare tutto il resto.
Quando ricamava tutto doveva restare fuori: Arthur e le sue statuette di legno, lo spiritello in soffitta, la polvere sulla credenza, Louis e Dominique che sarebbero arrivati il giorno dopo, Ron che era tornato a casa e adesso litigava con Harry nella sua vecchia cameretta di bambino. Doveva restare tutto fuori.
Che cosa aveva sbagliato con quei ragazzi?
Ma i dettagli dell’unicorno su sfondo azzurro che stava cercando di ritrarre non erano abbastanza per distrarla dalle urla che provenivano dal piano di sopra.
Quando Ron, dopo Natale, si era presentato in cucina con un baule pieno di rimpianti e cianfrusaglie alle sue spalle, Molly aveva pensato fosse stata un’altra sciocchezza delle sue, un litigio da niente, la classica esplosione tipica di Ron e Hermione; d’altronde, la loro relazione non era mai stata semplice. La sorellina di Hermione era stata male, c’era stato quell’allarme strano al Ministero, erano entrambi sicuramente fin troppo stressati per ragionare lucidamente, avrebbero sbollito la rabbia nel giro di qualche giorno e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Quasi due settimane erano passate e nessuno aveva accennato a risolvere la sciocchezza.
“Che cazzo di problema hai, Ron?”
La statuina a cui Arthur stava lavorando gli cadde dalle mani. Molly lo vide tremare e trattenere l’istinto di andare a fermarli; anche lei stava trattenendo l’istinto di lanciare in aria quello stupido unicorno. Harry e Ron erano due adulti e avrebbero risolto i loro problemi, qualunque essi fossero, da adulti.
Quella sera, Harry era arrivato sul loro uscio con le labbra piene di scuse per l’orario e il disturbo, e una luce furiosa nello sguardo. Aveva gettato un’occhiata alla tavola da pranzo, dove Ron leggeva scartoffie, e chiesto di parlargli in privato. Erano saliti nella stanza che avevano condiviso per così tante estati ed erano scomparsi dalla visuale di Molly.
Ma non ci avevamo messo molto a farsi sentire. Il tono delle loro voci si era alzato fin dal primo scambio di battute. Harry non capiva e chiedeva spiegazioni che Ron si rifiutava di dare. Forse non c’era proprio niente di sciocco in questa nuova trovata di suo figlio, Molly fu costretta ad ammettere a se stessa.
Cosa aveva sbagliato con quei ragazzi? Cosa succedeva alla sua bella grande famiglia?
Il maledetto unicorno non ne voleva sapere di prendere forma.
Il tonfo, come di qualcosa che cadeva pesantemente a terra, che proveniva dal piano di sopra le impedì di continuare la sciocca sfida col ricamo.
“Okay, ora basta. Dobbiamo fermarli.”
Non aveva neanche bisogno di dirlo, Arthur stava già salendo le scale con risoluzione.
Dove aveva sbagliato con quei ragazzi?
 
*
 
Epismendo,” scandì deliberatamente ogni sillaba mentre puntava la bacchetta contro il proprio naso dolorante; percepì un leggero sollievo, ma non gli servì guardarsi allo specchio per rendersi conto che l’incantesimo non aveva raggiunto l’effetto sperato. I pugni di Ron erano diventati, di anno in anno, sempre più efficaci.
Tirò un profondo respiro prima di sentirsi scuotere le spalle dal bisogno di scoppiare a ridere. Perché alla fine era sempre lui che ci rimediava un naso storto e un labbro sanguinante?
Gettò un’occhiata con colpevole desiderio all’armadietto dei liquori, in ricordo dell’ultima scazzottata che si erano scambiati.
Ron aveva lasciato Hermione. Aveva preso le sue cose e lasciato la sua casa. Dormiva alla Tana, temporaneamente – aveva detto. Come osava, quell’idiota? Come osava spezzare il cuore di Hermione ancora una volta?
Harry si ritrovò a osservare con cura una bottiglia dopo l’altra. Non era serata da Odgen’s, né da Blishen’s. No, meglio un Santiago de Cuba Invecchiato.
Aveva bisogno di una sacrosanta e lunga dormita. Ricominciare le lezioni non era mai semplice, né da studente, né da professore, ma il giorno dopo Chris sarebbe tornata a scuola e adesso tra di loro tutto era cambiato: doveva essere pronto, non poteva perdere il sonno dietro all’ultima follia del suo migliore amico. Tanto Ron avrebbe presto riacquistato il senno, no? Sarebbe tornato. Tornava sempre alla fine.
Harry prese posto sul suo angolo preferito di divano con una calma che sapeva di non possedere realmente, fu costretto a saltellare senza grazia sui cuscini quando il becco di un pupazzo di Snaso gli si infilò tra le costole. Luna e i suoi regali: non sarebbe stato tutto più semplice se anche il resto del mondo fosse stato più simile a Luna e ai suoi pupazzetti? Teneri, curiosi e onesti. Niente rabbia, niente silenzi, niente bugie, niente errori né promesse infrante.
Il rum gli scese giù nella gola, caldo e violento. Ron aveva lasciato Hermione. Cosa vuol dire?
Lasciò scivolare lo Snaso sul tavolinetto da caffè e si chinò a osservare la busta da lettera che vi era posata. Era indirizzata a Ginny, due biglietti in tribuna stampa per una tournée parigina delle Holyhead Harpies.
“Non ti ho sentito rientrare.” La voce di Ginny lo raggiunse proprio nel momento in cui stava sbirciando la sua posta privata. Nell’incrociare il suo sguardo, l’espressione di sua moglie passò da stanca per via della lunga giornata a preoccupata per le evidenti lesioni sul suo viso. “Cosa hai fatto al naso?” chiese con apprensione.
“Sono passato da Porter Street…”
“E Hugo ti ha travolto con le sue minipluffe di vetro?”
“…e poi sono andato alla Tana,” spiegò. Avrebbe preferito di gran lunga finire vittima dei giochi del piccolo Hugo. “Si chiamano biglie, comunque,” aggiunse poi ripensandoci, mentre Gin gli tastava il naso per verificare l’entità del danno. Non faceva male. No, non è lì che fa male.
“Hai visto Ron.”
“Sì.”
“E vi siete comportati come i due bambini che siete.”
“Sì. Di nuovo.”
Ginny si limitò a scuotere la testa e a tirare fuori la bacchetta per ripetere l’incantesimo curativo che a Harry riusciva così malamente.
“Ti riesce davvero bene quest’incantesimo,” si complimentò con sincerità. Nessuno gli sapeva curare il naso meglio di Ginny.
“È per questo che mi hai sposato,” scherzò lei.
Harry le dedicò un sorriso di ringraziamento, che però non riuscì a durare più di qualche istante. Neanche la pazienza di Gin sarebbe riuscita a salvarlo da quella situazione. Eppure era sempre la stessa storia: Ron faceva casini, Hermione ci stava male, Ginny si prendeva cura dei suoi nasi rotti. E lui, Harry, cosa faceva? Piagnucolava su se stesso, incapace di prendere una posizione.
“Vai a Parigi?” domandò invece, indicando la busta sul tavolo. Cambiare argomento forse lo avrebbe aiutato a sgombrare la mente.
“Oh, quelli? Perry insiste, ma non ho ancora deciso,” chiarì lei, facendo spallucce. Harry sospettava che nel segreto del suo animo Ginny amasse essere costantemente corteggiata dal suo direttore per questi viaggi. Come risposta alla sua indecisione, Harry si limitò ad annuire e a tirare un altro sorso di rum.
Ginny adocchiò il bicchiere nelle sue mani, quasi si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza tra le dita di Harry. Non erano molte le occasioni in cui si concedeva un goccio in più. “Perché mio fratello ti ha spaccato il naso?”
“Perché non ho ancora imparato a dare di boxe?” scherzò pigramente lui, ma fu costretto a cambiare strategia a causa dell’occhiataccia di sua moglie. “Sono andato a parlargli per cercare di capire cosa sta combinando. Non posso parlare apertamente neanche con il mio presunto migliore amico?”
“Cosa gli sei andato a dire? Oh, Harry, sapevamo sarebbe successo prima o poi. Era da mesi che tiravano avanti a stento. Non dovresti prendertela con Ron.”
“E con chi dovrei prendermela?” Con te stesso, una vocina gli suggerì. Doveva prendersela con quella parte di sé che non riusciva a fare a meno di dipendere da Hermione. Ron era andato via per causa sua. Ancora una volta. “Sta mollando. Di nuovo. Quando le cose si fanno difficili, voltiamo le spalle e andiamo via! Ma di cosa mi sorprendo? Lo ha sempre fatto.”
Ginny lo osservò senza nascondere lo stupore e la rabbia. “È questo quello che pensi sul serio? Pensi che Ron voglia abbandonare i suoi figli e la donna che ha amato per tutta la sua vita? Che migliore amico hai conosciuto negli ultimi trent’anni?”
Harry si sentì accaldato. Posò con rabbia il bicchiere sul tavolo e slacciò in fretta i primi due bottoni della camicia. Forse era colpa del rum, forse delle parole di Ginny. Non gli piaceva quello che stava accadendo, si era ripromesso che quando Chrissie si fosse ristabilita tutto sarebbe ritornato alla normalità, ma non c’era niente di normale in quella situazione. Che fine stava facendo il lieto fine a cui aveva lavorato così tanto?
Per quel lieto fine, Harry aveva chiuso a chiave una parte del suo cuore che non avrebbe più potuto recuperare, aveva rinunciato a così tanto perché Ron e Hermione fossero felici. A Ronald Weasley aveva chiesto solo una cosa, un’unica semplice cosa: doveva solo proteggerla, amarla.
“Harry…”
“Quello che sto cercando di dire è che Ron dovrebbe saperlo, dovrebbe sapere che Hermione ha un modo tutto suo di affrontare il dolore. Ron dovrebbe capire certe cose, perché, come mi hai gentilmente ricordato, ci conosciamo da quasi trent’anni. Hermione ha sempre cercato di apparire più forte di quello che è, non vuol dire che lo sia davvero.”
“E nessuno lo sa meglio di te, no?” Mentre Harry parlava Ginny aveva afferrato lo Snaso dal tavolino e ora infilava le unghie tra le pieghe del pupazzo. A fondo. Era ingiusto con lei, era ingiusto parlarle così di suo fratello, era ingiusto scaricare le proprie frustrazioni su di lei.
“Scusa, è che questi giorni sono stati pesanti un po’ per tutti. Chrissie stava morendo, Gin, e riesci a immaginare cosa passasse nella mente di Hermione in quei momenti? Io posso. E lo so che noi non parliamo di questa cosa, lo so, ma…”
“Ma cosa?” lo interruppe Ginny. Aveva alzato il volume della voce per contrastare il tono di Harry, e un rossore diffuso le era comparso sul viso e sul collo. “Non potrebbe essere che non ce la fa più? Che il peso della situazione sia troppo da sopportare?” Nella furia lanciò lo Snaso che rotolò, innocente, a terra. “Forse Ron ha semplicemente capito che non ne vale più la pena. Forse pensa che lei non voglia il suo conforto, forse pensa che sia meglio affrontare la verità ora piuttosto che pagarne il dazio tra qualche anno, forse è stanco di vivere una vita che altro non è che una menzogna!”
Harry rimase allibito, gli occhi gli caddero sullo sciocco Snaso triste sul parquet lucidato. “E tu?”, le chiese, cercando i suoi occhi nocciola. Era una menzogna anche la loro vita? “Lo pensi anche tu?”
“Io…” Ginny non si sottrasse dalla domanda; era brava, lei, a sostenere gli sguardi diretti. “Io penso che dovresti restare accanto alla persona che ami,” disse, poi si fermò quasi a scrutare ancora più a fondo il suo viso, la sua espressione. Cosa leggeva Ginny sul suo volto? “Solo se questa persona ha bisogno di te.”
“La smettete, per favore?” La vocina assonnata di Lily interruppe sul nascere i dubbi e le domande che stavano sorgendo in Harry. La loro piccolina stava scendendo un gradino alla volta la scala che separava le camere da letto dal piano di sotto: con una mano si stringeva al corrimano, con l’altra trascinava per il corno un altro pupazzo regalo di Luna, un Ricciocorno Schiattoso verde pisello. La sua piccola Lily.
“Perché non dormi, piccolina?” le domandò, facendole posto tra di loro sul divano.
Lily saltellò con calma sui cuscini, ma preferì poi infilarsi tra le braccia della sua mamma. “Io voglio dormire, ma voi gridate. Tanto.”
“Stiamo urlando, papà?” gli chiese Ginny, nel tono più dolce che avrebbe potuto usare in quel momento. Le loro urla avevano svegliato la loro bambina, non era così che funzionava una famiglia. Non era così che funzionava un lieto fine.
“Scusa, piccola. Andiamo a nanna?”
Lily annuì convinta, e quando Harry si alzò e le offrì le braccia non ebbe dubbi su dove tuffarsi. Harry s’incamminò verso le scale. Nell’abbraccio della sua piccolina, forse poteva dimenticare il dolore al naso. No, non è lì che fa male.
“Ehi, Lils,” sentì la voce di Ginny chiamare, “tu lo sai dov’è Parigi? Ci verresti con la mamma?”
   
 
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