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Autore: Sakii    08/06/2017    6 recensioni
Emma, 21 anni.
Giovane ladra di giorno, esperta puttana di notte.
Questo sarebbe il curriculum della mia vita, se solo non fosse stata stravolta.
Un viaggio tra passato e presente, tra amore e delusioni, tra confusione e felicità.
Dalla storia:
“Buongiorno, principessa” ammicca. Sorrido, senza però dargli corda. Si avvicina per darmi un bacio ma mi scanso.
“Ieri notte non ti ho fatto parlare però… sai… era solo…”
Per un attimo i suoi occhi perfetti si incupiscono, poi annuisce, ridendo.
“Ovvio, era solo sesso” ammette con una nota di sarcasmo nella voce, riferendosi alla mia affermazione della notte passata.
“Non voglio i tuoi soldi, lo desideravo… tutto qui.”
Si riveste, lo osservo in silenzio un’ultima volta. Non doveva succedere e lo sappiamo entrambi ma non ho voglia di pentirmene. Non ne ho intenzione, è stato quasi magico.
“È chiaro Emma, non devi giustificarti. Non ne parlerò.”

I primi dodici capitoli risalgono a due anni fa.
La descrizione è stata modificata.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2
 

Sono ancora tremante nel mio letto quando il telefono vibra di nuovo, quasi non ho il coraggio di guardare. Lo raccolgo, notando una piccola spaccatura nell’angolo. Impiego un po’ di tempo prima di riuscire a sbloccare lo schermo. Quando ci riesco, leggo un altro messaggio, questa volta da parte di Mr. John, che mi chiede di fissare un appuntamento per domani sera. Suppongo che dopo l’incontro nella mattinata avrò bisogno di una distrazione, quindi accetto senza pensarci due volte. Mi alzo dirigendomi verso lo scaffale malandato della piccola cucina, in realtà si tratta semplicemente di un frigo e un misero microonde nell’angolo di fronte il letto, accanto la porta del bagno/sgabuzzino. Tiro fuori una vecchia bottiglia di liquore risalente al mio arrivo in questa catapecchia. Raramente bevo, odio l’alcool a causa del mio passato, in questo momento però ne ho davvero bisogno. Butto giù due sorsi, il sapore è forte in gola e scioglie il nodo formatosi alla lettura dell’SMS. Sospiro, riponendo la bottiglia e lasciandomi scivolare sul pavimento.
 
“Ormai è un’abitudine eh…”
 
Mi raggomitolo portando le ginocchia al petto e, abbracciandole, fisso il vuoto nel buio della mia camera che si fa via via più profondo con il passare delle ore.
 
Mi sveglio nel cuore della notte, non sapendo quanto tempo abbia passato in questa posizione. Probabilmente parecchio, fatico ad alzarmi, le gambe cedono e sono addormentate. Decido di gattonare fino al letto, mi tiro su e mi riaddormento.
 
“Andiamo Emma, corri!” mi grida qualcuno. Mi guardo attorno, sono nel parco giochi vicino casa. Nathan mi prende per un braccio, costringendomi a correre insieme a lui. Ride. È felice.
“Devi nasconderti, non farti trovare” mi sussurra.
 
Ah… stiamo giocando a nascondino con i suoi compagni di scuola, ora ricordo…
 
Ci nascondiamo dietro un albero poco prima che un bambino inizi a cercarci. Subito si avvicina a noi e, per non farci scoprire, Nathan esce allo scoperto e inizia a correre ridendo. Io rimango nascosta, aspettando che si allontani per poi andare di corsa a salvarlo.
 
Siamo sempre stati così uniti, pronti a sacrificarci l’uno per l’altra…
 
La luce del sole colpisce il mio piccolo giaciglio, costringendomi ad aprire gli occhi. Porto un braccio sugli occhi, utilizzandolo come schermo contro il sole. Il terribile incubo ricorrente era stato sostituito da un ricordo luminoso…
Ripensando alla risata di Nate riesco a trovare la forza di alzarmi, prepararmi e ad uscire di casa. Sono le 11:45 quando arrivo in piazza. Mi siedo su una panchina distante dal resto degli abitanti mentre attendo il suo arrivo. So perché ha scelto questo posto, è affollato il sabato mattina, pieno di bambini che si rincorrono e giocano tra di loro.
 
“Proprio come facevamo noi un tempo…”
 
La piazza non è molto ampia, tutto è trascurato in questo piccolo quartiere. Solo una fontana spicca, al centro di tutto, circondata da qualche aiuola. Sospiro, gioco con una ciocca di capelli quando una voce mi distoglie dai pensieri.
“Sei venuta.”
 
Non alzo lo sguardo, non voglio guardarlo, so che effetto mi fa.
Lo sento sedersi, con la coda dell’occhio mi accorgo che è agitato quanto me, sfrega le mani sui pantaloni come faceva sempre quando era nervoso. Sospira.
 
“Guardami, per favore”
 
Non so resistere al suono dolce della sua voce, come se qualcuno avesse il controllo del mio corpo, mi sento costretta a fare ciò che mi chiede. È bello come un tempo sebbene i capelli siano scombinati e gli occhi circondati da profonde occhiaie.
Le spalle sono più larghe, segno evidente della sua crescita e di tutti i pesi portati negli anni. È più muscoloso, riesco a notarlo dai lineamenti risaltati dalla t-shirt bianca. Non ho la reazione che pensavo avrei avuto. Il mio cuore è calmo, le mie mani non tremano, riesco a sostenere il suo sguardo. A differenza mia, dopo qualche minuto Nathan sposta gli occhi verso la fontana. Aspetto che mi dica qualcosa, che mi spieghi il motivo della sua presenza. Come se mi avesse letto nel pensiero torna a guardarmi.
 
“Andiamo a prenderci un caffè? O forse non hai cambiato gusti in questi anni…”
 
Ha ragione, odio il caffè. È amaro, non sa di nulla per me, non mi è mai piaciuto… ma questo scelgo di non dirglielo, non ho voglia di girare attorno al problema.
 
“Ti prego di andare dritto al punto e spiegarmi perché sei qui, come mi hai trovata e cosa vorresti”
 
La mia voce risuona più fredda di quanto avessi voluto, non abbiamo mai parlato in questi toni. Il sole della mattina ora si nasconde dietro nuvole cupe, tutto attorno a me rispecchia il mio umore.
La risata di un bambino mi distrae dal mio interlocutore, facendomi rischiare di cadere nuovamente nei ricordi.
 
“Nostro padre sta male”.
 
“Farebbe meglio a morire una volta per tutte”.
 
La risposta è spontanea, immediata e secca. Non mi stupisce affatto questa notizia, è successo fin troppe volte, non capisco cosa c’entri io questa volta.
 
“So come la pensi, Emma, ma ha bisogno di vederti”
 
Scuoto la testa ancora prima che mio fratello finisca di parlare. Non vedo come io possa aiutarlo, non ha mai avuto bisogno di me per tutta la sua vita, perché vuole vedere me ora?
 
“Se solo tu provassi a fare il primo passo, smetterebbe di tornare a casa la sera distrutto, con il corpo pieno di merda. Emma, l’ho trovato in un angolo del bar dietro casa con una siringa conficcata nel braccio, cosa vuoi che faccia? Sai che il suo problema sei tu, la sua questione in sospeso”.
 
Sussulto all’alzarsi della sua voce.
Nathan non sa.
Nathan non capisce.
Nessuno potrà mai.
 
“Mi dispiace, non posso fare nulla per te”.
 
Sto per alzarmi ma Nate mi tiene ferma, afferrandomi il polso. Stringe così forte da fare quasi male. È disperato, lo so, non riesco però a soffrire per lui, né a provare compassione per mio padre. Poggio la mia mano sulla sua, pregandolo con gli occhi di lasciarmi andare.
 
“Tu puoi, Emma. Devi. Non era così quando non c’eri!”
 
Mi urla contro. Questa affermazione, soprattutto da parte sua, dovrebbe ferirmi. Dovrebbe dilaniarmi il cuore. Dovrei piangere, arrabbiarmi, gridare al mondo che non posso essere incolpata delle sofferenze di ogni singolo essere vivente esistente. Eppure non lo faccio. Non mi muovo, non reagisco, non provo nulla.
 
“Pensavo fossi l’unico a non pensarla in questo modo”, riesco a replicare.
 
“Non lo penso davvero, lo sai”.
 
Prendo un bel respiro, mi libero dalla sua presa.
 
“Sai Nate, tutto questo dovrebbe farmi male, dovrebbe suscitare qualcosa in me. Ma non lo fa. Sono abituata, ho imparato a sopravvivere ed anche tu. Siamo cresciuti e sappiamo cavarcela da soli. Non hai bisogno di me come io non ho bisogno di te.”
 
“So che la mia Emma è lì dentro da qualche parte, ti ho promesso che non ti avrei mai lasciata sola e mai lo farò. Te lo giuro.”
 
Sto per andarmene quando mi ricordo dell’orologio nella tasca. Torno verso di lui che, nel frattempo, si è accucciato come se fosse un bambino solo e abbandonato, con le mani tra i capelli. Mi accovaccio di fronte a lui, porgendoglielo. Apparteneva a mio padre, era stato un mio regalo dopo aver trovato gli album di fotografie, nella speranza che potesse iniziare a volermi bene se glielo avessi dimostrato. Mi sbagliavo.
Nathan l’aveva usato per attirarmi, sapeva che avrebbe funzionato.
Senza dire un’altra parola mi allontano dando nuovamente un addio a mio fratello.
 
Il pomeriggio passa in fretta lasciando spazio alla mia serata di distrazione. Come mio solito, salgo nell’auto di mr. John. Mentre mi volto per baciarlo, trovo davanti ai miei occhi una versione ringiovanita del mio cliente. Stessi occhi blu mare, stessi capelli biondo cenere, stesso fisico ben scolpito… tipico di giovani ricchi e presuntuosi.
 
“Giornata di merda… me la merito.”
 
“Suo figlio, immagino”, affermo convinta tornando al mio posto. Mi aspetto la solita ramanzina da parte di figli sconvolti che chiedono di lasciare in pace la vita perfetta dei genitori, beh, se fosse perfetta non andrebbero in cerca di divertimento altrove.
 
“Senti, prima che tu possa dire qualcosa… non è colpa mia, ok? Conosco il discorso, è sempre lo stesso. Avete scoperto la verità, siete indignati e tua madre vuole lasciare tuo padre. Fate quello che volete, non mettete in mezzo me, né la mia privacy. Vengo pagata per fare quello che faccio ed è l’unico motivo per cui continuo, quello che succede dopo il mio lavoro non mi riguarda.”
 
Mi guarda, rimanendo in silenzio. Sospiro, faccio per scendere dalla macchina ma mi blocca.
 
“Cos’hanno tutti con questa storia oggi?!”
 
“Dimmi solo da quanto.”
 
Alzo gli occhi al cielo. Ci risiamo…
Mi tira nuovamente a sedere, mi sento quasi soffocare ma se voglio liberarmi il prima possibile devo rispondere alle domande di questo povero ragazzo frustrato.
 
“Un anno circa”, rispondo, neanche sicura che sia questa la verità. Mica conto da quanti anni faccio la puttana, non ne vado fiera purtroppo, a differenza di molte altre.
 
“Mia madre è morta un anno fa”
 
“Perché mi dice questo ora? Vuole incolparmi di aver sostituito sua madre?”
 
Lo guardo dritto negli occhi, affinché le mie parole si imprimano meglio nella sua mente contorta.
 
“Senti, rilassati. Mi dispiace per quello che è successo, parlerò con tuo padre. Ti giuro che sparirò e non diventerò la tua matrigna. Non ci tengo per niente e, tra l’altro, credo tu sia persino più grande di me. Posso andare ora?”
 
Mi scruta attentamente, abbasso lo sguardo sentendomi a disagio. Sembrava che mi stesse leggendo dentro ed io odio profondamente gli occhi così intensi: puoi riuscire a capire troppe cose da un’espressione.
 
“Andiamo a bere qualcosa.”
 
“Io non bevo, voglio tornare a casa.”
 
“E quella la chiami casa?”
 
“Scusa se non mi escono soldi dal culo come voi.”
 
“Devi per forza essere così stronza?”
 
“E tu devi per forza essere così rompicoglioni? Mi hai fatto perdere una serata di guadagno, ti ho dato la risposta che volevi.”
 
“Ti darò io i soldi se verrai a bere con me.”
 
“Non accetto denaro senza lavoro.”
 
“Scopami pure se preferisci.”
 
Sbuffo contrariata. Non sarei mai andata a letto con suo figlio, un po’ di dignità ancora mi restava. La velocità delle nostre botte e risposte mi meraviglia discretamente, facendomi accettare il suo invito. Lascio credere al mio cervello che sia per il suo caratterino e non per il piccolo desiderio provato dopo la sua proposta.
 
“Bene, così sei quasi simpatica”, scherza sorridendomi. Poggio la testa al finestrino guardando la città scorrere davanti i miei occhi.
 
“Quando finirà questa giornata infinita?”

Angolo Autrice

E rieccoci qui, un capitolo un po' distaccato dal resto della storia, diciamo un'intersezione per farvi
respirare ;) insomma... ci stiamo avvicinando al lato romantico della storia oppure no?
Chi lo sa, sto lavorando proprio ora al prossimo capitolo e lascio lavorare la fantasia, ancora non so bene
cosa farvi sperare ahahah bene, ci si vede al prossimo capitolo <3


 
   
 
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