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Autore: CHAOSevangeline    18/06/2017    4 recensioni
{ Partecipante al 1° contest Yuri on Ice - Italia Alternative Universe | Prompt: “Yuri subisce un forte trauma nella sua vita e comincia ad andare da uno psicologo per superare la cosa”. | Viktuuri AU }
L’ufficio della dottoressa Mila Babicheva era la stanza che meno gli piaceva dell’intera struttura.
Conosceva solo l’ariosa area di accettazione e qualche ambulatorio, in realtà, e i corridoi per raggiungere ognuna di quelle stanze che sapevano un po’ tutti di ospedale. Ma in fin dei conti questo era, l’edificio: una clinica psichiatrica.
A Yuri non dispiaceva spendere quell’ora scarsa quasi ogni giorno per parlare con Mila, così come non lo disturbava la strada che quotidianamente era costretto a percorrere da casa propria fino alla clinica dove lo studio della sua dottoressa si trovava: voleva dire che almeno non vi era ricoverato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Phichit Chulanont, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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II.
 
 
Il bip alienante dei macchinari era l’unico suono a riempire la stanza.
Quello sterile, monotono suono assordava le orecchie di Yuri da ore, ormai unica unità di misura a sua disposizione per il tempo, oltre che per il cuore di Viktor.
Mila gli aveva detto la verità, quando gliel’aveva chiesta. Appena aveva saputo Yuri aveva preteso di correre da lui.
Tutti gli avevano nascosto la vera ubicazione del fidanzato, per settimane, ma non faceva loro una colpa: lui per primo non era riuscito ad accettare la verità e prova ne era la totale assenza del ricordo di quell’incidente.
Era stata la donna ad accompagnarlo, timorosa che Yuri potesse recarvisi da solo o che Yura reputasse pessima quella scelta, impedendogli di fare visita a Viktor e aggravando la situazione.
Da oltre la parete che divideva la stanza di Viktor dal corridoio, Yuri sentiva la presenza di Mila. Gli aveva lasciato i suoi spazi convinta che gli servissero, che volesse sapersi da solo per crollare, anche se forse la sottigliezza del muro le avrebbe permesso di udire ogni suo singhiozzo.
Yuri aveva provato il bisogno di lasciarsi andare alla disperazione in diversi istanti, da quando era arrivato. La prima volta gli era successo sull’uscio della porta, nel vedere che sul letto bianco c’era davvero Viktor; le ginocchia avevano tremato e si era dovuto sorreggere allo stipite. Per arrivare fino alla sedia di plastica nera, lasciata accanto al letto probabilmente da Yura, il giapponese aveva avuto bisogno del sostegno di Mila.
Il volto di Viktor era tranquillo; un po’ pallido, illuminato dalla luce di quell’uggioso pomeriggio invernale e dalle lampadine al neon, ma sembrava comunque che stesse solamente dormendo.
Il respiro regolare, le braccia rilassate lungo il corpo e rovinate unicamente dalla flebo e qualche livido.
Per un istante Yuri aveva pensato che toccandogli la spalla e chiamandolo, il russo si sarebbe svegliato; avrebbe puntato le sue bellissime iridi di ghiaccio nelle sue e gli avrebbe chiesto perché i suoi occhi fossero tanto gonfi e stesse singhiozzando senza mai fermarsi, quasi fosse il suo modo di respirare.
Invece Yuri non avrebbe potuto vedere quegli occhi.
Non si era mai chiesto se parlare con una persona che sai non poterti sentire fosse una cosa sciocca o meno. Sapeva solo di averne bisogno, al diavolo quanto stupido potesse sembrare. Aveva bisogno di parlare con Viktor perché sperava che lo sentisse, che egoisticamente proprio la sua voce potesse essere una cura miracolosa.
Sarebbe stata una bella favola.
Scostò i ciuffi argentati dal volto di Viktor con delicatezza, quasi avesse la certezza di fargli male usando anche solo un briciolo di forza in più.
Si chiese se prima di finire in quelle condizioni non avesse avuto qualche attimo di lucidità. Magari aveva chiesto di lui, magari avevano parlato, ma lui non lo ricordava così come non ricordava il volto di chiunque lo avesse ridotto in quelle condizioni.
Cercò disperatamente di pensare a cosa Viktor gli avrebbe detto se fosse stato cosciente. Di non rovinarsi per lui, innanzi tutto, ma non era un’opzione che Yuri riusciva a contemplare.
Mentre le lacrime continuavano a scendere copiose lungo le sue guance non più coperte dagli occhiali senza che Yuri nemmeno provasse ad interrompere il loro crudele percorso, gli venne in mente il loro appartamento quando ancora sembrava luminoso e caldo. Quando ancora c’era Viktor a salutarlo tutte le mattine e a lasciargli affettuosi biglietti sul comodino. Biglietti che rimanevano sotto l’abat-jour anche quando, mentre Viktor lo baciava sulla fronte per salutarlo, Yuri si svegliava e ricambiava, facendo realizzare al russo che no, non aveva alcuna voglia di andare al lavoro.
“Sono uscito presto oggi, ci vediamo in ufficio”, ma bastava che si voltasse per trovarsi faccia a faccia con il volto già rinfrescato di Viktor e la camicia del completo elegante ormai stropicciata essendo diventata un pigiama improvvisato.
Quei giorni trascorsi insieme tra le lenzuola erano i migliori: il tempo era scandito da un pensiero sciocco e qualche bacio; non uscivano da lì fino a quando non decidevano che c’era un luogo migliore della casa dove starsene accoccolati l’uno all’altro.
Avevano tutto il tempo del mondo, tutto l’amore del mondo. Non c’era bisogno di preoccuparsi di nulla.
Yuri ricordava ancora quando una di quelle mattine aveva deciso di sorprendere Viktor: era sgattaiolato fuori dal letto silenziosamente, aveva rubato la maglietta dell’uomo, ancora sul pavimento dalla notte prima, e l’aveva indossata.
Gli prometteva una colazione a letto da mesi e da mesi la rimandavano, vuoi perché non trascorreva esattamente tutta la settimana da lui, vuoi perché lo batteva indubbiamente in fatto di pigrizia.
Eppure quel giorno ce l’aveva fatta a raggiungere i fornelli ad un orario decente, a recuperare tutti gli ingredienti che gli servivano e a cucinare per l’uomo della sua vita, addormentato qualche stanza più in là.
Addormentato. Già, forse.
Yuri si era sentito afferrare per i fianchi, rischiando di far cadere a terra i pancake che stava preparando per la sorpresa.
« Mi chiedevo chi fosse questa persona in cucina… » aveva cominciato Viktor con tono di bonario scherzo, baciando la sua guancia e scendendo sul collo, mentre le braccia muscolose si stringevano intorno ai suoi fianchi. « Poi ho visto quanto le stava bene la mia maglietta e ho concluso che fossi proprio tu, Yuri. »
Il giapponese, rosso in viso ma pur sempre sorridente per l’arrivo di Viktor, rilassò la schiena contro di lui, spegnendo i fornelli.
Le labbra del russo erano ancora intente a saggiare la sua pelle, scendendo anche dove la maglietta la stava malauguratamente coprendo.
« Era una persona che stava cercando di farti una sorpresa », si era lamentato a mezza voce il ragazzo, con però il tono di un sorriso.
Viktor si era sporto oltre la sua spalla, forse sperando che si voltasse abbastanza da rubargli un bacio. In compenso le sue dita si erano insinuate a solleticare la pelle dei suoi fianchi, sotto la maglietta.
« Sono io quello delle sorprese. Così dopo averle fatte posso reclamare un premio. »
« Viktor! » aveva borbottato Yuri, voltandosi tra le sue braccia. « Potevi almeno fingere di essere ancora addormentato… voglio prepararti questa colazione da mesi e non ho mai avuto l’occasione per farlo. »
Viktor aveva alzato gli occhi al cielo e prima che Yuri potesse dire qualsiasi cosa l’aveva afferrato saldamente per i fianchi, sedendolo sul ripiano della cucina per poi tempestare le sue labbra di baci.
« Ti amo tantissimo anche se non mi prepari la colazione. »
Yuri non era mai riuscito a resistere a quel sorriso perfetto su quelle labbra perfette.
« Ma so che mi ameresti di più se invece te la preparassi. »
Il respiro di Viktor e le sue ciocche di capelli gli stavano solleticando il collo, su cui il volto del russo si era rifugiato di nuovo per respirare il suo profumo.
Non sapeva quanto stesse cercando di farlo ridere di proposito, ormai.
« Sarei un perfetto maritino se ci riuscissi almeno una volta ogni tanto! »
Yuri alle volte riusciva a lasciarsi andare, a fare battute che normalmente avrebbe reputato imbarazzanti, che mai si sarebbe azzardato a pronunciare.
Le mani calde di Viktor avevano iniziato il loro percorso sulle cosce scoperte di Yuri, accarezzandole con dolcezza.
« Vuoi più occasioni per tentare di prepararmi la colazione, moya lyubov’1? »
Le risate di Yuri si fermarono, anche se un sorriso allegro era ancora aperto sul suo viso.
« Sarebbe fantastico. »
« Allora vieni a vivere qui. »
Nella stanza era calato il silenzio. Niente più risate, nemmeno più lo schiocco dei baci di Viktor. Gli occhi del russo si erano puntati in quelli profondi di Yuri e non avevano mostrato alcuna intenzione di lasciarli andare.
« Dici sul serio? »
« Dico sul serio », aveva risposto Viktor, appoggiando la fronte contro la sua. « Tu e Phichit pensavate di trasferirvi, no? Solo che invece di aiutarti a riempire gli scatoloni per trasferirti con lui ti aiuto a farli per trasferirti da me. Come ti suona? »
Gli occhi di Yuri erano diventati lucidi e diverse lacrime avevano iniziato a scorrere lungo le sue guance.
« Mi suona bene », aveva sussurrato, sforzandosi di sorridere.
« Sì? »
Viktor gli aveva sorriso, cominciando ad asciugare le sue lacrime, ripetendogli di non piangere.
Bip.
Bip.
Nelle orecchie di Yuri si insinuò di nuovo quel suono che in realtà non se n’era mai andato. Gli sembrò di udire le sirene delle ambulanze e alzò lo sguardo dalla propria mano, le dite intrecciate con quelle di Viktor.
Le guance ugualmente umide, come nel suo ricordo, ma non più per la felicità.
Si strinse nelle spalle mentre sentiva l’aria intorno a lui divenire pesante, un macigno che non riusciva a sorreggere.
« Io sto bene, sai. Anche se continuo a piangere. Sto davvero tentando di essere forte, tu mi diresti sicuramente di continuare a provarci », sussurrò, sforzandosi di sorridere. « Però sono stanco di immaginare cosa potresti dirmi. »
Yuri si afflosciò lentamente, affondando il volto sul materasso, esattamente accanto al braccio del russo.
« Darei qualsiasi cosa per sentire la tua voce in questo momento, Viktor. »
 
*
 
Era la prima volta che Yuri trovava scomode le poltroncine nella sala d’aspetto di fronte all’ufficio di Mila.
La donna era uno dei medici più prestigiosi dell’intera clinica, così aveva una piccola ala al terzo piano che aveva organizzato proprio come se il suo fosse uno studio privato.
Quelle sedute erano di una morbidezza avvolgente, capace di costringere a sprofondarvi senza poter fare nulla per opporsi.
In quel momento Yuri le stava paradossalmente odiando, perché si era abituato alla scomodità della sedia di plastica su cui trascorreva ore ed ore nella stanza di Viktor. Gli sembrava quasi di concedersi un lusso troppo grande stando su quelle poltrone, con le palpebre che iniziavano a calare sugli occhi per le ore di sonno in costante diminuzione e la stanchezza con cui ogni visita a Viktor gli caricava le spalle.
Quando usciva dall’ospedale doveva essere anche abbastanza lucido da indovinare l’autobus per tornare a casa, essendo l’idea di guidare del tutto fuori discussione. Non si sarebbe sognato nemmeno da solo di utilizzare la macchina, ma era abbastanza convinto che Phichit avesse fatto in modo di prendere in custodia le chiavi della sua vettura prima che provasse anche solo a pensarci.
Yuri tendeva sempre ad essere puntuale come un orologio svizzero e di solito quando arrivava alla clinica trovava Mila intenta a prendere il caffè con Sara, la sua segretaria. Non gli era mai piaciuto aspettare, perché aspettare gli dava tutto il tempo per riflettere sulle cose e ripensarci.
C’erano dei giorni in cui andare da Mila a rivangare certi ricordi non gli piaceva affatto; l’idea che potessero avvicinarsi anche solo di un passo a qualcosa che avrebbe potuto fargli del male lo logorava. Era come se volesse proteggersi da ulteriori emozioni negative, anche se evitarle non era di certo la scelta più matura e migliore.
Ora che aveva scoperto cosa la sua mente stava disperatamente cercando di dimenticare, Yuri non riusciva a far altro che giustificare il febbricitante senso di nervosismo che lo aveva accompagnato costantemente nelle ultime settimane, acuendosi quando camminava verso lo studio di Mila.
Ormai le loro seduto non lo agitavano più di tanto: quello che faceva male era già venuto a galla e le preoccupazioni che più gli pesavano addosso erano altre. Le condizioni di Viktor, ad esempio, così come la totale incapacità del proprio cervello di recuperare le informazioni che aveva cancellato.
Lo trovava paradossale: lui voleva ricordare, ora. Non voleva limitarsi a conoscere solo le informazioni dosate che le persone avevano deciso di rivelargli. Voleva sapere tutto, ma il suo inconscio aveva deciso che non poteva essere così.
La pelle intorno alle sue unghie era tutta sbucciata. Se prima Yuri sfogava il proprio nervosismo con la fede d’oro che fasciava il suo anulare, ora non riusciva a far altro che tormentarsi la pelle con le unghie, senza neanche accorgersene. Poi faceva un movimento, toccava qualcosa, e il bruciore lo riscuoteva, potandolo a chiedersi quando si fosse fatto male.
Quel giorno Sara non era dietro il bancone, o meglio: c’era stata fino a poco prima, fino a quando era arrivato, poi era sparita in una stanzina adiacente a quella dove si incontrava con Mila, in mano un plico di scartoffie. Yuri non sapeva di cosa si trattasse, ma da quanto sonoramente l’aveva sentita sbuffare immaginava si trattasse di un lavoro noioso.
Non poteva provare a chiacchierare nemmeno con lei, per distrarsi.
Tutto ciò che gli rimaneva era provare a leggere i diplomi incorniciati sulle pareti, tentare di dare un senso a quel pezzo di arte contemporanea che era la statua accanto alla lampada, o rileggere i titoli sulle copertine dei giornali disposti sul tavolino di fronte a lui fino a saperli a memoria.
Mezz’ora d’anticipo poteva essere estenuante, soprattutto se insieme a lei c’era la più totale assenza di voler fare qualsiasi cosa per ammazzare il tempo.
« Credo di essere io, tra i due, la persona che sa fare questo lavoro. »
Una voce ovattata raggiunse le orecchie di Yuri, che alzò lo sguardo verso la porta ornata dalla targhetta d’oro con su scritto “Dottoressa Mila Babicheva”.
Gli sembrava alterata e doveva aver alzato la voce, perché prima di quel momento non aveva udito nessun rumore dall’interno della stanza.
La convinzione di star aspettando che un altro paziente concludesse la propria seduta divenne ben presto una mera supposizione, per Yuri.
« Già e vedo i grandissimi risultati », rispose una voce graffiante e sarcastica.
Era quella di Yura.
L’avrebbe riconosciuta ovunque, sia per timbro che per tono.
Gli parve di udire un sospiro, ma forse fu la sua mente ad aggiungerlo. A sua discolpa non si stava sforzando per origliare: era impossibile non sentirli parlare, da dove si trovava lui.
L’unica alternativa per non ascoltarli sarebbe stata uscire, o sperare che magari Sara andasse ad avvisare Mila che quel battibecco non stava affatto passando inosservato.
« Ci vuole pazienza, cosa che tu non hai… »
« Oh, certo, ora è colpa mia che non ho pazienza. »
« Cosa che tu non hai », si ripeté Mila. « E che ti ha già fatto sbottare di fronte a lui. »
Yuri capì perfettamente a che episodio si stesse riferendo la donna.
« Ho sbottato perché ero nervoso e perché non ce la facevo più! » ringhiò il russo.
Gli tornò alla mente l’espressione ferita e affranta che Yura gli aveva rivolto in quell’occasione e il giapponese sentì un tuffo al cuore, inghiottito in una voragine di tristezza e risentimento nei propri confronti.
« Lo so che è difficile, ma… »
A Yuri parve di sentire qualche borbottio su dei miglioramenti, subito prima di una risata decisamente sarcastica.
« Miglioramenti? Quali, Mila? Perché io non li vedo! » sbottò. « Da quando gli hai raccontato dell’incidente di Viktor e lo hai portato a vederlo sai cosa fa Yuri? Si trascina da casa all’ospedale. Resta lì tutto il tempo che gli è concesso, viene da te e torna lì di nuovo se l’orario di visite glielo consente. Non mangia quasi nulla, non dorme e quando ci riesce si sveglia di colpo in preda a qualche incubo di cui non vuole parlare! »
Yuri sapeva che Yura, Phichit e Mila stessa erano preoccupati per lui. Lo sapeva, se ne rendeva conto e stava facendo il massimo per evitarlo. Ci stava provando davvero, ma forse era inevitabilmente destinato al fallimento.
« Non posso perdere anche lui, Mila », disse il ragazzo. « Non lo sopporterei. »
Quelle parole, quel tono, furono per Yuri una pugnalata al cuore.
Si alzò, quasi come se la sua intenzione fosse quella di irrompere nella stanza per dire a Yura che in qualche modo si sarebbe ripreso, che ci avrebbe provato e che l’avrebbe aiutato a propria volta per uscire da quella terribile situazione.
Prima che potesse fare anche solo un passo la porta si aprì e Yuri rimase bloccato sul posto, così come Yura. Il russo lo fissò dall’uscio dello studio, con gli occhi sgranati e le sopracciglia aggrottate in un’espressione di sorpresa mista ad imbarazzo e confusione.
« Yura… » lo chiamò il giapponese, tentando di avvicinarlo con cautela.
Sapeva che in una condizione come quella, nel rendersi conto che la propria preoccupazione fosse giunta alle sue orecchie o avendo anche solo il sospetto che ciò fosse accaduto, Yura sarebbe scappato.
Il biondino rimase immobile, quasi come se sentirsi rassicurare da Yuri fosse esattamente ciò di cui aveva bisogno in quel momento e lo tenesse ancorato sul posto.
« Ho fretta e tu hai un appuntamento con Mila, no? »
Era stanco di vederlo scappare via senza poter fare assolutamente nulla per aiutarlo. Tanto era concentrato su di lui, Yuri nemmeno si accorse di Mila che faceva capolino oltre la spalla del russo.
Quando il ragazzo iniziò a camminare verso la porta che conduceva al corridoio, Yuri gli afferrò il polso.
« Dobbiamo parlarne. »
« Non dobbiamo parlare di niente. »
« Yuri! »
Il biondo schioccò la lingua, il braccio teso dietro di sé senza che nemmeno guardasse in faccia Yuri, mentre gli parlava.
Conoscendolo aveva bisogno di sfogarsi. Non con chiunque, ma con lui: stavano provando sentimenti molto più simili di quanto sembrasse, tanto forte era il legame che univa entrambi a Viktor. Era troppo orgoglioso per ammetterlo, però.
Per quanto Yura non volesse confermarlo, il giapponese sapeva che un po’ a forza e un po’ con difficoltà erano entrati in sintonia. Se solo fosse stato più lucido avrebbe voluto occuparsi anche lui di Yura, proprio come il russo si stava occupando di lui.
« Questa sera, d’accordo? » gli concesse infine. « Ora entra in quello studio o ti ci mando dentro a calci. »
Yuri si lasciò sfuggire un sorriso a quelle parole. Aveva trovato la chiave del codice di Yuri Plisetsky ormai da tempo e sapeva che quella era la manifestazione più naturale di sé che gli aveva riservato da alcune settimane a quella parte.
« Promesso? »
Yura sbuffò in maniera abbastanza sonora e scocciata, ma gli diede un assenso. Con quel borbottio sconnesso, il biondino raggiunse la porta. Un po’ più calmo, senza essere un tornado di rabbia e nervosismo.
Non perse occasione di sbattere il portoncino dietro di sé, però, tanto che Yuri si voltò verso Mila. La donna gli rivolse uno sguardo di muta comprensione.
« Forse ho scelto il giorno sbagliato per arrivare in anticipo », disse il ragazzo, stretto nelle spalle.
Era una sensazione strana, ma udire le preoccupazioni di Yura era stato come l’ingranaggio mancante capace di far scattare il meccanismo che lo avrebbe spinto a reagire. Per una volta non stava riflettendo su quell’intera situazione in maniera negativa ed era riuscito a pensare a qualcosa che non fosse il volto pallido di Viktor sul lettino d’ospedale.
« Se il signorino manterrà la promessa di parlarti, stasera, non credo che sia stata affatto una scelta poco azzeccata », gli fece notare Mila, spalla contro lo stipite della porta e braccia incrociate al petto. « E non sembrare tanto mortificato, Yuri: so che non stavi origliando. Sarebbe stato più strano che non lo sentissi, considerato quanto urlava. »
Yuri era grato che il suo medico fosse proprio Mila. Non avrebbe preso tanto a cuore la sua situazione, altrimenti, così come non avrebbe tentato di calmare Yura, liquidandolo invece con il dire che era solamente un ragazzino impertinente, senza provare a capirlo.
Così Yuri era sicuro che qualcuno disposto a forzare l’altro a parlare c’era davvero.
Si erano rivolti a lei perché era un’amica di Viktor, a quanto Yuri aveva capito, quando Yura gli aveva giustificato la presenza del numero di cellulare di una psicologa nel proprio telefono.
Qualche corso in comune all’università, appunti da scambiare e compatibilità caratteriale. Avevano mantenuto i rapporti anche a distanza di anni.
La relazione di Yura e Mila, invece, corrispondeva quasi solo ed esclusivamente ad un supplizio alle spese del russo, che sembrava perennemente scocciato all’idea di doverle parlare. A quanto pareva non avrebbe mai osato mettere in dubbio la sua abilità professionale, a discapito di ciò che doveva averle detto quel giorno in preda al nervosismo.
Per questo si era subito rivolto a lei: si fidava, in fondo.
« Yuri ti ha detto qualcosa? » domandò il giapponese. « Su come sta, su quello di cui potrebbe aver bisogno… »
Si morse il labbro. Da quando aveva saputo tutta la verità si era reso conto di quanto le cose dovessero essere state difficili, se non per lui che si era nascosto dietro alla corazza che era l’amnesia, sicuramente per chiunque gli fosse stato intorno: Yura non aveva potuto parlare dei propri pensieri, pur essendo imparentato con Viktor, perché doveva mantenere il segreto al sicuro da lui, così come Phichit non aveva potuto spiegargli apertamente le proprie intenzioni per non rischiare di rivelare troppo, o toccare qualche tasto particolarmente dolente.
Yuri si sentiva in colpa, perché anche se non volontariamente era stato egoista. Anche dopo aver scoperto quasi ogni cosa non era riuscito a fare altro che compiangersi e pensare solo e unicamente a Viktor, quando le persone che più avrebbe potuto e dovuto aiutare erano proprio accanto a lui.
Prima che Mila potesse rispondergli, Yuri si morse il labbro.
« Gli ho chiesto come stava troppo poco, da quando ho saputo di Viktor. Lui aveva bisogno e… »
« Aspetta questa sera, Yuri. Ti parlerà. » Mila interruppe con un sorriso sia le sue parole che il crescendo di preoccupazione. « Ma non è colpa tua. Hai molte cose da gestire, per ora. Yura lo sa. Il tempo in cui cercava di farti sentire come se gli avessi portato via Viktor è finito. Trovarsi un ragazzo lo ha aiutato a capire diverse cose. »
La donna si voltò, muovendo qualche passo verso la scrivania.
« Non era qui per parlare di sé, mi è venuto a confermare gli ultimi ricordi di cui mi hai parlato, quindi non so darti una risposta circa il suo umore. »
Da quando Yuri aveva scoperto il proprio problema il sospetto che si era insinuato nella mente di Mila e soprattutto nella propria era che ogni suo ricordo di quel periodo fosse in realtà fittizio. Non aveva mezzi per distinguere ciò che era vero da ciò che era falso, perché anche se ora sapeva che Viktor non era in viaggio mentre lui e Yura avevano discusso, o mentre si sentiva male per strada, ancora non ricordava nulla dell’incidente. Sapeva la verità, ma era come se non facesse parte dei suoi ricordi.
Era una sorta di assioma che assumeva per vero, pur mancando i dovuti presupposti.
Per questo Mila aveva detto che ogni sua parola necessitava di una conferma da parte di chiunque fosse presente nei suoi ricordi.
Gli occhi cerchiati dalle profonde occhiaie di Yuri fissarono Mila, che gli sorrise ancora.
« È tornato a darmi una versione più dettagliata del tuo litigio. Quello che mi hai detto era piuttosto accurato. Sembra paradossale gioire per una notizia simile, ma stai facendo progressi, Yuri. »
Il giapponese aveva trattenuto il fiato fino a quelle ultime parole. Ciò che Yura aveva detto sul non volerlo perdere e quella scoperta erano due incentivi in cui non avrebbe mai sperato, non nelle proprie condizioni. Non con il proprio proverbiale pessimismo.
Un sospiro di sollievo sfuggì alle sue labbra schiuse e un piccolo sorriso le incurvò.
Mila gli sistemò una mano sulla spalla.
« Ti va se cominciamo? »
I modi della donna si erano fatti più gentili da quando aveva iniziato a sembrare sempre più oppresso da qualsiasi cosa.
« Via il dente, via il dolore, no? »
La porta dello studio si richiuse lentamente alle sue spalle.
 
*
 
« Quindi alla fine tu e Yuri non avete parlato? »
Il nuovo appartamento di Phichit era piuttosto accogliente: luminoso e ampio. Non aveva nulla da invidiare a quello di Viktor, ma Yuri doveva ammettere che se non avesse avuto occasione di convivere con il russo non gli sarebbe dispiaciuto continuare l’avventura che vedeva lui e Phichit come coinquilini.
Era stato divertente e se avessero avuto ancora modo di trascorrere anche solo qualche giorno insieme lo avrebbe trovato fantastico come quando si erano conosciuti. Il requisito minimo perché si divertisse era che nella sua vita ci fosse giusto un po’ di ordine in più.
Il piano che vedeva il trasferimento di Yuri a casa dell’amico tailandese come principale soluzione dei suoi problemi non era più andato in porto. Quando era emerso lo stretto legame fra il desiderio del giapponese di rimanere nel proprio appartamento e il suo disturbo, ogni proposta che poteva costituire un cambiamento fastidioso da sopportare per Yuri era stata revocata.
Così, quando Yuri aveva metabolizzato di avere un problema, di aver commesso degli errori e di voler facilitare le cose a Phichit e Yura che invece avevano capito tutto prima di lui, entrambi si erano rifiutati: Yura era rimasto a casa sua e Phichit nel proprio appartamento.
Yuri aveva provato ad insistere, ma non sapeva che alle spalle della battuta in ritirata dei due c’era proprio il consiglio di Mila.
Phichit lo andava a trovare spesso, per quanto sia possibile stabilire una routine in un lasso di tempo di appena due settimane.
Era la prima volta che Yuri ricambiava il favore, ma aveva deciso di farlo perché era strettamente necessario che riprendesse in mano la propria vita e smettesse di trascinarsi nei soliti tre luoghi dove era solito trovarsi in quel periodo.
Poteva aver subito un declino solo per poco tempo, ma era meglio correggerlo subito prima che diventasse troppo tardi.
« Ero davvero convinto che avremmo parlato, se non il giorno stesso magari quello dopo, ma pare quasi che mi eviti », sospirò Yuri, seduto dall’altro lato del tavolo rispetto a Phichit.
Erano passati tre giorni da quando aveva casualmente origliato la conversazione di Yura e Mila, tre giorni che tentava invano di confrontarsi con il ragazzo come l’altro gli aveva assicurato. Non era arrabbiato per la promessa infranta, era arrabbiato perché forse se fosse stato diverso sarebbe riuscito a dire la cosa giusta al momento giusto.
Questa consapevolezza però non lo stava fermando; lo spronava anzi a voler cercare una soluzione, a concentrarsi su uno dei pochi problemi di quel periodo che poteva risolvere.
In qualche modo era confortante stare seduto accanto al lettino di Viktor senza sentire la propria mente svuotata; era confortante parlare, sperando che lo sentisse, di ciò che accadeva fuori dalla stanza d’ospedale.
Yuri era ben lontano dal potersi dichiarare felice, ma almeno si sentiva vivo.
Vivo e anche confuso, a dire il vero.
« Sai meglio di me com’è fatto. Gli serve tempo », tentò di rassicurarlo Phichit. « Non mi ha mai detto come si sentiva, ho provato a chiederglielo, ma penso di aver rischiato un occhio nero », rise il ragazzo.
Yuri non ne dubitava affatto.
« Però si sfogherà, prima o poi. Non può tenersi tutto dentro se lo hai sentito dire a Mila che vorrebbe che tu parlassi di più di cosa ti passa per la testa. Lo ha accennato anche a me, con tutti i giri di parole del caso. Si tratta di coerenza. »
Più Yuri si rendeva conto del team che Yura e Phichit avevano cercato di formare per aiutarlo, più si rendeva conto di quanto dovesse essere stato difficile per entrambi andare d’accordo l’uno con l’altro in un momento di tale crisi. Si chiedeva più che altro quanti colpi avesse incassato Phichit a causa del nervosismo del russo, perché Yuri dubitava fortemente che avesse reagito tanto meglio di lui.
Non ricordava come si fosse comportato Yura, né se lo avesse visto nelle terribili condizioni in cui chiunque verserebbe alla notizia di una persona cara ridotta come Viktor. Yuri credeva – e in realtà era riuscito a rubare quell’informazione a Mila per averne conferma – che Phichit e poi Yura, con un po’ più di difficoltà, avessero cercato di assecondare la sua assenza di memoria, senza metterlo di fronte alla verità in maniera brutale come la prima volta.
Perché sì, Yuri credeva di ricordare.
Mentre usciva dalla stanza di Viktor, alla conclusione dell’orario delle visite, aveva guardato in fondo al corridoio e gli era parso come se dalla nebbia che offuscava la sua mente stessero emergendo dei ricordi.
Prima era stata solo qualche parola, poi l’odore piatto e acre di una stanza d’ospedale. Non quello che gli impregnava le narici in quel momento; era ovattato, come se i suoi sensi intorpiditi stessero iniziando a percepirlo dopo aver percepito il nulla.
Vedere Phichit accanto a lui, nella propria testa, lo aveva convinto che gli fosse semplicemente tornato alla mente il frammento su cui Mila tanto insisteva: il suo risveglio.
Yuri non aveva mai ricordato nulla, non sapeva più di ciò che le aveva già ripetuto una, due, tre volte. L’ultima era stata frustrante: era scoppiato a piangere chiedendole perché continuasse a tormentarlo, ma si trattava di giorni in cui non un solo ricordo si faceva nitido.
Sapeva che lo faceva per il suo bene, che voleva solo capire se il metodo che stava usando per aiutarlo andasse bene o se ne dovesse adottare uno nuovo, ma alle volte faceva tanto, troppo male. E lui si sentiva così debole.
Almeno sembrava che la sua mente si stesse riprendendo in fretta, che non troppe informazioni fossero andate perse.
Ai dettagli sensoriali si erano aggiunte delle frasi, frasi che a Mila non aveva mai riferito. Poi grida.
Il terrore di quella situazione, per quanto passata, lo aveva colpito dritto allo stomaco ed era dovuto rimanere qualche attimo fuori dalla porta di Viktor, travolto da troppe emozioni per poter anche solo pensare di camminare e allontanarsi.
Aveva bisogno di sapere se ciò che aveva ricordato era vero, di avere la tanto agognata conferma di cui tanto Mila parlava.
Sapeva che la donna avrebbe convocato Phichit per ottenerla, se ne avesse parlato prima con lei. Ma Yuri voleva discuterne innanzi tutto con Phichit, voleva chiedergli scusa se davvero aveva reagito in quel modo.
Phichit c’era sempre stato, per lui. Quando si era trasferito in America con la propria borsa di studio e la sua casa era diventata la stanza del college che frequentava, quando aveva tentato il colloquio di lavoro all’azienda di Viktor  – glielo aveva trovato lui, in realtà –, durante ogni singola sera passata a ripetere quanto Viktor fosse bello e quando era stato il momento di cominciare a frequentarlo.
Anche in quel momento era lì, di fronte a lui, che sorrideva come a dire che non se ne sarebbe mai andato.
Yuri glielo doveva.
« Questa sera ritenterò la sorte », disse, sorridendo appena.
Gli aveva già riferito quanto si sentisse motivato e da quel momento gli era parso di vedere l’amico più sereno.
« In realtà sono venuto a trovarti anche perché volevo dirti un’altra cosa », cominciò, notando di aver catturato subito l’attenzione altrui. « Penso di aver ricordato qualcosa. Qualcosa di serio, stavolta. »
Era il primo ricordo vero e proprio che riusciva a ricomporre, sempre ammesso che fosse veritiero e non un’invenzione del suo cervello; le prime cose che gli erano tornate alla mente erano solo delle piccole situazioni frammentate, ma che non era in grado di collocare in nessun momento preciso.
Non sapeva nemmeno lui come comportarsi con una memoria di tale portata.
Il volto di Phichit si illuminò di un sorriso entusiasta.
« Davvero? È fantastico! » Era la reazione più genuina che Yuri avesse visto sul volto di qualcuno da diverso tempo. « Lo hai già detto a Mila? Cosa ne pensa? »
Non era raro che parlasse con lui dell’andamento delle proprie sedute. Trovò strano che un tipo curioso come Phichit non avesse osato domandargli subito cosa gli fosse tornato in mente.
« No, è successo subito prima che venissi qui e la seduta è stata stamattina. Non era urgente, ho pensato che non valesse la pena disturbarla », spiegò Yuri. « Anche perché volevo prima parlarne con te. »
Vedere il volto di Phichit che lentamente si spegneva così come si era illuminato fu straziante; le sopracciglia si erano aggrottate e le labbra, serrate, non emettevano un fiato.
« Oh », fece soltanto, alla fine, prima che Yuri riuscisse ad elaborare cosa fosse meglio dire o fare. « Quindi… riguarda anche me? Si tratta del tuo risveglio? »
Forse avrebbe dovuto chiedergli se ne volesse parlare, prima. Yuri aveva dato per scontato la risposta, ma non c’era stata nessuna reazione capace di renderlo davvero ovvio.
Annuì appena, sperando che fosse l’altro a fermarlo, se necessario.
« Ti posso dire io che cos’è successo, Yuri? »
Quella richiesta lasciò spiazzato il giapponese.
« Non ne ho ancora mai parlato con nessuno e sei il mio migliore amico, quindi sei la persona più indicata per ascoltarmi. » Phichit si sforzò di sorridere. « Tanto saprai comunque se hai ricordato giusto o meno, no? Se proprio qualcuno qui deve parlarne vorrei essere io a farlo. »
La sorpresa resasi palese sul volto di Yuri non gli impedì di annuire, mentre intrecciava nervosamente le dita delle proprie mani, che teneva in grembo. Quella premessa sarebbe stata ottima se ciò che aveva ricordato era veritiero e, in ogni caso, anche se non fosse stato tutto esattamente come gli era apparso davanti agli occhi avrebbe solamente dovuto continuare a cercare.
Sarebbe stato frustrante, ma poteva farcela.
Phichit prese un impercettibile respiro prima di iniziare.
Era teso. Yuri se ne sarebbe accorto a prescindere.
« Quando sono arrivato in ospedale tu eri ancora addormentato. C’era Yura con te, era sconvolto per tutto l’accaduto, ma una volta che sono arrivato lì, lui ha raggiunto Viktor. »
Ovviamente Yuri non poteva conoscere quel risvolto, ma lo lasciò parlare.
« Ti sei svegliato dopo qualche ora, era quasi sera. Eri intontito per i farmaci e non ricordavi perché ti trovassi lì. Di Viktor sì, però. Mi hai chiesto subito di lui e quando ti ho detto in che condizioni si trovava ti sei agitato. »
Yuri trovava che agitato fosse un eufemismo: aveva fatto una scenata.
Nonostante la fasciatura alla testa si era alzato, barcollando per il capogiro e arrancando verso la porta. Aveva ripetuto che doveva vederlo.
« Ripetevi che dovevi vederlo, che dovevi andare da lui. »
Phichit lo aveva afferrato e Yuri si era aggrappato a lui. Era sconvolto, distrutto, il volto inondato di lacrime.
Gli urlava di lasciarlo andare, che doveva uscire da quella stanza.
« Eri fuori di te, Yuri. Non mi hai mai guardato con quegli occhi e io… non sapevo cosa fare », sussurrò Phichit. « Urlavi e io non avevo davvero idea di come calmarti. »
Poi Yuri lo aveva spinto via per raggiungere finalmente la porta. Era riuscito a correre verso un corridoio completamente a caso, il fiato corto e le pupille dilatate.
« Sei riuscito ad uscire e quando sono stato in grado di muovermi eri già in fondo al corridoio. Gli infermieri ti hanno fermato e ho provato a calmarti ancora, ci ho davvero tentato, ma non c’è stata altra scelta che sedarti. »
Ricordava la presa di quelle mani estranee sulle proprie braccia, poi il dolore di un secondo a causa dell’ago e i sensi che gradualmente si intorpidivano, il volume della propria voce che pian piano si abbassava, tanto era lo sforzo che richiedeva usarla.
« Hai continuato a chiamare Viktor fino a quando non ti sei addormentato. »
Silenzio.
Non c’erano davvero bei ricordi da recuperare, ma forse quello era uno dei peggiori da cui partire; non poteva nemmeno dirsi del tutto felice di averlo riavuto.
« So che non avrei dovuto dirtelo subito, non in modo così brutale. Mi dispiace! Ma non sapevo veramente cos’altro fare, sono andato nel panico e… in realtà mi sono chiesto per giorni se quello che è successo alla tua memoria non fosse colpa del fatto che sono stato troppo brusco. »
Yuri, che fino a quel momento non era riuscito a dire nulla di senso compiuto, scosse rapidamente la testa.
« Non dire così, Phichit. Non puoi c’entrare tu. Doveva andare così e… basta », lo rassicurò, prendendo rapidamente la sua mano, sul tavolo.
Si sorprendeva sempre di quanto riuscisse ad essere sicuro di sé se si trattava di rincuorare gli altri.
« Sono io che devo scusarmi. Io… ho reagito in quel modo, ti ho trattato come se fosse davvero colpa tua, ma non è così. È che mi è crollato il mondo addosso, capisci? »
Le stesse emozioni che lo avevano colpito come un pugno quel giorno in ospedale tornarono a farsi vivide attraverso le parole di Phichit, attraverso la conferma che era reale. Che lo era stato davvero.
Phichit scosse la testa.
« Chiunque avrebbe reagito così, Yuri, non… »
« Se io devo accettare quello che ho fatto, allora tu non rimproverarti più. »
Sapeva che avrebbe continuato a ritenersi uno stupido per non essersi controllato, proprio come sapeva che Phichit avrebbe continuato a pensare di essere stato un pessimo migliore amico, ma entrambi ci sarebbero stati anche per dirsi a vicenda che ciò di cui si era convinto l’altro non era vero.
Le dita scure di Phichit picchiettarono sul tavolo, come a colmare il silenzio che si era creato tra di loro. Non si sentiva a disagio, però, non parlò perché doveva farlo. Voleva farlo, era diverso.
« Sai… sono contento di avertelo raccontato », mormorò. « È un po’ come se fossimo tornati ai vecchi tempi, no? Quando ci dicevamo tutto. »
Non avevano mai smesso di farlo, ma sicuramente gli avvenimenti dell’ultimo periodo avevano rallentato la velocità con cui potevano confidarsi, vuoi perché non volevano ferirsi, vuoi perché gli era impossibile per una certa assenza.
Yuri annuì, abbozzando un sorriso.
« Era quello che avevi ricordato tu, comunque? » domandò ancora il tailandese.
« Sì, esattamente la stessa cosa. »
Quella notizia parve spazzare via l’accaduto degli ultimi minuti e le preoccupazioni di Phichit – o quelle di entrambi?
« Quindi stai tornando, Yuri? » gli chiese. « Non lo sto sognando, è vero? »
Yuri accennò un piccolo sorriso.
« Credo davvero che le cose torneranno alla normalità, Phichit. »
C’era davvero tanto da aggiustare prima che potesse davvero concedersi di dire qualcosa di simile, ma si meritavano di avere almeno una speranza.
 
*
 
Una tazza di cioccolata calda e degli indigeribili marshmallow di sottomarca non erano esattamente ciò che Yuri si aspettava di condividere con Yura, in piedi sull’uscio di casa con indosso un paio di discutibili calzini di pile e i capelli biondi, un po’ sfuggiti al suo rigido controllo di lunghezza, legati dietro la testa con una coda bassa.
Yuri lo vide battere il piede sullo zerbino, mentre se ne stava avvolto in una tuta fin troppo pesante per la temperatura interna ed esterna.
« Hai trovato tutto? »
La domanda giunse con una vena fin troppo inquisitoria considerando di cosa si stava parlando.
La cioccolata calda e i marshmallow con cui si stavano per sfamare non era un capriccio di gola dovuto a qualche battuta, qualche improvvisa frase da inverno come “ehi, sai che voglio dei marshmallow?”. No, quella cioccolata calda di Starbucks e quei marshmallow erano la loro cena, al diavolo che Yuri dovesse perennemente controllarsi per mantenere una buona linea.
Quando era uscito da casa di Phichit aveva trovato un telegrafico messaggio dello stesso biondino che in quel momento gli stava dando un non troppo caldo benvenuto.
“Ho voglia di cioccolata calda e schifezze. Comprale visto che sei di strada.”
E così eccolo, con due bicchieroni di carta incandescenti e un sacchetto di stretto al petto, con dentro due pacchi di marshmallow.
« Ci hai fatto mettere la panna, vero? »
« Sì, Yura. Ce l’ho fatta mettere », rispose con finta condiscendenza.
« Non farmi il verso, Katsuki. »
Sorprendente: era un dialogo normale.
Yura gli rubò di mano un bicchiere. Non lo stava aiutando, dato che aveva scelto quello con su scritto il proprio nome. Parve storcere il naso nel leggere il proprio soprannome e non il nome di battesimo, ma non lo turbò abbastanza da impedirgli di avviarsi verso il soggiorno.
Il ragazzo tornò poco dopo. Lo fissò, Yuri con ancora indosso la giacca, e decise di alleggerirlo anche del peso pressoché inesistente del sacchetto di marshmallow.
Yuri rimase fermo, il portoncino ormai chiuso alle proprie spalle e una gran voglia di ringraziare in maniera sarcastica il russo. Optò per limitarsi a sistemare il proprio bicchiere sul tavolino nell’ingresso e a togliersi la giacca.
Quando mise piede in soggiorno si rese conto che il divano, più che un divano, aveva assunto la parvenza di un fortino: i cuscini si erano moltiplicati e le coperte che Yura vi aveva buttato sopra lo ricoprivano quasi integralmente.
« È passato un tornado? » domandò il giapponese, sorpreso.
« I tornado non portano le coperte », si lamentò l’altro come se gli avesse appena fatto pensare all’ipotesi più disgustosa del mondo.
Il russo, già seduto sul divano a gambe incrociate si era occupato di scoperchiare il proprio bicchiere e di intingervi dentro un marshmallow.
Quando li aveva aperti?
Yuri lo osservò divertito, intento a gustarsi quel tripudio di morbidezza e zuccheri.
Lo raggiunse con cautela, si sistemò davanti al divano e poi si sedette, attento a non strattonare la coperta che Yura si era buttato sulle spalle. Quando aveva a che fare con lui gli pareva quasi di rapportarsi con un animale selvatico, tanto poteva essere brusco se trattato senza esserne capaci.
Lasciandogli i suoi spazi e dicendo le cose giuste, però, sapeva dare delle soddisfazioni. Peccato che in quel modo ogni loro approccio necessitasse di un quantitativo di energie che Yuri non sempre possedeva, non in quel periodo almeno.
Tutte le volte che si scoraggiava in quel modo gli rimbombava nella testa la voce preoccupata di Yura che parlava con Mila, che le diceva di non volerlo perdere e pur essendo l’accaduto di ormai qualche giorno prima lo rincuorava sempre.
Non avevano avuto modo di parlare, la sera stessa.
Quando era tornato a casa aveva trovato Yura sotto le coperte, ad affollare il cuscino con una nuvola scarmigliata di capelli biondi. Gli sembrava che fosse troppo rigido perché stesse dormendo e non si era ancora liberato della convinzione che avesse finto di essere già sprofondato nel mondo dei sogni per evitare l’argomento.
Non sarebbe stato strano che avesse tentato di avvicinarlo con il messaggio della cioccolata e i borbottii scostanti con cui l’aveva salutato.
Ognuno si stava dedicando alla propria bevanda in silenzio, interrotto solo quando Yuri azzardò a prendere un marshmallow dal sacchetto che se ne stava infilato tra lo schienale del divano e il cuscino del sedile.
« Mangi i marshmallow? Pensavo che mi avresti rifilato qualche scusa sulla dieta », disse Yura, guardando l’altro con un sorriso divertito.
Il giapponese interruppe i propri movimenti, immerso nel mangiare un marshmallow intinto nella cioccolata.
« Non si dice mai di no ai marshmallow », ribatté, sorridente a propria volta.
Mangiò il dolcetto e sistemò la schiena contro il divano.
« E poi… »
Si interruppe.
Non era un momento esattamente perfetto, ma poteva essere uno dei migliori delle ultime settimane. Non aveva senso rovinarlo o rischiare che questo accadesse.
« Poi cosa? »
Yuri scosse la testa.
« Non era niente di che, un pensiero stupido. »
Il biondino parve infiammarsi, quasi sul punto di appoggiare la propria cioccolata sul tavolino per lasciarla da parte mentre parlava.
« Mi hai sentito mentre parlavo con Mila l’altro giorno, no? Lo so che mi hai ascoltato », cominciò. « Non parli mai. Pensi e non dici una maledetta parola. »
Yuri rimase immobile, il sorriso che gradualmente si spegneva sulle proprie labbra. Aveva rovinato tutto.
Poteva fargli notare che era il suo stesso atteggiamento, ma non disse niente.
Quando il russo si accorse che il silenzio sarebbe continuato prese la propria decisione.
« Se non parli mi alzo e me ne vado. »
Quella possibilità parve spaventare Yuri a tal punto che alzò lo sguardo, voltandosi verso di lui.
« Avanti, Yuri! Non era davvero nulla di che. »
« Dimmi a cos’hai pensato. »
Il giapponese soppesò le possibilità. Sarebbe rimasto solo su quel divano, a rimuginare e a buttare anche l’ultimo barlume di speranza che le cose potessero prendere una piega migliore.
Sospirò.
Tanto valeva rischiare.
« Ho pensato a Viktor », cominciò. « E mi è venuto in mente quando mi vedeva con qualcosa di dolce in mano e me lo portava via parlando della dieta. »
Quando si voltò in direzione del ragazzo, Yuri non capì di preciso che espressione stesse sfoggiando. Aveva un sopracciglio inarcato, quasi lo stesse giudicando.
Stava per scusarsi, per dire che non avrebbe dovuto tirarlo in ballo.
« Non è una cosa che uno si dimentica facilmente », ruppe il ghiaccio Yura, bevendo un sorso della propria cioccolata. « Era lì che blaterava qualche cazzata sulle calorie. “Oh mio Dio, Yuri! Non posso permetterti di ingrassare! Né va della tua salute, la tua salute!” »
Yuri rise. Di botto, senza nemmeno pensarci, per un inaspettato numero di imitazione che Yura aveva inscenato solo per lui.
Il russo nascose le labbra, incurvate in un sorriso, dietro il proprio bicchiere fumante.
« Se ora fosse qui butterebbe i marshmallow e mi fisserebbe con quella faccia arrabbiata che fa sempre… »
« Quella con le mani sui fianchi, il sopracciglio alzato e il piede che sbatte per terra? »
Yuri annuì.
« Ah, è tosta quella », disse Yura con uno sbuffo di risata.
Per qualche istante ognuno tornò a scaldarsi le mani con la propria cioccolata, senza berla.
Era stato quasi come se per un momento Viktor fosse di nuovo in quell’appartamento con loro.
« Sai, non è che non dobbiamo parlarne. Di Viktor, intendo », disse Yura, fissando la superficie densa della propria cioccolata, ormai rimasta scoperta dalla panna.
Il giapponese strinse appena le dita intorno alla carta, annuendo appena.
« Ti manca, vero? »
Era scontato, era ovvio che a Yura mancasse tanto quanto mancava a lui. Non c’era nulla che potesse dirgli per confortarlo, perché sapeva che in quel momento ogni singola parola sarebbe sembrata una bugia.
Si ritrovò a fronteggiare due smeraldi verdi sgranati, lucidi. Yura si stava mordendo il labbro, invano.
« Da morire. »
Non appena il cervello di Yuri registrò quelle parole, il ragazzo piantò subito la propria cioccolata sul tavolo e si sporse, incurante di aver rovesciato i marshmallow e di essere venuto meno a tutte quelle regole che si stava imponendo per non allontanare il più piccolo.
Lo strinse a sé, facendo giusto attenzione che la cioccolata non gli cadesse. Così, con la guancia affondata contro il proprio petto, non poteva nemmeno vedere il viso del giapponese.
Sorrideva, ma era sul punto di piangere finché la sua mente riusciva solo a ripetersi “per fortuna, tu ci sei ancora”.
« Ohi, Katsuki?! Che diavolo ti dice il cervello…?! »
Le sue proteste suonavano meno valide se la sua voce era rotta e tremava in quel modo.
« Manca anche a me », sussurrò. « E mi dispiace, mi dispiace, Yuri… avrei dovuto esserci e invece guarda che razza di scherzo, non ricordavo nulla », ridacchiò, anche se con amarezza. « Però ora sono qui. »
Si aspettava di sentirlo dire che non ne aveva bisogno, che poteva cavarsela da solo. Che era grande. Ma forse proprio per questo aveva capito che l’età in certe faccende contava poco.
Yura sospirò e si sporse, solo per liberarsi le mani e rimanere con la guancia premuta contro la stoffa del maglioncino di Yuri.
« Ti conviene non essere andato da nessuna parte, Yuri. »
 
Uno squillo, due squilli.
Yuri sentì qualcosa che si muoveva tra le proprie braccia e solo in quel momento si rese conto che Yura, ancora stretto nella sua presa, stava tentando di alzarsi combattendo contro la pesantezza del suo corpo e il sonno.
Erano crollati, entrambi dopo aver pianto in silenzio per sembrare all’altro abbastanza forte da poterlo consolare. Eppure gli occhi gonfi e arrossati parlavano chiaro.
Si rivolsero uno sguardo, ma lo puntarono subito altrove dopo essersene accorti.
« Chi cazzo è che rompe a quest’ora…? » si lamentò Yura dopo aver gettato uno sguardo all’orologio.
Mezzanotte passata.
« Otabek? » azzardò Yuri, mentre si alzava lentamente.
« Spero di no per lui. »
Trascorse un breve attimo tra quelle parole scocciate e la risposta che Yura diede a chiunque lo avesse chiamato. Troppo intontito dal sonno per avanzare ipotesi valide, Yuri si era rassegnato all’idea di chiedergli in seguito chi fosse il disturbatore.
Vederlo sbiancare in quel modo non faceva parte dei suoi piani.
Si alzò in fretta, improvvisamente lucido.
L’ospedale, doveva essere l’ospedale.
Provò l’istinto di correre verso la porta, ma non doveva, non poteva farlo dopo aver cercato di dimostrare che era tornato, che voleva aiutare anche lui.
Il braccio di Yura si abbassò dopo aver salutato e si voltò verso il giapponese. Gli occhi scuri erano sgranati, terrorizzati, pieni di domande e di timori.
« Dobbiamo andare da Viktor, Yuri. »
Non ebbe nemmeno il coraggio di chiedergli cosa fosse successo, non provò l’istinto di farlo.
Quello che ricordava dopo era solo una folle corsa, nel freddo e nel buio della notte, per raggiungere l’ospedale.
Il fiatone, il dolore ai muscoli e l’adrenalina che gli faceva tremare ogni fibra del corpo.
E poi ciò che aveva visto in quella stanza d’ospedale.
 
*
Il giorno dell’incidente
 
Era una giornata di sole, che rendeva confortevole una passeggiata anche se era inverno e non ci si poteva togliere i cappotti.
Yuri e Viktor si erano sentiti come se non potessero affatto perdersi un giorno simile, rischiando magari di non rivederne uno così fino alla successiva primavera, quando finalmente il lago di Central Park avrebbe smesso di essere ghiacciato così come l’erba di essere brinata.
Erano addirittura potuti uscire senza guanti, preferendo il supplizio della crema al non potersi tenere per mano. Cosa che avrebbero fatto ugualmente, anche con le mani fasciate di stoffa pesante. Il problema era non sentirsi.
Una risata aveva tirato l’altra fin da quando avevano iniziato ad indossare i propri vestiti per uscire di casa. Yuri era riuscito ad infilarsi il maglione a rovescio e ad incastrarvisi, quando l’etichetta gli aveva pizzicato il collo costringendolo a tentare di metterlo dritto.
Viktor aveva dovuto aiutarlo e quando aveva visto la chioma arruffata di Yuri sbucare dall’intreccio di fili di lana non era riuscito a trattenersi dal baciargli la punta del naso, lievemente arricciata.
Stavano insieme da tutto il giorno, ma era come se non riuscissero mai a stancarsi di essere l’uno con l’altro.
Central Park era insolitamente tranquillo, il cigolio di qualche passeggino a calcare la ghiaia del vialetto, ma erano insieme e nulla li stava disturbando, mentre trovavano in qualsiasi cosa dei commenti da fare.
A metà del ponte che dava sul laghetto di Central Park Viktor si era fermato, si era affacciato alla balaustra di pietra e aveva osservato i bambini che tentavano di rimanere in equilibrio sui pattini.
Aveva sorriso divertito, quasi provasse una nostalgia di cui nemmeno lui conosceva il motivo, senza neanche accorgersi dello sguardo completamente innamorato che Yuri gli stava rivolgendo.
C’era un pensiero un poco sciocco che spesso attraversava la mente del giapponese: Viktor d’inverno era bellissimo. Non che normalmente non lo fosse, ma il suo viso pallido spruzzato appena del dispettoso rossore dovuto al freddo, le ciocche argentate e gli occhi di ghiaccio erano più affascinanti sotto la luce dell’atmosfera invernale.
Yuri si era avvicinato per lasciare un bacio su quella guancia rosata, riscuotendo Viktor dai suoi pensieri.
Il volto di Viktor era stato il sipario di un sorriso raggiante, prima che gli rubasse a propria volta un bacio, ma sulle labbra.
Yuri sentiva una strana sensazione, le farfalle nello stomaco, la pelle che rabbrividiva sotto i vestiti, ma non per il freddo. Gli sembrava che stesse per accadere qualcosa.
Ne ebbe conferma quando vide Viktor cimentarsi in qualcosa che non credeva lo avrebbe mai visto fare: si era inginocchiato di fronte a lui, tenendogli la mano che aveva nuovamente intrappolato nella propria presa.
Per un attimo Yuri non aveva sentito più nulla, un fischio assordante lo aveva reso incapace di udire ciò che invece i suoi occhi avevano visto dire dalle labbra di Viktor.
« Sposami, Yuri Katsuki. »
Viktor Nikiforov non avrebbe potuto chiederlo in modo diverso, così sicuro di ciò che voleva e sempre determinato a non ottenere mai un rifiuto.
Yuri aveva scoperto che ogni fantasia fatta fino a quel momento – perché sì, sognava quella domanda tanto da essere disposto ad essere lui, a porla – si era appena realizzata, anche mentre crollava in ginocchio davanti a Viktor e lo stringeva, scoppiando a piangere.
Viktor era l’unico motivo per cui riusciva a singhiozzare per qualcosa che non fosse la tristezza.
Erano rimasti lì a terra diversi attimi, Yuri che ancora in lacrime ripeteva quanto volesse sposarlo anche subito, lì, di fronte ai bambini che sotto di loro avevano smesso di pattinare per osservare la scena attraverso le colonne di pietra che sorreggevano la balaustra del ponte di Central Park.
Viktor gli aveva fatto calzare l’anello, rimanendo per qualche attimo a bearsi di quanto bene la sottile fede d’oro stesse sulla pelle candida di quello che era a tutti gli effetti il suo fidanzato. Tuffata la mano nella tasca del cappotto nocciola, ne aveva estratto un secondo anello, che aveva messo nella mano di Yuri.
Mentre lo faceva scivolare intorno l’anulare di Viktor, Yuri aveva sentito il cuore che batteva all’impazzata, le mani che tremavano e le lacrime che non smettevano di scendere nemmeno grazie alle labbra di Viktor che gli baciavano le guance.
Ricordava che quando erano riusciti ad alzarsi in piedi, nonostante esistessero solo loro, Viktor aveva scattato una foto.
Per Yura, aveva detto, che sapeva tutto e a modo suo era riuscito ad incoraggiarlo nell’unico momento della sua vita in cui era stato in grado di vacillare.
Era tutto perfetto: le loro mani intrecciate, gli anelli scintillanti che brillavano sotto la luce del sole che filtrava attraverso le fronde degli alberi.
Erano usciti dal cancello e avevano passeggiato sul marciapiede. Dall’altro lato della strada, Yuri aveva visto la fioreria. Il profumo del negozio portato verso di loro come una ventata che trasportava la fragranza dei fiori invernali.
Il modo in cui stava guardando la vetrina aveva fatto pensare a Viktor che dei fiori erano esattamente ciò che mancava in casa loro. Così, con un bacio sulla guancia, aveva detto a Yuri di entrare ad ordinare qualcosa di caldo in un bar, per berlo mentre tornavano.
Quando Yuri era entrato nel locale aveva continuato a guardare attraverso la vetrina Viktor che si allontanava, sulle strisce pedonali, per raggiungere il negozio; il rombo di un’auto in lontananza.
Poi quel rumore.
Gli occhi di Yuri si erano sgranati, la vita dentro e fuori dal locale si era fermata.
Tutti stavano guardando in quella direzione.
Era uscito dalla porta correndo, chiamando il nome di Viktor.
Lo aveva visto sdraiato al centro della strada, il rombo della macchina che si allontanava.
Era riuscito a non voltarlo solo perché sapeva che non avrebbe potuto fare nulla se non aggravare la situazione.
Il sangue bagnava i capelli argentati sparsi sull’asfalto.
Aveva sentito le sirene che si mescolavano al rumore della propria voce che ancora singhiozzava il nome di Viktor, tenendo stretta tra le proprie la mano su cui spiccava l’anello dorato.
Poi più nulla.
 
*
 
« Ce l’hai fatta, Yuri. »
Lungo la guancia di Mila era scesa una lacrima, una muta risposta a quelle che, più numerose, rigavano il viso di Yuri.
Yuri non credeva che sarebbe mai arrivato a quel punto, che sarebbe stato in grado di ricordare e di pronunciare quelle parole.
Aveva ricordato quell’avvenimento di colpo, una notte. Si era svegliato urlando il nome del fidanzato, sudato e in lacrime proprio come lo era in quel momento.
Però era riuscito a calmarsi, a prendere lentamente un respiro e a scacciare ogni pensiero.
Sarebbe andato bene, si era ripetuto. Sarebbe passato.
« Mila, spero che questa tortura sia finita. »
Una nuova voce, che mai si era sentita in quella stanza, fece rabbrividire Yuri ancor di più. La sua mano destra ne strinse un’altra, su cui brillava un anello d’oro.
Un singhiozzo scappò dalle labbra del giapponese e Viktor lo strinse, baciandogli una tempia per poi fargli affondare il viso sul proprio petto.
Viktor non lo aveva corretto nemmeno una volta: era ovvio che Yuri avesse recuperato ogni ricordo.
Dopo aver raccolto la piccola goccia salata sul proprio viso, senza fretta, Mila si alzò, raggiungendo l’altro lato della scrivania per sistemare una mano sulla spalla di Viktor. Poi uscì per lasciarli soli.
Qualche parola russa carezzò le orecchie di Yuri che ancora piangeva.
« Sei stavo bravissimo, amore mio », sussurrò Viktor, tempestandogli i capelli di baci. « Smetti di piangere ora, mi uccidi così. »
Yuri annuì, o almeno il movimento contro il petto di Viktor sembrò ricordare un debole tentativo di dirgli di sì.
Ancora non gli sembrava vero che fosse lì, a farsi bagnare il maglione bianco di lacrime.
Era passato un mese da quando i primi ricordi erano tornati, da quando Yuri era riuscito a riprendere il controllo della propria vita. Da quando l’ospedale aveva telefonato a Yura nel cuore della notte.
Erano corsi lì e quando erano entrati nella stanza, Viktor era seduto, gli occhi aperti che si guardavano intorno velati di confusione.
Si era ripreso gradualmente e per i primi giorni parlargli, senza che rispondesse, era stato straziante. Sembrava che non fosse cambiato nulla, eccezion fatta per qualche piccolo sguardo. Ma non c’era nessun danno e a Yuri bastava sapere questo.
Yuri andava lì ogni giorno per aiutarlo con le terapie, per riempirsi la testa della sua figura che finalmente si muoveva di nuovo, lo guardava di nuovo.
Ricordava ancora la prima volta che l’aveva chiamato per nome, di come appena aveva ripreso completamente conoscenza si fosse dibattuto per avere un telefono e chiamarlo, dicendogli di correre da lui.
Ricordava quando era ritornato a casa e finalmente era stato lui a potersi occupare di qualcuno, a poterlo baciare come avevano sempre fatto.
Si strinse a lui e annuì, alzando la testa per guardarlo.
Le dita di Viktor si sistemarono sul suo volto e il russo si sporse per potergli baciare prima la fronte, poi le labbra.
« Avevo paura che non tornassi più, Viktor… »
« Lo so, ma sono qui, no? » lo rassicurò l’altro. « Non ci possono dividere tanto facilmente, ti ho promesso che ti avrei sposato, no? Abbiamo ancora troppe cose da fare insieme. »
Yuri annuì appena.
Aveva ancora paura, paura di tutto ciò a cui prima di un’esperienza simile non aveva mai pensato.
Paura che Viktor potesse sbagliarsi, che tutto crollasse di nuovo.
Ma c’era un qualche meccanismo per cui Yuri non poteva fare a meno di fidarsi di Viktor. Era il suo fardello. Uno splendido fardello.
Con le labbra che tremavano lo aveva baciato ancora, sulle poltroncine di quel cupo ufficio dove sperava di non mettere mai più piede.
Se era Viktor a dire che sarebbero stati insieme, Yuri non aveva altra scelta se non crederci.




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Note:
1 Moya lyubov': "amore mio", in russo.


Ed eccoci anche alla fine di questa storia.
Solo due capitoli, sì, ma non so quanto brevi e indolori siano stati, considerando il numero di pagine che vi ho propinato e i temi trattati.
Non ho molto da precisare o giustificare, se non la mia scelta di non scrivere esplicitamente il nome del disturbo su cui mi sono basata per il problema avuto da Yuri. Ovviamente ho fatto le mie ricerche, ma non studio psicologia e più che sulla patologia in sé volevo concentrarmi sulle emozioni di Yuri e sul modo in cui un trauma simile ha momentaneamente modificato i rapporti con le persone a lui care.
Ho cercato una base concreta che pur essendo il fulcro di tutti gli eventi – alcuni sintomi hanno anche determinato dei particolari avvenimenti nel corso della storia – senza però rischiare di addentrarmi laddove non mi sentivo di arrivare per le conoscenze in mio possesso.
Spero che questo non abbia fatto percepire la storia come superficiale.
Detto questo vorrei ringraziare tutte le persone che hanno inserito la fanfiction tra le seguite e le preferite. Spero di sentire un vostro parere ora che la storia si è conclusa, augurandomi che vi sia piaciuta.
Continuerò ad infestare il fandom, nel frattempo vi saluto fino alla mia prossima comparsa ~
   
 
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