L’Erede del Male.
“Did I request thee, Maker, from my
clay
to mould me man? Did I solicit thee
from darkness to promote me?*”.
[John Milton – Paradiso Perduto]
Atto VIII, Parte I
– La Caduta
C’era uno strano silenzio nella stanza degli
interrogatori. Era strano, perché
Winter non aveva mai sperimentato il silenzio in vita sua, neppure una volta.
Per un lungo periodo si era convinta che, semplicemente, non fosse capace di ricordare
quella breve parentesi della sua infanzia in cui il suo potere doveva essere
stato così debole da consentirle qualche ora di pace, ma suo padre era stato
molto veloce a distruggere quella sua piccola consolazione.
Sei nata
per essere magnifica, le aveva detto, pizzicandole la guancia con
finto affetto. Il tuo potere è nato con
te.
Un modo come un altro per vantarsi di quella sua
vittoria, naturalmente. Vantarsi di come fosse riuscito a mettere alle strette
sua madre fin dalla tenera età, circuirla al punto da costringerla a sposarlo e
dargli una figlia, che fosse così potente da poter assorbire le loro abilità
congiunte e diventare la più grande arma mai apparsa sulla faccia della Terra.
Perché Silas Mulciber
poteva essere un talentuoso Legilimens, ma Berenice Vane era una naturale1, il suo potere era
nato da solo, spontaneo come i fiori selvaggi. Unire il loro patrimonio
genetico sarebbe dovuto essere vietato dalla legge, se non dalla natura stessa. Winter era un fenomeno da
baraccone e ne era sempre stata consapevole.
Ma non
era colpa sua se era nata.
Fin dal primo battito del suo cuore, prima ancora
che potesse abbandonare il ventre materno, prima ancora che la magia iniziasse
a mostrare segni della sua presenza o che la sua stessa mente potesse iniziare
a formulare dei veri pensieri, Elladora era stata
capace di esplorare e distruggere la psiche di chiunque si trovasse intorno a
lei. Non c’era stato mai del silenzio e per anni era stata convinta di non
averne bisogno: non sarebbe riuscita a ragionare senza i pensieri di centinaia
e centinaia di persone ad affollarle la mente, figurarsi poi far cose come
dormire o studiare. Era stato solo dopo, quando le Banshee l’avevano portata
via e le avevano insegnato a schermarsi, seppur parzialmente, e ad abbassare il volume che aveva capito una cosa
fondamentale: lei non aveva mai dormito davvero.
Sì, il suo corpo si abbandonava all’incoscienza.
Sì, perdeva la capacità di pensare razionalmente. Ma la sua mente era sempre attiva. Sempre presente e sempre
capace di captare qualsiasi pensiero fluttuasse intorno a lei.
Era come vivere sott’acqua, aveva realizzato alla
fine. Per tutta l’infanzia era rimasta nelle profondità dell’Oceano, nascosta
alla luce, convinta che il calore non le servisse. Le Banshee, poi, l’avevano
trascinata sempre più su, fin quasi alla superficie. Aveva luce, aveva calore,
ma l’acqua era sempre intorno a lei, sempre dentro
di lei.
Lo sarebbe sempre stata.
In quell’istante, tuttavia, non sentiva alcun tipo
di voce. Nulla, se non i suoi stessi, confusi pensieri. Si permise addirittura
di sentirsi felice, ma fu un’emozione
estremamente breve.
Non era normale.
«Aveva ragione, sei diventata meravigliosa».
Qualcuno di non identificato – qualcuno di cui
lei, evidentemente, non riusciva a percepire i pensieri – parlò con voce piena
di una tristezza incomprensibile, quasi fosse dispiaciuto per lei. Accigliata e preoccupata, Winter allungò la
mano per prendere la propria bacchetta dalla tasca interna della giacca, senza
tuttavia trovarla. Qualcuno aveva preso la sua arma, forse? Quando? Era
piuttosto certa di essere stata sempre da sola.
«Chi sei? Fatti vedere!».
La Sala Interrogatori era piccola, le quattro mura
ben visibili e, fatta eccezione per la porta da cui lei era appena entrata, senza altro accesso. Non
c’era neppure la tipica vetrata a specchio2 che ormai tutti i
Quartier Generali tendevano ad utilizzare, così da consentire alle reclute di
assistere agli interrogatori senza disturbare nessun altro dei presenti.
Non c’era un angolo in cui il suo accompagnatore –
o accompagnatrice – potesse nascondersi.
«Davvero non mi riconosci?» cantilenò ancora la
voce, questa volta con dolcezza e suonando decisamente più femminile. C’era
qualcosa di noto in quell’intonazione, ma lei non poteva comprendere cosa
fosse. Era una vibrazione di fondo, una sicurezza che certamente non aveva
conosciuto più da anni. «Mi ferisci, stellina».
Sentendo il mondo tremare sotto ai suoi piedi,
Winter arretrò fino a sentire la solidità della porta alle spalle. Le luci
tremolarono, oppure fu la sua vista ad oscurarsi per qualche istante, ma non le
importò scoprire la verità. Non c’era nessuno nella stanza, così come non c’era
stato nessuno a chiamarla in quel modo negli ultimi dieci anni. Nessuno.
Nessuno
sapeva.
Come avrebbero potuto? Quelle parole non avevano
mai lasciato i sotterranei del castello di famiglia. Non avevano mai lasciato
la cella, per quel che valeva. Dubitava fortemente che i ragni nascosti nelle
pareti potessero parlarle in quel modo e di certo non erano animagi:
se n’era assicurata più di una volta, schiacciandoli fra le dita per
trascorrere le ore di silenzio degli ultimi giorni, oppure quando lui
richiedeva i suoi servigi,
dissanguandola e restituendola rotta
a Winter.
“Non
piangere, stellina. Il mondo non è brutto come può sembrare”
“Si che
lo è. Io so cosa pensano”
“I
pensieri non sono tutto ciò che esiste nel cuore di una persona, stellina. Non
dimenticarlo mai”.
Le ginocchia le cedettero sotto il peso dei
ricordi. Dieci anni dall’ultima volta in cui si era permessa di pensare, eppure il dolore non era
cambiato affatto, sempre affilato come una lama e velenoso come una serpe in
seno.
“Perché ti
sei nascosta lì sotto?”
“Perché sto
giocando con il tuo papà, stellina. Prometti di non rovinare il nostro gioco?”
“Te lo
prometto. Posso giocare anche io?”
“Oh,
stellina, vorrei tanto che anche tu potessi giocare. Forse un giorno ce la
farai”
Faceva improvvisamente più freddo e – ne era certa
– le luci avevano smesso di funzionare da un bel pezzo. La sua visione notturna
non era mai stata buona, sicuramente non ai livelli di Barry – capace di
distinguere il profilo di un Petardo Cinese da quello di un Grugnocorto
Svedese nell’oscurità totale – o ai livelli di Katie – che viveva fra le ombre la
maggior parte del suo tempo – , ma non aveva mai avuto motivo di lamentarsi,
soprattutto perché lei non aveva mai avuto problemi a percepire. Non distingueva ciò che la circondava? Bastava leggere
la mente di chiunque fosse intorno a lei.
Il buio no nera mai stato buio, prima.
«Chi sei? Dove
sei?» esalò ancora, terrorizzata, mentre scivolava di più su se stessa e, in un
attimo di panico, si afferrava le gambe fra le braccia, raggomitolandosi in un
inutile tentativo di proteggersi da una minaccia che non riusciva neppure ad
individuare. Le ombre la stavano soffocando, infiltrandosi sotto la sua pelle
come piccole punture d’ago, dolorose e gelide, anche se il suo sangue sembrava
bruciare ogni istante di più.
Attacco
di panico, pensò, quasi con distacco, una parte della sua mente, mentre
la restante si crogiolava nell’orrore di un silenzio che non aveva nulla della
rassicurante tranquillità che così spesso aveva immaginato di poter ottenere.
Non si sentiva tranquilla, non si sentiva al sicuro. Non si sentiva neppure
sana di mente, se doveva essere sincera.
«Non mi riconosci, stellina?» ribatté la voce,
provenendo inspiegabilmente sia dalle sue spalle che dai suoi lati, provenendo
dal soffitto e dal pavimento insieme. La voce era ovunque e lei era in nessun
luogo, sospesa in un istante di assoluta ed orribile inesistenza.
Non
poteva essere.
«Tu sei morta! Io ti ho vista morire» sputò, colma di paura e, forse, una punta di
speranza. Non si era mai concessa di provare una simile emozione, nei suoi
ventitré anni di vita. Non si era mai concessa quella possibilità. Non aveva senso, lei l’aveva vista con i suoi occhi. Era successo proprio davanti a lei,
non era spazio a dubbi.
Aveva visto il sangue, aveva sentito le urla.
Aveva guardato la Morte in faccia e lei l’aveva
salutata, sorridendo come se avesse appena vissuto il suo momento di maggiore
gloria, come se lei avesse appena assistito ad una grande conquista.
Non era
la Morte, si disse, in un istante di lucidità. Non poteva esserlo.
Era solo
suo padre.
Curioso come Mulciber
avesse sempre negato, anche davanti ai suoi amici, di averla annientata come
Winter gli aveva chiaramente visto fare. Naturalmente, nessuno aveva creduto ad
una bambina, non quando quella donna aveva sempre mostrato segni di debolezza
mentale che, probabilmente, la povera
bambina aveva ereditato. E poi, lei stessa aveva visto qualcun altro togliere la vita a sua madre.
Katie le aveva confermato che fosse impossibile,
che La Morte in realtà non fosse
nulla di visibile.
Ma lei sapeva cosa aveva visto.
«Certo che sono morta, ma perché sei tanto
sorpresa che io sia qui?» le chiese, curiosa, la voce a lei nota, facendola
rabbrividire più di quanto non stesse già facendo. Perché arrivava da ogni
angolo? Era una voce nell’aria? Era dentro
di lei, forse? Perché il silenzio ancora la stava torturando, se la voce era lì con lei?
«Non è possibile».
«Non avere paura, stellina. Ti ho mai voluto far del male? Apri i tuoi occhi,
guardami» la incitò la voce, con dolcezza infinita, attirandola come la luce
avrebbe attirato una falena.
Troppe volte quella voce l’aveva consolata, non
poteva permettersi di deluderla.
Non dopo l’ultima volta.
“Promettimi
che non tornai più in questa stanza!”
“Te lo
prometto”.
Non aveva mantenuto la promessa e la Morte le
aveva sorriso. Quella era la sua punizione, forse? Erano passati anni, ma Katie diceva sempre che il
tempo è relativo, quando la Madre ha scelto qualcuno. Forse lei era stata scelta,
forse aveva assistito a qualcosa di proibito ed era appena stata chiamata a
pagare il suo debito.
Lentamente, aprì gli occhi che non credeva di aver
chiuso.
Lei non era
più lei. Non aveva alcun tipo di dubbio al riguardo. I suoi capelli non erano mai
stati color topo, neppure quando la prigionia l’aveva spenta dall’intero, ed i
suoi occhi non erano mai stati neri come l’onice più pura3. Lei aveva sempre avuto i capelli come
l’oro e lo sguardo d’acquamarina, proprio come Winter.
Non come Elladora.
«Guardami bene, stellina, sono io» provò ancora la
creatura davanti a lei – la voce? Ma era davvero quella la sua voce? Era sempre stata così oppure la sua mente le stava giocando un tiro mancino? La
creatura non le somigliava, eppure i suoi occhi si erano riempiti di lacrime.
Con stizza, si portò la mano sulla guancia per pulirsi, ma quando la ritirò era
rossa di sangue.
C’era un nauseabondo odore di marcio nella stanza.
«Non puoi essere tu».
«Sono tornata per te, per aiutarti» cantilenò la
creatura, piegando il capo di lato per lasciarsi scivolare delle ciocche di
stopposi capelli grigiastri sulla spalla. La sua mascella era molto più
squadrata, il suo collo molto meno fine. «Nessuno di loro ti ha saputa aiutare, non è vero, mia stellina? Nessuno dei
tuoi amici. Hanno promesso di
salvarti, invece ti hanno tenuta come fenomeno da baraccone».
È
ingiusto! Tuonò la parte razionale della sua mente. Loro ti vogliono bene, lo sai benissimo!
Tuttavia non negò le accuse della creatura.
Non
l’avevano mai aiutata.
«Povera la mia stellina, loro non lo sanno, non è vero? Non capiscono cosa ti tormenta. Pensano
sia tuo padre, non è vero? Così
superficiali, così spaventati della verità…» mormorò la creatura, facendosi
avanti di qualche passo. Il suo odore era acre, mascolino nonostante lei lo
ricordasse completamente differente. «Non ti hanno mai voluta capire».
Hai
voluto nasconderti, non è colpa loro!
«Io sono necessaria alla squadra» disse invece, la
voce bloccata in gola e capace di lasciare le sue labbra solo come un gemito
strozzato dalla paura. La puzza di rancido era sempre più forte, sempre più
disgustosa. «Il mio segreto non è rilevante».
La creatura mise il broncio, allungando la mano
affusolata per sfiorarle la guancia umida con la punta delle dita. Gli occhi
neri brillarono come se un fuoco oscuro avesse iniziato ad ardervi all’interno.
«Tu sei il tuo segreto, se quello per
loro non è rilevante allora non lo sei neppure tu. Ma non per me» le disse, una dolcezza quasi
stucchevole sulla lingua. «Per me, tu sarai sempre la mia stellina».
«Tu sei
il mio segreto» le fece notare, sentendo il cuore battere all’impazzata nel suo
petto. «Tu dovresti odiarmi».
«Odiare la mia stellina?» il tono oltraggiato
della creatura la fece tremare di aspettativa. Era così reale. «Non potrei mai farlo!».
Winter avrebbe voluto chiederle se fosse sicura,
se davvero non potesse odiarla, se davvero…
«Come puoi? Io ti ho uccisa».
La Morte
le aveva sorriso.
Le dita si fermarono sulla sua pelle, gelide come
il ghiaccio. «No, mia stellina, tu hai solo fatto come ti era stato ordinato.
La Morte ha sempre bisogno di un araldo per annunciarsi, non è vero?» la
tranquillizzò, dolcemente, avvicinandosi finché le sue labbra non sfiorarono la
fronte di Winter.
«La Morte non esiste».
«Oh, ma il suo figlio prediletto sì. E tu, piccina
mia, sei stata scelta da lui» la rassicurò, con una risata che di femminile
aveva ben poco. «Vieni con me. Abbraccia il tuo destino e allora sarai
perdonata».
«Lui?».
«Vieni, stellina mia. Sisifo ti sta aspettando».
***
Hermione Granger aveva visto tante cose, nella sua
giovane vita.
Nelle ultime settimane si era convinta di averne
viste troppe e di non poter più provare il brivido della paura o della
sorpresa. Credeva, forse non senza una punta di egocentrismo, di essere
diventata immune a qualsiasi cosa non fossero noia o rabbia.
Si era sbagliata.
«Hermione».
Non si avvicinò, non subito. La sua mente sembrava
aver completamente smesso di funzionare, fissata sull’immagine che le si apriva
davanti agli occhi, nitida ma al tempo stesso così assurda da non poter essere
reale.
L’Uomo Vitruviano, ecco cosa stava guardando,
nonostante fosse estremamente più realistico e sanguinolento. E disgustoso. Lei vedeva rosso, ma non
erano solo i capelli del protagonista di quello spettacolo degli orrori ad
esserlo: rosso era il pavimento, rossi erano i resti dei suoi vestiti, rossa la
ferita che gli apriva in due il torace dallo sterno all’ombelico.
Rosso,
rosso, rosso.
«Hermione» tentò di nuovo l’Uomo Vitruviano, che non era Fred, non poteva esserlo, la
voce ridotta ad un sussurro colmo di orrore. Era sorprendente che stesse
parlando, una ferita di quelle non causava la morte immediata? Non era troppo, per poter restare in vita? «A-Aiu-ta-mi».
Con braccia e gambe divaricate ed appeso al muro
come se qualcuno l’avesse crocifisso, Fred Weasley era troppo debole per poter
sollevare il collo e tenere gli occhi su di lei. Lui doveva raggiungere Winter
nella sala degli interrogatori, ma Winter non c’era.
Ed era tutto rosso.
La sua ferita era troppo profonda, troppo grave
perché potesse essere ancora vivo. Probabilmente era per quel motivo che lei
ancora non aveva dato di matto, correndo nella sua direzione per poterlo
raggiungere, per poterlo salvare.
Doveva essere una allucinazione, no? Forse qualcuno la stava attaccando usando
la Legilimanzia. Forse Winter era impazzita. Era più probabile che lei si fosse
rivoltata contro le Banshee, attaccandola, piuttosto che Fred fosse davvero lì,
in quelle condizioni.
Quando fece un passo avanti e scivolò sul sangue,
atterrandovi in mezzo e sporcando le proprie mani, si rese conto che non ci
fosse alcuna pressione contro le sue difese mentali.
Nessuno la stava attaccando.
Non era una finzione.
Il suo primo istinto fu quello di urlare, ma il
suo addestramento degli ultimi due anni le impedì di farlo, spingendola però a
portarsi la mano a coprire, istintivamente, le labbra. La mano sporca di
sangue. Del sangue di Fred.
Rosso,
così rosso.
Un conato di vomito la piegò in due, ma non vomitò
nulla. Come avrebbe potuto? Fred aveva promesso di portarla fuori a pranzo, una
volta che lui e Winter avessero concluso gli interrogatori e che lei avesse
letto almeno metà dei suoi rapporti.
Fred,
Fred era l’Uomo Vitruviano, il sangue a terra era di Fred.
Scivolò ancora, nel tentativo di rimettersi in
piedi, e sentì il sapore del sangue sulle labbra sporche. Era sufficientemente
vicina da poter vedere tutti quei macabri dettagli di un corpo troppo
maltrattato per essere ancora vivo. Il sangue ancora gocciolava – troppo lentamente, troppo poco sangue in
quel corpo – ed il cuore batteva sotto al suo sguardo. Perché i polmoni si
allargavano? Perché Fred si stava lamentando?
Era vivo, ma non poteva esserlo.
Era vivo, ma ancora per poco.
Non lui, ti
prego, non lui. La sua mente aveva ricominciato a funzionare, ma
era stata la sua parte più debole a tornare in vita, non quella necessaria, non
quella coraggiosa. Era stata
l’Hermione non ancora addestrata a farsi avanti, perché l’idea di perderlo – non
anche lui, non Fred – l’aveva scossa
al punto da riemergere dal cassetto in cui la Banshee l’aveva rinchiusa. Era
impotente, era spaventata.
«Hermione» tentò ancora l’Uomo Vitruviano, che era
Fred ma non poteva esserlo. Non lui, non
lui. Chiamava lei, ma Hermione non era sicura che potesse vederla. I suoi
occhi erano spenti, erano fissati al suolo – contro il suo stesso sangue che
inzuppava il pavimento ed i vestiti di lei – ed il suo viso era così pallido da
non sembrare più vivo. Come poteva
esserlo?
«Andrà tutto bene» fu tutto ciò che lei riuscì a
dire, rialzandosi per non essere più ad altezza di quella ferita insensata –
avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo ma lui era ancora lì – e per potergli sfiorare la guancia incavata con la punta delle
dita. Era troppo freddo, troppo morto.
Per favore, per favore non lui. «Andrà tutto bene, Fred».
«Tir-Tiresias» sputò
l’uomo che non poteva essere, la voce
ogni secondo più debole, più rasposa. «Preso… Win».
«Shhh» sussurrò lei,
ignorando qualsiasi cosa non fosse il suo respiro o il movimento di quei
polmoni che lei riusciva a vedere e del
cuore che vi batteva in mezzo. «Non parlare, non parlare… adesso troveremo
aiuto, adesso…».
Cosa avrebbero potuto fare, i guaritori? Chi li avrebbe aiutati?
Lui era vivo, ma avrebbe dovuto essere morto.
Vivo.
Morto. Tiresias.
Lo sentì sussurrare qualcosa di incomprensibile –
o forse incomprensibile solo a lei –
prima di perdere i sensi.
«Fred…».
Il rumore di una porta sbattuta con violenza
avrebbe dovuto farla trasalire, ma lei appena la sentì. Restò lì, senza
speranze e indifesa, proprio davanti a colui che aveva preferito perderla
piuttosto che vederla in quelle condizioni4.
Non Fred,
non Fred.
Delle braccia forti la tirarono indietro, lontana
da Fred, ed un attimo dopo si ritrovò
con il viso premuto contro il petto di Malfoy, la camicia un tempo bianca
subito sporca di sangue. Sangue di Fred.
«Mezzosangue» la chiamò, la voce lontana come se fosse giunta dalla fine di un
tunnel. «Respira, Mezzosangue, respira.
Se continui così, perderai i sensi» la ammonì, stringendo più forte intorno
alle sue spalle come se avesse temuto che le ginocchia potessero cederle.
«Non lui»
fu tutto ciò che lei riuscì a dire alla fine, la voce ridotta ad un sibilo
strozzato. Stava singhiozzando, ma quando aveva iniziato?
Malfoy imprecò sottovoce. «Cosa cazzo gli è successo?» chiese, ma non a
lei. C’era qualcun altro nella stanza, con loro. Qualcuno che forse capiva, qualcuno che poteva dirle che non era Fred? «Dimmi che puoi far
qualcosa, quella dannata famiglia ha perso troppo».
Lei aveva
perso troppo.
Singhiozzò più forte, ma combatté per potersi girare
e fronteggiare chiunque fosse lì con loro. Doveva chiedere, doveva sapere.
Non
poteva perdere anche Fred.
Davanti ai suoi occhi, una Katie Bell che non era
Katie ma non era neppure Katrina, aveva le mani all’interno della ferita di
Fred, i suoi occhi neri come la morte ma il suo viso neppur lontanamente
spaventoso com’era sempre stato.
Aiutalo,
aiutami.
«Una vecchia maledizione che i Negromanti usavano millenni fa» rispose la donna,
accigliata. Non sembrava preoccupata, non sembrava spaventata. Ma era Fred, Katie era amica di Fred. «Gli ha impedito di morire»
continuò, stringendosi nelle spalle. Il suo sorriso fece tremare Hermione. Con
uno strattone, tirò fuori dal corpo di
Fred un ammasso nero e viscido, praticamente irriconoscibile. «Ah, ho sempre sperato di vederne uno. Si
chiamano Mangianima5,
Barry impazzirà di gioia» cinguettò, irriconoscibile.
«Puoi aiutarlo?».
Era stata davvero Hermione a parlare? Era stata
lei a far uscire quelle parole dalle sue labbra?
«Oh, lui è già morto».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Non odiatemi, la Trama ha
richiesto questo cambiamento d’eventi, io sono innocente.
Dopotutto lui anche nel
Canon è morto.
Punti importanti:
» *
- Ti chiesi io, Creatore, di crearmi uomo dall’argilla, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi?. Il Paradiso Perduto di Milton è fra le mie
opere preferite, un capolavoro assolutamente incredibile, l’esaltazione
dell’Antieroe per eccellenza (Lucifero, un tempo angelo del paradiso e poi
sovrano dell’Inferno). Oltretutto, questa stessa citazione è stata ripresa
anche nel Frankenstein di Mary Shelley. Parlare di mostri che vengono creati
contro la loro volontà è come parlare di Winter Vane.
» 1
– Naturale: qualcuno nato con un certo potere. Per esempio i Metamorfomagus sono naturali,
Winnie è a sua volta una naturale.
» 2
– Avete presente quegli specchi che sono a doppia via? Si vedono tantissimo nei
film americani per gli interrogatori!
» 3
– Se non fosse chiaro, si tratta di Tiresias!
Gli occhi neri non sono come quelli di Kate, non sono occhi COMPLETAMENTE neri (anche
la sclera) ma soltanto l’iride. Semplici occhi neri, come quelli di
Voldemort/Tom Riddle o della piccola Horcrux.
» 4
– Fred ha proposto Hermione per le Banshee, ma non perché credeva che lei
fosse perfetta ma perché era consapevole
che solo loro potessero tirarla via da quella spirale di depressione in cui era
caduta dopo la Guerra. Lui ha preferito vederla andare via piuttosto che
saperla sofferente. (Non dimentichiamoci che Freddie
aveva anche certi sentimenti mal nascosti).
» 5
– Mangianima, sono bestioline piccole e nere che i
negromanti mettevano dentro i moribondi come punizione per non farli morire.
Impediscono all’anima di lasciare un corpo, estendendone le sofferenze. Sono
bestiole praticamente estinte, per
questo Barry sarà entusiasta.
Mi dispiace.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie