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Autore: Jules_Kennedy    01/06/2017    2 recensioni
-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, fissandola intensamente. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.-
.
.
-Non ci posso credere.- asserì sconvolto.
-Era l'unica soluzione- disse semplicemente Law.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente Kid dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione!?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il reparto era silenzioso.


Troppo silenzioso.

Pen si svaccò sulla sedia libera dietro il bancone delle cartelle, dandosi la spinta e roteando come un bambino di cinque anni con tanto di “Yuppiii” annesso. Terminò la terza rotazione voltandosi verso Dadan, la nerboruta infermiera dai capelli ramati che lo fissava disgustata.

-Ti rendi conto da solo di essere un imbecille, no?- lo apostrofò con voce roca la donna, scartando l’ennesimo pacchetto di sigarette per portarsene una alla bocca.
-Dadan-san, non si può fumare qui, lo sai!- la ignorò Pen, roteando nella sua direzione con un sorrisino inquietante in viso.

-Ma per te potrei anche non fare la spia..- sussurrò, sbirciando il viso austero dell’infermiera da sotto la visiera del cappello.

-Vedi di levarti dai piedi, microbo! Altrimenti finisce che ti spiaccico la testa contro quel cappello ridicolo che ti ritrovi!- berciò la donna, scostandolo di malagrazia e facendolo finire piedi all’aria. -Spero ti sia venuta una commozione cerebrale.- sibilò con voce cavernosa, passandogli accanto diretta verso l’uscita di sicurezza con la sigaretta già strategicamente posizionata tra le labbra scure. Ancora a terra Penguin la osservò allontanarsi, ridacchiando tra se e se per le maniere burbere dell’infermiera. Nel momento in cui Dadan gli lanciò un ultimo sguardo di fuoco, sbattendosi la porta alle spalle, senza nemmeno dargli il tempo di rialzarsi un piede battè leggermente sul suo fianco, facendolo voltare per incrociare gli occhi chiari ed inespressivi di Marco. Il biondo torreggiava su di lui con la sua solita espressione atona,  fissandolo dall’alto come a chiedersi per l’ennesima volta come avesse fatto Pen a conseguire una laurea in medicina.

Non senza fatica il rosso si tirò su, portandosi accanto all’amico appoggiandosi con fare ammiccante al bancone, gli occhi fissi sulla porta d’emergenza da cui Dadan era appena uscita. -E’ pazza di me.- scandì fermamente, ghignando all’indirizzo di Marco che dal canto suo iniziò silenziosamente a chiedersi se fosse possibile analizzare il cervello del collega per capire l’origine delle sue turbe mentali.

Non si stupì di quel pensiero, del resto passava anche fin troppo tempo insieme a quel sadico del suo primario.

Non fece in tempo a chiedergli il consenso per vivisezionarlo che, manco se lo fosse chiamato, il cercapersone di entrambi squillò, attirando l’attenzione del due medici. -Che succede?- chiese Pen trafficando con l’aggeggio per cercare di spegnerlo. -Law.- disse semplicemente Marco, con un tono che non ammetteva repliche o ulteriori richieste.

Del resto se c’era una cosa che i medici di pronto soccorso del Kyros Memorial Hospital come Pen e Marco potevano affermare, era che Law non chiamava quasi mai al cercapersone.

E se lo faceva, di sicuro era successo qualcosa di parecchio grave.

Consci di ciò i due si lanciarono lungo il corridoio, raggiungendo le scale di emergenza per scendere al piano -1 dove si trovava il pronto soccorso. Non appena misero piede nel reparto, la situazione si rivelò nettamente peggiore di quello che i due medici si erano immaginati.

Il reparto era LETTERALMENTE intasato, affollato oltre l’inverosimile e, chiaramente, in completo delirio.

Le barelle entravano senza sosta dall’ingresso principale a gruppi di tre o quattro, nonostante non ci fosse palesemente lo spazio per accogliere le persone già presenti. C’erano decine, forse quasi un centinaio di pazienti, tutti o quasi in gravi condizioni.

Lesioni superficiali, ossa rotte, ustioni, contusioni, tumefazioni.

In tanti anni di emergenze e disastri, raramente Pen aveva assistito ad un disastro di proporzioni tali.

Il caldo che si era venuto a creare nonostante fuori ci fosse il gelo artico, e i lamenti dei feriti si intersecavano nell’aria, rendendo l’atmosfera pesante ed irrespirabile.

-Dobbiamo trovare Law.- chiarì deciso Marco, gli occhi saettanti tra le decine di pazienti in attesa di essere trattati come meglio si poteva. Le infermiere schizzavano qua e la con buste di salina, aghi, flebo, garze, siringhe, cariche come muli a fare la spola da un lettino all’altro.

-Tu cerca Law, io mi occupo di smaltire l’ingresso.- disse semplicemente Pen, prima di venire inghiottito dalla marea di gente che si spostava da una parte all’altra della stanza. Non appena Marco vide il collega sparire tra le infermiere ed i pazienti, si avviò di tutta fretta alla ricerca del primario.

Se qualcuno poteva spiegargli che cavolo era successo, quello era Law. Si barcamenò a fatica tra le barelle, dando qua e la qualche indicazione su come procedere per i casi più gravi, addentrandosi nell’ala rianimazione quasi senza volerlo. Oltrepassò decine di pazienti, la metà dei quali non sembravano nemmeno coscienti.

Alla fine, dopo interminabili minuti di ricerca, lo vide.

Chino sul corpo di qualcuno che veniva scosso ritmicamente dalla carica elettrica del defibrillatore, Law stava applicando la rianimazione cardiopolmonare a qualcuno che ad una prima occhiata sembrava messo peggio di molti altri li dentro. Il volto reso quasi irriconoscibile dal sangue e dalle croste, i vestiti ridotti a brandelli. Senza pensarci due volte il biondo si portò al fianco del collega, affiancandolo nella rianimazione. Continuò l’insufflazione alternandosi con le compressioni e la scarica del defibrillatore, per un tempo che gli sembrò eterno.

Perché Law si stesse accanendo su quel paziente proprio non gli era chiaro.

Sapeva che il medico, da primario di pronto soccorso era perfettamente in grado di capire quando per un paziente non c’era più nulla da fare, ed era sempre stato in grado di prendersi carico delle sue responsabilità e dedicarsi a chi aveva ancora speranza di sopravvivere.

Eppure non mollava.

Goccioloni di sudore gli scorrevano sulle tempie perdendosi tra le basette scure, gli occhi cerchiati affilati come una lama, i muscoli tesi nel tentativo di imprimere la giusta pressione.
Scarica dopo scarica, finalmente il paziente ristabilì un battito. Non appena Law percepì il “bip” del monitor, sgranò impercettibilmente gli occhi, fermando Marco con un gesto della mano dal procedere con una successiva insufflazione.

Entrambi ancorarono gli occhi allo schermetto verdastro, in attesa.

Ormai anche Marco si era preso a cuore la situazione disastrata di quel poveretto, per cui non ruppe il silenzio che si era creato dopo quell’unico battito percepito dal sensore.

Rimasero li, ansimanti.
E poi, lo sentirono.
“Bip”
I muscoli di Law fremettero a qual suono, ma il medico si impose di restare immobile.
“Bip”
Un sospiro flebile lasciò le labbra di Marco, impassibile come sempre ma visibilmente sollevato,
“Bip” “Bip” “Bip”

Entrambi finalmente si rilassarono impercettibilmente, osservando con malcelato sollievo il battito riprendere regolarmente sul monitor, chiaro segno che il paziente aveva lottato con loro ed aveva vinto la sua partita. Sbuffando per scaricare la tensione muscolare Marco spostò gli occhi sul corpo che ingombrava il lettino, concedendosi di dare un’occhiata approfondita al paziente per cui tanto avevano faticato.

Con suo sommo stupore si accorse che “il” paziente, in realtà era “la” paziente.

Come avesse fatto a non accorgersi delle due collinette che sporgevano al di fuori della camicetta non se lo seppe spiegare.
Probabilmente c’entrava il fatto che fosse gay, e che di donne non gliene fregasse poi un granchè.

Quella notizia però rendeva il comportamento di Law ancora più interessante.

Del resto che Law fosse contemporaneamente un misogino ed un casanova consumato non era un mistero per nessuno, seppure chiunque si chiedesse come facessero le donne a cadere ai piedi di qualcuno che le considerava nettamente inferiori al suo incommensurabile genio. In fondo era anche vero che Law considerava chiunque al di sotto del suo incommensurabile genio, ma le donne proprio non riusciva a farsele piacere per più di una notte.  

Il biondo fissò gli occhi sul viso serio del collega, ancora impegnato a valutare le condizioni generali della donna.

Come riscossosi da un sogno Marco guardò oltre la testa di Law, scorgendo il pronto soccorso ancora in delirio, probabilmente ancora più incasinato di prima.

Posto che le sue priorità erano cercare di salvare quanta più gente possibile, il medico cercò di richiamare l’attenzione dell’amico, che stizzito gli concesse la sua attenzione. -Che c’è?- chiese impassibile Law, perfettamente consapevole del suo atteggiamento ben poco etico e decisamente poco professionale.
Marco lo fissò intensamente, sicuro che non sarebbero servite molte parole per esprimere ciò che voleva dire.

-Abbiamo un pronto soccorso pieno come un uovo, e se non mi sbaglio eri stato tu a dirmi, il mio primissimo giorno, che specialmente nelle situazioni più drammatiche dobbiamo mantenere il sangue freddo e restare distaccati.- lo freddò, consapevole di aver fatto pienamente centro. -Ma chiunque sia questa donna, ha lo stesso diritto di tutti gli altri a ricevere lo stesso identico trattamento, e tu lo sai.- proseguì, gli occhi in apparenza freddi, fiammeggianti.

-Mi occuperò degli altri pazienti quando sarò sicuro che lei è fuori pericolo.- disse semplicemente Law, tornando ad esaminare il corpo immobile della giovane intubata.

Senza una parola Marco si scostò, oltrepassando il collega per dirigersi a passo furente alla ricerca di Penguin per dare un ordine ed un aiuto al reparto in subbuglio.

-Ho chiamato te e Pen perché sapevo che avreste gestito questa situazione esattamente come avrei fatto io. Non l’avrei fatto se non avessi dovuto occuparmi di questo caso.- lo richiamò Law, facendolo fermare in mezzo alla corsia.
Voltandosi a tre quarti Marco non sapeva cosa pensare. Se essere lusingato per ciò che il primario gli aveva detto, o sconvolto dalla sua inaspettata mancanza di freddezza e distacco che lo contraddistinguevano.

Una sola domanda gli venne in mente per levarsi ogni dubbio, e senza timore quella fece.

-Chi è quella donna, Law? E che diamine è successo qui dentro?- chiese con tono tranquillo, gli occhi accesi tuttavia da una febbrile agitazione, in attesa di una risposta decente che gli levasse il tarlo dal cervello.

Law riportò lo sguardo dritto verso di se, levandosi guanti e mascherina. Si voltò verso il collega, i cerchi attorno agli occhi ancora più scuri di quanto non sembrassero con il fazzoletto verde ad occultarli in parte.

-C’è stata un’esplosione nella filiale locale della Baroque Works S.p.A., nei pressi del Flower Hill. L’incidente è stato causato dal versamento di uno dei container che stavano entrando nel capannone principale, dietro via delle Acacie. Il container doveva contenere le derrate alimentari destinate alle mense cittadine, ma in realtà era ripieno di armi ed esplosivi. La squadra speciale della polizia stava conducendo un’indagine sui traffici illeciti di Crocodile da un bel po’, ed a quanto pare avevano ragione. Ma credo che non abbiano previsto che un’imboscata a quel preciso container avrebbe potuto produrre un’esplosione di quell’intensità, ne hanno considerato le conseguenze che ci sarebbero state sui lavoratori e sul circondario.- spiegò in fretta ma chiaramente. Marco stette a sentire, alzando un sopracciglio.
-Quindi questi pazienti sono i lavoratori della Baroque Works ed i passanti che si trovavano da quelle parti nel momento dell’esplosione?- indicò con la testa il reparto pieno, senza lasciar intendere nulla.

Law annuì, in attesa della domanda più importante.
-E lei?- chiese infatti Marco dopo nemmeno un secondo.

Il moro fissò impassibile il volto insanguinato della ragazza, le ferite ricucite in fretta per impedire l’emorragia. -Lei fa parte della squadra degli agenti che stavano indagando su Crocodile.- spiegò serio, lasciando involontariamente intendere a Marco che quei due si conoscessero da prima dell’incidente.

In ogni caso, il biondo ritenne di non avere il tempo necessario per ascoltare tutta la storia, per cui si accontentò di quell’insperato sprazzo di loquacità del collega per annuire velocemente, abbastanza soddisfatto delle informazioni ricevute, andando alla ricerca di Pen per dare aiuto nella maniera più efficace possibile.

Non appena Marco sparì nel corridoio, Law si sedette sullo sgabellino che si era portato accanto al letto, fissando il petto dell’agente alzarsi ed abbassarsi.

Era un miracolo che fosse riuscito a salvarla.

E ciò che lo infastidiva era che a dirla tutta, lui non aveva alcuna motivazione per spendersi a tal punto per lei.
Non dopo ciò che gli aveva fatto.

Eppure, nel vederla entrare senza alcun preavviso ridotta ad un colabrodo, in arresto cardiaco ed in fin di vita lo aveva inaspettatamente e contro ogni logica scosso, cosa che accadeva con estrema rarità. E sebbene ogni singola cosa di quella donna lo infastidisse, pur avendola vista solo per due ore appena la notte prima, Law non ci aveva pensato due volte a dare il tutto per tutto per recuperarla dalla fossa.

Sospirò, rialzandosi diretto anch’egli finalmente verso le altre stanze, tranquillizzato da un’infermiera che appena arrivata nel box l'aveva salutato per poi controllare le condizioni della paziente dedicandosi a lei per mantenerla stabile sotto suo ordine.

-Dottore!- lo richiamò la ragazza, facendolo voltare. - Kaimie?- la interrogò, notando immediatamente il vago rossore sulle guance dell’infermiera. -Mi scusi, ecco, ehm.. ecco, lei non ha scritto il nome della paziente sulla cartella.- spiegò la giovane, abbassando lo sguardo di fronte agli occhi intimidatori dell’uomo. Law la fissò per qualche secondo, spostando gli occhi sulla paziente stesa sul lettino.

-Surebo. Koala Surebo.- disse semplicemente, lasciando Kaimie a scrivere velocemente il nome sul foglio per poi osservarla con la coda dell’occhio mentre cambiava la flebo e controllava lo stato delle ferite.
-Prenditi cura di lei. Ci siamo intesi?- scandì senza voler sembrare severo, ma invano. -Certo dottore!- si infervorò infatti la giovane, arrossendo se possibile ancor di più di prima.

-Grazie.- fu l’ultima parola che le rivolse, allontanandosi poi a passo svelto in mezzo alla folla, scomparendo velocemente dalla vista di Kaimie.

-.. P-prego..- balbettò dopo qualche secondo di blackout l’infermiera, disinfettando le ferite che si erano riaperte e controllando costantemente i parametri vitali sul monitor. -Ti riprenderai, sta tranquilla..- sussurrò, accarezzando i capelli incrostati della giovane che non era chiaramente in grado di sentirla.
-Sembra un burbero stronzo.. ma è il miglior dottore che abbiamo!– ridacchiò, lasciando Koala con la sacca nuova ed annotandosi mentalmente il box in cui era alloggiata per non dimenticarselo quando sarebbe dovuta venire a controllarla.

-Ci vediamo dopo Koala!- la salutò alla fine, lanciandole un’ultima occhiata per poi sparire a sua volta nell’ingorgo di pazienti che ancora aspettavano di ricevere assistenza.

Erano ancora le dieci del mattino, ma era chiaro a tutti che quella sarebbe stata una lunga mattinata.

Lunghissima.






ANGOLO AUTRICE

Ed eccoci qui con il secondo capitolo della mini long!
Non ho molto da dire, se non che sono felicissima di essere riuscita ad aggiornare in anticipo e che spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. 
Inoltre ringrazio le giovani donzelle che hanno recensito lo scorso capitolo, mi avete resa immensamente felice! <3

Un bacione e alla settimana prossima! 

Jules


 
   
 
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