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Autore: Marne    19/06/2017    5 recensioni
Dopo quattro anni di apparente pace e prosperità, il Mondo Magico si ritrova ad attraversare un nuovo periodo di crisi. Qualcuno ha iniziato ad uccidere i vecchi Mangiamorte ed Harry Potter, distrutto dopo la Guerra, inizia a soffrire di incubi spaventosi che sembrano voler mettere in dubbio quell'equilibrio raggiunto con tanta difficoltà.
Hermione Granger, dopo esser sparita per ben due anni a causa di un impiego segreto, fa ritorno nella sua terra d'origine per portare una notizia terribile a Draco Malfoy e per riunirsi al vecchio amico nella lotta contro il nuovo Male che sembra volerli sopraffare.
Un bambino è intenzionato a distruggere ciò che è stato costruito in tantissimi anni e con immense difficoltà e nessuno sembra avere il potere di fermarlo. Come si uccide chi è giù sfuggito alla morte?
Genere: Dark, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Katie Bell, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Heir Universe'
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LErede del Male.


 

Did I request thee, Maker, from my clay
to mould me man? Did I solicit thee
from darkness to promote me?*
”.



[John Milton – Paradiso Perduto]

                                  

 

Atto VIII, Parte I –  La Caduta

 

 

C’era uno strano silenzio nella stanza degli interrogatori. Era strano, perché Winter non aveva mai sperimentato il silenzio in vita sua, neppure una volta. Per un lungo periodo si era convinta che, semplicemente, non fosse capace di ricordare quella breve parentesi della sua infanzia in cui il suo potere doveva essere stato così debole da consentirle qualche ora di pace, ma suo padre era stato molto veloce a distruggere quella sua piccola consolazione.

Sei nata per essere magnifica, le aveva detto, pizzicandole la guancia con finto affetto. Il tuo potere è nato con te.

Un modo come un altro per vantarsi di quella sua vittoria, naturalmente. Vantarsi di come fosse riuscito a mettere alle strette sua madre fin dalla tenera età, circuirla al punto da costringerla a sposarlo e dargli una figlia, che fosse così potente da poter assorbire le loro abilità congiunte e diventare la più grande arma mai apparsa sulla faccia della Terra.

Perché Silas Mulciber poteva essere un talentuoso Legilimens, ma Berenice Vane era una naturale1, il suo potere era nato da solo, spontaneo come i fiori selvaggi. Unire il loro patrimonio genetico sarebbe dovuto essere vietato dalla legge, se non dalla natura stessa. Winter era un fenomeno da baraccone e ne era sempre stata consapevole.

Ma non era colpa sua se era nata.

Fin dal primo battito del suo cuore, prima ancora che potesse abbandonare il ventre materno, prima ancora che la magia iniziasse a mostrare segni della sua presenza o che la sua stessa mente potesse iniziare a formulare dei veri pensieri, Elladora era stata capace di esplorare e distruggere la psiche di chiunque si trovasse intorno a lei. Non c’era stato mai del silenzio e per anni era stata convinta di non averne bisogno: non sarebbe riuscita a ragionare senza i pensieri di centinaia e centinaia di persone ad affollarle la mente, figurarsi poi far cose come dormire o studiare. Era stato solo dopo, quando le Banshee l’avevano portata via e le avevano insegnato a schermarsi, seppur parzialmente, e ad abbassare il volume che aveva capito una cosa fondamentale: lei non aveva mai dormito davvero.

Sì, il suo corpo si abbandonava all’incoscienza. Sì, perdeva la capacità di pensare razionalmente. Ma la sua mente era sempre attiva. Sempre presente e sempre capace di captare qualsiasi pensiero fluttuasse intorno a lei.

Era come vivere sott’acqua, aveva realizzato alla fine. Per tutta l’infanzia era rimasta nelle profondità dell’Oceano, nascosta alla luce, convinta che il calore non le servisse. Le Banshee, poi, l’avevano trascinata sempre più su, fin quasi alla superficie. Aveva luce, aveva calore, ma l’acqua era sempre intorno a lei, sempre dentro di lei.

Lo sarebbe sempre stata.

In quell’istante, tuttavia, non sentiva alcun tipo di voce. Nulla, se non i suoi stessi, confusi pensieri. Si permise addirittura di sentirsi felice, ma fu un’emozione estremamente breve.

Non era normale.

«Aveva ragione, sei diventata meravigliosa».

Qualcuno di non identificato – qualcuno di cui lei, evidentemente, non riusciva a percepire i pensieri – parlò con voce piena di una tristezza incomprensibile, quasi fosse dispiaciuto per lei. Accigliata e preoccupata, Winter allungò la mano per prendere la propria bacchetta dalla tasca interna della giacca, senza tuttavia trovarla. Qualcuno aveva preso la sua arma, forse? Quando? Era piuttosto certa di essere stata sempre da sola.

«Chi sei? Fatti vedere!».

La Sala Interrogatori era piccola, le quattro mura ben visibili e, fatta eccezione per la porta da cui lei era appena entrata, senza altro accesso. Non c’era neppure la tipica vetrata a specchio2 che ormai tutti i Quartier Generali tendevano ad utilizzare, così da consentire alle reclute di assistere agli interrogatori senza disturbare nessun altro dei presenti.

Non c’era un angolo in cui il suo accompagnatore – o accompagnatrice – potesse nascondersi.

«Davvero non mi riconosci?» cantilenò ancora la voce, questa volta con dolcezza e suonando decisamente più femminile. C’era qualcosa di noto in quell’intonazione, ma lei non poteva comprendere cosa fosse. Era una vibrazione di fondo, una sicurezza che certamente non aveva conosciuto più da anni. «Mi ferisci, stellina».

Sentendo il mondo tremare sotto ai suoi piedi, Winter arretrò fino a sentire la solidità della porta alle spalle. Le luci tremolarono, oppure fu la sua vista ad oscurarsi per qualche istante, ma non le importò scoprire la verità. Non c’era nessuno nella stanza, così come non c’era stato nessuno a chiamarla in quel modo negli ultimi dieci anni. Nessuno.

Nessuno sapeva.

Come avrebbero potuto? Quelle parole non avevano mai lasciato i sotterranei del castello di famiglia. Non avevano mai lasciato la cella, per quel che valeva. Dubitava fortemente che i ragni nascosti nelle pareti potessero parlarle in quel modo e di certo non erano animagi: se n’era assicurata più di una volta, schiacciandoli fra le dita per trascorrere le ore di silenzio degli ultimi giorni, oppure quando lui richiedeva i suoi servigi, dissanguandola e restituendola rotta a Winter.

“Non piangere, stellina. Il mondo non è brutto come può sembrare”

“Si che lo è. Io so cosa pensano”

“I pensieri non sono tutto ciò che esiste nel cuore di una persona, stellina. Non dimenticarlo mai”.

Le ginocchia le cedettero sotto il peso dei ricordi. Dieci anni dall’ultima volta in cui si era permessa di pensare, eppure il dolore non era cambiato affatto, sempre affilato come una lama e velenoso come una serpe in seno.

Perché ti sei nascosta lì sotto?

Perché sto giocando con il tuo papà, stellina. Prometti di non rovinare il nostro gioco?

Te lo prometto. Posso giocare anche io?

Oh, stellina, vorrei tanto che anche tu potessi giocare. Forse un giorno ce la farai

Faceva improvvisamente più freddo e – ne era certa – le luci avevano smesso di funzionare da un bel pezzo. La sua visione notturna non era mai stata buona, sicuramente non ai livelli di Barry – capace di distinguere il profilo di un Petardo Cinese da quello di un Grugnocorto Svedese nell’oscurità totale – o ai livelli di Katie – che viveva fra le ombre la maggior parte del suo tempo – , ma non aveva mai avuto motivo di lamentarsi, soprattutto perché lei non aveva mai avuto problemi a percepire. Non distingueva ciò che la circondava? Bastava leggere la mente di chiunque fosse intorno a lei.

Il buio no nera mai stato buio, prima.

«Chi sei? Dove sei?» esalò ancora, terrorizzata, mentre scivolava di più su se stessa e, in un attimo di panico, si afferrava le gambe fra le braccia, raggomitolandosi in un inutile tentativo di proteggersi da una minaccia che non riusciva neppure ad individuare. Le ombre la stavano soffocando, infiltrandosi sotto la sua pelle come piccole punture d’ago, dolorose e gelide, anche se il suo sangue sembrava bruciare ogni istante di più.

Attacco di panico, pensò, quasi con distacco, una parte della sua mente, mentre la restante si crogiolava nell’orrore di un silenzio che non aveva nulla della rassicurante tranquillità che così spesso aveva immaginato di poter ottenere. Non si sentiva tranquilla, non si sentiva al sicuro. Non si sentiva neppure sana di mente, se doveva essere sincera.

«Non mi riconosci, stellina?» ribatté la voce, provenendo inspiegabilmente sia dalle sue spalle che dai suoi lati, provenendo dal soffitto e dal pavimento insieme. La voce era ovunque e lei era in nessun luogo, sospesa in un istante di assoluta ed orribile inesistenza.

Non poteva essere.

«Tu sei morta! Io ti ho vista morire» sputò, colma di paura e, forse, una punta di speranza. Non si era mai concessa di provare una simile emozione, nei suoi ventitré anni di vita. Non si era mai concessa quella possibilità. Non aveva senso, lei l’aveva vista con i suoi occhi. Era successo proprio davanti a lei, non era spazio a dubbi.

Aveva visto il sangue, aveva sentito le urla.

Aveva guardato la Morte in faccia e lei l’aveva salutata, sorridendo come se avesse appena vissuto il suo momento di maggiore gloria, come se lei avesse appena assistito ad una grande conquista.

Non era la Morte, si disse, in un istante di lucidità. Non poteva esserlo.

Era solo suo padre.

Curioso come Mulciber avesse sempre negato, anche davanti ai suoi amici, di averla annientata come Winter gli aveva chiaramente visto fare. Naturalmente, nessuno aveva creduto ad una bambina, non quando quella donna aveva sempre mostrato segni di debolezza mentale che, probabilmente, la povera bambina aveva ereditato. E poi, lei stessa aveva visto qualcun altro togliere la vita a sua madre.

Katie le aveva confermato che fosse impossibile, che La Morte in realtà non fosse nulla di visibile.

Ma lei sapeva cosa aveva visto.

«Certo che sono morta, ma perché sei tanto sorpresa che io sia qui?» le chiese, curiosa, la voce a lei nota, facendola rabbrividire più di quanto non stesse già facendo. Perché arrivava da ogni angolo? Era una voce nell’aria? Era dentro di lei, forse? Perché il silenzio ancora la stava torturando, se la voce era lì con lei?

«Non è possibile».

«Non avere paura, stellina. Ti ho mai voluto far del male? Apri i tuoi occhi, guardami» la incitò la voce, con dolcezza infinita, attirandola come la luce avrebbe attirato una falena.

Troppe volte quella voce l’aveva consolata, non poteva permettersi di deluderla.

Non dopo l’ultima volta.

Promettimi che non tornai più in questa stanza!

Te lo prometto”.

Non aveva mantenuto la promessa e la Morte le aveva sorriso. Quella era la sua punizione, forse? Erano passati anni, ma Katie diceva sempre che il tempo è relativo, quando la Madre ha scelto qualcuno. Forse lei era stata scelta, forse aveva assistito a qualcosa di proibito ed era appena stata chiamata a pagare il suo debito.

Lentamente, aprì gli occhi che non credeva di aver chiuso.

Lei non era più lei. Non aveva alcun tipo di dubbio al riguardo. I suoi capelli non erano mai stati color topo, neppure quando la prigionia l’aveva spenta dall’intero, ed i suoi occhi non erano mai stati neri come l’onice più pura3. Lei aveva sempre avuto i capelli come l’oro e lo sguardo d’acquamarina, proprio come Winter.

Non come Elladora.

«Guardami bene, stellina, sono io» provò ancora la creatura davanti a lei – la voce? Ma era davvero quella la sua voce? Era sempre stata così oppure la sua mente le stava giocando un tiro mancino? La creatura non le somigliava, eppure i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. Con stizza, si portò la mano sulla guancia per pulirsi, ma quando la ritirò era rossa di sangue.

C’era un nauseabondo odore di marcio nella stanza.

«Non puoi essere tu».

«Sono tornata per te, per aiutarti» cantilenò la creatura, piegando il capo di lato per lasciarsi scivolare delle ciocche di stopposi capelli grigiastri sulla spalla. La sua mascella era molto più squadrata, il suo collo molto meno fine. «Nessuno di loro ti ha saputa aiutare, non è vero, mia stellina? Nessuno dei tuoi amici. Hanno promesso di salvarti, invece ti hanno tenuta come fenomeno da baraccone».

È ingiusto! Tuonò la parte razionale della sua mente. Loro ti vogliono bene, lo sai benissimo!

Tuttavia non negò le accuse della creatura.

Non l’avevano mai aiutata.

«Povera la mia stellina, loro non lo sanno, non è vero? Non capiscono cosa ti tormenta. Pensano sia tuo padre, non è vero? Così superficiali, così spaventati della verità…» mormorò la creatura, facendosi avanti di qualche passo. Il suo odore era acre, mascolino nonostante lei lo ricordasse completamente differente. «Non ti hanno mai voluta capire».

Hai voluto nasconderti, non è colpa loro!

«Io sono necessaria alla squadra» disse invece, la voce bloccata in gola e capace di lasciare le sue labbra solo come un gemito strozzato dalla paura. La puzza di rancido era sempre più forte, sempre più disgustosa. «Il mio segreto non è rilevante».

La creatura mise il broncio, allungando la mano affusolata per sfiorarle la guancia umida con la punta delle dita. Gli occhi neri brillarono come se un fuoco oscuro avesse iniziato ad ardervi all’interno. «Tu sei il tuo segreto, se quello per loro non è rilevante allora non lo sei neppure tu. Ma non per me» le disse, una dolcezza quasi stucchevole sulla lingua. «Per me, tu sarai sempre la mia stellina».

«Tu sei il mio segreto» le fece notare, sentendo il cuore battere all’impazzata nel suo petto. «Tu dovresti odiarmi».

«Odiare la mia stellina?» il tono oltraggiato della creatura la fece tremare di aspettativa. Era così reale. «Non potrei mai farlo!».

Winter avrebbe voluto chiederle se fosse sicura, se davvero non potesse odiarla, se davvero… «Come puoi? Io ti ho uccisa».

La Morte le aveva sorriso.

Le dita si fermarono sulla sua pelle, gelide come il ghiaccio. «No, mia stellina, tu hai solo fatto come ti era stato ordinato. La Morte ha sempre bisogno di un araldo per annunciarsi, non è vero?» la tranquillizzò, dolcemente, avvicinandosi finché le sue labbra non sfiorarono la fronte di Winter.

«La Morte non esiste».

«Oh, ma il suo figlio prediletto sì. E tu, piccina mia, sei stata scelta da lui» la rassicurò, con una risata che di femminile aveva ben poco. «Vieni con me. Abbraccia il tuo destino e allora sarai perdonata».

«Lui?».

«Vieni, stellina mia. Sisifo ti sta aspettando». 

 

***

 

Hermione Granger aveva visto tante cose, nella sua giovane vita.

Nelle ultime settimane si era convinta di averne viste troppe e di non poter più provare il brivido della paura o della sorpresa. Credeva, forse non senza una punta di egocentrismo, di essere diventata immune a qualsiasi cosa non fossero noia o rabbia.

Si era sbagliata.

«Hermione».

Non si avvicinò, non subito. La sua mente sembrava aver completamente smesso di funzionare, fissata sull’immagine che le si apriva davanti agli occhi, nitida ma al tempo stesso così assurda da non poter essere reale.

L’Uomo Vitruviano, ecco cosa stava guardando, nonostante fosse estremamente più realistico e sanguinolento. E disgustoso. Lei vedeva rosso, ma non erano solo i capelli del protagonista di quello spettacolo degli orrori ad esserlo: rosso era il pavimento, rossi erano i resti dei suoi vestiti, rossa la ferita che gli apriva in due il torace dallo sterno all’ombelico.

Rosso, rosso, rosso.

«Hermione» tentò di nuovo l’Uomo Vitruviano, che non era Fred, non poteva esserlo, la voce ridotta ad un sussurro colmo di orrore. Era sorprendente che stesse parlando, una ferita di quelle non causava la morte immediata? Non era troppo, per poter restare in vita? «A-Aiu-ta-mi».

Con braccia e gambe divaricate ed appeso al muro come se qualcuno l’avesse crocifisso, Fred Weasley era troppo debole per poter sollevare il collo e tenere gli occhi su di lei. Lui doveva raggiungere Winter nella sala degli interrogatori, ma Winter non c’era.

Ed era tutto rosso.

La sua ferita era troppo profonda, troppo grave perché potesse essere ancora vivo. Probabilmente era per quel motivo che lei ancora non aveva dato di matto, correndo nella sua direzione per poterlo raggiungere, per poterlo salvare. Doveva essere una allucinazione, no? Forse qualcuno la stava attaccando usando la Legilimanzia. Forse Winter era impazzita. Era più probabile che lei si fosse rivoltata contro le Banshee, attaccandola, piuttosto che Fred fosse davvero lì, in quelle condizioni.

Quando fece un passo avanti e scivolò sul sangue, atterrandovi in mezzo e sporcando le proprie mani, si rese conto che non ci fosse alcuna pressione contro le sue difese mentali.

Nessuno la stava attaccando.

Non era una finzione.

Il suo primo istinto fu quello di urlare, ma il suo addestramento degli ultimi due anni le impedì di farlo, spingendola però a portarsi la mano a coprire, istintivamente, le labbra. La mano sporca di sangue. Del sangue di Fred.

Rosso, così rosso.

Un conato di vomito la piegò in due, ma non vomitò nulla. Come avrebbe potuto? Fred aveva promesso di portarla fuori a pranzo, una volta che lui e Winter avessero concluso gli interrogatori e che lei avesse letto almeno metà dei suoi rapporti.

Fred, Fred era l’Uomo Vitruviano, il sangue a terra era di Fred.

Scivolò ancora, nel tentativo di rimettersi in piedi, e sentì il sapore del sangue sulle labbra sporche. Era sufficientemente vicina da poter vedere tutti quei macabri dettagli di un corpo troppo maltrattato per essere ancora vivo. Il sangue ancora gocciolava – troppo lentamente, troppo poco sangue in quel corpo – ed il cuore batteva sotto al suo sguardo. Perché i polmoni si allargavano? Perché Fred si stava lamentando?

Era vivo, ma non poteva esserlo.

Era vivo, ma ancora per poco.

Non lui, ti prego, non lui. La sua mente aveva ricominciato a funzionare, ma era stata la sua parte più debole a tornare in vita, non quella necessaria, non quella coraggiosa. Era stata l’Hermione non ancora addestrata a farsi avanti, perché l’idea di perderlo – non anche lui, non Fred – l’aveva scossa al punto da riemergere dal cassetto in cui la Banshee l’aveva rinchiusa. Era impotente, era spaventata.

«Hermione» tentò ancora l’Uomo Vitruviano, che era Fred ma non poteva esserlo. Non lui, non lui. Chiamava lei, ma Hermione non era sicura che potesse vederla. I suoi occhi erano spenti, erano fissati al suolo – contro il suo stesso sangue che inzuppava il pavimento ed i vestiti di lei – ed il suo viso era così pallido da non sembrare più vivo. Come poteva esserlo?

«Andrà tutto bene» fu tutto ciò che lei riuscì a dire, rialzandosi per non essere più ad altezza di quella ferita insensata – avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo ma lui era ancora – e per potergli sfiorare la guancia incavata con la punta delle dita. Era troppo freddo, troppo morto. Per favore, per favore non lui. «Andrà tutto bene, Fred».

«Tir-Tiresias» sputò l’uomo che non poteva essere, la voce ogni secondo più debole, più rasposa. «Preso… Win».

«Shhh» sussurrò lei, ignorando qualsiasi cosa non fosse il suo respiro o il movimento di quei polmoni che lei riusciva a vedere e del cuore che vi batteva in mezzo. «Non parlare, non parlare… adesso troveremo aiuto, adesso…».

Cosa avrebbero potuto fare, i guaritori? Chi li avrebbe aiutati?

Lui era vivo, ma avrebbe dovuto essere morto.

Vivo. Morto. Tiresias.

Lo sentì sussurrare qualcosa di incomprensibile – o forse incomprensibile solo a lei ­– prima di perdere i sensi.

«Fred…».

Il rumore di una porta sbattuta con violenza avrebbe dovuto farla trasalire, ma lei appena la sentì. Restò lì, senza speranze e indifesa, proprio davanti a colui che aveva preferito perderla piuttosto che vederla in quelle condizioni4.

Non Fred, non Fred.

Delle braccia forti la tirarono indietro, lontana da Fred, ed un attimo dopo si ritrovò con il viso premuto contro il petto di Malfoy, la camicia un tempo bianca subito sporca di sangue. Sangue di Fred. «Mezzosangue» la chiamò, la voce lontana come se fosse giunta dalla fine di un tunnel. «Respira, Mezzosangue, respira. Se continui così, perderai i sensi» la ammonì, stringendo più forte intorno alle sue spalle come se avesse temuto che le ginocchia potessero cederle.

«Non lui» fu tutto ciò che lei riuscì a dire alla fine, la voce ridotta ad un sibilo strozzato. Stava singhiozzando, ma quando aveva iniziato?

Malfoy imprecò sottovoce. «Cosa cazzo gli è successo?» chiese, ma non a lei. C’era qualcun altro nella stanza, con loro. Qualcuno che forse capiva, qualcuno che poteva dirle che non era Fred? «Dimmi che puoi far qualcosa, quella dannata famiglia ha perso troppo».

Lei aveva perso troppo.

Singhiozzò più forte, ma combatté per potersi girare e fronteggiare chiunque fosse lì con loro. Doveva chiedere, doveva sapere.

Non poteva perdere anche Fred.

Davanti ai suoi occhi, una Katie Bell che non era Katie ma non era neppure Katrina, aveva le mani all’interno della ferita di Fred, i suoi occhi neri come la morte ma il suo viso neppur lontanamente spaventoso com’era sempre stato.

Aiutalo, aiutami.

«Una vecchia maledizione che i Negromanti usavano millenni fa» rispose la donna, accigliata. Non sembrava preoccupata, non sembrava spaventata. Ma era Fred, Katie era amica di Fred. «Gli ha impedito di morire» continuò, stringendosi nelle spalle. Il suo sorriso fece tremare Hermione. Con uno strattone, tirò fuori dal corpo di Fred un ammasso nero e viscido, praticamente irriconoscibile. «Ah, ho sempre sperato di vederne uno. Si chiamano Mangianima5, Barry impazzirà di gioia» cinguettò, irriconoscibile.

«Puoi aiutarlo?».

Era stata davvero Hermione a parlare? Era stata lei a far uscire quelle parole dalle sue labbra?

«Oh, lui è già morto». 

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

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Non odiatemi, la Trama ha richiesto questo cambiamento d’eventi, io sono innocente.

Dopotutto lui anche nel Canon è morto.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Ti chiesi io, Creatore, di crearmi uomo dall’argilla, ti chiesi io dall’oscurità di promuovermi?. Il Paradiso Perduto di Milton è fra le mie opere preferite, un capolavoro assolutamente incredibile, l’esaltazione dell’Antieroe per eccellenza (Lucifero, un tempo angelo del paradiso e poi sovrano dell’Inferno). Oltretutto, questa stessa citazione è stata ripresa anche nel Frankenstein di Mary Shelley. Parlare di mostri che vengono creati contro la loro volontà è come parlare di Winter Vane. 

 

» 1 – Naturale: qualcuno nato con un certo potere. Per esempio i Metamorfomagus sono naturali, Winnie è a sua volta una naturale.

 

» 2 – Avete presente quegli specchi che sono a doppia via? Si vedono tantissimo nei film americani per gli interrogatori!

 

» 3 – Se non fosse chiaro, si tratta di Tiresias! Gli occhi neri non sono come quelli di Kate, non sono occhi COMPLETAMENTE neri (anche la sclera) ma soltanto l’iride. Semplici occhi neri, come quelli di Voldemort/Tom Riddle o della piccola Horcrux.

  

» 4 – Fred ha proposto Hermione per le Banshee, ma non perché credeva che lei fosse perfetta ma perché era consapevole che solo loro potessero tirarla via da quella spirale di depressione in cui era caduta dopo la Guerra. Lui ha preferito vederla andare via piuttosto che saperla sofferente. (Non dimentichiamoci che Freddie aveva anche certi sentimenti mal nascosti).

 

» 5 – Mangianima, sono bestioline piccole e nere che i negromanti mettevano dentro i moribondi come punizione per non farli morire. Impediscono all’anima di lasciare un corpo, estendendone le sofferenze. Sono bestiole praticamente estinte, per questo Barry sarà entusiasta.

 

 

Mi dispiace.  

 

  

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

   
 
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