Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: vale93    30/06/2017    1 recensioni
Breve drabble(*) in tre capitoli, in memoria di uno dei personaggi più belli e rimpianti della saga.
Il titolo richiama il nome del protagonista, nonché padrone dei ricordi trascritti. Una rapida successione di scene ripercorre la linea temporale della sua esistenza dall'infanzia, attraverso l'adolescenza, fino alla maturità. Ogni aneddoto è stato ricavato dai libri e da altre fonti ufficiali (Pottermore, interviste), per poi venire liberamente rielaborato.
Perchè la biografia di Rita Skeeter non ci convince. E perchè La Rowling ha disseminato troppe chicche su di lui per lasciarci soddisfatti.
Ho cercato di mantenermi il più fedele possibile all'IC, ma, alla fine, ho elaborato un epilogo tutto mio, che spero apprezzerete.
In onore dei 20 anni dalla morte di Albus Silente (30/6/1997), a voi la biografia onesta e completa.
[*o meglio, raccolta di drabble]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Bathilda Bath, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Fama
. ✦ .





C'era un grosso piatto vuoto, al centro della stanza. Una superficie piana sottile, coperta di cenere.

L'uomo sedutovi accanto, sulla poltrona di legno scuro, la fissava in silenzio. Aveva la lunga barba sparsa sul vestito, libera da qualsiasi fermo che la ordinasse, le mani in grembo. Nello sguardo, una muta malinconia faceva lievemente capolino fra i pensieri inespressi - qualcosa di sofferente, ma di pazientemente tenuto a bada.

Alle sue spalle il lavabo in pietra ospitava un soffuso vapore argenteo.

Era una calda giornata di mezza estate, di quelle in cui il sole tarda a tramontare e l'azzurro del cielo è increspato dalle dita di fuoco. Il profumo della selva s'insinuava sibillino attraverso l'arco a ogiva, invadendo lo studio.

Il vecchio mosse le palpebre impercettibilmente. Dentro di lui, un lungo succedersi di reminescenze vivissime, rese impenetrabili dall'imprescrutabile maschera del viso. Solo una piega, appena solcata nella carne, disturbava la fronte ampia e chiara. I suoi occhi scrutarono la polvere del trespolo.

Esiste un unico modo per ottenere il ricordo di un grande Occlumante: lasciare che te lo doni.

E quello, che al momento gli turbinava alle spalle assieme al nodo di accadimenti lontani nel tempo della sua lunga memoria, era il più vivo e il più segreto di tutti.

Gonfiò le spalle con un gran respiro, tenendolo sospeso per quelli che parvero minuti. Poi, lentamente, lo lasciò.

 

15 Agosto 1891. Mould on the Wold.

La casa era una vecchia dimora di collina, eretta in una brughiera abitata per lo più da babbani, ma ospite di molte famiglie legate allo Statuto Internazionale di Segretezza. Le vaste lande di erica e brugo ricoprivano il suolo circostante, scoraggiando l'erezione di nuovi edifici.

Albus attraversò uno steccato, accompagnato da una docile ragazzina. Aveva corti capelli chiari, di un biondo cenere simile a quelli della giovane, ma intrisi di un acceso tono ramato che li screziava.

Superò la staccionata che delimitava il vicinato e fece per aprire una porta, quando si fermò. Lei era rimasta indietro.

«Cosa c'è?» chiese.

La vide alzare gli occhi scuri dal suolo. «Sta per morire.»

Si accigliò. «Chi?»

Lei indicò qualcosa fra i fili d'erba, china, e riabbassò il dito.

Fece qualche passo. La carcassa di un topo giaceva riversa sul terreno, divorata dalla foga famelica di un centinaio di formiche.

«Non sta per morire, è morto.» sentenziò, con la schietta crudeltà dei bambini di dieci anni.

Lei rialzò gli occhi turbata.

«Credevo che un topo fosse più forte.»

«Non lo hanno ucciso loro - spiegò serafico - Lo era già, se lo stanno mangiando.»

La bambina tornò a guardare in basso, per nulla scioccata da una notizia del genere.

«Chi è stato?»

Albus fece spallucce. «Un gatto, probabilmente.»

Gli occhi ebano continuavano a fissare il cadavere dilaniato, assorti. «Non avrebbe dovuto mangiarlo?» chiese poi con voce incolore.

Albus non seppe che dire. Dalla casa si levò una voce, pretendendo che rientrassero.

«Non avrà avuto fame» tagliò corto, e riallungò un passo in quella direzione.

«Che senso ha avuto ucciderlo?» chiese ancora la bimba alle sue spalle.

Si fermò.

«I gatti mangiano i topi, perchè l'ha ucciso se non lo voleva? Lo ha lasciato alle formiche.»

Tornò a voltarsi con espressione perplessa, chiedendosi quale potesse essere la risposta a una simile domanda. La ragazzina inclinò il collo e lo fissò in attesa. Poi, come se non gli avesse mai posto quel quesito, continuò: «Sai farlo rivivere?»

Scosse il capo, osservandola con gli accesi occhi azzurri.

«Ma saprai farlo, l'anno prossimo, quando ci andrai.»

Quella constatazione gli fece incurvare il labbro.

«Ariana!» una donna apparve sulla soglia, seccata.

L'interpellata si levò subito in piedi.

«Ti avevo detto di rientrare, anche a te Albus. Aberforth è già a tavola da un pezzo.»

La bionda figura attraversò il giardino fino alla porta di casa, dove la madre li attendeva. Si girò appena prima di entrare, lanciandogli un sorriso.

Non le avrebbe detto dove l'aveva portata. Non lo faceva mai.

 

20 Settembre 1891

Spostò le pupille sul legno della sedia, concentrato; il piccolo cumulo di polvere seguì il suo sguardo fluttuando nell'aria. Si sarebbe potuto pensare che fosse il vento a muoverlo, ma gli spostamenti seguivano esattamente il comando dei suoi occhi.

Era facile trasportare oggetti solidi, dal peso definito. Ma la polvere, che si lascia facilmente ingannare dagli spifferi, richiedeva una grande abilità.

Sentì un rumore fuori dal vetro, appena un piano più sotto: Ariana sedeva sull'erba umida del giardino. Fece per dirle di rientrare, la madre non voleva che stesse fuori da sola. Qualcosa si mosse fra i cespugli della staccionata, proprio lì accanto. Aguzzò la vista; un giovane fece improvvisamente capolino attraverso la siepe.

Ariana alzò gli occhi.

«Come hai fatto?» chiese lo strano ragazzo, fissando qualcosa ai suoi piedi. Altri due tipi apparvero velocemente alle sue spalle.

«Cosa?» fece lei, turbata.

Questi si piegò sulle ginocchia e tornò dritto con un pugno di fiori. «Li hai fatti uscire tu?»

Il tono sembrava malfermo, Albus si chiese cosa volesse.

I tre si guardavano nervosi, ma con una punta di eccitazione. «Rifallo» comandarono.

La testa bionda scosse il mento.

«Avanti, vogliamo vedere» insistette il primo afferrandola per il braccio.

La bambina venne strattonata in piedi, senza alcuna accortezza. Albus sentì lo stomaco svuotarsi e si avventò sulla maniglia della finestra.

«Lasciami» udì protestare attraverso i vetri, con un acuto.

«Vogliamo solo sapere il trucco, avanti!»

Udì un sonoro crac e un ramo del rovere piantato all'ingresso si piegò pericolosamente sulla testa dei ragazzi.

«Accidenti!» urlarono e tornarono a fissarla atterriti.

«Sei stata tu?» esclamarono, stavolta accusatori. Lei tacque e cercò di divincolarsi.

Albus balzò fuori dalla stanza, percorrendo le scale che collegavano i due piani. Sentì un tonfo e un grido spezzare il silenzio immoto della casa, mentre le voci concitate si scatenavano nel cortiletto fuori la porta. Quando l'aprì, il ragazzo teneva una pietra in mano e Ariana era a terra.

«Ana!» esclamò, i polmoni infiammati nello sterno. I tre si accorsero della sua presenza e mollarono immediatamente la ragazzina, indietreggiando confusi sul vialetto. Proprio in quel momento, i genitori sbucarono dall'entrata della cantina, attirati dal baccano.

Sua madre lanciò uno strillo, il padre si buttò accanto alla piccola.

Albus sentì il cuore gonfiarsi contro la gabbia toracica e vide gli intrusi tentare si scappare attraverso il passaggio nella siepe. Suo padre si lanciò all'inseguimento, mentre la madre correva sul corpo accasciato a terra.

Aveva gli occhi sbarrati, la fronte macchiata e le braccia tocche di lividi. Albus sentì qualcuno giungere alle sue spalle e capì che Aberforth si era svegliato.

«Presto!» ansimò la donna passando loro davanti, mentre trasportava la figlia in cucina. Sul prato dove prima era seduta, una macchia di fiori calpestati spezzava il verde piatto del prato.

 

2 Novembre 1891.

Albus fissò la fotografia animata, stampata in bianco e nero sul quotidiano del mattino.

Arrestato all'alba di stamattina il responsabile dell'assassinio del 31 Ottobre. L'uomo, ritrovato in stato confusionale, si aggirava poco lontano dal cannetto, dove i cadaveri giacevano ormai da 48 ore. Gli accertamenti circa la bacchetta hanno confermato la matrice delle ferite, che verranno accuratamente trattate per la rimozione di ogni traccia magica. Il Ministero babbano verrà informato oggi stesso, ogni possibile testimonianza rimossa. Padre di famiglia, ottimo impiegato all'Ufficio di Smistamento...

«Togli quel giornale» disse la madre passandogli nervosamente accanto.

«Perchè non lo ha detto?»

«Cosa?»

«Quello che hanno fatto. E' stata colpa loro, l'hanno aggredita!»

Kendra mise delle provviste in una sacca, di spalle.

«Erano babbani, non avrebbero mai dovuto vedere quello che hanno visto. E tua sorella... Pensi che la lascerebbero con noi se lo sapessero?»

Voltò la testa verso la bambina, seduta su una panca sotto la finestra. I segni dell'aggressione erano svaniti, la corsa a casa e la pronta somministrazione delle pozioni necessarie le avevano salvato la vita; ma qualcosa si era rotto, in lei.

Gli occhi erano pregni di una strana inquietudine, per lo più fissi su un punto morto della casa. In quel momento scattarono su di lui, che distolse immediatamente lo sguardo. Attese, rigido, nella speranza che rimanesse tranquilla. Una strana intolleranza a suoni e gesti troppo bruschi l'aveva resa ultimamente suscettibile, non sapeva mai come avrebbe reagito. Solo una settimana prima era esplosa come una furia dopo che aveva fatto cadere un piatto, come se avesse potuto nuocerle. Una reazione del tutto spropositata.

«Prendete le vostre cose» disse la donna accatastando diverse sacche in una valigia. «Partiamo al tramonto, non voglio dover rimandare.»

Riportò gli occhi alla fotografia del padre, sorpreso lungo il fiume coi capelli sudici e un'indicibile espressione attonita sul volto. Chissà se avrebbero potuto salutarlo...

 

20 Luglio 1892, Godric's Hollow.

La lettera arrivò puntuale con le prime luci dell'alba, al nuovo indirizzo. Albus la ricevette la mattina di un giorno di pioggia, un mese prima del suo undicesimo compleanno. Aveva aspettato quel momento per i lunghi dieci mesi trascorsi, timoroso di non riceverla.

Dal giorno in cui erano arrivati, sua madre aveva fermamente respinto ogni tentativo di approccio del vicinato, rifiutando i Calderotti che la nuova vicina aveva appositamente cucinato per loro. Presto, tutte le famiglie magiche avevano smesso di cercarli e Albus aveva notato, con un certo disappunto, che questo non sembrava infastidire nè Aberforth nè, tantomeno, Ariana.

La bimba si era gradualmente ripresa, complice il cambio di residenza, ma non aveva più usato la magia. Sembrava rifiutarsi di possederla, come se volesse sbarazzarsene, e questa, per qualche ragione, usciva spesso a sprazzi violenti quando non riusciva più a dominarla. Era come un animale in gabbia che regolarmente dava in escandescenze. Per questo Kendra aveva deciso di rinchiuderla.

«È per te» disse, porgendogli la busta.

L'aprì con dita tremanti, ansioso di leggerne il contenuto.

 

Caro signor Silente,

Siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l'elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.

I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio.

 

Alzò gli occhi sulla madre, sospeso. Si sarebbe aspettato che questa trovasse un motivo per non mandarlo, come trovava sempre un motivo per impedirgli di usare la magia davanti ad Ariana. Ma la donna sembrò inaspettatamente serena e, segretamente, confortata.

«Devo comprare parecchie cose» disse il ragazzo scorrendo la lista con occhi febbrili. «E gli indumenti...»

La madre gli prese il foglio di mano, analizzandolo.

«Manuale di Incantesimi, Storia della Magia» si fermò, leggendo il nome riportato accanto a quel titolo. Bathilda B.

 

13 Settembre 1892, Hogwarts.

Attraversò il corridoio, diretto a lezione con lo stemma di Grifondoro sul petto. Accanto a lui, uno strano ragazzo dall'incarnato verdognolo, una fila di pustole giallastre sul mento, lo seguiva. Il suo portava il simbolo di un rapace.

«Elphias» disse, girandosi a guardarlo.

Il ragazzo alzò gli occhi dal pavimento.

«Cosa ti è successo?»

Questi abbassò la testa mestamente, grattandosi un fianco. «Morbo del drago - rispose, - Solo due mesi prima di venire qui.»

Scoppiò in una risata allegra, scuotendo la testa.

«E tu?» chiese egli tornando ad alzare il mento. «Perchè ti evitano?»

Il sorriso si spense, assieme alla risata.

«Percival Silente, non lo sapevi?»

«Quello che ha ammazzato i due babbani?»

Annuì.

«E' mio padre.»

Il compagno rimase in silenzio, fissandolo con occhi vacui. Entrarono in una classe ampia e luminosa, occupata già da innumerevoli studenti.

«Attenzione» tuonò una voce, dalla cattedra in fondo alla stanza. Il brusio cessò rapidamente di serpeggiare.

«Oggi proveremo un incantesimo di Trasfigurazione elementare. Avete tutti una mela sul vostro banco, signor Brown, l'ora della colazione è finita.» Seguì una breve risata, soffocata fra i banchi. «Impugnate la bacchetta come vi è stato insegnato, ricordate? Polso morbido e presa salda. La formula è avifors

Albus sfilò il bastoncino di acero dalla divisa e fissò la mela con grande intensità.

Un minuto più tardi, un minuscolo uccello bianco si librò in aria, abbandonando il posto.

«Incredibile» sentì dire all'insegnante, mentre altri tentavano ancora di pronunciare l'incantesimo.

La vide avvicinarsi e afferrare il volatile con una mano. Controllò lo stato del becco, delle zampe e il numero delle piume. Poi alzò gli occhi su di lui.

«Incredibile» ripetè.

 

20 Dicembre 1892, Godric's Hollow.

«Dalle quella ciotola.»

Si spostò di lato, lasciando che Aberforth prendesse qualcosa alla sua destra. Kendra rimestava in una pentola con la bacchetta.

«Al, metti via quei libri, è ora di cena.»

Non la stette a sentire, provando a far sparire un tozzo di pane.

«Hai sentito?» chiese il fratello di rimando.

Albus credette di cogliere una nota di fastidio in quella domanda. Alzò gli occhi. Lo vide avvicinare una ciotola al viso di Ariana, che fissava in silenzio la sua schiena. Lei rifiutò di ingerire.

«Insomma togli quella roba, non vedi che la distrai? E' già abbastanza difficile...»

Fece per ribattere, ma si trattenne. Da quando era tornato, si era accorto che Aberforth aveva perfettamente preso il posto del padre, nonostante i suoi dieci anni. Si occupava della sorella in maniera naturale e molto disinvolta per un bambino, segno che nella sua assenza si era preso cura di lei.

«Non credi che vedere un po' di magia le farebbe bene?» chiese, rivolto più a lui che alla madre.

«Ne ha paura, lo sai» fu lei a rispondere, continuando a mescolare.

«Però tu la usi, per le faccende. Secondo me dovrebbe imparare a superarlo, fingere di non averli non la aiuterà a controllarli.»

«Metti via quella bacchetta» lo ammonì Aberforth, fissando cupo il suo bastoncino di acero. Ma a lui sembrò più che fosse invidia.

«Ana, guarda» chiamò. Fece scaturire una scintilla dalla punta. Lei non reagì.

Allora tentò uno sprazzo più forte e stavolta riuscì a indurla a sussultare, spalancando gli occhi.

«Smettila» balbettò il fratello.

Albus spruzzò altre tre faville e queste scoppiarono in aria, come piccoli petardi.

«Albus» sussurrò la madre, spazientita.

Ma non prestò orecchio. Insistette con quel gioco finchè, d'improvviso, non causò un'esplosione, che incendiò un lembo della tovaglia. Ariana lanciò un grido e si strinse le tempie fra le mani, atterita.

«Hai visto?» reagì il fratello, alzandosi.

Lei aveva cominciato a scalpitare, battendo i piedi a terra.

«Ti avevo detto che le dà fastidio, perchè non hai smesso?»

Kendra si precipitò dalla bambina, tentando di calmarla. «Va tutto bene, va tutto bene» disse, spegnendo con un colpo di bacchetta la fiamma sulfurea.

«Albus, porta i libri in camera e mettiti a mangiare. Anche tu, Aberforth.» e prendendo in braccio la ragazza la trasportò fuori da lì, chiudendosi l'anta alle spalle.

 

23 Marzo 1892

«Hai sentito cos'ha detto la Marchbanks agli altri insegnanti?» chiese Elphias sedendoglisi accanto.

Il parco del castello ospitava pochissimi studenti, compreso il ragazzino ramato sotto al salice.

«Cosa?»

«Che sei un genio. Un ragazzo straordinariamente promettente, nessuno del primo anno ha le capacità che hai tu. Parlano di spostarti alla classe successiva.»

Chiuse il libro, stupito.

«Dici sul serio?»

«L'ho sentito con le mie orecchie, vogliono inserirti in diversi concorsi. Non pensi che stiano correndo un po' troppo?»

Ma Albus era improvvisamente distratto, gli occhi fissi su un tronco di fronte a sè.

«Spero non cambierai davvero classe, o resterò da solo...»

Parve riscuotersi, tornando a guardarlo.

«Certo che no. E non ho alcuna voglia di finire prima.» lo rassicurò, convinto.

Al termine dell'anno scolastico parlò di quelle voci alla madre, che ascoltò sinceramente soddisfatta. Vedeva che il suo successo a Hogwarts la rendeva orgogliosa e pensò che questo dovesse, in qualche modo, consolarla del fallimento della figlia.

Ariana aveva preso a temere ogni manifestazione di magia, così i suoi studi doveva condurli lontano da lei, in camera. Aberforth lo trovava intollerabile. Pensava che da quando era entrato a Hogwarts, di loro non gli importasse più nulla.

«Hai scritto al tuo amico Elphias?» lo stuzzicava, stizzito. «Non vorrai che si dimentichi di te.»

«Perchè non provi anche tu a farti qualche amicizia?» rispondeva lui, con la massima calma.

Ma il fratello arrossiva infastidito. «Forse perchè sono troppo occupato ad aiutare nostra madre, mentre tu te ne stai lì a fare i tuoi stupidi esperimenti.»

«Non li chiamerai più stupidi quando dovrai farli anche tu.»

In effetti, la lettera era arrivata anche ad Aberforth, e per quanto questi si sforzasse di nasconderlo, era chiaro che non vedeva l'ora di andarsene di lì. Presto abbandonò i toni astiosi verso il fratello, sperando che questi lo integrasse nella sua cerchia. Da quando il suo talento aveva dato mostra di sè durante le lezioni, molti di quelli che prima lo avevano evitato avevano preso ad andargli dietro, richiedendo la sua compagnia. Albus li aveva accolti a braccia aperte, come un padre il figliol prodigo.

Elphias, tuttavia, rimase l'unico suo vero amico.

 

27 Dicembre 1893

«Non è così che devi impugnarla, te l'ho detto.»

Aberforth agitò stizzito la propria bacchetta, grugnendo.

«Tienila più piano, delicatamente.»

La mano del ragazzino sembrava troppo goffa e cicciotta per reggere bene quello strumento e, per quanto Albus si sforzasse, i suoi tentativi di correzione erano vani.

«Oh accidenti» esclamò, lasciando perdere. «Dovrei soltanto cambiarla, ecco cosa.»

«Non essere sciocco» lo rimproverò stizzoso. «La bacchetta non ha niente che non va, sei tu a non impegnarti.»

Una figura fece la sua comparsa fra la neve, cogliendoli sul fatto. Trasalirono, temendo l'apparizione di un babbano. Ma quando questa si avvicinò, Albus riconobbe il volto stampato sulla copertina di un suo libro di scuola, Storia della Magia.

«Signorina Bath» esclamò, sorpreso. Aberforth, alla sua destra, ricacciò la bacchetta che aveva nascosto.

«State facendo incantesimi» gracchiò la donna studiandoli attentamente da dietro un paio di occhialini tondi. «Non saggio, per essere all'aria aperta. Qualcuno potrebbe spiarvi.» e mentre lo disse controllò che nessuna luce desse su quell'angolo di giardino.

«Cosa ci fate fuori?» chiese poi tornando a scrutarli.

Albus non seppe che rispondere, colto in contropiede. Aberforth, lì a fianco, si agitò.

«Noi non volevamo... recare disturbo» rispose cauto.

Gli occhi della donna lo perforarono attenti.

«E vostra sorella? Come mai non è qui?»

Albus si sentì raggelare il sangue.

«Come...»

«L'ho vista fare un giro per il prato del vostro giardino, qualche notte fa. Credevo foste gli unici figli di Kendra.»

Boccheggiò a vuoto, non sapendo che dire.

«Non fraintendermi» aggiunse subito, come preoccupata che lui potesse pensare qualcosa di sconveniente. «No era mia intenzione spiare. Ma ero in cerca di plangentine, sai, col chiaro di luna... E mi è capitato di scorgere dei movimenti. In un primo momento ho pensato a dei ladri, a quell'ora della notte! Ma poi ho riconosciuto vostra madre. Teneva per il braccio una bambina, una poco più piccola di voi. Ho pensato fosse...»

«Nostra sorella, sì» irruppe Aberforth prima che la donna andasse avanti con le sue congetture. «E' malata, non può uscire di casa durante il giorno e... non accompagnata.»

Albus si sorprese di come la sua sicurezza fosse tornata in vita appena si era trattato di difendere il buon nome della famiglia. Spostò gli occhi su di lui, ammutolito.

«Oh» l'anziana sembrò colpita, portandosi una mano al cuore. «Sul serio?, che... sono mortificata. Che brutta situazione, povera Kendra!»

Aberforth si alzò in piedi, compito.

«Non si preoccupi, non è nulla. La pregherei però di non spargere la voce, sa... è una situazione delicata.»

Annuì contrita, ed Aberforth si allontanò verso casa, lasciando Albus lì con la storica più illustre dei loro tempi schiacciata dall'umiliazione.

 

«Non avresti dovuto risponderle così» disse, togliendosi il cappotto.

«Perchè? Hai intenzione di ingraziarti anche lei per i tuoi studi?»

Albus gli lanciò un'occhiataccia, prendendo posto a tavola.

«In ogni caso - sospirò la madre tenendo fra le mani una tazza di tè - Ora sappiamo che l'ha vista. E' meglio mantenerla in buoni rapporti, con un'informazione del genere.»

Albus la fissò in silenzio. Poi, ci riprovò: «Non credi che le farebbe bene uscire? Con l'isolamento le sue condizioni non possono migliorare.»

La donna scosse la testa, stanca.

«Potrebbe imparare a controllarli, trattarla come un'inferma non risolverà la situazione...»

«Ah, immagino che creare qualche altro disastro la risolverà invece» ribattè il fratello guardandolo in cagnesco.

Albus alzò gli occhi gelidi. Non sapeva se consciamente, ma sospettava che Aberforth incolpasse lui per quanto accaduto. Non glielo aveva mai detto, chiaro, ma lo intuiva, forse addirittura meglio del fratello stesso.

«Ragazzi, per favore» mormorò Kendra premendosi un palmo sulla fronte, dolente.

I due smisero all'istante di discutere, andandosene ognuno nella propria stanza.

 

Un sospiro sommesso esalò dal petto del vecchio, smuovendone la figura composta. Alle sue spalle, uno scintillio beffardo colpì con un gioco di luce un intero scaffale, illuminandone il contenuto. Diverse coppe argento e oro accompagnavano espositori di spille e distintivi, ordinatamente riposti uno accanto all'altro. Si potevano distinguere diverse incisioni, sulle loro superifici: Barnabus Finkley, premio per Incantesimi Eccezionali; la Medaglia per il Contributo Innovativo alla Conferenza Alchemica Internazionale del Cairo. La nomina di Rappresentante Giovanile Britannico al Wizengamot.

Egli dava loro le spalle, come dimentico della loro esistenza. Ma essi stavano lì, a ricordargli sfacciatamente i suoi antichi successi.

«Non ho mai visto nessuno fare cose simili con una bacchetta» aveva detto la professoressa Marchbanks, che l'aveva seguito fin dall'inizio, dopo averlo esaminato per i G.U.F.O. «Il ragazzo ha talento, deve sviluppare le sue potenzialità.»

Ricordava bene quella frase. Il più dolce dei veleni che avessero mai potuto instillargli nelle vene.

Quella era senz'altro l'insegnante maggiormente impressionata da lui: Albus, infatti, nutriva un interesse preferenziale per la sua materia. Al quinto anno aveva anche scritto un articolo sulla Trasformazione Transpecie, pubblicato successivamente su Trasfigurazione Oggi.

Una dimostrazione di imperdonabile presunzione, a ben guardare. Eppure all'epoca tutti ne erano rimasti entusiasti. L'impresa aveva impressionato persino Bathilda, che aveva spedito un gufo a Hogwarts apposta per complimentarsi. Quello fu il suo primo contatto professionale con una nota rappresentante del mondo magico, se non si contava il breve incontro avvenuto quella notte d'inverno.

Un altro sospiro. Ciò lo rimandò ad Aberforth.

«Posso restare a darti una mano con lei» lo sentì dire alla fine del suo terzo anno, una volta tornati a casa. «Non puoi occupartene da sola, è troppo pesante.»

Kendra aveva scosso la testa, preparando il pranzo.

«Non essere sciocco. Ho bisogno che ti diplomi come Albus, è importante.»

Aberforth aveva abbassato il mento, scurendosi.

«Come Albus, certo...» aveva borbottato. Ma la madre non lo aveva sentito.

Albus, da parte sua, era salito a chiudersi in camera.

A intervalli regolari un gufo bussava alla sua finestra, recapitandogli un pacco spedito da lontano.

«Manda via quelle bestiacce» sbraitava Aberforth innervosito. «Riempiono il cortile di cacca.»

«Niente a che vedere con quelle che tiri tu a Enid Smeek, vero?»

Il ragazzo impallidì, serrando le labbra.

«Cos'è questa storia?» chiese un giorno squadrandolo accigliato. Aveva sentito simili dicerie da una vicina della ragazza, che osservava dalla finestra tutto quanto accadeva in paese.

Aberforth sputò a terra, sprezzante. «E' una stupida megera, un'arpia viziata. Pensa che non la senta, quando parla con quella stupida della sua amica! Non sa nulla di noi e dovresti sentire che storie va inventando.»

«Dovresti smetterla di comportarti a questo modo» replicò fissandolo con severità. «E farti qualche conoscenza come si deve.»

«Ah, certo» berciò. «Tutto perchè mio fratello non può abbassarsi a trascorrere del tempo con me, sono troppo stupido per andargli a genio.»

Albus l'aveva guardato in silenzio, fastidiosamente imprescrutabile.

«E Ariana invece, che torto ti ha fatto? Il suo problemino le ha tolto ogni attrattiva?»

Arrossì. «Non essere sciocco» si alzò, in collera. «Ariana non può vedere un solo incantesimo di livello senza dare in escandescenze, non posso fare nulla in sua presenza. Devo studiare, mi manca un anno per finire gli esami, dopodichè potrò...»

«Andartene in giro col tuo amico Elphias, già. L'ho letta la lettera che vi siete scritti, un viaggio intorno al mondo, che trovata! Tanto qui ci sono io a mantenere a posto le cose.»

Ma Albus aveva raccolto i suoi effetti ed era uscito, sbattendo la porta.

 

Il ricordo sbiadì, lasciando il posto a una nebbia fuligginosa.

Il vecchio seduto sulla sedia chiuse gli occhi per un istante, stringendo le palpebre. Qualcosa nelle sue regolari palpitazioni era cambiato, ora un nodo soffocante gli opprimeva il petto, schiacciandolo. Fece tre respiri profondi, le mani strette attorno al legno della sedia.

 

30 Giugno 1899, Londra.

Erano al Paiolo Magico, un pomeriggio nuvolo con raffiche di vento. Elphias e lui si erano trasferiti lì in attesa dell'alba per la partenza.

L'anno era finito, gli studi terminati, avevano portato a termine gli esami con risultati entrambi brillanti e ora il Grand Tour, il viaggio attorno al mondo che si erano prefissati ormai molti mesi prima, li attendeva.

Albus sedeva sul letto, una cartina della Grecia in mano.

Fuori il cielo plumbelo e un mucchio di nuvole cariche si allungavano davanti ai vetri della finestra. All'improvviso, un gufo arrivò a issarsi sul davanzale, picchiettando sulle imposte.

Elphias lo vide per primo e fu lui ad aprirgli, togliendolo alle intemperie.

«Albus, guarda! Una lettera da casa tua.» strappò la missiva dalla zampa del volatile, leggendone il mittente. «Tuo fratello! Ha deciso di mettere da parte i rancori e augurarti buon viaggio?» rise, lanciandogli la busta.

Albus ricambiò la smorfia e aprì l'epistola sigillata. Dentro, poche righe scritte di fretta, con una grafia sgraziata ma resa particolarmente brusca da un tremore alla mano. Albus lesse con occhi attenti e fronte aggrottata, poi, quando rialzò lo sguardo, il viso s'era fatto terreo, bianco come se l'avessero baciato venti Dissennatori di fila senza mai riprendere fiato. Il sorriso era sciolto.

 

2 Luglio 1899

Il funerale avvenne alle prime luci dell'alba, con poche persone in nero ad assistervi. Albus era tornato seduta stante a Godric's Hollow, portandosi dietro l'amico, e seguiva, insieme al fratello, la funzione. Le poche parole, tracciate sulla pergamena che gli aveva spedito, erano state confuse: È stato un incidente... Io non c'ero... Sono tornato e lei era a terra, non ho potuto far niente. È stato uno sbaglio... Ariana non avrebbe voluto.

Seppure oscure, quelle poche righe lo avevano messo di fronte a un sipario: Kendra era morta. E Ariana l'aveva uccisa.

La pronta occultazione di ogni prova che la incriminasse era stato il suo primo pensiero; sapeva bene cosa sarebbe accaduto se qualcuno avesse analizzato il corpo: l'avrebbe rinchiusa al San Mungo, dove già sarebbe dovuta essere da tempo.

Bathilda li aveva aiutati a tenere lontani i curiosi, Aberforth aveva accettato che venisse messa al corrente per puro senso pratico, e perchè era troppo sconvolto all'idea di vedere la ragazzina trascinata a forza via di casa.

Dopotutto, qualsiasi resistenza avesse opposto, Albus non l'avrebbe considerata.

La tragedia appena consumatasi aveva messo in chiaro una cosa: era il nuovo capofamiglia. Ora che erano rimasti in tre, tutto faceva capo a lui.

Fissò la bara mogano, immobile sotto al cipresso.

Il capannello di gente attorno a lui osservò il silenzio con impeccabile rispetto, commemorando la morte per fatiche e stanchezza, dopo una vita di sacrifici in nome dei figli, della defunta. Sentì il prete pronunciare queste parole mentre la fossa veniva riempita di terra, nel colore ancora ceruleo del mattino.

I suoi occhi visualizzarono la croce sulla coccia, prima che venisse nascosta.

Avrebbe rinunciato ai suoi luminosi progetti per il futuro, tutte le ambizioni che aveva coltivato, per permettere ad Aberforth di terminare gli studi. Sarebbe rimasto accanto ad Ariana per l'anno successivo. Avrebbe rinunciato al viaggio. Ecco il suo destino.

Fissò il cumulo nero su cui iniziò a battere la pioggia.

«Non se ne parla, io resto. Non mi importa un fico marcio della scuola, voglio badare a lei!»

Aberforth aveva opposto ogni tipo di resistenza alla notizia di dover tornare a scuola a Settembre. «Tu non sai di cosa ha bisogno, io ci sono stato tutte le volte che eri via, so cosa le serve.»

Ma Albus fu irremovibile.

«Devi terminare la tua istruzione, come ho fatto io, sai che nostra madre lo vorrebbe. In più, non ho più nulla che mi tenga fuori casa, il viaggio l'ho annullato. Elphias partirà senza di me.»

Solo lui sapeva quanto gli costassero quelle parole. Quell'improvvisa tragedia aveva messo un punto fermo a tutte le sue più rosee prospettive, frenando prematuramente il fuoco della sua dirompente fame di conoscenza. Addio sogni, addio studi e incarichi formativi, la sua corsa verso il successo si arrestava lì.

Ma non poteva permettersi quei ragionamenti quando sua sorella aveva appena commesso un omicidio e l'unico altro adulto all'infuori di sè marciva ad Azkaban.

Aberforth lo guardò ammutolito, incredulo dinanzi a un proposito tanto inatteso. Probabilmente, si sarebbe aspettato che il fratello non compisse mai un sacrificio del genere.

Fu l'inizio di un periodo vagamente pacifico, privo di sfuriate.

Aberforth lasciò che Albus prendesse mano nelle faccende di casa e nelle cure da rivolgere ad Ariana; gli mostrò quello che la faceva calmare quando era agitata e le attività che era solita condurre per passare il tempo. La maggior parte delle volte la portava con sè fra gli animali, aiutandola a dar da mangiare alle capre.

Poco alla volta, imparò ciò che negli anni si era perso, e Aberforth potè finalmente studiare in pace, cosa che fino ad allora gli era stata negata. Imparò anche cosa significa convivere con una persona instabile che non sa come reprimere i propri impulsi, ma che ha l'età e il carattere di una bambina spaventata e preda dei rimorsi. Quella fu la parte più delicata.

Infine, imparò a mettere da parte se stesso, per lasciare spazio agli altri.

Era un momento sereno. Uno di quelli di cui probabilmente la famiglia aveva sempre avuto bisogno, in mezzo al mare di burrascosi avvenimenti che l'avevano colpita e sballottata negli anni.

Ma, come tutti i momenti sereni, finì.
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: vale93