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Autore: Thalassa_    16/06/2017    2 recensioni
Questa è una storia da tempo sepolta.
È una storia di grandi amicizie, di fragorose risate, di amori impossibili, di eroi e di codardi, di promesse mantenute e di promesse infrante.
È la storia di un tempo sepolto, un tempo in cui pensavano di essere forti e invincibili, protetti dalle mura di Hogwarts, da Silente, dal loro coraggio e dalla loro bontà. Un tempo in cui sembrava che l’estate non dovesse mai finire.
Questa è una storia da tempo sepolta, e i suoi protagonisti sono sepolti con lei.
Ed è una storia che comincia così:
C’erano una volta quattro Malandrini…

Un viaggio insieme ai protagonisti della vecchia generazione, da quando ricevono la lettera per Hogwarts seguendo tutta la loro crescita.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
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Capitolo III - Sei lettere, un treno e un Cappello impiccione (parte seconda)
24 luglio 1971
Godric’s Hollow
 
Una civetta dal lucido piumaggio marrone fece il suo ingresso nell’elegante sala da pranzo dei Potter. Un paio di uncinetti, che sferruzzavano da soli nell’aria, si fermarono un istante, come indecisi.
“Fleamont?” disse la donna seduta in poltrona con voce incerta. Non era più giovane, ma conservava ancora una certa bellezza. I capelli, raccolti in un’acconciatura morbida, erano ancora di un castano caldo e gli orecchini a pendenti risaltavano sapientemente il colore dei suoi occhi. Erano le mani, soprattutto, a tradire la sua vera età.
“Sì, cara?” rispose il marito, senza alzare gli occhi dal Profeta.
“Credo che sia arrivata”.
Fleamont guardò il gufo con un’espressione stupita, mentre la moglie gli prendeva delicatamente la lettera dalle zampe.
“Che strano. In genere non la consegnano direttamente al loro legittimo proprietario?”
“Probabilmente non è riuscito a svegliare James, sai com’è alla mattina, potrebbe esplodere un corno di Erumpent nella stanza a fianco e lui continuerebbe a dormire indisturbato…”
“Eppure, ricordo che il povero gufo incaricato di consegnarmi la lettera si nascose nel camino finché i miei genitori non furono usciti e poi sbucò fuori all’improvviso facendomi venire un colpo. Così si comportavano i gufi di una volta, quando ancora al Ministero li addestravano adeguatamente”.
“Probabilmente aveva solo paura che tua madre servisse gufo arrosto per cena, Fleamont…”
“Non ti permetto di parlare in questo modo di mia madre, Euphemia!”
“Qualcuno ha detto lettera?” intervenne una voce entusiasta.
Euphemia sorrise teneramente nel vedere James fare il suo ingresso nella stanza, buffissimo nel suo pigiama con i boccini d’oro e con i capelli più arruffati del solito. Aveva ancora la voce impastata dal sonno, ma gli occhi nocciola brillavano per l’eccitazione. Anche senza bisogno di guardarlo, Euphemia sapeva che sul volto del marito era dipinto il suo stesso sorriso.
James era arrivato come un piccolo uragano a sconvolgere le loro vite, e non riuscivano a guardarlo che così: con dolcezza e divertimento, un pizzico di esasperazione, a volte, ma sempre sorpassato dalla sorpresa di vederselo lì davanti. Undici anni non erano bastati perché si abituassero all’idea che il loro sogno si fosse finalmente realizzato: un piccolo Potter che scorrazzava per casa come una copia in miniatura di suo padre, un bambino nato dal loro amore giunto come premio per la loro pazienza. Tutti i bambini sono un dono, ma James lo era più degli altri, prezioso perché inaspettato.
James si era letteralmente precipitato addosso al gufo, che era volato immediatamente al soffitto e gli aveva lanciato un’occhiata di dignitoso sdegno dagli occhi rotondi prima di volare via dalla finestra. James, però, era troppo preso a cercare con lo sguardo la lettera per accorgersene. Quando realizzò che la busta viola era al sicuro tra le mani di sua madre, quasi gliela strappò dalle mani per la fretta di leggerla.
“Che maniere sono queste, James?” protestò Euphemia. Non avrebbe proprio saputo dire da dove provenisse quella spaventosa irruenza di suo figlio; senz’altro da qualche parente dal lato di Fleamont.
James era profondamente immerso nella lettura. A un certo punto, il suo sorriso entusiasta lasciò il posto a un’espressione di sconcerto.
“Dobbiamo davvero comprare tutti questi libri?” domandò sconvolto, scorrendo con lo sguardo la lista, che i suoi occhi doveva apparire infinita.
“Non preoccuparti di doverli comprare, James, ma di doverli studiare” sottolineò sua madre.
“Euphemia cara, non cominciare, a Hogwarts non si va solo per studiare” provò a difenderlo Fleamont.
“È una scuola, Fleamont! Per quale altro motivo ci si dovrebbe andare?”
“Mamma, papà” li interruppe James con un sorriso smagliante “quando andiamo a Diagon Alley?”
“Oggi stesso” rispose suo padre. “Usciamo non appena sei pronto”.
James sparì in un lampo senza farselo ripetere due volte.
“Dovrebbe arrivare la lettera di ammissione a Hogwarts tutti i giorni, se gli fa questo effetto” commentò Fleamont scherzosamente.
“È proprio cresciuto il nostro piccolo James, eh?” disse Euphemia, sorridente ma con un fremito nella voce.
“Già. Ormai è un ometto” convenne Fleamont, prendendola dolcemente per mano.
 
24 luglio 1971
Portineria del palazzo di Grosvenor Street, 5, Manchester
 
Peter rilesse la lettera per la terza volta, emozionato come mai lo era stato in vita sua. La stringeva tra le mani come se avesse timore che potesse volare via da un momento all’altro, ripiegando nervosamente i bordi della pergamena, già sgualciti nonostante il gufo fosse arrivato pochi minuti prima.
La lettera era intestata al Signor P. Pettigrew, e già questo bastava a confonderlo: lo faceva sentire importante, essere trattato come un adulto, e allo stesso tempo lo spaventava.
Fece un respiro profondo. Esitare avrebbe reso solo più difficile quello che doveva fare: l’avrebbe rimandato per giorni e poi per settimane e poi per mesi, e infine avrebbe perso la sua occasione di diventare un mago solo perché non aveva trovato il coraggio di entrare in cucina. Peter si conosceva fin troppo bene per dubitare che uno scenario del genere fosse possibile, perciò si fece forza e entrò nella stanza.
“Mamma, nonna” annunciò con voce tremante, il cuore che gli martellava nel petto, “è arrivata...la lettera... Mi hanno ammesso a Hogwarts!”.
Sua madre si lasciò quasi sfuggire dalle mani il bicchiere che stava lavando, e si voltò a guardarlo con un’espressione sorpresa – un po’ troppo sorpresa, a dire il vero; ma Peter sapeva che le sue magie accidentali erano state rare e ben poco impressionanti. Avere tra le sue mani una prova tangibile di non essere un Magonò aveva rassicurato anche lui.
Un largo sorriso comparve sulla faccia tonda di sua mamma, che lo abbracciò calorosamente.
“Oh, Peter, sono così contenta! Congratulazioni!”
Sua nonna, invece, non si mosse di un millimetro e continuò a compilare il suo cruciverba, oscillando sulla sedia a dondolo. Peter non si scompose, sapendo che con ogni probabilità la nonna non aveva sentito una sola parola di quanto aveva appena detto.
“Nonna? Nonna, andrò a Hogwarts”. Nessuna reazione.
Si mise proprio di fronte a lei e le sventolò davanti la lettera per attirare la sua attenzione.
“NONNA! QUESTA È LA LETTERA PER LA SCUOLA DEI MAGHI!” urlò, scandendo le parole lentamente.
La fronte di nonna Anne, percorsa da innumerevoli rughe, si accigliò. Gli occhi grigi scrutarono il nipote con riprovazione da dietro le spesse lenti quadrate degli occhiali.
“Peter, che modi sono questi? Non c’è nessuna necessità di urlare, sono vecchia, non certo sorda”.
Peter sospirò. Protestare era inutile, cercare l’appoggio di sua madre anche peggio. Anne Olivers poteva anche avere settantanove anni, ma in casa propria comandava ancora lei.
Casa mia, mie regole, ripeteva sempre. Disgraziatamente, la casa della nonna, un minuscolo appartamento di portineria, era anche casa loro.
“Elizabeth, tuo figlio è privo di sale in zucca proprio quanto te. Non gli hai insegnato a essere cauto con le parole? Peter, non ti è venuto in mente che metterti a urlare che andrai a una scuola per maghi possa far nascere qualche sospetto nei condomini del palazzo?”.
Peter tacque, costernato.
“Dai, mamma, non incominciare a rimproverare Pete per ogni cosa che fa. Oggi è un giorno di festa” intervenne Elizabeth, con un sorriso. “Preparati, usciamo a comprarti il necessario”.
“Andiamo a comprare la mia bacchetta?” domandò Peter, speranzoso.
“Oh, no, quella può aspettare un altro giorno! Tanto non potrai utilizzarla prima di essere arrivato a Hogwarts. Hai idea di quanto possa essere pericoloso mettersi a giocare con una bacchetta senza sapere come usarla? Dobbiamo prima comprarti il necessario da portare in valigia. Peter, ti rendi conto che starai lontano da casa per mesi e mesi?” gli domandò sua madre, con voce piena d’angoscia. “Devi avere con te tutto il necessario! Vestiti per le giornate calde, per le giornate fredde, vestiti per la pioggia, per il vento, per la neve, coperte, medicine! Non hai idea di quanto possano essere fredde le notti, a Hogwarts, e tu hai sempre avuto una salute tanto cagionevole…”
“Questo è vero” intervenne sua nonna. Peter si domandò perché il suo udito migliorasse improvvisamente proprio nei momenti meno opportuni. “Elizabeth, sei proprio sicura che mandarcelo sia una buona idea? Peter è un bambino delicato, e poi stare tanto tempo lontano da casa…”
“Mamma, ne abbiamo già parlato. Peter è un mago e andrà a Hogwarts, dove può ricevere un’istruzione e costruirsi un futuro. Un mago non può vivere come un Babbano!” replicò Elizabeth con voce insolitamente ferma. 
“Mpf, se lo dici tu. A me non sembra che voi maghi siate meglio di noialtri. Il padre di Peter si è comportato come tutti gli altri uomini, la sua magia gli è servita solo a sparire nel nulla più in fretta quando ha scoperto che eri incinta!”.
“Mamma! Non parlare di queste cose davanti a Peter!”
Sua nonna sbuffò, poi scrutò Peter con aria critica.
“Spero almeno che in quella scuola gli daranno da mangiare” commentò dopo una lunga analisi, “è decisamente deperito”.
“Dici, mamma? Lo trovi dimagrito?” chiese ansiosamente sua madre. “Peter, dopo aver finito di comprarti i vestiti ci fermiamo alla bancarella dei dolci, ok?”
Peter annuì sorridendo. Finalmente qualcosa in quella conversazione deprimente che assomigliasse a dei festeggiamenti.
“Bravo, piccolo Pete” disse sua madre, sorridendo. Si abbassò alla sua altezza per guardarlo negli occhi. Non dovette abbassarsi molto, perché era una donna piccola e rotondetta, come una mela.
 “Ora ascoltami bene. A Hogwarts sarai circondato da moltissime persone, molte di più di quelle a cui sei abituato. Il mondo là fuori è grande e spaventoso, e non c’è posto per quelli come noi. Quelli come me e te, Peter, devono farsi da parte e stare in un angolo, lontano dai guai. Tu sei un topolino innocente, Pete, e là fuori è pieno di predatori. Ma c’è un modo per sopravvivere. Devi trovarti degli amici più forti di te che ti proteggano. Devi farti volere bene per riuscirci, ed essere anche tu un buon amico. Magari sarai un Tassorosso come me, e sarà tutto più facile. Ma in qualsiasi Casa capiti, devi sforzarti di essere benvoluto da tutti. Gli amici sono quelli che ti salveranno, ricordatelo sempre”.
Peter rimase ad ascoltare in silenzio, assorbendo ogni parola. La voce di sua mamma era dolce e rassicurante, piena di promesse per l’avvenire.
“Un’ultima cosa: sappi che qualche volta, ma solo qualche volta, il topolino può spaventare l’elefante” aggiunse in un sussurro, facendogli l’occhiolino. Gli diede un bacio sulla guancia paffuta e poi si raddrizzò.
“Ora siamo pronti per uscire! Tu pensa a che dolci vorresti dopo” esclamò allegramente Elizabeth, dirigendosi verso la porta.
 
24 luglio 1971
Geranium Road, 27
 Cokeworth
 
Dlin dlon.
“Petunia, per favore, vai tu alla porta?”
“Sì, mamma” rispose Petunia, ubbidiente. Si lisciò i capelli con le mani come vedeva sempre fare a sua madre prima che arrivasse un ospite e andò ad aprire la porta.
Tutte le sue buone maniere, di cui sua madre andava molto fiera, sembravano essersi completamente cancellate dal suo cervello. Tutto quello che riuscì a fare fu stare in piedi sulla soglia con gli occhi sgranati, fissando senza dire nulla la persona che aveva suonato il campanello.
“Buongiorno! Sono la professoressa Merrythought” annunciò la sconosciuta. La professoressa Merrythought era un donnone alto come il papà di Petunia, con la faccia rossa e l’abbigliamento più bizzarro che avesse mai visto. Indossava un abito viola acceso lungo fino ai piedi, un paio di stivali di gomma e una valigetta da cui faceva capolino quello che, se non fosse stato impossibile, le sarebbe sembrato un rospo. Si appoggiava a un ombrello della stessa tonalità di viola come se fosse un bastone da passeggio, nonostante splendesse il sole.
“Mmh”, commentò con aria critica, “non sono mai stata brava a vestirmi alla Babbana, e dalla tua espressione direi che non sono andata meglio del solito, vero? Tu devi essere Lily. È un vero piacere conoscerti. Mi fai entrare? Vado di fretta”. Strinse con foga la mano di Petunia ed entrò in casa senza tante cerimonie.
Petunia finalmente ritrovò la voce.
“Non…non sono Lily. Cosa volete da mia sorella?” chiese con sospetto.
Prima che la professoressa Merrythought potesse rispondere, la mamma di Petunia entrò in anticamera. La sua espressione nel vedere l’aspetto dell’ospite era precisamente identica a quella di sua figlia, tuttavia dopo un primo momento di sconcerto si costrinse a riprendere la sua abituale cortesia.
“Scusi l’intrusione, signora Evans. Ho molte cose da spiegarle, ma forse è meglio andarci piano. Per favore, può chiamare qui anche suo marito e sua figlia Lily, se sono in casa?”.
“Mia figlia Lily?” domandò Abigail, perplessa.
“Sì, sono qui per lei. Sono la professoressa Merrythought e sono qui per Lily. Sua figlia è stata ammessa in una scuola, uhm, particolare di nome Hogwarts”.
Il volto di Abigail si illuminò.
“Ah, una professoressa! Anche mia madre era un’insegnante, sa? Matematica, anche se non è mai riuscita a trasmettermi la sua passione. Odiosi, aridi numeri! Lei che materia insegna?”
“Difesa contro le Arti Oscure” replicò la professoressa.
“Capisco” rispose Abigail, senza perdere il suo caratteristico aplomb. “Vado a chiamare mio marito e mia figlia”.
Petunia aveva avuto un sussulto alla parola “Hogwarts”, riconoscendo il nome della scuola di cui parlava il figlio degli Snape. Possibile che…?  
“Professoressa, ho poco tempo da dedicarle, poi devo correre in ufficio” annunciò suo papà, stringendo la mano all’insegnante.
“Non c’è problema, signor Evans, anch’io sono di fretta, ho da sbrigare degli affari alla Gringott. Sedetevi, anche tu Lily, ho molte cose da spiegarvi. Ci metterò cinque minuti al massimo”.
La professoressa Merrythought parlò ininterrottamente per le successive due ore, esibendosi nel discorso più assurdo che Petunia avesse mai sentito. Lily quasi non riusciva a stare seduta per l’eccitazione, e di tanto in tanto lanciava uno sguardo a Petunia, come a dire: hai visto? Avevo ragione! Hogwarts esiste davvero!
La professoressa diede qualche piccola dimostrazione dell’esistenza della magia facendo apparire dal nulla un vaso di fiori, che sua mamma accettò deliziata. Le sue straordinarie rivelazioni lasciarono sconcertati i suoi genitori, che però sembrarono accettare con sorprendente facilità la novità. D’altronde, rifletté Petunia, quando si tratta di Lily non faticano a credere che sia capace di qualsiasi cosa. È solo un’altra conferma di quanto sia speciale.
Il padre di Petunia era talmente entusiasta all’idea che Lily fosse stata accettata in una scuola di grande prestigio che non si lamentò di aver perso mezza giornata di lavoro, evento unico nella storia della famiglia Evans.
Al termine delle spiegazioni, la professoressa si portò via Lily per accompagnarla a comprare i suoi libri. La mamma fu di ottimo umore tutto il giorno.
“Non riesco a crederci! Sembra tutto così assurdo, vero Petunia?” le chiedeva ogni dieci minuti.
Lily tornò quella sera raggiante come non mai. A cena non fece che raccontare ogni dettaglio delle straordinarie cose che aveva visto con gli occhi che le brillavano.
Petunia si alzò da tavola mentre Lily ancora raccontava. Si chiuse nel guardaroba di sua mamma, l’unica stanza in cui lei aveva il permesso di entrare e Lily no, perché era troppo piccola per provare i vestiti e i trucchi della mamma. Non pianse; aveva già esaurito le sue lacrime durante il giorno.
Piena di determinazione, fece un respiro profondo e poggiò la stilografica sulla carta da lettere presa nello studio di papà.
Gentile professor Silente…
25 luglio 1971
Cokeworth
 
Severus si rigirava nervosamente la lettera tra le mani, aspettando Lily al solito posto, il boschetto davanti al fiume. Non vedeva l’ora di sapere se anche lei l’aveva ricevuta, e chi era venuto a consegnargliela. Lily lo salutò con la mano da lontano, sorridendo, e gli corse incontro. La sua espressione sprizzava felicità ed entusiasmo.
“Sev, indovina cos’ho in borsa!” esclamò.
Severus le sorrise. “La lettera di ammissione a Hogwarts? L’ho ricevuta anch’io ieri”.
“Meglio” sussurrò Lily, con aria cospiratrice. Si guardò intorno per verificare che non ci fosse nessuno e poi estrasse una scatola di mogano.
“Una bacchetta!” esclamò Severus, sbalordito. Lily la prese in mano come se fosse il suo bene più prezioso. “Non è magnifica?” cinguettò, contenta. “Corda di cuore di drago, salice, dieci pollici! Il signor Ollivander ha detto che è una bellissima bacchetta!”.
“Complimenti, Lily” disse Severus, sforzandosi di apparire entusiasta, ma a Lily non sfuggì una nota malinconica nei suoi occhi.
“Che succede, Sev? Non sei contento per me?” gli chiese con aria accusatoria.
“Certo che sono contento!” protestò. “È solo che speravo che saremmo andati insieme a Diagon Alley” ammise, in tono di scuse. L’espressione di Lily si rilassò.
“Ma certo che ci possiamo tornare insieme!” gli disse ridendo. “Anzi, non vedo l’ora di tornarci. La professoressa Merrythought, che mi ha accompagnato, era di fretta e avrei tanto voluto fermarmi di più, ma non c’era il tempo. E poi è tremendamente distratta – nella fretta mi sono scordata uno dei libri che dovevo comprare! Non posso certo andare a scuola senza il Manuale di Incantesimi, mi sembra quello più importante di tutti!”
Severus si illuminò. “Avevo in programma di andare martedì a comprare tutti i libri” propose timidamente. “Andata per martedì, allora!” rispose Lily con entusiasmo. Il cuore di Severus iniziò a battere più forte. Non riusciva a crederci.
“Ora raccontami tutto!” disse, sedendosi sull’erba e ascoltando Lily parlare, parlare, parlare finché il sole non raggiunse la superficie dell’acqua.
 
Martedì Severus si svegliò all’alba, eccitato, e si presentò al luogo dell’appuntamento con due ore di anticipo. Non riusciva a credere che sarebbe successo davvero, e continuava a guardare ansiosamente l’orologio. Lily arrivò perfettamente puntuale. Quando lo raggiunse, però, aveva un’espressione perplessa. “Qualcosa non va?” le chiese.
“Dove sono i tuoi genitori, Sev?” rispose lei con aria confusa.
Un moto di delusione lo pervase. Non si era reso conto che lei si era aspettata una gita di famiglia. Ora che sa che saremo solo noi due non vorrà più venire, pensò disperato.
“Loro non…insomma, ho il permesso di andare da solo” rispose, tristemente. Lily sgranò gli occhi per la sorpresa.
“I tuoi ti lasciano andare a Londra da solo? Ma abbiamo solo undici anni!” esclamò. “Mia madre non mi lascia neanche andare a prendere il gelato in fondo alla via se non c’è Petunia!” aggiunse con stizza.
“Non devi venirci per forza, se non ti va” disse Severus in tono cupo, ma rassegnato. Una parte di lui sapeva che qualcosa sarebbe andato storto.
“Non è che non mi va” rispose Lily, mordendosi il labbro, “è che ho assicurato ai miei che saremmo andati insieme a tua madre…Non mi piace dire le bugie”.
“Non è una bugia se tu eri convinta che fosse la verità” osservò Severus, “e non c’è nessun bisogno di avvertire i tuoi genitori. Sono capace di andare a Diagon Alley, ci sono stato un sacco di volte!”.
‘Un sacco di volte’ era un’espressione un po’ esagerata; sua madre l’aveva portato in tutto tre volte, e tutte e tre quando era troppo piccolo per lasciarlo a casa da solo. Comunque, non avrebbe avuto difficoltà ad arrivarci. Era abituato a girare da solo.
Lily aveva un’espressione indecisa. “Non so…” mormorò con poca convinzione.
“Va bene, lascia stare!” esclamò Severus con rabbia, e le voltò le spalle. Era già a metà strada per la stazione quando Lily lo raggiunse.
“Sev, aspetta!” gridò, rossa in volto e senza fiato per la corsa. “Ho cambiato idea, vengo con te. Non mi sembra giusto che tu ci vada tutto solo”.
Il sorriso che Severus le rivolse fu il più sincero di sempre. 


N.d.A.
Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma in questi giorni ho avuto un esame (per come è andato, avrei fatto meglio a dedicare il mio tempo a efp, ma dettagli).
Abbiamo terminato la carrellata sulle lettere; nel prossimo capitolo, incontriamo finalmente il treno e il Cappello annunciati dal titolo. Le informazioni su Euphemia e Fleamont Potter le trovate su Pottermore, sui Pettigrew invece non ho trovato nulla di ufficiale.
La signora Merrythought, con il suo ombrello e le visite alla Gringott, è un omaggio ad Hagrid.
Come sempre, un grande grazie a tutti i lettori. Se qualcuno di voi è anche fan di Naruto, vi preannuncio che qualcosa bolle in pentola.
Thalassa_
   
 
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