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Autore: GiuliaStark    27/06/2017    2 recensioni
Elris è una mezzelfo,ha 3500 anni ed ha visto molte battaglie,ora l'unica cosa che vuole è vivere in tranquillità e solitudine il resto della sua immortalità; ma un giorno un vecchio amico dal passato viene a bussare alla sua porta trascinandola nuovamente tra avventure e pericoli che potrebbero sfociare in una nuova guerra e lei vincolata ad una vecchia promessa non può evitare di accettare. Così si metterà in viaggio con una compagnia formata da 13 Nani,uno Hobbit ed uno stregone; ma il viaggio risveglierà in lei antichi orrori che credeva vinti per sempre,incubi che saprà lasciarsi per sempre alle spalle solo se permetterà a se stessa di aprire il suo cuore all'amore...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gandalf, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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~~POV ELRIS

[FLASHBACK, ANNO 343, SECONDA ERA, ESTREMO NORD DELLE MONTAGNE NEBBIOSE]

Dopo mesi, sembrava che finalmente l’inverno stesse giungendo al termine anche qui, all’estremo Nord della Terra di Mezzo. Le alte vette gelate, ricoperte da spessi strati di neve e ghiaccio, presto si sarebbero sciolte sotto i caldi raggi del primo sole, lasciando spazio al verde della primavera di ricoprirle per intero dando un nuovo aspetto al paesaggio. Una nuova vita, un nuovo inizio. Amavo l’inverno, anche se qui era rigido e insolitamente lungo, portava con se una strana pace e serenità che durante i mesi più caldi andavano mano a mano a svanire. Mi piaceva vivere quassù, mi piaceva la drastica variazione della natura tra una stagione e l’altra, mi piaceva la neve e il pallido sole invernale; il profumo dei fiori in primavera e il vento fresco della sera estiva. Ma la fine dell’inverno significava anche altro per me: presto mio padre sarebbe tornato a svolgere il suo dovere di Re viaggiando nella Terra di Mezzo. Negli ultimi anni avevamo goduto di una grande e prospera pace, anche se i consiglieri di mio padre continuavano a ripetere che fosse solo questione di tempo prima che succedesse qualcosa. Per me lui non era solo il Re del nostro popolo, era soprattutto un modello da seguire, un obbiettivo da raggiungere; eguagliare la sua grandezza. Spesso e volentieri, però, non venivo presa sul serio primo fra tutti da mio fratello maggiore Endacil. Diceva che una bambina di dieci anni come me non me capiva assolutamente nulla di guerra, strategie e armi e forse era vero dato che molto poche erano gli Elfi femmina che ricoprivano cariche di un certo rilievo nell’esercito. Io però volevo fare la differenza, volevo seguire le orme di mio padre fino alla grandezza. Sentivo di essere nata per questo. Passavo ore ed ore ad allenarmi con la spada di legno che mi aveva costruito mio nonno; durante i duri allenamenti immaginavo di prender parte a battaglie che sarebbero passate alla storia, fianco a fianco con mio padre, immaginavo di salvare e proteggere i popoli che abitavano la Terra di Mezzo senza distinzione tra le razze. Sognavo la pace e la conseguente permanenza a casa di mio padre anche in primavera. Vederlo partire era per me sia fonte di orgoglio che di paura; ero fiera del lavoro che svolgeva e che ci fosse bisogno di lui, ma d’altro canto il terrore di perderlo durante qualche missione era sempre presente. Così mi son ritrovata spesso sulla balconata della mia stanza, di notte, a guardare l’immenso firmamento e a pregare i Valar di proteggerlo permettendogli di tornare a casa. La primavera era sempre più alle porte e sembrava che proprio quest’anno avesse una certa fretta nel prender piede; le montagne che solitamente restavano innevate per settimane, si sciolsero in breve tempo e con il ghiaccio, man mano, se ne sarebbe andato via anche il Re. Sapevo che la sua partenza sarebbe stata a breve, c’erano troppi movimenti strani in giro e nonostante nessuno si accorgeva di me io mi accorgevo di tutto il resto. Durante una delle mie numerose fughe notturne nel giardino ai piedi della montagna, ascoltai senza volerlo una conversazione tra i miei genitori e il più fidato soldato dell’esercito di mio padre. Parlavano a bassa voce, come se avessero paura di essere ascoltati da orecchie indiscrete; sembrava quasi che dovessero nascondersi da qualcuno, pensai, notando il continuo guardarsi attorno di mia madre. Doveva essere una questione davvero delicata e importante se richiedeva tale segretezza. Nonostante tutto, mi ero avvicinata con attenzione cercando di non farmi né vedere, né sentire ed una volta che trovai un nascondiglio adatto tra i cespugli bassi mi misi ad ascoltare. Il braccio destro di mio padre, Bor, era convinto che il massiccio flusso migratorio dei Nani dall’Ered Luin a Moria avrebbe attirato sguardi indiscreti e che forze oscure stavano già iniziando a mobilitarsi nelle terre di Mordor. Mio padre Amdir mi raccontava spesso delle grandi battaglie, del Signore Oscuro Morgoth e del suo successore Sauron, anche se mia madre non era d’accordo. Mi affascinavano molto quelle storie nonostante comprendessi che per molti erano fonte di grande dolore. Mentre rimanevo seduta lì protetta dall’oscurità ad ascoltare, improvvisamente mi sentii estremamente triste e fragile quando mio padre pronunciò le fatidiche parole:
- È tempo che io rispetti il mio dovere di sovrano e protettore di questa Terra –
La partenza sarebbe stata da lì a due giorni. L’indomani mattina quando mi svegliai fervevano già i preparativi per l’annuncio, ormai ne riconoscevo i segni e in me la tristezza cominciò a farsi sempre più grande ed opprimente. Corsi nella camera di mia madre e quando spalancai la porta intagliata di legno bianco in lacrime, lei capì subito cosa c’era che non andava. Allargò le braccia in un affettuoso gesto materno e fece segno di avvicinarmi; richiusi la porta e senza pensarci un minuto di più mi tuffai nel suo caldo e confortevole abbraccio, mentre calde lacrime mi rigavano le guance. Iniziò a cantare una vecchia canzone Elfica che le aveva insegnato mio padre e che usavano per calmare i miei pianti quando ero appena nata. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quella dolce musica giocando con i suoi lunghi capelli castani, mentre lei mi accarezzava dolcemente la schiena stringendomi a se e facendomi sentire amata. Ero molto affezionata a mia madre e i suoi gesti d’affetto erano per me il più prezioso dei regali, erano la quiete durante la tempesta e il sollievo dai brutti sogni. Erano il mio rifugio dalla quotidianità. Li avrei portati sempre con me, anche a distanza di secoli, e sarebbero stati i migliori ricordi. Tirai su con il naso strofinandomi gli occhi e guardai le iridi verdi di mia madre; mi sorrideva:
- Cosa c’è Elris? – sussurrò dolcemente mentre mi accarezzava le guance. Abbassai lo sguardo sentendomi colpevole per aver origliato ed egoista per voler tenere mio padre a casa con noi, ma mia madre capiva. Capiva sempre tutto – Hai ascoltato la conversazione che abbiamo avuto ieri notte con Bor, non è vero? – alzai lo sguardo e feci un piccolo sorriso mentre lei mi stringeva di più a se – Avevo intuito fossi lì – rise leggermente e quel suono mi ricordò l’acqua cristallina delle fonti dove sorgeva il fiume. Pura e trasparente.
- Come fai a sapere che ero lì? – mugugnai con un filo di voce.
- So che ti piace uscire la sera tardi a passeggiare nel giardino, Colinde, la tua Nutrice mi racconta tutto – sorrideva ed io ne rimasi incantata. Desideravo con tutta me stessa avere da grande sia la bellezza di mia madre, che la forza di mio padre. Annuii leggermente continuando a tenere lo sguardo basso; in quel momento troppi pensieri mi passavano per la testa nonostante fossi solo una bambina. – Cosa ti preoccupa tesoro? – domandò mentre mi sistemava una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
- Papà dovrà partire nuovamente, non è vero? – sussurrai debolmente mentre nuove lacrime minacciavano di cadermi lungo le guance.
- È il suo dovere Elris, lo sai – disse comprensiva.
- Lo so – iniziai a giocherellare con uno dei fiocchi del corpetto del mio abito – È che sono preoccupata, stavolta sembra molto più importante –
- Si tesoro – sospirò mia madre colma di tristezza anche lei – Lo è –
La sera dopo fu organizzato un banchetto per l’occasione. Mio padre sedeva a capotavola sulla sua imponente sedia d’argento dal lungo schienale decorato con filigrana intrecciata, aveva il suo solito portamento regale delle occasioni importanti e le vesti che indossava conferivano maggiore autorità alla sua figura. Mamma diceva sempre che era la creatura più bella che avesse mai incontrato. I lunghi capelli biondo pallido, quasi bianchi, gli occhi azzurri come il cielo invernale e la carnagione pallida gli conferivano un fascino innaturale, etereo e immortale; imponente e imbattibile agli occhi dei nemici. L’espressione seria che gli era calata sul volto, lasciava trapelare la sua preoccupazione aumentando anche la mia e, prima di cenare, pregai nuovamente i Valar. La serata trascorse tra musica, danze e discussioni allegre, ma mano a mano che le ore passavano e si avvicinava il tempo della partenza notai, con estrema tristezza, che anche lo sguardo di mia madre si velò della stessa mia preoccupazione. A distogliermi dai pensieri fu una mano che si poggiò delicatamente sulla mia ma che la strinse con forza facendomi sorridere un po’:
- Andrà bene, come sempre – mi sussurrò all’orecchio Beren, il figlio di Bor, mio migliore amico fin da quando ne avevo memoria.
Sorrisi ed annuii cercando di convincermi di quelle parole e facendomi forza ricordando le parole di mio padre << Coraggio Elris, è questa la chiave di un buon soldato >> . Il banchetto terminò a notte inoltrata, ma sia io che Beren eravamo fuggiti dai doveri già da un po’ per rifugiarci sulla terrazza più alta ed ammirare l’immensa luna piena, la prima della primavera, che risplendeva nel cielo. Parlammo molto quella notte, come facevamo spesso. Parlammo del passato, del presente e del futuro, parlammo delle nostre aspirazioni come guerrieri, dei nostri sogni, dell’addestramento extra che ricevevo in segreto da suo padre e dei nostri fratelli maggiori che si prendevano gioco di noi. Erano momenti magici, solo nostri, e lassù, lontani dal mondo ci dimenticammo dell’incombenza dell’indomani. L’alba giunse troppo presto e il peso che con Beren si era alleggerito, ripiombò improvvisamente sulle mie spalle. Era già tutto pronto, tutti erano giunti a salutare il loro Re che partiva per difendere la pace; il loro eroe, la loro guida, ma pur sempre mio padre. Uscii nel cortile accompagnata da Colinde e Beren: i cavalli erano stati sellati, le vivande preparate e il percorso già tracciato, ma nonostante tutto questo mi fosse estremamente familiare non riuscivo ad abituarmici. Mio padre si voltò verso di me e sorrise amorevolmente, si avvicinò con passo regale e quando si inginocchiò di fronte a me assunse l’espressione del padre buono e protettivo che era togliendosi per qualche istante la maschera di Re che portava quotidianamente:
- Figlia mia – mi prese le mani – Prometto che non sarò lontano a lungo – annuii – Tu bada a tua madre e a quella testa calda di tuo fratello -
- Come sempre – sussurrai sorridendo appena e strappando un sorriso anche a lui.
- La mia piccola guerriera – mormorò con ancora il sorriso sulle labbra contagiando anche me – Ho un regalo per te, per il tuo addestramento – mi fece l’occhiolino.
Fece un cenno ad uno dei suoi uomini che iniziò a farsi largo tra la folla e quando giunse davanti a me mi resi conto che, accanto a lui, si stagliava il pony più alto che avessi mai visto. Aveva il manto nero come la notte più buia e senza stelle e lo sguardo fiero di un combattente. Mi avvicinai poggiandogli una mano sul collo possente e muscoloso accarezzandolo delicatamente:
- È mio? – domandai incerta.
- È tuo – sorrise mio padre.
- Come si chiama? –
- Aeglos – sorrisi – È figlio dei cavalli che vivono sulle grandi vette innevate –
- È bellissimo, grazie padre – continuavo ad accarezzare il suo manto incantata.
Annuì solennemente indossando nuovamente la maschera da sovrano. Era giunto il momento. Mi lasciò un bacio sulla fronte, salutò mia madre e mio fratello e salì in groppa al suo destriero; tutti i suoi uomini lo imitarono.
Tirò leggermente le redini, ma prima che andasse via varcando la soglia dell’arco in pietra che delimitava l’uscita dal nostro regno, mi avvicinai e a gran voce, colma di orgoglio, parlai:
- Quando sarò più grande cavalcherò al tuo fianco padre –
Si fermò e voltandosi leggermente nella mia direzione sorrise:
- Non vedo l’ora figlia mia, non vedo l’ora – e con quelle parole partirono al galoppo.
La sera stessa quando mi ritrovai nuovamente sulla terrazza della mia stanza a guardare il cielo, feci una promessa ai Valar e a me stessa: quando avrei avuto l’iniziazione a guerriera avrei preso il posto di mio padre, avrei guidato io il suo esercito.

[FINE FLASHBACK]

Quando riaprii gli occhi riuscendo a sfuggire all’oscurità che mi aveva intrappolato per giorni, la prima cosa che notai erano i caldi raggi del sole che entravano dalle fessure di una finestra in legno. Mi alzai a fatica su un gomito guardandomi attorno: ero distesa su una lettiga nel mezzo di una vasta stanza usata come stalla ed era giorno inoltrato. C’era un profumo di erba appena tagliata, paglia e frutta fresca, un vero paradiso in confronto a dove eravamo capitati negli ultimi tempi. Riuscii a mettermi seduta poggiando la schiena ad una possente trave in legno finemente intagliato e sospirai leggermente. Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, ma sapevo con certezza che per colpa mia avevamo perso preziosi giorni di viaggio. Piegai leggermente prima la gamba e poi la spalla e notai con mio grande sollievo che il dolore era quasi scomparso del tutto. Non ricordavo molto dell’accaduto, sapevo che l’avevo fatto per salvare Thorin, ma da lì in poi i miei ricordi erano confusi e frammentari, quasi del tutto inesistenti, e forse era meglio così. Poggiai la testa contro la trave e fissai il soffitto; prima di svegliarmi stavo sognando, o meglio, stavo ricordando un frammento della mia infanzia. Era un piccolo ricordo, forse senza senso, ma fu l’inizio di tutto, l’inizio della costruzione della persona che ero ora. Mi mancavano davvero molto quei momenti, mi mancavano l’affetto di mia madre, gli insegnamenti di mio padre ed i giorni passati con Beren ad allenarci, parlare o semplicemente a far nulla. Sembrava una vita fa, la vita di qualcun altro. Avevo mantenuto la promessa, mi ero guadagnata rispetto ed ora guidavo gli eserciti di mio padre, ma a che prezzo? La solitudine era davvero un duro fardello da portare. A distogliermi dai miei pensieri furono delle voci fuori dalla possente porta in legno, mi voltai in quella direzione ed in quel momento entrarono nella stalla Gandalf, Bilbo ed un uomo alto, possente e dalla lunga barba, Beorn. Lo Hobbit nel vedermi sveglia si lasciò andare ad un sorriso radioso e spontaneo che contagiò anche lo Stregone:
- Elris, mia cara, che gioia vederti sveglia! – esclamò sorridente – Come ti senti? -
- Meglio Mithrandir, grazie, se non mi avreste portata qui in tempo non credo ce l’avrei fatta – sorrisi riconoscente.
- Non ti avremmo mai lasciata – sussurrò Bilbo mentre poggiava la mano sulla mia.
- Lo so amico mio, grazie – poggiai l’altra mano sulla sua e la strinsi. Alzai lo sguardo verso Beorn che era ancora fermo lì con l’intenzione di non interrompere questo momento – E grazie soprattutto a te Beorn – annuii riconoscente.
- È un piacere poter aiutare la figlia di Amdir – aveva una voce roca e profonda – Tuo padre era un grand’uomo –
- Posso garantire che pensava lo stesso di te e della tua famiglia –
- Ti ringrazio - annuì con decisone, consapevole che quella ferita non si sarebbe mai rimarginata.
Guardai fuori dalla finestra intravedendo lo sprazzo di un verde e rigoglioso giardino curato nei minimi dettagli e sorrisi tra me e me alla vista di quella bellezza; mi ricordava i giardini della mia casa:
- Gandalf, quanti giorni abbiamo perso? –
- Non molti mia cara, non preoccuparti – rispose poggiandosi sul bastone nodoso.
- Dobbiamo metterci in marcia appena possibile, ora sto bene e posso camminare nuovamente –
- Elris – lo interruppi.
- Mithrandir, sono guarita quasi del tutto e abbiamo una missione da compiere –
- E va bene – sospirò rassegnato – Hai la testardaggine di tua madre – sorrisi – Vado ad avvertire gli altri della tua guarigione – e detto questo uscì dalla stalla seguito da Beorn.
Appena si chiusero la porta a due battenti alla spalle piombò il silenzio, un silenzio dolce e piacevole colmo di pace. Questo posto era davvero un toccasana per l’anima:
- Eravamo tutti molto preoccupati per te – disse Bilbo – Soprattutto alcuni di noi – abbassai lo sguardo su di lui e lo guardai con un leggero sorriso – Credo tu sappia a chi mi riferisco -
- Si – annuii – Lo so Mastro Baggins – sorrisi debolmente.
- Cosa c’è amica mia? – domandò gentilmente.
- Nulla Bilbo – sussurrai.
- Elris, parlami – sospirò appena notando la mia riluttanza – Sai cosa diceva sempre mio nonno Mungo? Che una tazza di the e un buon amico che ti ascolti sono i migliori rimedi per tutto – sorrise – Ora purtroppo sono a corto di the, ma se vuoi io sono qui ad ascoltarti – quelle parole mi strapparono un sorriso.
- Ti ringrazio –
- È un vero piacere – fece una piccola pausa, poi parlò ancora – Quindi, cosa succede? –
Presi alcuni fili di paglia da terra ed iniziai a giocherellarci pensando ancora al sogno che avevo fatto; sospirai e socchiusi gli occhi cercando di raccogliere le forze. Non era facile parlarne:
- Prima di svegliarmi stavo facendo un sogno – sussurrai.
- Oh, un incubo per caso? –
- No – scossi la testa – Anzi, era un bel sogno – sorrisi debolmente mentre continuavo ad intrecciare i fili di paglia.
- Ma suppongo che ci sia qualcosa che ti abbia turbato, giusto? – annuii – Di cosa si tratta amica mia? – sussurrò gentilmente.
Gli raccontai del sogno, o meglio, del mio ricordo, nei minimi dettagli. Gli raccontai della bellezza della mia terra, dei colori, i profumi ed i suoi paesaggi; ma gli raccontai anche dell’angoscia che provavo quando mio padre doveva partire, dello sguardo triste di mia madre, dei sogni della piccola Elris e soprattutto gli raccontai di Beren. Non ne parlavo con nessuno, come se fossi gelosa del suo ricordo, e in un certo senso lo ero. Lui fu il mio braccio destro per tantissimi anni, come suo padre, prima di lui, lo era stato per il mio. Di padre in figlio, di generazione in generazione avevamo ricoperto i ruoli che erano stati dei nostri Re, dei nostri eroi combattendo fianco a fianco, fino a quel fatidico giorno a Mordor dove la vita di Beren fu spezzata dalla spada di uno degli Orchi di Sauron. Era inutile negarlo, quel giorno, alle pendici del Monte Fato, con la morte di Beren se ne andò per sempre anche una parte di me, probabilmente la migliore. Solo quando giunsi alla fine del racconto mi accorsi che i miei occhi si erano riempiti di lacrime; le ricacciai indietro e mi voltai facendo un mesto sorriso:
- E questo è quanto – sussurrai.
- Ti mancano i tuoi genitori, non è vero? –
- Sarei una stupida a negarlo mio caro Bilbo – sospirai – Mi mancano costantemente –
- Ma dopotutto sono bei ricordi, giusto? – domandò con un velo d’incertezza.
- Per questo fanno più male – sussurrai a malapena.
- Oh mia cara – mormorò stringendo più forte la mia mano.
- Quelli sono i miei unici bei ricordi – distolsi lo sguardo e iniziai a fissare un punto impreciso davanti a me – Nonostante fossi sempre preoccupata per mio padre, alla fine ero felice. Non sapevo cosa era la guerra, il dolore o il senso di perdita – sospirai – Tutto quello a cui pensavo era allenarmi per diventare guerriera, ad addestrare il mio cavallo e studiare la storia della Terra di Mezzo e della creazione di Arda –
- E poi cosa è successo che ha rovinato tutto? – chiese.
- Fu un susseguirsi di eventi – presi un lungo respiro per farmi coraggio – Iniziò tutto con la morte di mio padre durante la seconda guerra contro i Serpenti del Nord e proseguì a catena, senza mai fermarsi, fino alla morte di mia madre e tempo dopo quella di Beren -
- Doveva essere davvero molto importante per te quel ragazzo –
- Era il mio unico amico, il migliore – sorrisi leggermente – Mi capiva davvero, mi supportava e mi spronava a dare sempre il meglio di me in tutto quello che facevo – Mi fermai per qualche secondo quando i ricordi cominciarono a riaffiorare con forza – Mio fratello lo odiava invece – risi leggermente.
- Perché? – domandò lo Hobbit.
- Perché era fortemente convinto che sarei stata io a prendere il posto di nostro padre, e lui essendo il maggiore non lo sopportava –
- Però a quanto pare ha avuto ragione – sorrise.
- Già – feci una piccola risata – Era un’altra sua dote, aveva sempre ragione -
Bilbo sorrise ed il suo sorriso spontaneo e sincero contagiò anche me permettendomi di allontanare, almeno per ora, i miei malumori:
- Sono sicuro che riuscirai a crearti nuovi bellissimi ricordi mia cara -
- Non penso sia possibile – scossi la testa.
- Perché mai? –
- Credo sia troppo tardi per me – alzai le spalle rassegnata.
- Non è mai troppo tardi per essere felice –
Mi voltai a guardarlo dritto negli occhi; l’incertezza gli velava lo sguardo, ma sapevo che qualunque cosa volesse dirmi era a fin di bene:
- Dove vuoi arrivare? – domandai.
- Mi riferisco a due persone che tengono moltissimo a te –
- Bilbo – sospirai sapendo fin troppo bene a chi si riferisse – Thorin rappresenta il passato e Kili – feci una piccola pausa incerta su cosa dire – Kili è ancora giovane – terminai con un sospiro.
- Mi ha raccontato di quello che è successo a Gran Burrone –
- Quando? – esclamai non riuscendo a nascondere la mia sorpresa.
- Mentre eri priva di sensi e lui ti vegliava – fece un piccolo sorriso – Era terrorizzato dal perderti – sospirai – E Thorin credo si sentisse in qualche modo responsabile per le tue condizioni -
Abbassai lo sguardo ed annuii. Sapevo che sia Kili che Thorin tenevano molto a me, ma sentire da Bilbo, una persona al di fuori di questa assurda situazione, quelle parole era come se ti sbattessero la realtà in faccia. Potevo ignorare i fatti all’infinito, ma ciò non toglieva la loro veridicità ed odiavo sentire come due delle persone a cui tenevo di più soffrissero a causa mia:
- Thorin non ha nessuna colpa, sapevo perfettamente a cosa stavo andando incontro -
- Lo so – disse – E credo lo sappia anche lui, per questo si sente in colpa. Eri consapevole del pericolo, ma lo hai corso lo stesso, per salvarlo –
- Lo avrei fatto per chiunque di voi, questo non dimostra nulla –
- Credo che Kili non la pensi così –
- So cosa pensa – sospirai – Gli ho raccontato io di me e Thorin, ma sbaglia a cercare un secondo fine. Non nego che ho amato moltissimo suo zio, ma tutte le cose belle hanno un termine, e in un certo senso, nonostante tutto, sarò sempre legata a lui – distolsi lo sguardo per qualche secondo, poi tornai a guardare Bilbo – Ma come ho già detto, il nostro tempo è finito anni fa -
Ci fu una pausa che durò qualche minuto, anche se a me sembrò un eternità. Riuscivo a sentire la preoccupazione di Bilbo nei miei confronti e gli ero estremamente grata dell’affetto che nutriva per me; ma legarmi nuovamente a qualcuno avrebbe significato esporsi di nuovo alla sofferenza e non ero pronta. Non lo sarei mai stata:
- Elris – Bilbo richiamò la mia attenzione.
- Si? – sussurrai.
- Sei abbastanza grande da decidere per te stessa e so che farai la scelta giusta –
- Ma? – aggiunsi – Avanti, non aver paura non ti mangio – sorrisi leggermente cercando di allentare la tensione.
- Vale la pena soffrire per amore, solo questo -
Annuii leggermente abbassando nuovamente lo sguardo sulla piccola treccia di paglia che avevo fatto e pensai alle parole del mio piccolo amico; non potevo negare che avesse ragione, ma come superare la paura di un’altra perdita? Come avrei potuto convivere con il fatto che prima o poi, presto o tardi, sarei stata nuovamente sola? Non credo che avrei retto ancora; il mio cuore era sull’orlo del precipizio e bastava solo una leggera spinta per farlo cadere nel vuoto senza più ritorno. E arrivata a quel punto, cosa sarei diventata? Preferivo non saperlo:
- Sarà meglio raggiungere gli altri – mi alzai cercando di non far eccessivamente leva sulla gamba ferita.
- Saranno felice di vederti – sorrise.
- Lo sono anche io –
Non appena uscimmo dalla stalla sorrisi e respirai a fondo gli aromi presenti nel giardino; il sole illuminava l’erba ancora fresca di rugiada facendola brillare come se tra i suoi ciuffi fossero nascoste tante piccole pietre preziose. Seguii Bilbo fino all’entrata della casa e mi stupii di trovarla così piacevolmente accogliente e curata nei minimi dettagli. Il legno delle travi, delle colonne e delle architravi era intagliato con una precisione tale che rendeva le figure di un realismo inverosimile. Era spaziosa eppure compatta ed essenziale il genere di abitazione che chiunque avrebbe scelto come rifugio dal mondo. Per un momento invidiai Beorn. Entrai nella cucina che svolgeva anche la funzione di sala da pranzo e trovai tutti riuniti lì attorno ad un enorme tavolo decisamente troppo alto per la Compagnia di Nani. Era tutto fuori misura lì dentro, perfino per me; sembrava di essere entrata in uno dei racconti che la mia nutrice mi narrava sempre da piccola. Appena misi piede nella stanza sentii gli sguardi di tutti posarsi su di me e si rallegrarono vedendomi sveglia ed in piedi:
- Elris! – esclamò Balin – Finalmente! – sorrisi.
- Vieni a sederti con noi! – disse Dwalin agitando il suo boccale.
Mi sedetti alla fine della tavola accanto a Bofur; sentivo gli sguardi di tutti puntati addosso. Mi scrutavano, cercando di capire se stessi davvero bene o se fosse solo una farsa per non farli preoccupare:
- Non guardatemi così ragazzi, sto bene, davvero –
- Ci fa molto piacere mi cara –
- Anche a me Dori –
Ricambiai il suo sorriso e senza rendermene conto spostai lo sguardo incrociando per un breve istante quello di Kili. Sembrava stanco, ma non fisicamente, moralmente, come se qualcosa gli avesse prosciugato tutte le energie. Mi guardava, potevo sentirlo, e la sua espressione era pari a quella di chi aveva visto uno spettro. Non proferì parola, si limitava ad osservare con i suoi grandi occhi color nocciola, silenziosamente, come se avesse paura che da un momento all’altro potessi svanire e tutto si fosse rivelato solo un sogno. Ripensai alle parole di Bilbo e mi sentii tremendamente in colpa. Quando Beorn terminò di servire la colazione a tutti, si sistemò alla destra di Thorin con le braccia incrociate al petto:
- Credo che ora sia giunto il momento delle spiegazioni Scudodiquercia – aveva una voce quasi animalesca – Dimmi, perché Azog il Profanatore ti sta dando la caccia? -
- Tu sai di Azog, come mai? – domandò Thorin sorpreso.
- La mia gente fu la prima a vivere sulle montagne prima che gli Orchi scendessero dal Nord – fece una breve pausa – Il Profanatore ha ucciso tutta la mia famiglia, ma alcuni li ha resi schiavi – solo in quel momento notai i bracciali delle catene ai suoi polsi – Non per lavorare, capisci? Ma per sport – si poteva sentire la rabbia crescere in lui – Ingabbiare mutatori di pelle sembrava lo divertisse molto. È solo grazie al padre di Elris se sono ancora vivo – guardò nella mia direzione.
- Sperava di poter fare di più – sussurrai.
- Face davvero molto, anche troppo –
- Ci sono altri come te? – domandò timidamente Bilbo.
- Una volta ce n’erano molti – rispose in tono aspro.
- Ed ora? –
- E ora ce n’è solo uno – versò altro latte nel boccale di Gloin – Dovete raggiungere la Montagna prima degli ultimi giorni d’Autunno – cambiò discorso.
- Prima del Dì di Durin, si – confermò Gandalf.
- Non avete molto tempo –
- Perciò dobbiamo attraversare Bosco Atro –
- Gandalf, hai sentito le parole di Radagast? Un’oscurità grava su quella Foresta e cose malvage l’hanno invasa, non è sicuro – scossi la testa.
- Prenderemo la Strada Elfica mia cara, quella zona è ancora sicura –
- Sicura? – disse Beorn scettico – Gli Elfi Silvani di Bosco Atro non sono come i loro parenti – mi indicò con un cenno della testa – Sono meno saggi e più pericolosi, ma non ha importanza –
- Che vuoi dire? – domandò Thorin.
- Quelle Terre brulicano di Orchi ed il loro numero è in continuo aumento e voi siete a piedi e non raggiungerete mai la Foresta vivi – Thorin aggrottò le sopracciglia mentre Beorn si allontanò dandogli le spalle – Non mi piacciono i Nani – aveva un tono alquanto minaccioso che mi preoccupò un po’ – Sono avidi e ciechi; ciechi verso la vita di quelli che ritengono più miseri di loro – strinse la mano a pugno, talmente tanto che le nocche gli si tinsero di un leggero bianco e fissò il bracciale della catena ormai spezzata – Ma gli Orchi li odio di più – tirammo tutti un sospiro di sollievo – Che cosa ti serve? – domandò rivolto a Thorin.
Beorn, Thorin e Gandalf concordarono che il Mutapelle ci avrebbe concesso di usare i suoi pony lungo il tragitto dalla sua casa al margine di Bosco Atro. Ovviamente nessuno mi ascoltò quando spiegai le mie perplessità nell’intraprendere quel cammino, ma purtroppo il tempo scarseggiava e non potevamo permetterci di tardare ancora. C’era fin troppo in ballo. Sperai solo che i Valar ci avessero assistito lungo il viaggio e che saremmo passati inosservati in quei cupi boschi. Attendemmo il ritorno di Beorn ai margini del suo giardino con i nostri effetti personali già pronti; mi sedetti su un masso ed osservai la nuova cicatrice che mi era comparsa sulla spalla: un piccolo cerchio di un bianco pallido, leggermente più freddo rispetto al resto della mia temperatura corporea. Un'altra decorazione di guerra; l’ennesima. Erano tutti riuniti attorno a Gandalf e Thorin, mentre io ero leggermente in disparte ancora troppo stordita dalla moltitudine di ricordi che la notte scorsa mi aveva investito posandosi come un peso sul cuore. Tirai fuori il pugnale dallo stivale sinistro ed iniziai a giocherellare con la lama catturando su di essa la luce del sole che la faceva scintillare e risplendere come se fosse fatta di cristallo. Mentre ero concentrata nell’osservare la variazione della luce, un’ombra si parò di fronte a me; alzai la testa per niente sorpresa dalla sua presenza:
- Qualcosa ti turba? – domandò Thorin in tono gentile.
Sospirai leggermente rimettendo il pugnale nello stivale ed alzai lo sguardo su di lui; sapevo che stava cercando di alleviare la colpa che lo tormentava e da un lato era una scena abbastanza comica data la sua espressione a metà tra l’imbarazzo e il dispiaciuto. Non molto lontano da noi c’erano gli altri e tra loro, uno in particolare era rivolto verso di noi; Kili ci guardava da lontano, incerto e a disagio. Potevo sentire da dov’ero il rumore dei suoi pensieri. Spostai nuovamente lo sguardo su Thorin:
- Diciamo che farei a meno di attraversare Bosco Atro, se potessi –
- È l’unica via se vogliamo arrivare in tempo… - lo interruppi.
- Lo so, lo so – alzai gli occhi al cielo – Non ci rimane molto, ne sono consapevole, ma ciò non vuol dire che sia la cosa giusta da fare –
- Non dirmi che non sei felice all’idea che potresti rivedere i tuoi amici Elfi – disse con evidente sarcasmo.
- Ti ricordo che ho voltato le spalle a Thranduil molto tempo fa, probabilmente mi odia ancora come il primo giorno. Lui non dimentica facilmente – feci una leggera smorfia.
- Una caratteristica molto diffusa tra voi Elfi – borbottò a bassa voce.
- Come scusa? – alzai un sopracciglio guardandolo dritto negli occhi.
- Non fare finta che non sia così -
- Non che voi Nani siate da meno –
- Forse – sussurrò lui.
- Forse? – incrociai le braccia al petto – Io direi che è stato appurato anche troppe volte -
Distolsi lo sguardo e solo in quel momento mi accorsi che Kili ci stava ancora guardando del tutto ignaro delle gomitate che ogni tanto gli dava il fratello. Le parole di Bilbo mi risuonarono nuovamente in testa e mi sentii tremendamente in colpa, ancora una volta:
- Non dovevi rischiare così tanto – disse di punto in bianco.
Mi voltai a guardarlo; aveva uno sguardo serio ed indecifrabile, ma dietro la sua maschera potevo leggere un velo di gratitudine. In un certo senso mi doveva la vita:
- E lasciarti morire? – feci una risata amara – Non era un opzione –
- Ma così sei quasi morta tu – ribadì.
- Esatto, quasi – lo guardavo dritto negli occhi, occhi azzurri come il cielo che riflettevano perfettamente i raggi dorati del sole – Come vedi ora sto bene – dissi allargando le braccia.
- Hai fatto un gesto avventato, era un suicidio – indurì il tono della voce.
- Sai che mi piacciono le sfide – alzai leggermente le spalle.
- Elfi – borbottò scuotendo la testa – Siete tutti uguali – si voltò allontanandosi
- Comunque non c’è di che, è stato un piacere salvarti la vita! – gli gridai dietro.
Thorin si voltò per metà verso di me e mi guardò scrutandomi e facendomi sentire indifesa; un potere che aveva sempre avuto su di me. Prima di voltarsi nuovamente e tornare dagli altri, si lasciò sfuggire una piccola risata che mi strappò un sorriso sincero alleggerendo il fardello che portavo. Beorn tornò non molto tempo dopo con al seguito tredici piccoli pony dal manto marrone a chiazze bianche, e due stalloni da traino per me e Gandalf. Mentre la Compagnia caricava i propri averi sul rispettivo esemplare, io e lo Stregone ci avvicinammo a Beorn per ringraziarlo dell’ospitalità e del suo prezioso aiuto:
- Lasciate i miei pony prima di entrare nella foresta –
- Hai la nostra parola – annuì Gandalf.
Improvvisamente iniziai a sentire una strana sensazione che man mano cresceva in me, sempre più forte, sempre più fastidiosa ed incombente. Mi guardai attorno con circospezione, scrutando con attenzione la vegetazione e le fitte chiome degli alberi. Uno strano movimento vi era intorno a noi, il vento era cambiato, gli uccellini avevano interrotto il loro dolce canto sostituiti dallo sgraziato gracchiare di alcuni corvi. Il cielo, prima limpido e azzurro, ora andava ad annebbiarsi verso l’orizzonte portando la foschia anche nella mia mente. Un brivido mi corse lungo la spina dorsale; c’era qualcosa di strano, di celato, nascosto in profondità che nemmeno io riuscivo ad individuare chiaramente. E non era un buon segno:
- Siamo sorvegliati – sussurrai mentre continuavo a guardarmi attorno.
- Si – annuì Beorn seguendo il mio sguardo – Gli Orchi non si arrenderanno, daranno la caccia ai Nani finché non li avranno distrutti –
- Dovranno prima passare sul mio cadavere –
- Calma mia cara, abbiamo ancora molto bisogno di te – disse lo Stregone.
- Non permetterò a quella feccia di far loro del male o di ostacolarci –
- Lo so Elris, lo so – annuì poggiando la mano sulla mia spalla.
- Come mai tu, un Elfo di origini nobili riponi la tua fedeltà in un Nano? Le vostre razze sono nemiche da molto tempo – domandò Beorn aggrottando le folte sopracciglia.
- Uno dei grandi insegnamenti di mio padre è che la fedeltà e l’amicizia va oltre le questioni di razza. La Montagna Solitaria è stata per molto tempo anche la mia casa e Thorin e la sua gente la mia famiglia – dissi – Gli devo molto, a tutti loro –
- Ciò ti fa molto onore, Elris figlia di Amdir – esordì in tono solenne.
- Ti ringrazio – annuii.
- Nonostante ciò non sarà facile, gli Orchi non si fermeranno davanti a nulla –
- Perché ora? – domandò Mithrandir pensieroso – Perché il Profanatore striscia fuori dalla sua tana? –
- C’è un’alleanza tra gli Orchi di Moria e lo Stregone a Dol Guldur – a quelle parole un nuovo brivido mi percorse la schiena.
- Sei sicuro di questo? – sussurrai.
- Branchi sono stati visti riunirsi lì, sempre più numerosi, ogni giorno di più –
- E cosa ne sai di questo Stregone? – chiese Gandalf – Quello che chiamano il Negromante? –
- So che non è quello che sembra – aveva un tono lugubre e grave – Creature malvagie sono attirate dal suo potere, Azog gli rende omaggio –
- Gandalf, perdiamo tempo! – lo chiamò Thorin mentre saliva in groppa al suo pony.
- C’è dell’altro – si affrettò a dire Beorn catturando nuovamente la nostra attenzione – Recentemente s’è sparsa voce che i morti son stati visti deambulare vicino le colline alte di Rhudaur –
A quelle parole ebbi un tuffo al cuore: Sauron iniziava a radunare le sue forze per costruire un esercito di potenza letale con il solo obbiettivo di portare a termine quello che aveva iniziato molto tempo fa. Ridurre nell’ombra la Terra di Mezzo era la sua ossessione ed avrebbe fatto di tutto pur di riuscirci. Sperai con tutta me stessa che le nostre forze sarebbero bastate a fermarlo una volta per tutte:
- I morti? – domandò Gandalf aggrottando la fronte, cercando di non esporsi troppo.
- È vero? Ci sono tombe su quelle Montagne? – chiese il Mutapelle.
- Si – sospirai annuendo – Ci sono tombe lassù, protette da incantesimi terribili che avrebbero dovuto impedire che ciò accadesse –
- Io ricordo un tempo dove un grande male governava queste terre; un male potente abbastanza da resuscitare i morti – Beorn ci guardò entrambi con determinazione – Se un potere così è tornato nella Terra di Mezzo gradirei saperlo –
- Saruman il Bianco dice che non è possibile. Il Nemico è stato sconfitto e non farà mai ritorno – disse Gandalf.
- Saruman si sbaglia, è acciecato dalle sue convinzioni e non vuole ascoltare, non vuole vedere i fatti – dissi fremendo di rabbia.
Percepii nuovamente la sensazione di prima e mi voltai di colpo verso la Foresta aguzzando la vista e acutendo i sensi. Stava peggiorando sempre di più; la sensazione di cupo terrore era nell’aria, ancora più densa e palpabile che mai. Un uccello si sentì gracchiare il lontananza:
- Andate ora finché è ancora giorno – si affrettò a dire Beorn mentre un ululato squarciò la quiete – Chi vi dà la caccia non è molto lontano –
Annuimmo entrambi e dopo esserci congedati ringraziandolo ancora, montammo a cavallo e partimmo al galoppo più in fretta che mai. Io aprivo il gruppo, guidando la Compagnia nelle praterie giallo oro illuminate dal tiepido sole di fine estate. Cavalcammo senza sosta per un giorno intero fermandoci solo quando era strettamente necessario; man mano che ci inoltravamo sempre di più nelle Terre Selvagge, la vegetazione si diradava lasciando spazio a vaste distese di erba bruciata dal sole o paesaggi rocciosi; non c’erano molti posti dove nascondersi in caso di un attacco a sorpresa. Spronai ancora di più il cavallo che saltò un imponente masso e procedette la sua corsa sul fianco dell’alta collina a precipizio sulla vallata sottostante; i miei compagni mi seguivano, silenziosi, senza scambiarsi più di qualche sussurro consapevoli di essere sotto sguardi indiscreti. Da quando avevamo lasciato la casa di Beorn, quella sensazione continuava a seguirmi, come se mi stesse rincorrendo e, più ci avvicinavamo a Bosco Atro più si accresceva nutrendosi del timore che nutrivo per quel luogo ormai rovinato dal male. Giungemmo al limitare della Foresta la mattina del giorno successivo, dopo aver passato una notte di continua veglia nascosti sotto una rientranza del terreno roccioso; smontai velocemente da cavallo e mi avvicinai a passo spedito verso gli alberi fermandomi a distanza minima dal sentiero. Osservai quel luogo che conoscevo molto bene fin da bambina e stentai a riconoscerlo: gli alberi sembravano malati, intaccati da un incantesimo logorante che li rendeva mostruosamente cupi e avvizziti; le foglie, una volta verdi e brillanti, ora giacevano a terra, secche, morte, mentre quelle ancora attaccate ai rami aguzzi e nodosi, avevano un che di marcio e i rampicanti, selvaggi e intricati, ricoprivano la strada, l’arco e le statue Elfiche congelandole in un eterno stato di decadenza. Un alone di morte e paura proveniva dai meandri di quel luogo; sussurri e sospiri mozzati giungevano alle mie orecchie portati dal soffiare del vento e un antico e cupo orrore iniziò a farsi largo nella mia testa:
- La Porta degli Elfi – annunciò Gandalf indicandola con il bastone – Qui c’è il nostro sentiero verso Bosco Atro –
- Non c’è segno degli Orchi, la fortuna è dalla nostra parte – disse Dwalin scendendo dal suo destriero.
- Per ora – sussurrò Thorin.
- Liberate i pony, che tornino dal loro padrone – i Nani iniziarono a scendere da essi.
- Questa foresta sembra malata, come se una malattia l’avesse colpita – sussurrò Bilbo avvicinandosi al bosco e osservandolo attentamente – Non c’è modo di aggirarla? – domandò.
- No, a meno che non andiamo per duecento miglia a Nord o il doppio di quella distanza a Sud – disse Gandalf.
- Siamo costretti ad attraversarla temo – sospirò Balin.
Mithrandir oltrepasso l’arco poggiandosi sempre al suo bastone e iniziò a guardarsi attorno ascoltando l’aria ed i fruscii che si facevano strada tra le fronde degli alberi. Si avvicinò ad una delle statue Elfiche ricoperte di edera e rampicanti esaminandole; era come se stesse cercando qualcosa guidato da un istinto venuto da chissà dove:
- Non il mio cavallo! – esclamò improvvisamente – Mi occorre – tornò indietro a gran passi.
- Cosa? – rimasi interdetta – Ma Gandalf! – mi avvicinai.
- Mi dispiace Elris, devi guidarli tu –
- Come? – sbarrai gli occhi – No, no non esiste, non posso – scossi la testa – Dove stai andando? –
- Lady Galadriel ha chiesto il mio aiuto, devo recarmi alle tombe sulle Montagne –
- A Rhudaur? – sussurrai.
- Si mia cara, se ciò che ha detto Beorn è vero dobbiamo assicurarci che il Nemico abbia fatto davvero ritorno – camminavamo verso il suo cavallo a passo svelto.
- Non vorrai lasciarci? – disse Bilbo raggiungendoci.
- Non lo farei se non fosse necessario – si fermò e squadrò per intero lo Hobbit riducendo gli occhi a due fessure – Sei cambiato Bilbo Baggins, non sei lo stesso Hobbit che ha lasciato la Contea – feci scorrere lo sguardo dallo Stregone al mio piccolo amico.
- Ehm si, stavo per dirtelo – balbettò colto di sorpresa – Io.. io ho trovato qualcosa nelle gallerie degli Orchi – era visibilmente in difficoltà.
- Trovato cosa? –
- Il mio coraggio – rispose sorridendo con determinazione.
- Bene, questo è un bene – esclamò – Ti servirà – salì a cavallo e tutta la Compagnia si fermò a guardarlo – Vi aspetterò allo spiazzo prima delle pendici di Erebor, tenete la mappa e la chiave al sicuro e non entrate in quella Montagna senza di me – afferrò le redini – Questo non è il vecchio Bosco Fronzuto; c’è un ruscello al suo interno che contiene un incantesimo, non toccate quell’acqua. Passate sul ponte di pietra e state attenti, la stessa aria della Foresta è pesante, creerà illusioni e cercherà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada – sospirai.
- Sviarci dalla strada? – domandò lo Hobbit esterrefatto - Cosa vuol dire? –
- Che dobbiamo rimanere sempre sul sentiero senza lasciarlo mai, qualunque cosa accada – dissi con tono fermo mentre guardavo Gandalf negli occhi.
- Esattamente – annuì lo Stregone – Se perdete la strada, non la ritroverete più –
Incitò il cavallo a partire, ma prima che potesse muoversi afferrai le briglie con un gesto deciso costringendolo a fermarsi:
- Non posso – sussurrai – Sai che non posso guidarli lì dentro da sola –
- Si che puoi Elris, hai più forza di quella che credi –
- Mithrandir la foresta è tossica, insidiosa; lo stesso male che la abita alberga nella mia mente e viene fuori ogni notte – feci una breve pausa – Sarà un suicidio – sussurrai.
- Non se credi in te stessa come ci credo io, e come ci credono tutti loro – disse con gran fiducia indicando con un cenno del capo la Compagnia alle mie spalle – Forza amica mia, affronta la paura e vincila, puoi farcela –
- Mi auguro che tu abbia ragione Mithrandir, davvero, altrimenti saremo spacciati – risposi mantenendo un’espressione seria.
- Coraggio – esclamò Thorin radunando tutti – Dobbiamo raggiungere la Montagna prima dell’ultimo raggio; c’è solo una possibilità di trovare la porta –
Il cavallo di Gandalf partì al galoppo lasciando dietro di se una scia di polvere e foglie; improvvisamente mi sentii sola e perduta. Attraversare questa Foresta mi provocava i brividi; non perché mi facesse paura il suo aspetto lugubre, ma perché il male che la insidiava aveva il potere di rendere i miei incubi reali, di giorno e ad occhi aperti. Socchiusi gli occhi e presi un profondo respiro: dovevo farcela, non c’erano altre opzioni possibili e abbandonare ora era decisamente fuori discussione. Avrei rivissuto i miei incubi, sarei stata vittima della mia mente e della sua oscurità; ma non avrei mollato. Riaprii gli occhi e in un gesto automatico poggiai la mano sull’elsa della spada; mi voltai verso il resto della Compagnia e mi incamminai a passo deciso verso il Bosco tirando su il cappuccio del mantello con un gesto secco e deciso mentre una leggera pioggia iniziò a cadere dal cielo:
- Andiamo –
Entrai nel fitto degli alberi seguendo il sentiero in pietra con tutti gli altri al mio seguito; la Foresta dall’interno era ancora più cupa e spettrale. Gli alberi altissimi coprivano il cielo e non lasciavano filtrare nemmeno un raggio di luce dando l’impressione che al suo interno fosse perennemente buio. L’aria era salmastra e pesante, quasi statica ed il silenzio era talmente profondo che assordava; gli unici rumori che si percepivano era lo scricchiolio dei nostri stivali sulle foglie secche. Io e Dwalin aprivamo la via tastando il terreno con le spade per assicurarci di non lasciare mai il sentiero:
- Per di qua – disse.
Svoltammo a sinistra scendendo su un piccolo pendio ripido continuando a tenere lo sguardo incollato a Terra. Bosco Atro non aveva più colore, sembrava come un vecchio disegno in bianco e nero sbiadito dal tempo: i tronchi degli alberi si erano deformati e pullulavano di funghi velenosi e rientranze nodose e raggrinzite, talmente profonde da essere diventate tana di insetti disgustosi; l’insieme dava loro un aspetto grottesco. Sembravano tanti mostri attorcigliati su loro stessi, in agguato, pronti ad aggredirci e incatenarci per sempre nell’orrore infinito di questo posto; era inverosimile pensare che una volta proprio questa Foresta era piena di vita e colori. Prima di mettermi contro Thranduil ero venuta qui molte volte, la prima in assoluto con mio padre quando ero solo una bambina. Mi divertivo ad arrampicarmi su gli alberi più alti desiderosa di sentire il vento che mi sferzava i capelli, desiderosa di sentirmi libera. Ricordavo perfettamente la bellezza che abitava Bosco Fronzuto, i suoi alti e rigogliosi arbusti dalle folte chiome verdi e rosso rubino che ondeggiavano delicatamente, scosse dalla brezza leggera che portava con se i profumi dei frutti e della natura; ricordavo l’erba alta, i fiori, gli animali che giravano liberi tra gli alberi e la luce del sole che, filtrando tra i rami, illuminava il paesaggio di una luce eterea e innaturale rendendolo talmente bello che sembrava fosse uscito da un sogno. E a questo ormai si era ridotto tutto, un sogno molto lontano. Non era rimasto assolutamente nulla ora a manifestare che un tempo Bosco Atro era stato un luogo armonioso e accogliente. La tenebra aveva intaccato e cancellato tutto come a voler sottolineare che, alla fine, il male avrebbe sempre trovato un modo di perdurare. C’era una nebbia fitta in lontananza che si diradava tra gli alberi intrecciandosi ad essi e creando strani giochi d’ombra; si avvicinava, lenta, coprendo di una leggera sfumatura grigia fin dove arrivava la vista. Era insinuosa, malvagia, infida e minacciava di distrarci dalla strada. Continuavamo a camminare sul sentiero lastricato di ciottoli, uno dietro all’altro formando una fila scomposta, l’aria più ci inoltravamo nel Bosco più iniziava a farsi rarefatta e pesante impedendoci di respirare a pieni polmoni: era claustrofobica e la mancanza d’ossigeno iniziava a dare i suoi primi effetti rallentando il nostro passo e le nostre menti. Avanzavo lentamente stringendo sempre più forte l’elsa della spada come per trarre forza da essa; sentivo la testa pesante ed i polmoni iniziarono a far fatica a pompare aria ma non mi fermavo, continuavo imperterrita poggiandomi di tanto in tanto al tronco ruvido di un albero:
- Aria – boccheggiò Bofur – Ho bisogno d’aria, mi gira la testa -
- Resisti amico mio, resisti – sussurrai mentre continuavo ad avanzare poggiandomi agli alberi sentendomi improvvisamente stanca.
Mi voltai ed osservai i miei compagni: tutti avevano iniziato ad accusare i sintomi, nessuno escluso. Avanzavano a fatica, boccheggiando e guardandosi attorno nella speranza di vedere la fine di questo incubo, ma eravamo ancora ben lontani. Continuammo a camminare tra gli enormi e minacciosi arbusti, quando ad un tratto un leggero gorgoglio mi arrivò alle orecchie; affrettai il passo superando Bofur, Thorin e Gloin fino ad arrivare alla sponda che affacciava sul fiume. L’acqua, una volta fresca e cristallina, ora era putrida e purulenta di un color verde petrolio; sulla sua superficie oleosa galleggiava un manto di foglie secche che la rendeva compatta e melmosa. L’odore era nauseante. Attraversare era impossibile, il ponte che congiungeva i due argini era crollato, lasciando in piedi solo due striminziti piloni, uno all’inizio ed uno alla fine:
- Il ponte – esclamò Bofur – Siamo arrivati – guardò davanti a se ed aggrottò la fronte – Potremmo attraversarlo a nuoto –
- Non hai sentito cosa ha detto Gandalf? Una magia oscura sovrasta questa foresta – disse Thorin avvicinandosi alla riva – Le acque di questo ruscello sono incantate -  aveva uno sguardo duro e quasi del tutto assente.
- Non mi sembra tanto incantevole – rispose Bofur scettico alzando le sopracciglia.
- Dobbiamo trovare un altro modo per passare – sussurrai a malapena.
Molti si erano seduti a terra ansimando dalla stanchezza e dondolando su se stessi, come se cercassero di scacciare la foresta dalla loro mente. Mi poggiai contro un albero e socchiusi gli occhi per un breve istante. Non dovevo assolutamente cedere, tutti loro contavano su di me per uscire di qui ed io non potevo abbandonarli, costi quel che costi li avrei condotti al sicuro. Strinsi più forte l’elsa provocandomi una fitta alla mano, segno che la carne iniziava a lacerarsi per l’intensità della presa, ma in un certo senso quel dolore mi teneva concentrata. Anche Bilbo stava iniziando ad accusare i sintomi dell’oscurità di questo posto, era agitato e si guardava intorno girando su se stesso come una trottola impazzita stropicciandosi gli occhi e massaggiandosi le tempie:
- Questi rami sembrano resistenti – disse Kili avvicinandosi ad un groviglio di fronde nodose che scendevano dagli alberi fin sull’acqua, creando una specie di passaggio.
- Mandiamo prima i più leggeri – annuì Thorin con la mente sempre più annebbiata.
- Fate attenzione all’acqua – sussurrai.
Bilbo si avvicinò al primo ramo tastandolo per vedere se fosse abbastanza resistente, poi si aggrappò a quello più in alto e facendo leva sulle braccia si alzò dalla sponda per poggiarsi su una frasca ondulata e abbastanza spessa da consentirgli di camminarci sopra. Lo guardavo dalla riva pregando che ce la facesse ad arrivare dall’altra parte senza cadere nelle acque torbide e salmastre:
- Va bene, non c’è problema, va tutto bene –
Aveva un tono di voce di qualcuno che aveva bevuto un po’ troppo; era impastata e confusa e mano a mano che procedeva anche i suoi movimenti cominciarono a farsi incerti e scoordinati portandolo ad inciampare più volte durante la sua camminata; ogni volta il cuore mi balzava in gola e sobbalzavo leggermente, tanto che ormai la mano che stringeva l’elsa aveva iniziato a sanguinare:
- Va bene, ci sono. Va bene – continuava a borbottare ogni volta che avanzava un altro po’.
Quando finalmente toccò la sponda opposta lasciai andare un lungo sospiro che non mi ero accorta di trattenere. Era arrivato sano e salvo, ma non potevo sapere per quanto altro tempo fosse stato così. Si voltò verso di noi stropicciandosi gli occhi e dandosi dei leggeri schiaffi sulle guance nel tentativo di non addormentarsi. Faceva avanti e indietro scuotendo la testa e passandosi le mani nei capelli, alternando a tutto ciò con momenti di ascolto del totale nulla del bosco. Visto che i rami erano abbastanza resistenti iniziammo anche noi ad arrampicarci su di essi; i Nani partirono tutti assieme creando subito un ingorgo e rischiando di far cadere tutti in acqua. Mi aggrappavo con forza alle fronde avvizzite cercando di non scivolare, ma la spossatezza era talmente tanta che fare anche un solo passo in più mi creava uno sforzo immane; allungai un braccio per afferrare un tozzo spuntone in legno, ma mancai la presa senza nemmeno accorgermene e, come se fossi fuori dal mondo, osservai la mano cadere lentamente nel vuoto sbilanciando il resto del mio corpo verso il basso. Prima che potesse succedere l’inevitabile una mano mi afferrò per il gomito riportandomi in equilibrio sul tronco e stavolta mi aggrappai con forza:
- Sta… attenta – boccheggiò Kili mentre proseguiva accanto a me assicurandosi che non cadessi.
Annuii leggermente mentre continuavo ad avanzare ignorando il fatto che sia braccia che gambe avevano iniziato a tremare violentemente, mancava così poco… ma forse riposarmi un po’ non mi avrebbe fatto male; chiudere gli occhi per qualche secondo e semplicemente riposare. Mentre stavo per abbandonarmi alla stanchezza sentii un tonfo sordo che mi svegliò di colpo dal torpore: qualcuno era caduto in acqua. Mi voltai e vidi Bombur che dormiva beatamente nel fiume:
- Aiutatemi a tirarlo fuori e costruite una lettiga per portarlo –
Non fu affatto facile. Bombur era pesante e restare in equilibrio senza cadere risultò faticoso, ma alla fine lo portammo in salvo a riva dove Bofur, Thorin, Bilbo e Ori avevano costruito una solida lettiga per adagiarlo su. Riprendemmo subito il cammino. Pensai che una volta superato il fiume sarebbe stato più facile proseguire, ma mi sbagliavo di grosso:
- Che cos’è? Le sentite? – disse Bilbo – Voci! Voci? Le sentite? –
- Io non sento niente – ringhiò Thorin – Non c’è vento, né canto di uccelli. Che ore sono? -
- Non lo so – rispose Dwalin – Non so nemmeno che giorno è –
- Ci stiamo mettendo troppo! – esclamò – Non ha fine questa maledetta Foresta?! –
- È così diversa dall’ultima volta – mormorai mentre poggiavo la mano contro un tronco per sorreggermi – Non vedo una fine, non vedo niente, solo alberi… - la mia voce cominciò ad affievolirsi.
- Andiamo da questa parte! Forza, seguitemi! –
- No Thorin, aspetta – disse Bilbo – Non possiamo lasciare il sentiero -
Il peso del sortilegio si faceva sempre più soffocante e seguire il sentiero senza crollare era davvero complicato per non dire impossibile; la foresta ora pullulava di piccoli suoni: scricchiolii e brevi respiri sembravano provenire dagli alberi, come se fossero vivi. Rabbrividii. Mi sentivo sempre più confusa, come se avessi dei continui capogiri; perfino respirare era diventato troppo difficile. Mi sembrava di girare in tondo da una vita; ogni passo che facevo in avanti sembravano almeno quattro indietro e molto presto persi definitivamente la cognizione del tempo e dello spazio. Avevamo smarrito la via:
- Io non mi ricordo questo posto, non ricordo niente – disse Balin.
- Deve essere qui, non può essere sparito – aggiunse Dori mentre girava come un forsennato su se stesso.
- Non è nemmeno qui – esclamò Ori.
- Ci siamo persi – sussurrai – È la fine -
 Non sapevo da quanto avevamo ripreso a camminare, ma ad un tratto caddi in ginocchio spossata e confusa; non ricordavo nemmeno più da quale parte eravamo giunti, non ricordavo da che parte dovevamo andare, assolutamente nulla; il cervello si stava spegnendo e non era una cosa buona, per nulla:
- Elris –
Una voce lontana chiamò il mio nome, ma non riuscivo a capire chi fosse. Era una voce limpida e giovane, ma più mi sforzavo di riconoscerla, più il tormento era insopportabile. Chiusi gli occhi massaggiandomi le tempie, ma la voce non se ne andò, continuava a chiamarmi. Sembrava una cantilena. Aprii gli occhi, la vista era offuscata ma nonostante questo riuscii a vederlo. Un piccolo Beren che correva tra gli alberi; rideva e continuava a chiamare il mio nome invitandomi a seguirlo:
- Beren – sussurrai tra me e me incredula.
Mi alzai barcollante e feci qualche passo in quella direzione mentre lui continuava ad incitarmi a seguirlo. Sorrisi felice di vederlo vivo dopo così tanto tempo e un passo dopo l’altro cercai di raggiungerlo ignorando le altre voci che mi chiamavano. Era Beren ed era qui, questa era l’unica cosa che contava per me. Improvvisamente però il sorriso si spense sulle mie labbra quando vidi una scena troppo familiare: Bosco Atro non c’era più e al suo posto si estendeva la landa desolata ai piedi del Monte Fato; intorno a me infuriava la battaglia, una battaglia che conoscevo fin troppo bene. Ero paralizzata. Perché ero tornata qui? Cosa era successo? Dov’era Beren? Iniziai a guardarmi attorno mentre l’ansia ed il panico cominciavano ad impadronirsi di me senza che io potessi fermarli, poi lo vidi. La scena era la stessa anche a distanza di seicento anni. Beren era a terra con ancora la spada in mano nel vano tentativo di difendersi, ma ormai era tardi. Gridai e lui si voltò verso di me, poi accadde di nuovo per la seconda volta sotto i miei occhi senza che io potessi impedirlo. Un colpo secco e Beren espirò. Caddi in ginocchio portandomi le mani tra i capelli, mentre calde lacrime cominciarono a rigarmi il volto; un urlo disperato mi squarciò la gola, poi un altro e un altro e un altro ancora, finché non sentii il fuoco che mi raschiava le corde vocali. Una voce si insinuò nella mia testa iniziando a parlare ma io non riuscivo a capire cosa dicesse, le uniche parole che mi risultarono chiare furono una pugnalata al cuore
<< Non mi hai salvato >>
 La voce di Beren continuava a ripeterle all’infinito ed ogni volta era come se una lama si conficcasse dentro di me aprendo ferite vecchie e nuove. Era un dolore inimmaginabile:
- Scusami, scusami – mormorai con voce flebile mentre mi stringevo la testa tra le mani.
Alla voce ben presto si unì un’immagine sfocata e via via sempre più nitida. Avevo gli occhi serrati eppure riuscivo a vederla perfettamente: la figura che si stagliava di fronte a me era ricoperta di un alone grigiastro, i lunghi capelli biondo rame erano diventati crespi e avvizziti, quasi neri; il suo bellissimo viso etereo era incavato fino alle ossa e dipinto dal bianco della morte. Infine i suoi magnifici occhi verdi, ora erano solo delle orbite vuote. Lo spettro di Beren era solo un vago e distorto ricordo della persona che era:
<< È colpa tua se sono morto, è solo colpa tua >> continuò la voce di Beren.
- No, no… ho provato a salvarti – mormorai mentre altre lacrime cadevano giù dalle mie guance.
<< Non hai fatto abbastanza, saresti dovuta morire tu al mio posto, non io >>
La sua voce mano a mano divenne sempre più cupa e profonda. Le parole iniziarono a distorcersi trasformandosi in un’altra lingua, una lingua oscura, maledetta, che perfino l’inferno stesso aveva rifiutato. Le fiamme iniziarono a crescere, sempre più alte, sempre più calde ed io urlai percependone l’intenso calore sulla mia pelle. Aprii di colpo gli occhi e fu come ritrovarsi al centro stesso del Monte Fato. Le fiamme erano ovunque e si facevano sempre più vicine; mi alzai cercando di lottare contro la stanchezza ed i capogiri ma sembrava che ogni volta che provavo a muovere un passo i miei piedi affondassero sempre di più nel terreno. La testa vorticava velocemente, la vista si era sdoppiata e non riuscivo più a riconoscere il vero dall’allucinazione. Da quanto tempo ero lì? Giorni? Mesi? Anni? Dove mi trovavo? Ero tornata veramente a Mordor? Mentre cercavo di far ordine nella mia testa, le fiamme continuarono ad alzarsi avvolgendo per intero la figura di Beren e trasformandola in qualcosa di molto diverso. Un’alta e massiccia ombra nera si stagliò in mezzo alle fiamme diventando sempre più oscura ed imponente; mano a mano che prese forma le fiamme l’avvolsero, come se uscissero direttamente da essa e alla fine comparve. Un grande occhio di fuoco, senza palpebra che tutto vede e tutto sente. Un grande occhio che distrugge. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e ritrovando in me la forza riuscii a correre via, lontano dalle fiamme. E improvvisamente ci vedevo di nuovo. Bosco Atro si estendeva davanti a me ancora cupo e minaccioso come quando eravamo entrati, solo che stavolta c’era qualcosa di diverso: non sentivo più il peso dell’incantesimo. Era sparito completamente ed io mi sentivo di nuovo padrona di me stessa. La visione di poco fa mi aveva scosso non poco e al solo pensarci sentivo nuovamente la paura impossessarsi di me; ero stata messa alla prova non solo dalla Foresta, ma anche da me stessa, solo che non riuscivo a determinare se l’avessi superata o meno. Sbattei le palpebre e guardandomi ancora una volta intorno mi accorsi con orrore che ero sola, non c’era traccia degli altri. Cercai di ritrovare la via giusta per tornare indietro, sperando che i miei amici fossero ancora lì, ma più correvo tra quei fitti e cupi alberi, più qualcosa in me cresceva. Una strana sensazione prese piede, ma non era la stessa di quando eravamo nel giardino di Beorn, era diversa, più incombente ed allora capii: erano in pericolo. Affrettai il passo lasciandomi guidare dall’istinto e da quella sensazione che continuava a crescere in me facendosi sempre più forte; iniziai a correre quando capii che non erano lontani, svoltai a destra e quello che vidi mi lasciò esterrefatta. Ragni giganti, grossi almeno quanto un cavallo, avevano intrappolato la Compagnia in grossi bozzoli di ragnatela appesi ai rami più alti degli alberi. Non ci volle molto a capire che sarebbero stati la loro cena; sfoderai la spada e mentre stavo per saltare sentii un bisbiglio alle mie spalle. Aggrottai le sopracciglia, certa che fosse nuovamente un’allucinazione, ma la voce continuava a chiamarmi; mi voltai scrutando nel fitto bosco, ma niente, non vidi assolutamente nessuno:
- Elris – chiamò nuovamente la voce, stavolta più vicina.
- Bilbo? – la riconobbi – Bilbo, dove sei? Non riesco a vederti –
- Eccomi, sono qui –
Mi voltai e lo vidi comparire davanti a me sgusciando fuori da dietro un grosso albero, aveva il fiatone ed era ricoperto da filamenti di ragnatela; anche lui brandiva la sua spada:
- Grazie al cielo stai bene – tirai un sospiro di sollievo.
- Purtroppo non possiamo dire lo stesso per loro – era impaurito – Dov’eri finita? Eravamo così preoccupati! Vederti in quelle condizioni è stato straziante –
- È stata la Foresta Bilbo, questa maledetta Foresta ti contorce la mente – abbassai lo sguardo sui bozzoli - Dobbiamo liberarli prima che soffochino lì dentro – dissi mentre osservavo la situazione.
- Cosa hai in mente di fare? –
- Prendili alle spalle, io mi occuperò degli altri – lo Hobbit annuì – Fa attenzione –
Ci separammo nuovamente, Bilbo si andò a posizionare alle spalle dei ragni, io mi acquattai tra le radici sporgenti di una quercia ed attesi. Non appena vidi i ragni correre nella mia direzione balzai fuori brandendo la spada in una mano e il lungo pugnale nell’altra. Atterrai proprio in mezzo a loro ed iniziai ad ucciderne quanti più potevo, ma continuavano ad arrivarne degli altri. Feci roteare la spada sopra la testa e andai a conficcare la sua affilata lama nel ventre di uno di essi che lanciò un verso acuto e stridulo. Sfilai la lama dalla carcassa e mi lanciai contro il successivo tagliandoli una zampa facendolo cadere a terra, poi gli conficcai il pugnale nel cranio con un sonoro “crack” da far accapponare la pelle. Continuavo mantenendo quello stesso ritmo per ognuna di quelle bestiacce che mi si avvicinava e nonostante la stanchezza riuscii a tenergli testa, d’altro canto però, più ne uccidevo, più ne accorrevano e presto iniziai a pensare che non ce l’avrei fatta ad abbatterli tutti da sola. Iniziai ad arrampicarmi agilmente su un albero arrivando fin su al ramo dove erano appesi i nostri amici, presi un pugnale più piccolo ed iniziai a tagliare la ragnatela che li teneva sospesi in aria. Bilbo mi imitò e in poco tempo caddero tutti a terra, uno dopo l’altro, poi mi lasciai cadere giù dal ramo ed atterrai in piedi nel mezzo della radura sottostante. Sguainai nuovamente la spada vedendo arrivare almeno una ventina di quelle orribili creature mentre lo Hobbit aiutava i nostri amici ad uscire dai bozzoli e, una volta liberi, si armarono anche loro e tutti assieme ci scagliammo contro i ragni giganti. Usciti anche loro dalle grinfie dell’incantesimo di Bosco Atro, i membri della Compagnia iniziarono a far gioco di squadra per ucciderne quanti più potevano; mentre estraevo il pugnale dall’addome di uno dei ragni, un altro mi saltò addosso da uno dei rami facendomi cadere schiena a terra con un tonfo sordo e strappandomi un mugolio di dolore. La bestia apriva e chiudeva le zanne cercando di mordermi e, al tempo stesso, pungermi con lo spesso aculeo; ritrassi le gambe e gli diedi una forte ginocchiata all’addome, ma il ragno non ne voleva sapere di arrendersi. Allungai la mano verso il pugnale non molto lontano da me cercando di afferrarlo, ma la bestia me lo impedì colpendo con forza le mie braccia con le zampe anteriori. Nel momento esatto in cui stava per avvicinare le fauci al mio volto, un verso acuto gli uscì dal profondo e crollò riverso su un lato. Davanti a me c’era Thorin con Orcrist stretta in mano:
- Sei ferita? –
- No – scossi la testa – Grazie a te –
Mi rialzai ed una volta in piedi raccolsi spada e pugnale, e dopo aver lanciato un veloce sguardo a Scudodiquercia, mi lanciai ad aiutare il resto della Compagnia munita anche di arco e frecce. Sembrava di combattere da un’eternità, erano infiniti e sempre più grossi e ripugnanti. Ne uccisi un altro con una freccia e mi voltai ad osservare la situazione: ognuno di noi combatteva con circa tre ragni alla volta; era scontato che il loro piano consisteva nello stremarci e presto ci sarebbero riusciti. Non appena mi liberai dell’ennesimo ragno pugnalandolo all’occhio sinistro, mi fermai per pochi secondi a riprendere fiato; non stavo combattendo come volevo e questo mi provocava una forte rabbia verso me stessa. Le mani mi tremavano, sudavo freddo e sentivo le gambe deboli e pesanti: le visioni di cui ero stata in balía fino a poco fa mi avevano turbato più di quanto credessi possibile. Odiavo sentirmi così vulnerabile, non era da me. Alzai la testa posando lo sguardo sul combattimento ancora in corso ed in quel momento mi accorsi che Kili era in seria difficoltà: il ragno che lo stava aggredendo era riuscito a disarmarlo ed ora cercava di metterlo nell’angolo tra un grosso fusto ed una roccia appuntita. Strinsi l’elsa della spada con forza e corsi nella sua direzione mentre la creatura alzava le zampe anteriori facendo schioccare minacciosamente le fauci. Quando fui abbastanza vicina da sferrare l’attacco mi lasciai cadere in ginocchio con un movimento fluido e scivolai fin sotto il ragno facendo da scudo con il mio corpo a Kili, proprio mentre le fauci del mostro andavano a scontrarsi con la lama della mia spada. Mi voltai a guardarlo e sul suo volto lessi lo sconcerto e la sorpresa; aveva il respiro leggermente accelerato, i lunghi capelli arruffati che gli ricadevano in parte sul viso e lo sguardo completamente perso. E in quel momento mi persi anche io a guardarlo. Mi dimenticai di tutto, dei ragni, della Foresta, degli altri nostri compagni. Non c’era più nessuno attorno a noi e fu una sensazione piacevole; perfino il ricordo delle allucinazioni era lontano anni luce. A riportarmi alla realtà fu il peso della creatura che faceva leva sulla spada; mi voltai nuovamente, afferrai in fretta il pugnale dallo stivale e lo andai a conficcare nel ventre dell’animale che ricadde indietro senza vita. Lasciai andare un sospiro di sollievo e mi lasciai cadere all’indietro poggiandomi alla roccia. Avevo l’adrenalina a mille ed era una sensazione fantastica, quanto spaventosa visto che in quel momento a rischiare la vita fu Kili. Puntai la spada a terra e la usai come sostegno dove dirigere tutto il mio peso, alzai la testa prendendo un grosso respiro e solo in quel momento mi accorsi che il giovane Nano era ancora accanto a me. Presi coraggio e mi voltai nella sua direzione: aveva ancora lo sguardo puntato su di me, solo che questa volta non riuscivo a decifrare cosa provasse; sembrava come se avesse indossato una maschera e la colpa era solo mia. Sapevo cosa provava ed io lo stavo facendo soffrire molto, ma dall’altra parte c’ero anche io a starci male ed essere letteralmente terrorizzata dal rimanere nuovamente sola e con il cuore a pezzi. Dischiusi le labbra per parlare, ma rima che potessi emettere anche un solo suono fummo interrotti:
- Elris attenta! – gridò Kili indicando alle mie spalle.
Con un forte dissenso sul volto ed un verso di disapprovazione per essere stata interrotta, feci roteare la spada e con un gesto secco decapitai il ragno alle mie spalle; mi voltai completamente e ripetendo il movimento di prima ne infilzai un secondo e poi un terzo, il tutto con estrema agilità. Finalmente ero riuscita ad accantonare l’orrore di poco fa:
- Ce ne sono a centinaia – ansimai dopo averne ucciso un quarto.
- Sono troppi, non ce la faremo – disse Kili scuotendo la testa.
- Si invece – raccolsi la sua spada e gliela lanciai – Riesci a tenere a bada questi? –
- Un gioco da ragazzi – scrollò le spalle stringendo l’elsa e lasciandosi andare in un sorriso.
- Perfetto – rinfoderai la spada.
- Dove stai andando? – mi domandò sgranando gli occhi sorpreso.
- A ucciderli prima che giungano tutti qui – indicai un punto in mezzo ai rovi – Vengono da laggiù, vado a sbarrargli la strada - e senza sentire la risposta di Kili mi diressi in quella direzione.
Mi arrampicai sull’albero di fronte a me e con agilità iniziai a saltare di ramo in ramo andando incontro a quelle bestie. Sfilai il pugnale dallo stivale e lo usai per squarciare il dorso al ragno che si stava calando da alcuni rami più in alto, mi voltai e con la stessa velocità ne uccisi altri due alle mie spalle riuscendo a ricavarmi una nicchia semi nascosta dove sistemarmi in attesa. Rinfoderai il pugnale e incoccai la freccia: non appena altri ragni giunsero iniziai a scagliare una pioggia di frecce che in poco tempo li mise in fuga. Tirai un sospiro di sollievo riponendo l’arco ed osservai il punto in cui molti di loro erano fuggiti; se la foresta non mi stava ingannando nuovamente, i ragni provenivano proprio da Dol Guldur, come aveva detto Radagast. Scesi sul ramo sottostante e cominciai ad incamminarmi verso la radura dove avevo lasciato gli altri, ma nel momento esatto in cui iniziò a comparire alla mia vista notai qualcosa di diverso: degli Elfi dai lunghi capelli biondo rame vestiti di lucenti armature dorate tenevano in ostaggio la Compagnia. Mi avvicinai al ramo successivo con passo felpato ed osservai dall’alto la situazione: i Nani erano raggruppati in cerchio circondati da una decina di Elfi Silvani che puntavano contro di loro le frecce incoccate, mentre altri li perquisivano privandoli delle armi che avevano. Mentre mi sporgevo in avanti nascosta dalle fitte fronde lo notai: un Elfo alto, con lunghi capelli biondo platino e gli occhi azzurro ghiaccio. Aveva un portamento rigido e distaccato con movenze eleganti e regali perfino mentre era intento a dare ordini ai suoi compagni e discutere con Gloin. Mi scappò una piccola risata. Non lo vedevo da molto tempo ma non era cambiato affatto, e soprattutto non era cambiata la sua distrazione datagli dalla sua ancora giovane età. Odiava essere preso alla sprovvista, ma ancor di più perdere un combattimento; era nel suo carattere fin da bambino. Nonostante ogni volta che ci allenavamo assieme faceva il possibile, non importava quanto impegno ci mettesse, quanta forza e quanto coraggio tirasse fuori, alla fine ero sempre io a vincere. Balzai giù dal ramo con grazia ed atterrai silenziosamente alle sue spalle sguainando la spada poggiando la punta della fredda lama contro la sua gola, proprio vicino la giugulare:
- È da tanto che non ci vediamo, Mellon –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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