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Autore: _apefrizzola_    03/07/2017    9 recensioni

«Sei più pettegolo della buon’anima di Bertha Jorkins, Ramoso»
«Ma come ti permetti, canide perfettamente riuscito?»
«Bertha Jorkins è morta!?»
«No, Peter... era per dire... visto che non è più a scuola...»
«Cosa te ne frega cosa si dicono Bones e McKinnon, James?»
«Se solo ci fossi stato, quel giorno davanti alla porta chiusa dell'ufficio di Silente, adesso staresti origliando dietro quello scaffale come il segugio quale sei»

«Barty, parlo sempre di te a Bella»
«Ma non l'hai ancora convinta! Così come non ho convinto del tutto voi, soprattutto da quando mio padre ha dato agli Auror il permesso di uccidere! Lo vedo nelle vostre facce, non sono stupido. E sappiate che lui non si fermerà, è sempre più pazzo. Svegliati, Regulus, sono quello messo peggio tra voi!»


«Stavo salendo le scale, lui è sprofondato da solo in quel gradino» esordì Liv per mettere subito in chiaro le cose come ogni volta che si ritrovava lì, a spiegare il motivo per cui aveva usato la bacchetta.
"Il Prefetto Malfoy ha detto che ho un cognome da Sanguesporco";
"Mulciber ha attaccato Mary";
"Rosier ha chiamato Dirk Cresswell mancato Magonò";
"Piton ha insultato Lily, l'ha chiamata schifosa Sanguesporco."
Genere: Commedia, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Regulus Black, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Malandrini'
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Capitolo 26
 
 

LA CAPRA E IL SERPENTE
 
 
 

 
 
Da oltre trenta minuti, la corta ciocca bionda si arrotolava e srotolava velocemente attorno al dito di Mary che, davanti alla porta chiusa dell’infermeria, non riusciva a fare altro se non guardare Liv che si fissava le unghie, poggiata sullo stipite.
Non lo faceva mai, fissarsi le unghie, specialmente in quel modo così attento ed interessato.
L’importanza che l’amica dava alle unghie era meno di quella che riservava alla polvere in Biblioteca. Una volta aveva provato a metterle un delicato smalto albicocca, Liv se l’era scrostato subito dopo aver visto che era asciugato.
Ma Mary adesso non lo trovò strano, o forse neanche lo vide, in realtà. In quel momento, l’unica cosa che riusciva a pensare era a Lily, Lily che mezz’ora prima era sparita dietro quella porta, in braccio a Piton. Lily svenuta, completamente sporca di polvere, con un polso in una posizione di certo non naturale e con abrasioni e sangue sparsi ovunque.
Certo che non vedeva Liv guardarsi le unghie. Nessuno vedeva le corte unghie di Liv, neanche Liv stessa che prima di diventare così silenziosa aveva passato minuti interi ad urlare contro chiunque le aveva detto di aspettare e di restare lì fuori, in attesa.

«Liv, Mary!» esalò trafelato John Owen, appena arrivato con una mezza corsa trattenuta dall’Auror che l’aveva bloccato ai Tre Manici di Scopa, quando aveva tentato di uscire dal pub per cercare Lily.
Nè Liv e nemmeno Mary sembrarono sentirlo o vederlo.

«Non me ne andrò da qui, può anche lasciarmi adesso!» sbottò il Corvonero lanciando un’occhiata infastidita all’uomo in divisa che lo lasciò andare sentendo la voce del suo collega arrivare dal piano terra.

 

«Basta, Remus, per favore. Dovete restare qui, per il vostro bene. Puoi credermi: Stiamo facendo l’impossibile per trovarli ma ci vuole tempo. So che puoi capire»
«NO CHE NON POSSO CAPIRE, FRANK! PERCHÉ SE NON LI AVETE ANCORA TROVATI SIGNIFICA CHE NON È VERO CHE LO STATE FACENDO! IO E PETER
INVECE LO FAREMMO, L’IMPOSSIBILE, PER CERCARE JAMES E SIRIUS! LASCIATECI ANDARE!» La voce così stranamente alta ed arrogante di Remus riuscì a svegliare Liv e Mary dalla trance nella quale erano momentaneamente piombate.
Liv sollevò lo sguardo dalle unghie, infastidita dalla voce di quello che l’aveva Schiantata a freddo. Era una cosa che l’aveva mandata in bestia.
Si allontanò dallo stipite della porta, pronta a marciare spedita verso Frank Paciok, nello stesso istante in cui un anta si aprì facendo uscire Piton.
Frank passò immediatamente in secondo piano.
«Ci lasci entrare, Madama!» protestò John scostando Piton di lato per poter spingere la porta che si richiuse con la voce abbastanza alta di Madama Chips dietro. «Non tutti insieme!».
John riuscì a sgusciare dentro per primo soltanto perchè Mary e Liv erano rimaste a fissare Piton, schivo e anche abbastanza provato.
«Dove l’hai trovata?» sbottò Liv, per niente accomodante nonostante si stesse rivolgendo a quello che aveva portato in salvo la sua migliore amica.
Lo trafisse con lo sguardo ma lui si limitò ad indurire leggermente le labbra sottili.
«PARLA!» ordinò istericamente Mary senza riuscire più a sopportare tutta quella tensione che le stava irrigidendo i muscoli da mezz’ora.
L’urlo acuto fece sussultare Piton. «Era in un posto dove non doveva stare e tu» esordì, rivolgendosi a Liv senza nascondere tutto il disprezzo nei suoi confronti «Credi davvero di essere la sua migliore amica accompagnandola fuori da qui come se niente fosse?».
Mary scattò istintivamente, allungando una mano verso quella dell’amica che infatti stava già in aria, con la bacchetta puntata contro il Serpeverde.
«Non osare, Piton» sibilò Liv in un sussurro basso, pieno di rabbia e veleno. «Non osare parlare di amicizia riferita a Lily perchè tu non ne hai proprio il diritto, non più. O pensi forse di essere il perfetto migliore amico appoggiando quelli che la chiamano ‘Feccia della società’!?».
«Ragazzi» intervenne l’Auror, avvicinandosi. «Via le bacchette».
Senza lasciare l’uno lo sguardo dell’altra, Liv e Piton abbassarono le armi mentre un rumore di passi veloci echeggiò nel corridoio.
Sam Stebbins, Wayne Abbott e Ned Stevens arrivarono di corsa con le sciarpe gialle a penzoloni sul collo insieme a Pandora e alla sua amica Corvonero, in lacrime.
«Avete visto Ed e Marlene?» chiese in agitazione Ned, fermando gli occhi blu su Liv che era appena diventata dello stesso colore della neve fuori dalle finestre.
Tutti scossero la testa mentre l’Auror controllava che stessero bene.
«Severus?» L’improvvisa voce di Regulus rispecchiava la sua espressione spaesata e lievemente spaventata con gli occhi grigi che sembravano aver appena cercato qualcuno senza riuscire però a trovarlo.
Piton passò accanto a Liv, dandole una volontaria spallata, raggiungendo il suo amico per trascinarlo via da lì. Peter, sbucando dalle scale appena prese dai due Serpeverde, li guardò con evidente sopresa. Erano vivi e senza neanche un graffio.
«Oh, no, Remus... so cosa volete fare» esordì Frank  facendo la sua comparsa subito dopo. Remus lo seguì a ruota.
«Vogliamo salire nella nostra Sala Comune e aspettare lì, ok?» fece, sfilandosi con nervoso la sciapra rossa e oro dal collo.
Frank però lo fermò, bloccandogli un braccio.
«Volete prendere le scorciatoie. Vi conosco» gli disse, abbassando la voce.
Peter scosse la testa ma Remus non riuscì a negare, o meglio, non lo stava neanche ascoltando. In testa aveva soltanto James e Sirius dispersi in posti sconosciuti, uno più orribile dell’altro, che la mente gli stava malignamente creando senza controllo.
Potevano averli rapiti, portati in qualche losco nascondiglio o al cospetto di Voldemort in persona, per torturarli o fare chissà cosa.
Volevano convincere due Purosangue ad unirsi al loro esercito di pazzi?
A cosa potevano servire due studenti a dei Mangiamorte?!
Potevano essere degli ostaggi per chiedere qualcosa a Silente?

«Remus?» lo chiamò apprensivo Frank, poggiandolgi entrambe le mani sulle spalle per riavere la sua totale attenzione.
Remus scosse leggermente la testa e riposò lo sguardo ambrato su di lui che riprese a parlare.
«Per favore. Se mi promettete che starete qui io potrò andare a cercarli. Sapete che non tornerei senza di loro, a costo di passare tutta la notte là fuori, a scavare nelle macerie della battaglia».
Peter trasalì, facendo sparire le labbra tra i denti per evitare di lasciarsi andare alle lacrime che avevano cominciato a pungere dietro le ciglia.
James e Sirius non potevano aver fallito. James e Sirius non fallivano mai, soprattutto quando stavano insieme.
Remus non rispose. Ma sapeva che Frank stava dicendo la verità. Sapeva che Frank l’avrebbe fatto sul serio. Lo conosceva, era testardo quanto un mulo e soprattutto un uomo di parola, fedele e coraggioso oltre ogni limite. Non era cambiato dalla scuola, anzi, sembrava ancora più combattivo. Lo vedeva nei suoi occhi scuri e lucidi, segnati da qualcosa di così oscuro e rabbioso che li rendeva incredibilmente determinati.
Davanti a quello sguardo, si trovò ad annuire con Peter al fianco che si portò le mani tra i capelli biondicci.
Frank gli diede due pacche sulle spalle che aveva stretto con forza, prima di correre giù per le scale.
«James e Sirius, Remus»
«Vedrai che saranno qui a fare gli scemi tra neanche dicei minuti, Pete, vedrai»
«Sono indistruttibili»
«Già, proprio così»
Per niente. Remus cercò di ingoiare il groppo in gola che continuava a ripetergli quanto James e Sirius fossero più che mai distruttibili, esattamente come lo erano state tutte le cose che l’avevano circondato poco più di mezz’ora prima. Tutte le cose, compreso se stesso.
Immaginare anche solo per un millesimo di secondo di non vederli mai più lo faceva sentire così spaesato e perso da ritrovarsi avvinghiato al lupo che ad ogni luna piena gli graffiava e mangiava l’anima.
 
 


 
 
 
*
 
 



 
 
«Lily?»
«Signor Owen, la lasci riposare»
Da quando il freddo magazzino è diventato caldo e soffice? 
Lily provò ad aprire le palpebre ma erano pesanti, troppo pesanti. E c’era troppa luce. Luce bianca, non verde smeraldo come continuava a vedere tenendole chiuse.
«Lily? Ti prego, apri gli occhi»
Occhi. In mezzo a tutto quel verde c’erano due occhi neri molto familiari. Si aprivano tra una persiana e l’altra, come due piccoli semi scuri.
«Lils... per favore»
Era la voce di John, quella. Ma John non aveva gli occhi neri.
Forzò le palpebre e dopo aver sbattuto più volte le ciglia riuscì a vedere il volto angosciato del suo ragazzo con l’azzurro cielo degli occhi, brillante di sollievo e felicità.
«Lily!» esclamò il Corvonero prendendole dolcemente il viso tra le mani per baciarle la fronte ancora impolverata. Lily sorrise debolmente.
«Scusa, ti avevo detto che stavo andando a comprarti il regalo-sorpresa...» riuscì a dire sentendo le corde vocali bruciare incredibilmente insieme ad un sordo dolore sparso per il corpo. «Ma non l’ho potuto comprare».
John sorrise a sua volta, accarezzandole lievemente le guance con i pollici.
«Ah, no? Cos’è successo?» scherzò, facendola ridacchiare stancamente.
«Niente di che» fece lei posando le mani sulle sue che ancora le accarezzavano il viso. «I negozi erano stranamente chiusi...».
John rise, chinandosi per baciarla delicatamente sulle labbra.
«Il tuo regalo me l’hai fatto eccome» le soffiò scostandosi da lei di pochi millimetri «Sei viva».
Lily sospirò in un sorriso,  riavvicinando le loro labbra in silenzio, troppo silenzio.
Quando Potter era in una stanza quel silenzio non poteva esistere.
Anche malato o ferito, Potter parlava, sempre. Parlava o si lamentava, e con lui Black.
Quante volte la voce di Madama Chips aveva echeggiato contro di lui nel corridoio dall’ infermeria perchè: ‘Questo non è il campo da Quidditch, Potter! Faccia silenzio e si riposi! Ha avuto un trauma cranico, per l’amor di Merlino!”.
Lily lasciò le gentili labbra di John e voltò la testa senza riuscire però a sollevarla dai morbidi cuscini coperti dai suoi polverosi capelli rossi.
Il letto davanti era vuoto, tutti i letti erano vuoti.
Improvvisamente, il calore e la comodità dell’infermeria si trasformarono in una fastidiosa sensazione scomoda, sbagliata.
«Potter? Black?» chiese, senza fiato.
Come c’era finita lì senza trasportarsi dietro anche loro due? Non li avrebbe mai lasciati in quel magazzino! Mai! Non avrebbe lasciato nessuno lì!
John strabuzzò gli occhi. «Cosa?» chiese spaesato, contagiato dall’espressione di Lily che scattò a sedere sul materasso. «Lily non puoi alzarti. Non ancora» l’ammonì sorreggendole la schiena dondolante. Ma Lily continuò a guardarsi intorno con crescente confusione.
«POTTER E BLACK! DOVE SONO POTTER E BLACK?!» ripetè, alzando la voce, facendolo boccheggiare. Da quando in qua Lily si preoccupava in quel modo per quei due?
«Li stanno cercando» le rispose sconcertato. La vide socchiudere gli occhi verdi ed indurire le labbra pallide prima che si trascinasse giù dal letto.
«No! Non puoi camminare!» la sgridò andandole dietro mentre Lily, scalza e in una vestaglia pulita, marciava non proprio spedita verso la porta.
I toni alti fecero uscire Madama Chips dal suo ufficio. «Evans! Non sei nelle condizioni adatte per farti un giro al castello!» sbraitò la donna sollevandosi la lunga gonna per correrle dietro insieme al Corvonero anche se Lily era già uscita in corridoio facendo sgranare gli occhi di tutti.
«Lily!» esclamò Mary portandosi una mano al cuore. Lily però non si fermò. Superò Liv, Remus, Peter e quando arrivò di fianco ai Tassorosso si fermò bruscamente vedendo l’uomo in divisa da Auror.
«Potter e Black sono dentro un magazzino con una porta e una piccola finestra... verdi, credo, o gialle... dietro Mondomago» informò con voce roca senza perdere il tono duro, anche per nascondere il terribile bruciore che aveva sentito dopo aver parlato.
Lanciò un’occhiata rassicurante a Remus e Peter, sorpresi e pallidi allo stesso tempo, per poi rivolgersi di nuovo all’uomo dallo sguardo attento. Liv, dietro di loro, perse un battito del cuore.
«C’è stata un’esplosione ed è crollata una casa» continuò portandosi una mano alla testa che percepì per un attimo vuota e attraversata da un fitta lancinante.
Camuffò il gesto di sofferenza mettendosi una ciocca di capelli dietro un orecchio quando Madama Chips le arrivò alle spalle, insieme a John.
«Troverete delle macerie ma loro sono dentro il magazzino» riprese sentendo la gola bruciare di più.
L’Auror annuì e fece per filare dritto verso la scale ma Lily lo fermò. «C’era un Mangiamorte... donna... una Mangiamorte donna che potrebbe essere sotto i mattoni... non ricordo chi...» aggiunse frettolosamente facendo sussultare tutti, Liv compresa che le si avvicinò per sorreggerla mentre l’Auror cominciava a correre così velocemente da far svolazzare la sciarpa di Pandora quando ci passò davanti.
La soffice stoffa blu e bronzo rimase in aria anche quando Remus e Peter seguirono l’uomo senza ripensamenti.
«Non devi assolutamente parlare, Evans!» la redaurgì bruscamente Madama Chips. «Le tue corde vocali hanno bisogno di totale riposo! Totale! E così il collo e la testa!» Allungò una mano per scortarla di nuovo in infermeria ma Lily riprese a camminare velocemente verso le scale.
«Sto bene» mentì, ignorando il dolore acuto alla gola, il freddo del pavimento in pietra che le gelava i pieid nudi risalendo per tutto il corpo in un unico brivido, la testa che sembrava aprirsi a metà, il collo incapace di sostenerla e l’indolenzimento delle ossa in ogni parte del corpo.
Ignorando tutto quello che non era l’immagine di quegli occhi neri ancora stampati nelle iridi verdi, determinate a trovarli.
Si appoggiò alla balaustra fittamente decorata di agrifoglio e scese i gradini stringendo i denti con John e Liv al seguito.
Il polso non faceva più male, Madama Chips doveva averlo aggiustato per primo.
«Lily, non fare l’incosciente. Torna in infermeria con noi» la incitò John cercando di afferrarle un braccio. Liv lo guardò storto rendendosi conto che entrambi l’avevano seguita per due motivi diversi.
Se Lily era in piedi nonostante il suo stato significava che c’era un motivo valido e l’unica cosa da fare era appoggiarla, qualsiasi cosa fosse.
Allontanò la mano del Corvonero dall’amica e lo bloccò sugli ultimi scalini della grande scala in marmo lasciando che Lily mettesse piede nella Sala d’Ingresso, gridando il nome di Piton.
«SEVERUS!» Le corde vocali sembrarono cedere, stirarsi così tanto da sfilarsi in mille straccetti. Molto probabilmente, pensò Lily, non sarebbe più riuscita a parlare.
Ma il suo ex migliore amico si era fermato davanti alla clessidra dei Corvonero, quasi sul primo gradino che scendeva per i sotterranei, e sapeva che con lui non servivano le parole.
Avrebbe capito, Severus avrebbe capito guardandola negli occhi. Avrebbe capito quanto schifo le facesse, quanto disprezzo provava per l’essere disumano che era diventato.
Gli occhi neri che apparivano ogni volta che abbassava le palpebre adesso li aveva davanti, spalancati ed increduli.
«Se vuoi salvare me, Piton» iniziò a sibilare con un filo di voce gelida «Devi fare la stessa cosa  anche con tutti quelli come me o che sono con me. Altrimenti non prenderti nemmeno la briga di muovere un dito».
Sembrava che a separarli non ci fossero i metri della Sala d’Ingresso ma un intero universo vuoto e scuro che nessuno dei due riusciva più ad attraversare, neanche Piton che rimase lì senza riuscire a muoversi o a respirare.
«Fate passare, presto!» esclamò trafelata e piena di neve la McGranitt, entrando di fretta dal portone. «Evans! Cosa ci fai qui?»
Lily aprì le labbra ma non ne uscì fuori alcun suono. Forse per le corde vocali irritate o per il vuoto che dalle scale dei sotterranei si era espanso anche dentro di lei.
La McGranitt, comunque, non aspettò una sua risposta. «Svelto, Paciock!» Si affaccendò subito ad aprire del tutto il portone di quercia per far entrare Frank, che trasportava un inerme James in braccio, e poi Remus e Peter con Sirius apparentemente sveglio ma stranamente assente e confuso, svuotato. Liv trattenne il fiato a quella vista, un lungo brivido le percorse l'intero corpo e il cuore cominciò a battere così velocemente da farle male; la voglia di toccarlo la colse di sorpesa.
I tagli sanguinanti sul viso di Sirius, bianco come la cera, catturarono tutta l’attenzione di Lily. Dentro al magazzino, Black non aveva tagli sul viso.
«Li abbiamo trovati che varcavano il cancello. O meglio» annaspò Frank cominciando a salire l’ampia scala bianca. «Sirius varcava il cancello trascinandosi dietro James. Si è lasciato andare soltanto dopo aver varcato i confini del parco. Non so come abbia fatto, non si regge in piedi» spiegò passando tra John e Liv che seguì con gli occhi spalancati James, per poi inchiodarsi su Sirius preso alle spalle dai suoi due amici. Lo sguardo grigio era così vuoto e spento da non sembrare più il suo, la gola le si chiuse; la voglia di vedere il solito Sirius di sempre la invase inaspettatamente.
Gli occhiali di James scivolarono dal naso sporco di polvere, finendo su un gradino. La mano di Lily li raccolse immediatamente.
«Forza, Lupin» incoraggiò la professoressa posando una mano sulla schiena di Remus che si sistemò meglio il braccio di Sirius sulle spalle mentre Peter faceva la stessa cosa. «Evans, anche tu! In infermeria! Subito! Aiutatela!».
Liv e John presero sotto braccio Lily che si lasciò sorreggere stringendo maggiormente tra le mani gli occhiali rotti di James.
«Frank!» provò a forzare la voce per chiamare l’amico, già in cima alle scale con gli altri dietro. «Dì a Madama Chips... Potter... più Maledizioni Cruciatus. Black... un Dissennatore».
Lui annuì, sparendo al primo piano.
Piton restò silenziosamente lì, a seguire con gli occhi la chioma vermiglia spettinata della ragazza che aveva salvato e che però stringeva quegli occhiali come se non volesse perderli.
Proprio come stavano facendo gli occhi grigi di Regulus, dalla penombra dei primi gradini del sotterraneo, aggrappati alla figura di Sirius fino a quando non sparì anche quella al piano di sopra.
Era tutto così sbagliato. Tutto.
“Devi fare la stessa cosa  anche con tutti quelli come me o che sono con me”
Quelle parole ancora nell’aria affondavano crudelmente nel petto come coltelli affilati.
Era stato lui a salvarla, non Potter! Potter e Black non avevano bisogno di essere salvati e di certo non lo meritavano.
Chi desiderava la sua morte e chi aveva addirittura provato a renderla reale non meritava di essere salvato. Avrebbero fatto meglio a marcire in quel magazzino! Dimenticati da tutto e da tutti! Da chi li adorava, ammirava, venerava!
Era quella la loro sorte lontano dal loro ‘Regno’: la morte. Come loro pensavano che fosse la sua lì, dentro quel castello che comandavano a suon di risate e strafottenza.
“Altrimenti non prenderti nemmeno la briga di muovere un dito”
Eccome se l’avrebbe fatto, invece. L’avrebbe fatto, sempre.
Per lei avrebbe mosso il mondo intero andando contro chiunque.
Ma soltanto perchè era Lily
Andava oltre il concetto di Sanguesporco e Nata Babbana, lei con loro non c’entrava nulla.
Non riusciva a spiegarselo neanche lui, ma Lily era diversa da qualsiasi persona esistente, non si poteva etichettare o ricollegare a qualcosa come uno stato di sangue o una Casa di Hogwarts. Gli altri sì, lei no.
Lily non era una Nata Babbana, Lily non era una Grifondoro, Lily non era una Caposcuola. 
Lily era quella bambina solare, divertente e bellissima, che non sapeva ancora il significato di Sanguesporco, che non apparteneva ancora a nessuna Casa. 
Lily era semplicemente ed unicamente Lily
Due voci arrivarono ovattate dalla bufera di neve che aveva cominciato a scatenarsi fuori dal portone ancora spalancato.
«Eravamo in troppi, Moody, troppi! Sette, tutti insieme nello stesso posto... quando capita? Mai! Un’occasione troppo preziosa per quei bastardi! E adesso abbiamo perso anche Mand! Un’altro...»
«Zitto, Fenwick! Non qui».
 
 
 


 
*
 
 



 
La Sala Grande a cena aveva gli occhi puntati sul tavolo dei Tassorosso e dei Corvonero, più precisamente su Ned e Pandora, i migliori amici dei due studenti misteriosamente scomparsi dopo la gita a Hogsmeade.
Ned non era neanche riuscito a finire di mangiare la sua zuppa e poco prima che comparissero i secondi era uscito dalla sala a passo di marcia sotto lo sguardo attento di tutti.
Qualcuno diceva che Edgar Bones e Marlene Mckinnon fossero morti, uccisi. Altri erano convinti si trattasse di rapimento da parte dei Mangiamorte o di un terribile bacio dei Dissennatori.
I più fantasiosi, invece, mettevano in mezzo anche i Caposcuola e Sirius Black, finiti in infermeria perchè avevano tentato di difenderli dai Giganti, senza successo.
Nessuno però osò chiedere qualcosa agli adulti.
Il posto del Preside era vuoto, e i professori non avevano detto una parola. La Sprite e Vitious erano così addolorati tanto da far sembrare vere le ipotesi delle morti. Soltanto un pazzo avrebbe potuto avvicinarsi alla McGranitt, paurosamente scura in volto e dallo sguardo così duro e severo da far allontanare di qualche posto sulle panche i bambini del primo anno seduti in fondo alle tavolate- davanti ai professori- facendo scivolare a terra quelli dall’altro capo del tavolo, accanto alla porta.
E se la McGranitt faceva paura, il professor Dearborn era a dir poco inquietante.
I suoi occhi verdi ridotti a fessure tra i ciuffi di capelli castani erano piantati con furia sul piatto, come se volesse affettare il roast beef fumante soltanto con quelli.
Liv, al tavolo dei Grifondoro con Mary al fianco e Peter e Remus davanti, gli assomigliava parecchio.
Non sollevò lo sguardo altrettanto rabbioso dal suo calice neanche quando una ragazzina del quarto anno le chiese di passarle l’acqua. Ad un certo punto non riuscì a capire neanche cosa stava mangiando. Ma il sapore delle cose sembrava sparito.
Non solo per Lily, James e Black in infermeria- anche se Madama Chips aveva assicurato che nessuno dei tre era in pericolo di vita- ma anche e soprattutto per Marlene e Edgar che erano riusciti a scappare, insieme all’occasione di scoprire tutta la verità.
Gli sguardi di Mary e Remus si incrociarono più volte, preoccupati. Ma mai quanto quello celeste di Peter che, per la prima volta in sette anni di cene a Hogwarts, aveva lasciato metà patata ripiena sul piatto.
Vedere James e Sirius ridotti in quelle condizioni gli era sembrato irreale, uno dei loro soliti scherzi pesanti.
E invece era tutto vero, più vero che mai.
James sapeva allontanare un Dissennatore ma non riusciva a resistere ad una Maledizione Cruciatus. Nessuno poteva. Era la cosa più forte che esisteva dopo l'Avada Kedavra.
E perchè Sirius non si reggeva in piedi e aveva lo sguardo perso anche se James l’aveva salvato?
Non c’era davvero un modo per uscirne fuori incolumi? Mai?
Se fosse stato al loro posto sarebbe sicuramente morto, morto stecchito.
Posò la forchetta sul tavolo, anche soltanto l’odore del cibo gli dava la nausea. Lo sguardo angosciato cadde inevitabilmente al tavolo dei Serpeverde, alla ricerca di quelli che per metà erano rimasti al sicuro al castello invece di andare a Hogsmeade e l’altra metà era tornata completamente intatta.
Si stupì non vedendone neanche uno. Avery, Mulciber, Regulus e Piton non erano tra i loro compagni.
Quando tutti e quattro salirono in Sala Comune, insieme ad altri gruppetti di Grifondoro, si rintanarono nella camera dei Malandrini senza che nemmeno ci fosse bisogno di chiederlo o proporlo.
Mary chiuse la porta vedendo Remus attraversare la camera velocemente, liberando i pensieri per primo.
«Non ne abbiamo le prove concrete» esordì, frugando dentro il cassetto del comodino per tirare fuori un foglio di pergamena e una piuma. «Ma un gruppo segreto che combatte...»
«L’Ordine... è così che l’ha chiamato Edgar» informò Liv sedendosi sul letto di James mentre Peter si apprestava ad attizzare i carboni ardenti dentro la piccola stufa.
«Bene» approvò Remus «L’Ordine. L’Ordine contro Voldemort esiste, anche senza prove certe»«Remus» pigolò Peter, pallido. «Va bene... Tu-Sai-Chi» si corresse lui per non agitare l’amico.
Mary lo guardò lisciare la carta con cura prima di aprire la boccetta d’inchiostro e sedersi sul suo letto afferrando il grosso libro di Trasfigurazione per cominciare a scrivere con calligrafia ordinata. Prese posto al suo fianco, cercando di capire cosa volesse fare.


L’ORDINE ... (di Silente? Anti-Mangiamorte? Pro-Nati Babbani?)
 
Albus Silente
Minerva McGranitt
Caradoc Dearborn
Dorcas (?)
Rubeus Hagrid
Elphias (?)
 

«Lily vi ha detto i nomi delle persone che hanno fatto parte di quella riunione segreta dopo la partita contro i Tassorosso?» chiese Remus sollevando lo sguardo su Mary che annuì senza staccare il suo dal foglio.  
«Li hai scritti tutti» lo rassicurò rileggendo la breve lista luccicante di inchiostro fresco.
«Frank» esordì bruscamente Liv, in piedi alle loro spalle.
Remus, Mary e Peter spalancarono gli occhi.
«Sì, proprio Frank Paciok. E poi il Capo Auror Alastor Moody e un certo Benjy» aggiunse, ricordando i nomi che aveva sentito da Marlene quando l’aveva spiata con James dietro le casse di Mielandia.
Remus esitò prima di affrettrarsi a scrivere i nomi.
«Frank?» ripetè Peter, sconvolto, sedendosi sul letto di Sirius. Liv annuì.
«Quindi anche Alice?» chiese Mary, forse a se stessa, nello stesso istante in cui Remus aggiunse il nome della ragazza. Frank non faceva mai niente senza Alice e Alice senza Frank.
«Allora anche tutti gli altri Auror?» domandò Peter, portando le gambe sopra al letto sfatto. Remus scosse la testa. «Se è un gruppo segreto, il Ministero non sa che esiste. Gli Auror appartengono al Ministero, Pete» gli rispose lasciando la piuma nel calamaio.
«Ma Moody, Frank e Alice sono Auror, i migliori del Ministero» insistette lui, incerto.
«Moody è più vicino a Silente che al Ministero, sono amici, lo sanno tutti» intervenne Mary. «E nelle interviste sulla Gazzetta non sembra molto felice quando parla con i giornalisti, no?» 
«Quindi è ovvio che si schieri con Silente» completò la frase per lei Remus «che di sicuro agisce in un modo molto più sicuro rispetto al Ministero che è immerso nel completo caos. E tutti qui conosciamo abbastanza bene Alice e Frank per dire che anche loro ascoltano più Silente del Ministro della Magia».
Tutti, infatti, annuirono.
«Quando ho tirato fuori in modo velato l’argomento» esordì Liv incorciando le braccia al petto «l’Auror che stava con Frank sembrava non capisse un accidenti mentre Frank e il professor Dearborn sì, eccome. Evidentemente, gli unici Auror che stanno con Silente sono loro tre».
«É quello che penso anch’io» fece Remus «Anche perchè, se tutti gli Auror facessero parte dell’Ordine, il Ministero lo verrebbe sicuramente a sapere».
Anche Peter sembrò ormai totalmente convinto. Mary riportò lo sguardo sulla lista. «Aspettate» mormorò in tono pensieroso, prendendola come se avesse visto qualcosa che prima le era sfuggita. «Dorcas è quella che Lily e Potter vedono spesso nei corridoi la sera?» chiese.
«Sì» le rispose Liv. Remus restò un attimo in silenzio prima di parlare.
«Quindi, tutti gli estranei che hanno visto di notte mentre raggiungevano il Preside potrebbero far parte del gruppo» diede voce ai pensieri di Mary che si era illuminata così tanto da farlo sorridere.
«Quei due ragazzi identici con i capelli rossi, Liv!» esclamò Mary sventolando la pergamena nella sua direzione. «Ti ricordi!?»«Quelli con Gazza!» fece lei sciogliendo le braccia. Come avevano fatto a non pensarci prima?
«Non sapete come si chiamano?» chiese Peter scendendo dal letto per la tensione.
Mary scosse desolatamente la testa bionda. «No. Erano gemelli... con i capelli di un rosso veramente acceso e una marea di lentiggini. Hanno detto di avere una sorella che aspettava altri due gemelli come loro» informò posando il foglio di carta sulle gambe di Remus che sussultò leggermente.
«Non conosco nessuno del genere...» disse lui, grattandosi il naso per nascondere il leggero rossore che sentiva incendiargli le guance.
«Ma James  e Sirius potrebbero conoscerli! Vero, Rem?!» squittì Peter con occhi luminosi. «Loro conoscono tutte le famiglie magiche! Purosangue e non!» spiegò entusiasta, rivolgendosi alle due ragazze.
«Ottimo!» cinguettò Mary «E dobbiamo chiedere a Lily e James se ne hanno visto altri...».
Peter scattò verso il suo comodino dove, in bella vista, c’era una pergamena apparentemente vuota. «Dobbiamo anche usare... » 
«Meglio scriverli a matita questi due» lo fermò di colpo Remus, sorridendogli eloquentemente. «Mi presti la tua, Pete? La mia ha la punta spezzata».
Non potevano di certo far vedere la Mappa a Liv e Mary, ma era assolutamente un’idea furbescamente brillante quella di controllare i nomi dentro l’ufficio del preside con la loro fedele creazione di inchiostro e pergamena.
Peter, rosso come un pomodoro, si abbassò a terra davanti al comodino per prendere la tracolla ancora piena di libri dal giorno precedente.

Frank 
Alice
Alastor Moody
Benjy (?)

Gemelli dai capelli rossi (??) 

 
Liv si chinò per leggere da sopra la sua spalla, facendo scorrere lo sguardo attento e pensieroso su ogni nome.
La lista era più lunga di quello che si era aspettata. Vedere tutti quei nomi scritti nero su bianco la fecero sentire più sicura: Tutte quelle persone non erano finte, inventate. Erano così tante e non erano neanche tutte lì.
Significava che l’ipotesi del gruppo segreto... l’Ordine... non poteva essere falso o così impossibile.
«Remus, hai una pergamena in più?» chiese.
«Certo, dentro al cassetto» rispose lui indicandole il comodino. «Prendi pure la mia piuma».
Liv afferrò la penna d’aquila e il calamaio che Remus le aveva porso, e dopo aver trovato una pergamena pulita si sedette sul letto di James usando la dura scatola in legno del Kit di Manutenione per la Scopa come banco, per cominciare a scrivere.
 

Papà,
 
Si fermò un istante, staccando la punta nera d’inchiostro dalla carta. Era più forte di lei, quella sensazione che le respingeva la mano dalla pergamena era più forte di lei ma non del cuore che, se ne era appena resa conto, stava battendo così veloce da far paura.
Con la coda dell’occhio vide Mary osservarla premurosamente in silenzio, e l’inchiostro riprese a colorare il foglio.
 

Papà,

Prepara le valigie, ho trovato un modo per non combattere da sola. 
Non posso scrivertelo qui. Tornerò a casa per le vacanze di Natale e ti dirò tutto a voce.
 
A presto, 

Liv
 





 
 
 
 
*
 
 
 
 


 
Verde... come i prati in primavera... il vestito preferito di mamma... come aveva gli occhi papà... la tazza da tè con le rose che usava Tunia quando giocavamo con le bambole... il campo da Quidditch all’ultima partita dell’anno... gli smeraldi scintillanti dentro la clessidra avvolta dal serpente... le cravatte dei Serpeverde nei sotterranei. 
Verde come il libro di Difesa descrive l’Anatema che Uccide... una luce improvvisa, fulminea, fatale... che non lascia scampo, tempo per capire di star andando via per sempre...

Tutto continua ad essere così verde tranne quegli occhi neri dietro le persiane, profondi come due freddi tunnel... uccidono esattamente come la luce verde che hanno attorno...

 Lily aprì di scatto gli occhi, scoprendo di essere di nuovo sotto le calde coperte del letto dell’infermeria.
Dalle finestre ad arco acuto si riusciva a vedere il cielo stellato, la fievole luce perlacea che attraversava i vetri per illuminare soltanto qualche dettaglio dei letti, delle tende e del pavimento.
Quanto aveva dormito da quando Silente era passato per sapere come stavano e come erano andate le cose?
Era entrato in infermeria con sguardo bonario e leggermente preoccupato, senza minimamente chiedere dettagli sul perchè si erano trovati da soli dietro Mondomago e senza accennare a punizioni o spille da Caposcuola da togliere per aver trasgredito la regola numero uno del rapporto Caposcuola-Preside: Fare rapporto su ogni cosa che accade a scuola, mese dopo mese.
Lily spostò la testa alla sua sinistra e vide Sirius, addormentato nel letto accanto. Il viso senza più tagli, di nuovo normalmente roseo, con i regolari lineamenti rilassati in un’espressione serena.
Sul suo comodino c’era una montagna di cioccolato, la sua bacchetta che qualcuno aveva evidentemente recuperato da Hogsemade e una bottiglia di Pozione Sonno Senza Sogni vuota per metà.
Voltò la testa dall’altra parte, a destra, trovando James nell’altro letto vicino. Era ancora pallidissimo, di sicuro non solo per la luce della mezza luna che gli disegnava il volto senza occhiali; le palpebre libere dalle lenti, chiuse e sfiorate dei neri capelli scarmigliati.
Sembrava dormisse anche lui ma non aveva niente di sereno, neanche nelle braccia stese lungo i fianchi sopra il lenzuolo... così  troppo composte per essere quelle di Potter, il casinista e disordinato Potter.
“Dubito, Albus, che il signor Potter non si risveglierà. Come ha detto la signorina Evans, è stato torturato per non più di cinque minuti. In questi casi c’è sempre una possibilità che perda la memoria, certo, ma i danni non saranno irreversibili”
Potter sarebbe sicuramente tornato il Potter di sempre anche se qualcosa le suggeriva che in realtà non sarebbe stato proprio così.
Non riusciva più a vederlo come il Potter di sempre. Più lo guardava e più le veniva da chiamarlo James.
James che aveva protetto Black fino alla fine, fino a quando aveva perso i sensi assorbendo quel dolore atroce al posto suo.
James che le aveva detto di scappare, nonostante fosse completamente sottomesso a quella donna.
Lui, James, avrebbe portato in infermeria tutti, anche Piton se ci fosse stato. Perchè l’aveva già salvato una volta e perchè James era la persona meno egoista che Lily si era appena accorta di conoscere.
Sprofondò meglio sui cuscini, riportando lo sguardo sul soffitto in penombra.
Si ritrovò a sorridere, incredula ma soddisfatta: Erano fuori pericolo ormai, tutti e tre, così come aveva detto Madama Chips alla professoressa McGranitt dopo averli visitati tutti.
Tutti e tre... in mezzo c’era anche lei. In mezzo all’orrore che avevano vissuto e superato, insieme.
Osservò di nuovo le strisce di luce perlacea che disegnavano le figure di Sirius e James nella semi oscurità, rendendosi conto che nessuno di loro si sarebbe mai dimenticato di quell’esperienza e della strana sensazione che, immersi nel pericolo, sembrava aver creato uno strano legame tra loro.
A quella constatazione, si portò una mano all’occhio che soffriva sempre più spesso del tic nervoso, stupendosi di non trovarlo ‘vibrante’.
Chiuse gli occhi rivolti verso James, e la soffusa luce argentata dell’infermeria divenne immediatamente verde.
Gli occhi neri riapparvero, puntuali e taglienti.
Lily strizzò le palpebre con nervoso, come se così facendo tutto sarebbe diventato buio come avrebbe dovuto essere.
Ma non serviva, stringere le ciglia fino a sentire gli zigomi non serviva.
Per quanto ancora quell’immagine l’avrebbe perseguitata senza farla riposare!? Per quanto ancora Piton l’avrebbe tormentata, seguita come un’ombra anche quando non c’era fisicamente?!
La voce sommessa di Sirius ruppe l’avvolgente silenzio notturno e lei riaprì gli occhi.
«Mi dispiace, Reg...»
Lily portò subito lo sguardo sorpreso su di lui, sentendo la stoffa del cuscino nasconderle metà viso.
Le palpebre di Black erano ancora chiuse ma i lineamenti che prima riposavano serenamente erano irrigiditi da qualcosa che rendevano quel viso addormentato incredibilmente triste.
La Pozione Sonno Senza Sogni doveva aver finito il suo effetto e i pensieri scomodi- molto probabilmente rafforzati dal Dissennatore- stavano di sicuro tornando a galla.
«Mi dispiace...»
Non era il tono angosciato a colpirla di più, ma le parole. Le trovava così familiari da stringerle le corde vocali ancora indolenzite.
Reg’ era Regulus, non era così? Suo fratello che evitava sempre nei corridoi e in Sala Grande. Suo fratello che lo guardava come Petunia guardava lei.
«Black» sussurrò con un nodo stretto in gola Lily, vedendolo respirare più pesantemente come se stesse per lasciarsi andare ad un pianto disperato.
Sapeva perfettamente che incubo era, sapeva perfettamente quanto era pesante la morsa al petto che adesso lo stava soffocando.
Conosceva perfettamente l’amarezza che inacidiva la lingua e chiudeva il cuore, rimpicciolendolo sempre di più fino a sentire la paura folle di esserne privi.
«Black» provò a svegliarlo ancora, sollevandosi dai cuscini per allungare un braccio verso di lui.
Non riuscì a sfiorarlo ma l’aria che aveva mosso, agitando la mano, gli fece svolazzare i capelli neri sulla fronte e sul collo. Gli occhi grigi si spalancarono, brillando come argento sotto la luce delle stelle.

Lily si rimise composta sul letto mentre lui, sconvolto, scattò a sedere. «Nessuno dovrebbe fare sogni del genere, Black, nemmeno tu» gli mormorò guardandolo aggrottare le sorpacciglia sopra a quegli occhi che, ancora nell’incubo, dicevano tanto ma non tutto.
Lily non sapeva fino a che punto Black si sentisse in colpa nei confronti di suo fratello e perchè; Se anche lui pensava a Regulus ogni volta che gli capitava una cosa bella o brutta, nascondendo poi il forte desiderio di scrivergli o parlargli per raccontargliela, ma era un dolore che non si poteva definire ‘piccolo’, in ogni caso.
Quel dolore era qualcosa di così profondo che non aveva mezze misure. O lo si provava tutto o non c’era. In Black c’era, a quanto pareva, e non aveva nessuna differenza con quello che sentiva lei ogni giorno.
«E tu che ne sai, Evans, cosa stavo sognando?» sbottò lui sdraiandosi di nuovo sul letto con il viso smunto e ancora provato, ma orgogliosamente indurito nello sguardo e sulle labbra.
Lily aprì le sue, rimanendo però in silenzio. Un silenzio che stranamente non la fece sentire a disagio.
L’aria rarefatta e quasi sacra tra il suo letto e quello di Black non era vuota in modo imbarazzante, era come se invece fosse piena di parole, sensazioni ed emozioni che sembravano le sue.
«Mi dispiace, Tunia» si decise a rispondere notando nell’ombra il grigio luccicante fremere come i puntini luminosi nel cielo scuro dietro le finestre.
«So quanto fa male quel dispiacere» continuò in un sussurro per non svegliare James anche se, più che addormentato, sembrava ancora svenuto.
Deglutì piano, con la paura di fare rumore in più, perdendosi di nuovo ad osservare le volte sopra ai letti rischiarate dalla luce del cielo notturno.
«É così forte da far crollare tutta l’indifferenza che hai faticosamente tirato fuori da chissà dove. Arriva all’improvviso, appena smetti di tenere duro... appena ti dici che sei stanco e che meriti un po’ di pace anche tu. E non capisci più niente, non sai cosa fare o cosa dire. Sai perchè ti odia... perchè sei diverso, perchè non sei più come prima, senza capire invece che sei esattamente come sei sempre voluto essere... sei te stesso. Ma non lo capisce e non lo accetta perchè il tuo essere te stesso lo ha allontanato da lui, da quello che eravate. E non ci può fare niente, tu non ci puoi fare niente... non puoi nemmeno odiarlo per il suo comportamento egoista... non ci riesci... e allora non rimane altro che vuoto e senso di colpa, e solitudine... una solitudine che gli amici, per quanto eccezionali, non possono colmare del tutto».
Assottigliò lo sguardo e con sforzo riprese a sussurrare non solo perchè era notte, perchè Potter avrebbe potuto svegliarsi e perchè le faceva male la gola, ma soprattutto perchè quello che stava per dire faticava a sentirlo anche dentro se stessa.
«Un legame di sangue è sempre troppo resistente anche se gli insulti affilati che lo trapassano ogni giorno cercano in tutti i modi di tagliarlo, di staccarlo da te. C’è sempre un qualcosa... un lembo indistruttibile in mezzo a tutti gli altri ormai sfilacciati e rotti... che ci rimane aggrappato addosso... dentro. Credo non si spezzerà mai».
Sirius non osò annuire anche se era tutto ciò che avrebbe voluto fare. Perchè sì, dannazione, era proprio così che andava. Esattamente così.
Evans non sapeva niente di lui- nemmeno a grandi linee, figurarsi i dettagli- eppure aveva descritto perfettamente bene ogni cosa nei minimi particolari, anche quelli che credeva fossero soltanto suoi, come neanche James che sapeva invece tutto aveva mai saputo fare.
Tutti in quella scuola sapevano che lui e Regulus non si parlavano, ma quello che Evans aveva appena confessato in un modo così intimo, forse dovuto alla calma della notte che sembrava abbassare le difese perfino in lui, era qualcosa che sapeva soltanto lui, forse neanche Regulus.
Era qualcosa che non si poteva vedere in superficie, una cosa che soltanto una persona che lo provava sulla pelle, che lo sentiva bruciare nello stomaco e graffiare in gola poteva saperlo.

Tunia’. Evans doveva avere una sorella che la guardava come se fosse stata un ragno da schiacciare, da buttare fuori di casa, da non vedere mai più soltanto perchè era se stessa... perchè non era più come prima... prima di andare a Hogwarts... prima di sapere che era una strega?
A Sirius sembrò impossibile riuscire a capirla, ad azzeccare qualcosa di così personale senza sapere niente di lei. Era assurdo. Ma lei l’aveva appena fatto con lui.
L’unico occhio verde che vedeva sul profilo delicato rivolto verso il soffitto, con le ciglia che sfioravano il piccolo naso simpaticamente all’insù, era così luminoso e verde nonostante il buio attorno.
Possibile avessero tutte quelle sensazioni dentro così identiche? Possibile fossero così simili?
L’aveva sempre sentita distante anni luce da lui. Adesso invece non gli poteva sembrare più vicina di così. E non perchè a separli c’era soltanto un comodino.
«É vero, Evans?»
«Che cosa, Black?» gli rispose in un sussurro Lily, girandosi a guardarlo di nuovo. Lo vide voltare la testa verso il soffitto come lei un istante prima.
«Quello che hai raccontato al preside ore fa» specificò lui «Se così fosse... ci hai praticamente salvato la vita».
Lily non si mosse, rimase a guardarlo fissare un punto indefinito tra le tende e la finestra, senza riuscire a parlare.
Non gli aveva salvato la vita. Non sapeva neanche lei come e cosa aveva fatto, a dire la verità. Non aveva ragionato, non aveva avuto niente in testa se non la paura di morire e le urla di Potter nelle orecchie. Non aveva usato le tecniche che aveva studiato e che la facevano sentire ‘Pronta’ dopo una lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Non si era sentita pronta davanti a quella Mangiamorte.
«Non vi ho salvato la vita» mormorò abbassando ulteriormente la voce come se fossero in un’antica chiesa vuota. «Era semplicemente così che doveva andare. Fortuna, credo».
Sentì il fruscio delle coperte di Sirius che aveva negato con la testa.
«Quando c’è di mezzo mia...» iniziò, fermandosi come se si fosse pentito immediatamente dell’ultima parola. Sua cugina. completò la frase per lui, mentalmente, Lily.
«Quando c’è di mezzo quella donna che mi ha adorabilmente sguinzagliato dietro un Dissennatore» riprese Sirius, calibrando il tono di voce ed assottigliando lo sguardo ancora sul soffitto «niente va come deve andare, Evans. Decide lei. Quindi, direi proprio che sei stata tu a... fare tutto».
Le labbra di Lily si sollevarono appena. ‘Fare tutto’. Non era riuscito ad ammettere per la seconda volta di essere stato salvato, per di più dall’Odiosa Evans?
Meglio così, neanche lei si trovava bene ad ammettere di aver fatto qualcosa per non vedere lo Stronzo Black morto.
Era successo tutto così velocemente, non sapeva come aveva fatto ad affrontare quella donna che lo voleva anche a costo di uccidere due studenti.
L’aveva già notato a Hogsmeade, e al loro primo anno, ma adesso che aveva a pochissima distanza il profilo aristocratico di Black era ancora più evidente quanto si assomigliassero.
Il naso dritto perfettamente proporzionato alla curva armoniosa delle labbra e del mento, gli zigomi ben delineati e il taglio degli occhi leggermente allungato. Una sua parente stretta. Una sua parente, Mangiamorte.
Tra i pensieri confusi del breve duello prese forma un viso sottile meno regolare e piacente di quello di Sirius, incorniciato però dagli stessi fluenti capelli neri e occhi grigi. Regulus Black le apparve nitido in testa, al fianco di Piton e Lucius Malfoy.
Avevano anche quello in comune: un futuro Mangiamorte impossibile da riportare sulla giusta strada. Un Severus come fratello o Petunia strega, desiderosa di unirsi ai Mangiamorte.
Lily non riuscì a distinguere le due cose, o anche solo ad immaginarne una. Tutto quello che riusciva a pensare era che faceva male, male il doppio.
Regulus, per Black, era come una fusione completa di Petunia e Severus. E, a questo, si aggiungevano altri parenti. 
 «Il serpente ferito non trascina anche a costo di morire il suo migliore amico fino a casa, fino a quando non sa con certezza che sarà al sicuro» sussurrò sentendosi immediatamente il cupo sguardo grigio addosso. «Dalla tua bacchetta non uscirà mai un serpente, Felpato, ne sono certa».
Sirius strabuzzò gli occhi, sconvolto dal suo soprannome uscito dalle labbra di Evans. Lei però sembrava totalmente a suo agio mentre continuava a guardarlo con i suoi, stranamente profondi ed eloquenti, di un verde brillante.
Quello di Evans era un modo per chiedergli scusa senza articolare la parola che nemmeno lui riusciva a far saltare fuori con semplicità?
Di certo, chiamarlo con il suo soprannome aveva rinforzato il concetto della frase: L’aveva distinto dai Black e l’aveva chiamato con il nome della sua vera famiglia, i Malandrini.
Sentì un angolo delle labbra sollevarsi con incredibile naturalezza, proprio come era sorprendente naturale parlare e capire quella strana Evans notturna.
«Le capre non capiscono una cippa» esordì «Quelle zampe non sono di capra, Evans».
Lily sbuffò, lasciandosi andare ad un bassa risatina.
Girò la testa verso James, coprendosi fino al collo con il lenzuolo, ed abbassò le palpebre scoprendo con sollievo di vederci dietro soltanto un rassicurante e rilassante cielo stellato.
Quando li riaprì, la mattina dopo, la fievole luce delle stelle aveva fatto posto a quella accecante del sole che illuminava ogni cosa.
Sopra il suo comodino c’erano due ingombranti ma bellissimi mazzi di fiori bianchi- da parte di John e del professor Lumacorno, così come indicavano i biglietti di pronta guarigione- e un profumato croissant alla crema vicino alla sua bacchetta e ad un pezzetto di pergamena di Mary e Liv:
 
 “Passiamo a trovarti subito dopo pranzo! Vedi di essere sveglia o ti sveglieremo noi come l’esperenza ti insegna.

P.S.: Vederti dormire a mezzogiorno ha traumatizzato Mary.

P.P.S.: Non è vero, non ascoltarla! A dopo, Ly”
 

 Lily sorrise immaginando le espressioni delle sue due migliori amiche.
Spostò lo sguardo sul letto di Sirius trovandolo vuoto semplicemente perchè Black dormiva- pulito, vestito di tutto punto e con un grissino mangiucchiato in mano- seduto su una sedia attaccata al letto di Potter, Potter che invece era rimasto immobile come la sera precedente.
Gli occhiali non erano più rotti ma nella stessa posizione in cui lei glieli aveva lasciati lei sul comodino, adesso pieno di pacchetti ancora integri di dolci. Sotto una Cioccorana c’era un foglietto.
 
Oculus Reparo. Oculus Reparo, James. Credo di averlo ripetuto come minimo diecimila volte da quando ti conosco”

Era la scrittura lineare di Remus, Lily aveva imparato a riconoscerla nei minimi dettagli dopo i pomeriggi di studio in biblioteca con lui.
C'erano altre due differenze in quell’ambiente ormai chiaro ed assolato: le due sedie tra il suo letto e quello di Potter.
In una di esse, Lily notò la prima pagina dell’edizione serale della Gazzetta del Profeta che qualcuno doveva aver lasciato lì durante la notte.
Nell’altra, invece, i vestiti di James piegati con cura come soltanto una mamma premurosa avrebbe potuto e saputo fare. Il bottone sopra la pila di indumenti insieme alla bacchetta, non poteva essersi staccato dai pantaloni e neanche dal mantello. Era il bottone gemello di quello che lei aveva in camera, sei piani più sù.
Lily rimase a fissarlo per un bel po’ di tempo, non riuscendo a credere all’idea che Potter se lo portasse dietro ovunque e non soltanto alle ronde. 
“Il bottone, Evans! Il bottone! Per cosa te l’ho dato?!” Già. Per cosa me l’hai dato, James?
«Lily» La voce impastata di James la fece quasi scattare a sedere.
Spostò lo sguardo dal bottone agli occhi nocciola che la stavano guardavano ridenti e anche un po’ annebbiati per la  mancanza delle lenti.
Senza occhiali erano ancora più da idiota, ma c’erano ancora, più nocciola del solito, o forse era lei che li vedeva così dopo aver desiderato vederli aperti per degli istanti orribili che sembravano essere durati secoli. Il nocciola incredibilmente nocciola era anche così luminoso tanto da illluminargli l’intero viso bianco latte.
Sembrava che Potter volesse saltare sul materasso o catapultarsi da lei. Non lo fece: O era talmente debole da non riuscire ad alzarsi, oppure non aveva perso la sua poca sanità mentale che gli evitava il suicidio.
«Non sono Lily» rispose tappandosi il naso per camuffare la voce che già di per sè, con quelle corde vocali malandate, non sembrava la sua.
«Sì, certo» sbuffò sarcasticamente lui «Questa macchia rosso pluffa che mi sta rendendo più cieco di quanto già sono non può essere altro che i tuoi capelli, Lily. Chi hai affianco, il Frate Grasso?».
Lily guardò di sottecchi i vaporosi vasi di fiori candidi illuminati dal sole, lasciandosi andare ad un sorrisino.
Come aveva detto Madama Chips, James non aveva perso la memoria e non sembrava più fuori di sè del solito, a parte quel sorriso emozionato che non sembrava il suo e le dita dei piedi che si muovevano sotto al lenzuolo come se non riuscisse a contenere la felicità o il nervosismo.
Lo vide sbattere le ciglia e cercare gli occhiali a tentoni sul comodino, facendo cadere tre scatole di Api Frizzole e due di CioccoCalderoni. Era ancora incredibilmente debole, non riusciva neanche ad issarsi su un gomito.
«Acqua, Potter» gli disse, giocando a quello stupido gioco che Petunia le faceva sempre fare quando era piccola, soltanto per farla innervosire. Odiava non trovare le cose e odiava ancora di più quando qualcuno sapeva dove fossero senza dirglielo.
James strizzò gli occhi, aggrottando le sopracciglia nere. «Madama Chips non te l’ha portata?» fece, confuso.
«Fuochino» rispose lei in un mezzo sorriso quando la mano di James sfiorò gli occhiali. «Fuoco!». Ma James invece di afferrare la sua montatura rotonda ritirò la mano di scatto cascando sui cuscini.
«Stai scherzando, Lily!?» annaspò, agitato «Chiama qualcuno! POPPY!? L’INFERMERIA VA A FUOCO!!».
La risata rauca di Lily lo fece sentire un perfetto cretino mentre un dolce tuffo al cuore gli scaldò ogni osso indolenzito del corpo, facendolo sorridere di sollievo.
Lily era lì, al suo fianco, ridente e viva. Lui era vivo, Sirius- che aveva appena saltato sulla sedia facendo volare il grissino per aria- era vivo.
«Sei un coglione, James!» sbottò rabbiosamente il suo migliore amico abbracciandolo, però, con forza. James non riuscì a ricambiare la stretta, ma Sirius avrebbe sentito lo stesso l’enorme sorriso schiacciato sul suo maglione grigio scuro.
Esattamente come tutti in quella stanza sentirono il gorgogliare dello stomaco di Sirius che evidentemente non era andato a pranzo per restare di guardia lì.
«Vai a mangiare, cretino» lo canzonò James mentre lui gli metteva gli occhiali sul naso prima di piazzargli davanti agli occhi le due grandi ed affusolate mani aperte. «Prima dimmi... Quante sono queste, Rammy?».
James rise. «Dieci. Più dei tuoi neuroni, sicuro»«Ok, è chiaro che stai bene. Sei il solito bastardo e anche il solito Troll perchè sono due! Due mani!» fece Sirius passandogli con forza le mani tra i capelli già arruffati e sfilandogli poi gli occhiali, ignorando le lamentele del proprietario.
«Non scannatevi, senza di me. Sto tornando» li salutò incamminandosi verso la porta, lanciando uno sguardo a Lily che ricambiò con un mezzo sorriso e un cenno della testa vedendolo sparire dietro lo stipite.
«Maledetto stronzo» imprecò James tastando il letto alla ricerca dei suoi occhiali.
Il sorriso di Lily si stirò completamente. Era incredibile come riuscissero ad insultarsi continuamente dopo essersi salvati la vita a vicenda.
Si era sentita leggermente in imbarazzo davanti a quello scambio di insulti che in realtà significavano ben altro.
L’aveva visto nelle braccia di Black, avvolte con forza ma anche premura attorno a Potter, e sul grande sorriso di James tuffato sulla stoffa del maglione di Sirius.
«Non ridere, Lily!» sbottò James allungando un braccio sotto al cuscino con una certa difficoltà, rendendosi subito conto che tutto ciò che voleva invece era sentirla ridere, sentirla viva.
«Non sto ridendo» mentì lei e James fece sbattere ancora le ciglia nella sua direzione per metterla a fuoco, invano.
Quella macchia di luce che doveva essere il suo sorriso aperto, circondato dai capelli rossi ed impreziosito dai due scintillanti punti verdi, bastava. Sentire di nuovo il suo delicato profumo bastava. Sapere che era viva bastava, era tutto.
Lily aveva salvato se stessa, aveva salvato lui e aveva salvato Sirius.
La minuscola speranza che aveva visto brillare in mezzo a tutto l’orrore, davanti all’immagine di Lily legata e con il fiato della morte letteralmente sul collo, l’aveva creata lei.
Gli era sembrato impossibile, in quel momento, immaginare di tornare al castello tutti insieme, sani e salvi. Ma lei l’aveva fatto. Lei non era mai andata via.
Non era scappata neanche davanti all’invito di Bellatrix che le prometteva la salvezza, non l’aveva fatto scegliere tra lei e Sirius, non aveva minimamente pensato di farsi salvare e aveva salvato tutti.
Gli occhi di Lily, determinati e testardi come tutte le volte che difendeva qualcuno a scuola con la bacchetta sguainata nonostante la spilla da Prefetto, erano stati la speranza in mezzo al dolore e al frastuono di morte e distruzione, impossibili da controllare.
Lily era stata invincibileda sola, ma anche ad un passo dalla morte, sempre da sola.
«Lily» sbottò, deciso a parlarle di nuovo dell’importanza del bottone e del fatto che, anche se dopo aver vinto un duello con Bellatrix Black  Avery e Mulciber le sarebbero apparsi come due pulcini, non bisognava mai abbassare la guardia.
L’aveva capito trovandosi davanti un Dissennatore- dopo aver sentito Sirius dire: “Non ci sono Dissennatori, James”- e dopo aver beccato in pieno diverse Maledizioni Cruciatus, così, dal nulla.
Niente di quello che avevano vissuto era stato programmato o anche soltanto minimamente pensato. L’invincibilità andava a braccetto con la morte.
Trovò gli occhiali vicino ad una gamba e se li mise velocemente sul naso. I contorni sfocati si fecero subito nitidi e vivaci.
Lily stava poggiando i candidi piedi nudi sul freddo pavimento in pietra, per chinarsi su una delle due sedie tra i loro letti, con i lunghi capelli rossi scivolati a nasconderle il viso.
Quando si raddrizzò, James vide la Gazzetta del Profeta tra le sue piccole mani.
 


 
SECONDO MARCHIO NERO A HOGSMEADE. UN MANGIAMORTE UCCISO.
Dispersi due studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, quattro i morti:

Il Capo delle Forze dell’Ordine Barty Crouch: «Due dei nostri Auror (Frederick MacAvoy e Gwendoline Sullivan), un civile (Armand Vance*) ma, grazie all’ordinamento concesso agli Auror sulle Maledizoni Senza Perdono, ha perso la vita anche un Mangiamorte (Julius Avery)».  Approfondimenti e foto a pag. 2
 
 
Lily sollevò il viso sconvolto verso James.
«Avery
















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note:
 
 
*Armand è un nome scelto a caso (tra quelli  importati in Inghilterra dai Normanni come ‘Emmeline’). Gli ho dato il cognome di Emmeline, appunto, immaginandolo un suo presunto fratello o parente (naturalmente inventato da me). Benji Fenwick lo chiama con il diminutivo ‘Mand’ mentre parla con Malocchio fuori dalla porta.
Un membro dell’Ordine doveva morire ma non potevo usare i nomi che conosciamo perchè quelli che sappiamo sono tutti delle persone presenti nella foto che Malocchio fa vedere a Harry.
Quella foto, in questo periodo della storia, non è stata ancora scattata perchè i Malandrini e Lily non fanno ancora parte dell’Ordine e sono ancora a scuola.
Non potevo quindi far morire una persona che un anno o qualche mese dopo sarà nella foto.
 
*Bellatrix al settimo anno nel 1971. All'inizio non pensavo, poi ho riletto il quarto libro.
Rosier, Wilkies, Avery e Lestrange (marito e moglie, niente Rabastan) sono i nomi che Sirius elenca a Harry quando dice che Piton frequentava una banda di studenti, a Hogwarts, che poi si sono rivelati Mangiamorte:
“Piton è sempre stato attratto dalle Arti Oscure, a scuola era celebre per questo. Faceva parte di una banda di Serpeverde che sono diventati quasi tutti Mangiamorte. Rosier e Wilkes, i Lestrange marito e moglie, Avery”.
Dato che Sirius dice che Piton era nella banda dei Lestrange marito e moglie, a Hogwarts, presumo che Bellatrix fosse più grande di Lucius (nell’autunno 1996 Lucius ha 41 anni, quindi è del 1954) solo di un anno, ma nata dopo il 31 agosto del 1953 e quindi entrata a Hogwarts un anno dopo come Hermione.
Dubito avesse la stessa età di Lucius perché è molto più probabile fosse la sorella minore Andromeda che deve necessariamente uscire da Hogwarts nel 1972 con Lucius (nel 1973 nasce Tonks). Andromeda doveva essere al settimo annno quando Sirius era al primo (come ci fa vedere Piton nei suoi ricordi, Malfoy al primo anno dei Malandrini era al settimo anno). Bellatrix lo stesso, anche se un anno più grande di Andromeda (per il motivo del compleanno dopo agosto).
Nell'albero geneaologico dei Black, l'anno di nascita di Bellatrix è il 1951 quindi la Rowling o ha sbagliato con l'albero (disegnato per beneficienza anni dopo la fine della saga) o facendo dire quelle parole a Sirius (più volte nelle interviste dice di non andare d'accordo con i numeri e dubito che Sirius avesse nei ricordi sua cugina a scuola se non fosse vero, non è una persona facile da dimenticare, soprattutto per lui).
Nel caso avesse sbagliato con Sirius, l'unica cosa certa è che Rabastan non era a Hogwarts negli anni dei Malandrini ed era quindi il fratello maggiore di Rodolphus perché, se fosse stato più piccolo, Sirius l'avrebbe sicuramente nominato... e invece non lo nomina nemmeno per errore (significa che lui era di certo più grande di Rodolphus).
Se Bellatrix è nata dopo il 31 agosto del 1953 (anche il primo settembre), Andromeda potrebbe essere nata ad agosto dell'anno dopo. Immagino Cygnus e Druella sbrigarsi a fare un altro figlio, alla ricerda del maschio. Seguendo le date dell'albero genealogico, Cygnus doveva avere tredici anni quando ha avuto Bellatrix, anche per questo io non mi fido tanto di quell'albero. Cooomunque...
Rabastan risulterebbe quindi il fratello maggiore di Rodolphus, altrimenti Sirius non avrebbe specificato “marito e moglie”.
I Malandrini non dovrebbero aver mai visto Rabastan a Hogwarts, a meno che non fossero gemelli (ma non è stato mai detto da nessuno e dalla descrizione che Harry fa quando li vede nel pensatoio al quarto anno non sembrano per niente gemelli).
Essendo il maggiore, Rabastan avrebbe dovuto sposare Bellatrix (per le dinamiche assurde di quelle famiglie purosangue), ma magari era già sposato, non lo sappiamo.
Non tutti i Mangiamorte hanno mogli Mangiamorte, Narcissa ne è un esempio. La moglie di Rabastan poteva benissimo esistere a nostra insaputa, come tutte quelle degli altri.
Il padre dei Lestrange, poi, era a Hogwarts con Tom Ridlle ed è molto probabile avesse un figlio nato prima del 1953/54 (data in cui dovrebbe essere nato Rodolphus, stando ai racconti di Sirius).


*Ho fatto dire a Lily “Felpato” non solo per il motivo che intuisce Sirius ma anche perchè nella lettera di Lily per lui- che Harry trova nella stanza a Grimmauld Place nel settimo libro- Lily lo chiama Felpato.
So benissimo che potrebbe aver iniziato a chiamarlo così dopo essersi messa insieme a James o comunque dopo essere diventata sua amica, ma mi piaceva l’idea che il soprannome ‘Felpato’ avesse un altro significato, unicamente loro. Un modo per ricordare a Sirius di essere perfettamente capito.
Credo che lui e Lily dopo la scuola fossero legatissimi, come fratello e sorella.
 
 
 

*Non ho idea se Marlene e Edgar abbiano preso o no i loro M.A.G.O. (non so neanche in che anno sono nati. Nella mente della Rowling potrebbero avere quarant’anni)  e quindi mi sono presa delle libertà.
Non penso comunque fossero amici con i Malandrini prima di entrare nell’Ordine.
Ho scelto Bones e McKinnon perché, oltre ai Prewett, sono le grandi famiglie magiche potenti che hanno combattuto contro Voldemort ''la prima volta'' (dice Hagrid nel primo libro, a Harry).
Mi servivano due figli di queste famiglie da smistare in due Case diverse, per renderli amici d'infanzia e non all'oscuro dell'Ordine (dato che hanno i familiari come membri).
I Prewett non potevano essere, Fabian e Gideon essendo fratelli di Molly li immagino più grandi dei Malandrini.
Moody nel quinto libro nomina Edgar e Marlene uccisi con le loro famiglie, ma in quella foto sposta continuamente "altra gente" per cercare i volti che evidentemente hanno combattuto meglio. Se Hagrid dice che i Bones e i Mckinnon erano le famiglie magiche che hanno combattutto nella prima guerra, mi viene da pensare che nell'Ordine c'erano anche familiari e altra gente che non conosciamo.

Di Edgar sappiamo che era zio di Susan (quindi fratello del padre). Nel quinto libro, Susan dice che nella prima guerra ha perso i suoi zii e cugini.
Amelia era sorella del padre di Susan e quindi anche di Edgar, non credo avesse figli, la Gazzetta nel sesto libro la descrive come una donna di mezza età, sola. O non si è mai sposata oppure il marito e i figli (zio e cugini di Susan) sono morti nella prima guerra. Non sappiamo se esistessero altri Bones, zii e cugini di Susan. Per togliere ogni dubbio, comunque, nei capitoli finali troverete novità riguardo Edgar.
Di Marlene sappiamo soltanto che Lily ha pianto tutto il pomeriggio dopo la morte "dei McKinnon", senza specificare il nome il Marlene a Sirius. Se ci fosse stata un’amicizia davvero forte, tra loro, penso avrebbe come minimo detto "Marlene e la sua famiglia". Invece ''i McKinnon" la sento una cosa un po' più distaccata. Il pianto è normale, essendo membri dell'Ordine si conoscevano e hanno passato insieme momenti intensi, per anni. E il resto della lettera è allegro (la descrizione del primo compleanno di Harry, anche se sono chiusi in casa per via della profezia). Non riesco ad immaginare Lily sorvolare così sulla morte di una cara amica.








 
   
 
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