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Autore: Bibliotecaria    20/07/2017    0 recensioni
La magia che conosciamo non è l'unica ad esistere, e questo Arthur lo sa, alcune sono antiche e dimenticate, altre novelle e sconosciute. Ora però una magia oscura sta portando Hogwarts nel terrore, sangue innocente scorrerà, e sotto il velo della paura qualcuno alzerà la testa per affrontare il proprio destino. E c'è un nemico che solo l'erede di Merlino può affrontare.
Attenzione: questa storia è il seguito di "Una nuova generazione - il ritorno dei draghi"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una nuova generazione '
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Cap 16 L’erede di Merlino

 

“Arthur!” L’urlo di Hanna si propagò nello stesso istante in cui il corpo di Arthur sfiorò la superfice dell’acqua propagando un tonfo sordo. Per un’istante il tempo si bloccò per Hanna, le pupille si dilatarono e una furia la invase, l’aveva già conosciuta, all’inizio di quell’anno, ma era diversa, non era oscura, o quanto meno non del tutto, era un fuoco, un fuoco rosso al centro del suo cuore e bruciava tremendamente, tanto da farle male al cuore, nelle ossa, nella carne, nel sangue fino agli occhi.

Si voltò di scatto, tra la sua mente e il suo corpo non c’erano più freni, era come se ciò che l’avesse tenuta a freno per anni quella coscienza umana che le aveva impedito di dare il peggio di sé se ne fosse andata; anzi no, non era scomparsa, si era messa da una parte, pronta a ritornare quando fosse stato necessario, una flebile luce argentea nel suo essere. Gli occhi le bruciavano d’ira e come una furia si scagliò contro i chip. “Vingardium leviosa!” Con l’urlo più simile ad un ruggito sollevò la colonna e come prima con movimenti rapidi la diresse, come un martello che cade sulla spada, sui fulmini distruggendone la formazione e annientando alcuni chip caduti sul peso di quella roccia. Per tre volte Hanna fece cadere la colonna sui fulmini: dall’alto, da destra e obliquamente. In risposta i fulmini si divisero in gruppi sempre più piccoli e distanti attaccando da più direzioni, rendendo sempre meno efficaci i colpi di Hanna che si dovette concentrare sulla difesa, ma lei non si fermava: la furia che l’aveva invasa le impediva di bloccarsi, e non lo avrebbe fatto fino a quando ogni singolo chip sarebbe stato distrutto.

Nathaniel era rimasto nascosto dietro la colonna, incredulo, dinnanzi a quella scena: sapeva che Hanna aveva una forza d’animo incredibile, lo aveva potuto sperimentare sulla sua pelle svariate volte, ma non credeva che sarebbe potuta divenire addirittura pericolosa adoperando un incantesimo banale come quello della levitazione.

Nath desiderò muoversi da lì, di correre verso Hanna per salvare Arthur, ma qualcosa lo bloccava. Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento, da quando Arthur era caduto in acqua, la paura lo aveva paralizzato, eppure una parte di sé desiderava combattere. –Gambe muovetevi…- Si ripeteva disperato cercando di alzarsi. -Forza…- Nathaniel portò una mano ai pantaloni e si strinse fino ad artigliare le cosce, cercando di risvegliare quei muscoli intorpiditi. -Forza…- Strinse gli occhi per il dolore, sentiva chiaramente il suo potere ruggire dentro di sé, un’energia potente, che lo chiamava per nome dicendogli di alzarsi e combattere, eppure l’istinto di preservazione lo bloccava, poteva sentire i brividi lungo le sue cicatrici avvertirlo del pericolo, per questo non riusciva a muoversi. Portò una mano nella tasca dei pantaloni in cerca del suo coltello, e quando lo trovò uno strano sollievo lo invase al contatto con il metallo. -Forza Nathaniel!- Aprì gli occhi e con uno scatto, che sorprese anche lui, si lanciò contro i fulmini dissipandoli ulteriormente con un potente colpo d’aria.

Quando ricadde a terra, Nath si difese da un attacco imminente con uno scudo d’aria: un insieme di vortici che con forza respinsero i fulmini facendoli scivolare lungo la corrente. Quando furono lontani da lui Nathaniel lanciò una boccetta esplosiva e distrusse numerosi chip, al punto che i fulmini che si riformarono erano appena dei rigagnoli d’energia. Un sorriso crudele, quasi malato, si dipinse sul volto di Nathaniel. Stava godendo della distruzione in torno a lui, e non si sarebbe fermato.

Una cieca ira aveva invaso i due ragazzi che, con una forza rinnovata stavano attaccando i fulmini. Non contava più nulla: il loro obbiettivo era la distruzione.

***

Aprii gli occhi, potevo vedere al disopra dell’acqua la battaglia infuriare. Sentivo le esplosioni e le urla di Hanna come lontani rimbombi distorti, confusi, come un eco lontano o un vago ricordo.

–Sto annegando.- Non avevo la forza di muovermi, l’impatto con l’acqua mi aveva privato di forza ed energie, intorpidendo i muscoli. Così, semplicemente, il mio corpo si stava lentamente trascinando nell’oblio di quelle acque scure e profonde appena tre metri. Le forze mi stavano venendo meno e sentivo un tremendo bisogno di respirare, la gola mi bruciava e stavo combattendo contro il mio istinto per riuscire a trattenere il respiro ancora per un pochino, le orecchie mi fischiavano per la pressione, e stavo combattendo per tenere gli occhi aperti. Sapevo che l’aria mi sarebbe bastata ancora per poco, dopo di ché e allora sarei svenuto e subito dopo morto. Fui tentato di lasciarmi andare, di abbandonarmi in quel dolce oblio. Chiusi gli occhi e lasciai uscire l’aria. –Sì, è meglio così…-

*

“Arthur…” Credo che fosse una visione oppure un ricordo, non l’ho mai veramente capito. “Vivi Arthur…” Quando riconobbi quella voce un brivido mi percorse la schiena. Era mia madre, quella voce era la sua, corsi nel tentativo di raggiungerla, avevo così tanto da dirle, mille parole non dette nel arco di una vita, volevo raggiungerla e dirle quanto mi dispiaceva e mi sentivo in colpa, che avrei fatto di tutto per riaverla con me, e che mi mancava da morire, anche se già allora ne servavo solo pochi, ma preziosissimi, ricordi. Tuttavia, ad ogni passo che compivo mi allontanavo di altri cinque, provai ad accelerare, ma fu tutto inutile; caddi in quel terreno bianco inconsistente e piansi: volevo raggiungerla ad ogni costo, non volevo essere di nuovo solo. La chiamai per nome, il nome con cui l’avevo sempre chiamata, come un bambino spaventato, perché ero questo: un bambino spaventato dalla vita.

Una mano ossuta apparve nel mio campo visivo: era di Ehogan, l’avrei riconosciuta ovunque, quelle mani che, anche se solo in un anno, mi avevano dato più carezze e rimproveri di quanto avessero fatto quelle di mio padre in quasi tredici anni di vita. “Arthur…” Alzai lo sguardo, quei piccoli occhi azzurri mi stavano fissando con dolcezza, la stessa che avevo visto innumerevoli volte nell’arco di quei mesi, una dolcezze paterna eppure diversa da quella di un padre. “Resta in vita.” Così dicendo afferrai la sua mano.

*

Strinsi saldamente l’arpa sopra di me, e con uno sforzo immane aprii gli occhi risvegliandomi dall’oblio. –Vediamo se a questi chip piace bagnarsi- Pensai mentre le mie dita sfiorarono le corde dell’arpa e dalla mia gola uscivano parole stampate a fuoco nella mia mente.

***

Improvvisamente una frusta d’acqua colpì in pieno un gruppo di fulmini, e nel inutile tentativo di affrontare l’improvvisa minaccia, vennero racchiusi dentro alla frusta, poi la parte in cui si erano stati intrappolati i fulmini si distaccò dal resto della frusta, così continuarono ad agitarsi all’interno della bolla acqua, come intrappolati da una forza invisibile, fino a quando non si estinsero con un’ultima potente scarica d’energia, illuminando a giorno la caverna per un’istante.

Hanna e Nathaniel guardarono la scena allibiti, e persino i fulmini parvero ritrarsi spaventati dall’immensità di quel potere. I due ragazzi si voltarono increduli al suono d’un rombo pari a quello d’una cascata. Hanna e Nathaniel sgranarono gli occhi quando umanamente possibile alla vista d’un’alta colonna d’acqua innalzatasi fino al soffitto della grotta come una colonna. Un istante dopo questa si aprì come un fiore rivelando Arthur sospeso in aria, a pochi centimetri dalla superficie dell’acqua mentre suonava delle note cupe e precise cantando una poesia triste incomprensibile. Era zuppo da capo a piedi, eppure non ne dava conto, una stana energia gli avvolgeva il corpo, facendo svolazzare i capelli e i vestiti ed inducendo l’acqua al suo giogo.

Hanna e Nathaniel rimasero basiti alla vista del loro amico, non pareva più neppure lui: i suoi occhi erano illuminati da una luce azzurra e bianca e parevano del tutto privi di vita.

L’acqua si diffuse come tentacoli di un kraken e iniziò a danzare con movimenti lenti come la morte. I fulmini parvero bloccarsi per qualche secondo, sorpresi dal nuovo nemico, poi si scagliarono contro Arthur con una furia rinnovata a piena potenza in un unico grande fulmine. Però i tentacoli furono più rapidi e, come avevano fatto prima, si pararono davanti al druido bloccando l’impatto infrangendosi in mille gocce che poi si riunirono rinchiudendo la punta dei fulmini all’interno dell’acqua e, staccandosi dal resto dei tentacoli, lasciavano che fossero gli sessi fulmini a distruggersi. Nel frattempo, i fulmini che erano riusciti a ritrarsi vennero attaccati da possenti frustate e obbligati a separarsi e perdendo potenza d’attacco mano a mano che si separavano. Così facendo ogni tentativo di raggiungere Arthur fu reso vano dai tentacoli di cui lui era il conducente.

Hanna e Nathaniel tentarono ad intervenire, ma, quando stavano per lanciarsi alla carica, una cupola d’acqua li bloccò dov’erano, Hanna digrignò i denti, mentre Nathaniel provò a sfiorare la superfice dell’acqua, fu così che si accorse che era più densa dell’acqua normale e, a causa del continuo flusso sferico dell’acqua, non avrebbero comunque potuto attraversare la barriera, così non poterono che assistere alla scena con impotenza.

Il mostro d’acqua si espanse per la grotta intrappolando i chip ed i suoi fulmini nella sua morsa distruggendoli a piccoli gruppi, ad uno ad uno, con la stessa pazienza d’un cacciatore esperto. D’altra parte i chip stavano tentando una fuga confusa, ma ogni qual volta in cui si allontanassero dal raggio d’azione dei tentacoli, uno di questi si staccava e raggiungeva il manipolo fuggiasco annientandolo al momento. I chip tentarono di infrangere la formazione a piovra dell’incantesimo facendo crollare colonne e stalattiti, ma queste oltrepassavano l’acqua senza arrecargli alcun danno e quando si avvicinavano ad Arthur venivano allontanate con potenti frustate d’acqua. Mentre avveniva questo, il livello degli acquitrini si abbassavano a dismisura fino a prosciugarsi, e così i tentacoli si allungavano sempre di più fino a poter coprire un raggio di ben oltre cinquanta metri cubi.

L’acqua si muoveva dolcemente, seguendo le note di quella danza mortale e distruttiva il cui direttore era Arthur. Il mostro d’acqua fece il suo dovere distruttivo e impetuoso. La lotta fu feroce: acqua e fulmini si scontravano generando scintille che si riflettevano nelle gocce illuminando a giorno ogni volta che i fulmini si estinguevano.

Quando Arthur terminò il canto non c’era più un chip funzionante e, con loro, anche i fulmini erano stati annientati.  Un istante dopo il mostro d’acqua e la cupola s’infransero ricadendo negli acquitrini in mille gocce, in un improvviso caos.

Nathaniel dovette afferrare Hanna e portarla in aria fino a due metri per evitare che lui e l’amica venissero sommersi. Arthur perse i sensi afflosciandosi elegantemente chiudendo gli occhi mentre l’incantesimo di disfava. Nathaniel con uno scatto volò verso l’amico, lo prese al volo e portò lui, Hanna e Arthur sulla terra ferma.

Nathaniel iniziò a schiaffeggiare l’amico cercando di fargli riprendere i sensi preoccupato. –Dunque è questo il vero potenziale di Arthur.- Pensò il Serpeverde mentre guardava l’amico inerme. –Ma se questo è il vero potenziale dei druidi, perché due millenni fa non hanno respinto i Romani?- Mentre dubbi di questa natura sorgevano nella mente del ragazzo, Godren, che fino ad ora era stato nella borsa di Nathaniel senza emettere un fiato, saltò sul petto di Arthur e un debole tepore avvolse il corpo del ragazzo unito ad una luce d’orata. Un istante dopo Arthur iniziò a tossire rumorosamente riprendendo conoscenza.

“Arthur!” Urlò Hanna lanciandosi addosso al amico strozzandolo con un forte abbraccio e mettendo in fuga il draghetto. La ragazza si separò dal Corvonero un secondo dopo con uno sguardo del tutto diverso. “Brutto scemo!” Urlò dandogli un pugno in testa, causando una protesta da parte dell’interessato. “Ci hai fatto prendere un colpo!” Mentre Hanna sbraitava, Godren rientrò nelle borsa di Nathaniel rassicurato dalla sottile protezione che questa le donava. “Scusate.” Sussurrò semplicemente Arthur incapace di dire quant’altro. “Ma… Arthur come hai fatto quella cosa?” Chiese Nath tornando a fissare il punto in cui fino a pochi istanti fa una creatura d’acqua stava distruggendo tutti i chip. “Quella?” Domandò Arthur perplesso. “Ah, sì! Quel incantesimo è una forma di dominio sugli elementi, in questo caso l’acqua, con le mie singole forze non sarei mai riuscito a fare quello che ho fatto ora così mi sono dovuto aiutare con una preghiera al dio Dagda, ma mi ha risucchiato tutte le energie, mi dovete concedere un momento.” Disse il ragazzo stringendosi le ginocchia al petto e infossando la testa tra esse compiendo profondi respiri per ritrovare le forze mancanti, malgrado l’intervento di Godren gliene avesse restituite alcune. “Dagda? Preghiera? Dominio? Arthur che hai combinato quest’anno?” Chiese Hanna perplessa. “Un bel po’ di cose Hanna.” Disse vago Arthur alzando appena la testa per poi farla ricadere tra le gambe. “Ma, scusa, perché sei ridotto così?” Chiese Nath. “La magia non ha mai avuto reazioni sul corpo, certo un uso prolungato di questa ci stanca ma bisogna proprio esagerare!” Esclamò il Serpeverde. “Il mio maestro mi ha spiegato la magia druida attinge energia dalla magia in noi quindi dalle energie del nostro corpo, per questo sono così stanco, ma in compenso è estremamente potente.” Spiegò il ragazzo senza alzare la testa. “In oltre la magia che apprendiamo ad Hogwarts viene incanalata dalla bacchetta, che, essendo un oggetto magico, evita che attingiamo solo alle nostre forze, invece la magia druida non ha canali: è energia allo stato puro, per questo è molto difficile da usare se non si ha una conoscenza intrinseca e mistica della magia e degli dei.” Spiegò Arthur. “Quindi mi stai dicendo che puoi fare cose spettacolari come questa ma solo una volta in una ampio lasso di tempo o vai k.o.” Parafrasò Hanna. “In sostanza sì.” Disse Arthur continuando a riprendere energie. “Ecco perché due settimane fa sembravi un cencio usato per pulire i pavimenti!” Esclamò Hanna ricordandosi perfettamente lo stato penoso del amico. “Arthur, forse ti stiamo chiedendo troppo, ma cela fai ad alzarti, probabilmente li hai decimati ma non credo che questi siano gli unici.” Disse Nath mettendosi accanto al amico. “Mi serve ancora qualche minuto.” Confessò il giovane senza vergogna. Sapeva di essere un peso in quel momento, ma se voleva riprendere energia gli serviva tempo, e Godren aveva già fatto il possibile.

Nathaniel lanciò uno sguardo d’intesa a Hanna la quale afferrò Arthur per il colletto e, con poca eleganza, se lo caricò sulle spalle come se fosse un soldato ferito. “Hanna…” Si lamentò Arthur con rassegnazione. “Taci! Ogni momento è prezioso e ne abbiamo sprecati troppi! Ti riprenderai mentre sei sulle mie spalle! Almeno ora l’odore dei chip è così forte che riuscirei a seguirlo anche durante una processione con l’incenso! Quindi poche storie e cerca di rilassarti!” Decretò la ragazza iniziando a camminare nella direzione da cui aveva visto arrivare i chip.

Hanna si muoveva sicura lungo il sentiero naturale pietroso facendo giri assurdi e intricati camminando sicura e inarrestabile. “Hanna ora mi puoi anche mettere giù, sto molto meglio.” Disse Arthur da quella sua strana posizione. “Riposati ancora un po’, ci serviranno i tuoi poteri al massimo. Se sono così forti di certo per te non sarà un problema annientarli tutti.” Disse Hanna sicura. “Non posso Hanna: se usassi in tempi così vicini un altro incantesimo di questa portata probabilmente mi ritroverei morto o in coma nel migliore dei casi.” Spiegò Arthur, Hanna si bloccò. “Hai rischiato di morire per salvarci?” Chiese la ragazza incredula e arrabbiata. “Certo che l’ho fatto! Siete i miei migliori amici, non potevo lasciarvi morire.” Disse il ragazzo con una sicurezza infantile. “Arthur sei un perfetto idiota! Lo sai questo!” Urlò Nath da dietro di lui. “Lo so, lo so… ma non voglio più perdere nessuno per la mia inerzia.” Disse il ragazzo lasciando intravedere per un istante che genere di uomo sarebbe potuto diventare. Hanna lo accasciò dolcemente a terra. “Vedi di non morire o troverò un modo per farti resuscitare e per ucciderti.” Disse fredda la ragazza “Tranquilla non intendo morire…. Certo che però quest’anno non me ne va’ una giusta: è la terza volta che rischio di morire!” Alle parole di Arthur scoppiò una risata generale che li spinse a continuare con maggiore determinazione.

***

Mi concentrai: c’era una strana atmosfera in quel luogo. Un brivido mi scosse la schiena facendomi stringere le scapole. Poi la sentii di nuovo quella risata cristallina e agghiacciante ma allo stesso tempo così pura e infantile.  “Mi fa venire i brividi.” Confessò Nathaniel. “A me sembra solo la brutta copia di un film horror.” Disse Hanna che da quando eravamo entrati era estremamente calma e lucida malgrado i suoi occhi bruciassero di determinazione.

Proseguimmo e infine, dopo aver percorso un breve tratto lungo una parete, incrociammo una grotta. -È qui.- Pensai riconoscendo il luogo dalle mie visioni. Feci un cenno e i miei amici capirono, alzammo le bacchette, ci scambiammo uno sguardo veloce e, spezzando il silenzio mortale delle tre del mattino, attaccammo.

L’urlo liberatorio di Nathaniel fu il primo ad udirsi mentre correva verso l’entrata, seguito a breve distanza da Hanna accompagnata dalle sue urlava disumane. Io rimasi bloccato un secondo all’entrata, preso da una improvvisa stizza che mi attanagliò lo stomaco, però li seguii subito dopo, trattenendo a stento l’istinto di fuga. Sorpassato l’arco Hanna passò in prima linea, la bacchetta alzata e pronta a tutto, ma un muro di fulmini ci bloccò il passaggio. Hanna indietreggiò evitando di scontrarsi con il muro. I chip rimasero immobili per qualche secondo, studiandoci, c’era un silenzio di morte, interrotto solo dal ronzio elettrico dei fulmini e dell’acqua che gocciolava. Io e Nath la raggiungemmo Hanna in pochi istanti: Nathaniel pareva calmo, eppure giuro di aver sentito una strana ombra provenire dalla sua anima mentre stringeva la bacchetta, Hanna era un predatore che attende la preda, paziente e intrepida, io invece ero così spaventato che cercai conforto nel tocco dell’arpa e tentai di resistere al impulso della fuga.

Poi, all’improvviso, un fulmine ci andò contro. Hanna compì un balzo all’indietro assieme a me e Nath, evitandolo con relativa facilità, ma a questo ne seguì un altro, e poi un altro ancora, ne divennero mille. Era impossibile bloccarli tutti, e allo stesso tempo avanzare, fummo costretti a retrocedere un passo alla volta. Avevo il fiato corto e ad ogni incantesimo, non avevo neppure il tempo di trovare una falla che un’altra scarica mi attaccava, mi accorsi che erano fulmini inferiori per potenza d’attacco e volume, ma così piccoli e veloci era un’impresa bloccarli, e per giunta la maggior parte era ancorata al muro impedendoci di proseguire. “Arthur così non va!” Mi urlò Nath quando tornammo spalla a spalla. “Lo so, ma non riesco a pronunciare…” Un fulmine sbucò a pochi centimetri dal mio volto. “Protego!” Urlai per poi riprendere il discorso. “Molti incantesimi, e le preghiere druide richiedono tempo, cosa che non hoooohhh!” Urlai mentre Nathaniel mi afferrava per la giacca e mi lanciava con una delle sue raffiche dall’altra parte della caverna. “Neppure io riesco ad andare contro questa formazione, sono troppo compatti. Servirebbe anche a me tempo per aprire un varco.” Feci appena in tempo a percepire lo spostamento d’aria e ad intravedere il fulmine passarci a pochi centimetri di distanza che Nathaniel mi trascinò in un altro punto della grotta accanto ad Hanna che era rimasta isolata. “Se solo Elaine fosse qui….” Borbottò Nath lasciandomi cadere a terra.

“Nathaniel, Arthur…” Sussurrò Hanna avanzando lentamente mentre si scioglieva la cravatta e la lasciava cadere a terra. “Quando si apre un varco passate, io vi raggiungo, ve lo prometto.” Capii cosa voleva fare troppo tardi. “Hanna, no!” ma oramai le mie parole erano vaghe per le orecchie di Hanna mentre si sfilava la giacca e ce la lanciava addosso con la sua borsa e la bacchetta che ricaddero tra le braccia di Nathaniel. Mentre io proteggevo Nath dall’ennesimo fulmine, Hanna si trasformò, strappandosi i vestiti di dosso, mentre compiva un salto contro i chip e con un ruglio poderoso si scagliò contro la parete di fulmini. “Hanna….”

***

Un dolore immenso la scosse all’impatto con il muro intricato di fulmini, facendole rabbrividire la schiena e rizzandole la pelliccia, bruciandola persino in alcuni punti, ma questo non la bloccò.

Combatté come una furia contro il muro di chip. La sua parte più bestiale, che fino ad ora aveva tenuto a bada si era scatenata, Hanna poteva sentire i fulmini tentare di scalfirle e trapassarle la pelle, ma era inutile, la sua pelliccia, la sua pelle e il suo grasso erano troppo spessi perché quei fulmini potessero scalfirla, e solo allora Hanna si rese conto che in realtà la potenza dei fulmini era inferiore a quello che si aspettava: avrebbero ferito, anche gravemente, un uomo adulto, certo, ma non sarebbero riusciti ad ucciderlo sul colpo, e non sarebbero riusciti a scalfirla nella sua forma d’orso, al massimo le avrebbero procurato qualche ferita superficiale, ma di quello si sarebbe preoccupata dopo.

Per il momento Hanna sentiva solo l’estasi della battaglia. Teneva gli occhi socchiusi per cercare di difenderli e si copriva il muso con una zampa all’occorrenza. Però i suoi fendenti costrinsero i chip ad accalcarsi su di lei come aveva sperato. Hanna provò una malata soddisfazione nel sentire i chip infrangersi al suo tocco e i fulmini venir spazzati via dalla sua potenza. Godette di quella battaglia in cui lottò con le unghie e con i denti, rotolandosi e scalciando. I fulmini la colpivano ai fianchi ma non le causavano più fastidio di quanto gliene avrebbe procurato una quarantina di volpi. Erano fastidiosi e a lungo andare l’avrebbero potuta sopraffare o stancare, ma non le procuravano veri e propri danni, eppure trovò quella battaglia magnifica: si sentiva superiore e sapeva di esserlo eppure adorava l’ostinata determinazione con cui i fulmini l’attaccavano. Provava un sadico gusto nella cecità di quei chip che proprio non capivano che non l’avrebbero mai battuta, una cecità buffa, umana. E nel frattempo la carne e il pelo bruciavano, gli artigli squarciavano l’energia e il suo corpo si muoveva inarrestabile.

La furia di Hanna portò i chip a concentrarsi maggiormente su di lei e iniziò ad aprirsi una minuscola falla in quel muro impenetrabile, fu Nathaniel ad accorgersene, e appena gli fu possibile, afferrò Arthur per la giacca. “Ehi! Ma che fai!?!” Urlò Arthur sentendosi mancare la terra sotto i piedi, ma Nathaniel lo ignorò e con un balzo si lanciò a tutta velocità verso quella minuscola falla a due metri da terra. Quando i due ragazzi furono sul punto di raggiungerla Nathaniel si accorse che un fulmine stava per colpirli in pieno. Sgranò gli occhi in preda al panico: il suo vento avrebbe potuto aprire la breccia lì dove la difesa veniva meno, ma non sarebbe riuscito a bloccare l’attacco, non con Arthur in braccio. Cercò di accelerare e creò un vortice che avrebbe aperto definitivamente un varco. –Almeno farò passare Arthur…- Pensò già preparandosi a lanciare l’amico nello stesso istante in cui il vento avesse infranto la rete di fulmini. Nathaniel stava per lanciare Arthur quando uno sferragliare gli riempì le orecchie, aprì gli occhi: Arthur aveva eretto una barriera all’ultimo secondo. –Cosa farei senza Arthur?- Pensò il ragazzo mentre attraversava il muro di fulmini protetto dalla barriera di Arthur. -Sei un grande.- Pensò il ragazzo quando ricaddero dall’altra parte.

L’atterraggio non fu morbido: nel ultimo tratto Nathaniel perse il controllo del suo potere per scansare un fulmine facendo rotolare lui e Arthur per qualche metro uno addosso all’altro, in un complicato intreccio di gambe e braccia. A Nathaniel girò la testa per qualche secondo: non riusciva più a capire dove fosse o cosa stesse succedendo, fu la voce di Arthur a riportarlo alla realtà. “Protego!” Arthur aveva appena bloccato un altro fulmine. Un sorriso soddisfatto affiorò sulle labbra di Nathaniel. –E ora che farai, burattinaio?-

Hanna era ancora dall’altra parte, si era accorta che i suoi compagni erano passati dall’altra parte e che doveva agire in fretta se voleva riuscire ad andare dall’altra parte. Così, con una zampata e un ruglio finale, si liberò dei chip che oramai l’avevano circondata e con uno scatto raggiunse il punto in cui la falla si stava rapidamente richiudendo, ma che le continue raffiche di Nathaniel impedivano che si ristabilizzasse. Con un ultimo sforzo Uther fece forza sulle zampe anteriori e, ritrasformandosi in Hanna, spiccò un salto. Grazie alla forza delle zampe dell’orso e la leggerezza del corpo della ragazza, Hanna riuscì a compiere il salto necessario per raggiungere il foro sempre più piccolo. La ragazza si nascose il viso con le braccia preparandosi alla bruciatura che la sua pelle avrebbe subito, ma il dolore non arrivò: il suo corpo era stato protetto da una bolla d’energia, le bastò alzare appena lo sguardo per vedere la bacchetta di Arthur alzata nella sua direzione, i suoi occhi grigi e azzurri fissi su di lei. –Grazie… secchione…- Pensò Hanna con un sorrisetto sulle labbra mentre ricadeva a terra piegando le ginocchia e poi, allungandosi leggermente in avanti con il resto del corpo, si lasciò rotolare a terra con una caduta in avanti, ferendosi i palmi delle mani, e rialzandosi senza alcun danno, dopo aver compiuto una capriola, come se nulla fosse riprendendo a correre verso i suoi amici*. Nathaniel le passò la bacchetta appena le fu vicina, le porse anche la giacca ma Hanna lo ignorò e prese solo la bacchetta: poco le importava di essere nuda, in quel momento, per lei, esisteva solamente la battaglia.

Da così vicino i ragazzi poterono vedere le leggere bruciature che le segnavano tutto il corpo, come una miriade di cicatrici rosate, facendola apparire una tigre, eppure non accennava a sentire dolore o a lamentarsi.

***

“Muoviamoci!” Ci incitò Hanna. Ma non potemmo compiere un passo che un fulmine, grosso quanto una colonna, si schiantò ad un centimetro da noi, e se non fosse stato per i riflessi di Nath, che ci aveva spinti in avanti con i suoi venti, saremmo divenuti cenere.  Mi spinsi in avanti assieme a loro, i chip tentavano di ostacolarci cercando di riformare la barriera. Ma noi li bloccavamo usando tutto quello che avevamo stando spalla contro spalla continuando a muoverci in avanti, lentamente certo, ma un passo alla volta stavamo riuscendo a raggiugere il luogo in cui l’artefice di tutto ciò si stava nascondendo, il burattinaio che reggeva i fili di questi chip. Ma comunque non riuscivamo mai a vedere chiaramente dove stavamo andando, seguivamo l’istinto e le informazioni della mia visione. Non sapevo molto, sapevo solo che era qui il suo nascondiglio e che era davanti a noi.

Ad un tratto, fu solo un secondo, lo vidi: uno strano complesso, molto simile ad un laboratorio di fortuna, sorgeva a poco più di duecento metri da noi. “Lo avete visto? Protego!” Chiesi bloccando l’ennesima ondata. “Cosa?” Chiese Nath mentre lanciava una delle sue ultime fiale contro un gruppo di fulmini che si era ammassato a qualche metro da noi sulla destra.  “C’era una tenda là in fondo! È la stessa della mia visione! Scommetto che è lì da dove controllano i chip!” Urlai nella speranza che mi ascoltassero. “Vingardium leviosa!” Urlò Hanna scagliando contro i chip dei barili che avevamo visto lì e che quando si avvicinarono ai fulmini questi si ritrassero evitandoli del tutto lasciando Hanna leggermente interdetta. “Come intendi raggiungerla!!!” Urlò Hanna lanciando contro dei macigni dovuti alle recente esplosione contro i chip. “Non lo so ma…” “Protego!” Mi interruppe Nathaniel proteggendomi da delle lanche mortali. “Voglio provare a raggiungerla! Potete aprirmi un varco?” Li supplicai speranzoso. Nathaniel mi lanciò uno sguardo serio con qualcosa di minaccioso. “Solo per pochi secondi.” Decretò tornando a guardare davanti a sé. “Dopo dovrai vedertela da solo.” Mi avvertì. “Okay.” Risposi spaventato. Hanna mi lanciò una breve occhiata seria e preoccupata. “Vengo con te.” Decise subito. “No, tu mi servi per dopo Hanna, e mi devi coprire mentre mi preparo.” La bloccò Nathaniel subito dopo aver bloccato l’ennesimo tentativo dei fulmini di ricreare la barriera. Hanna guardò con un leggero odio Nathaniel. “Almeno assicurati di dare un vantaggio ad Arthur.” Decretò seria Hanna mentre lanciava un altro masso contro i chip. “Non ti preoccupare, lo avrà.” Disse Nathaniel posizionandosi alle spalle di Hanna.

“Pronto Arthur?” Mi domandò, accennai un sì. Allora Nath si alzò in volo, a poco più di due metri da terra, e generò un vento circolare attorno al suo corpo, sempre più potente. All’inizio non capivo l’azione di Nathaniel, poi mi resi conto che ogni volta che i fulmini si avvicinavano a Nathaniel facevano sempre più fatica ad sottrarsi ai suoi venti. In fine si generò una vera e propria tromba d’aria che in un secondo spinse tutti i fulmine in una spirale attorno al corpo di Nathaniel che vorticavano velocemente e pericolosamente vicino al suo corpo.

“VAI!!!” La forza del suo urlo mi ridestò. Non me lo feci ripetere due volte: corsi con tutta la forza che avevo. Il vento mi sferzava il viso e mi rendeva difficile la corsa, ma quanto meno non dovevo preoccuparmi di essere fulminato da un momento all’altro. Guadagnai un metro, poi due e avanti così, con l’acqua alla gola, gli occhi lacrimanti per il troppo vento e un pugnale infilzato tra le budella per l’angoscia, non importava come, dovevo raggiungere quel complesso. Corsi così fino a centoventi metri. Fu allora che il tornado si bloccò improvvisamente. Sentii un tonfo, ma continuai a correre mentre i chip tentavano di raggiungermi. Corsi più veloce che potei, corsi con tutto il fiato che possedevo senza mai voltarmi. Non mi importava dei muscoli doloranti o del fatto che i chip fossero a neanche un secondo da me, dovevo solo correre guardando dritto davanti a me.

***

Nathaniel resistette più che poté dentro a quel vortice, poiché anche solo un secondo, un attimo, un passo in più potevano significare la vita per Arthur, ma anche per lui un secondo di troppo voleva dire la morte. Si stava letteralmente rosolando lì dentro, e l’aria iniziava a mancargli. Sapeva che era rischioso, ma non aveva avuto altra scelta: se avessero tardato troppo tutti si sarebbero accorti della loro assenza e a quel punto avrebbero dovuto rinunciare ai loro segreti. Nathaniel percepì una zampa artigliata sfiorargli la pelle: Godren lo stava curando. –Questo piccoletto… ci è costato quasi la vita ma è molto utile.- Pensò il ragazzo mentre una luce d’orata e un diverso tepore gli avvolgevano il corpo donandogli un tenue sollievo. Fu allora che Nathaniel perse i sensi.

Hanna vide Nathaniel cadere a terra mentre i fulmini si liberavano dalla sua morsa scagliandosi contro Arthur. Con un balzo la ragazza afferrò Nathaniel prima che si sfracellasse a terra e con un tonfo si schiantò contro il terreno. –Il resto è nelle tue mani, Arthur.-

 ***

Vedevo chiaramente il mio obbiettivo: un laboratorio pieno di computer e armesi simili al interno di una tenda in plastica ingiallita un tempo trasparente come nei laboratori improvvisati. Corsi ancora ma a meno di trenta metro di distanza inciampai e sbattei la faccia a terra, la bacchetta mi scivolò di mano rotolando lontano, il ronzio assordante dei chip era vicinissimo. –Questa è la fine.- Pensai mentre chiudevo gli occhi in attesa della morte, ma dopo svariati secondi non sentii niente: non ero stato trapassato, non sentivo chip avvolgermi il corpo, solo la dura pietra contro la pelle. Alzai lo sguardo e allora notai di essere inciampato proprio su una linea colorata di rosso leggermente rialzata. Alzai lo sguardo e notai che i fulmini sbattevano contro una parete invisibile. –Sarò all’interno d’una barriera, una zona sicura nel caso in cui i chip non so… perdano il controllo.- Pensai alzandomi a fatica e recuperando la bacchetta. “Hanna, Nath!” Urlai con tutto il fiato che avevo in gola. “Cercate di raggiungermi, qui i chip non possono entrare!” Continuai nella speranza che mi sentissero.

Presi un profondo respiro; chiunque fosse là dentro era di certo un abile mago e lo avrei dovuto affrontare con tutta la forza che avevo. Scostai la plastica lasciandomi sommergere dal fastidioso ronzio e odore dei computer surriscaldati.

***

Le urla di Arthur raggiunsero gli altri due ragazzi, ma non erano nelle condizione di procedere: Nath aveva perso i sensi e non accennava a riprendersi, e Hanna, con il suo amico sulle palle, oltre ad essere rallentata, non poteva muoversi come voleva o trasformarsi in orso poiché avrebbe esposto Nath a rischi troppo grandi, e per di più le abrasioni che aveva ignorato fino a quel momento iniziavano a bruciarle e a renderla a mano a mano sempre meno lucida. Era costretta a procedere lentamente, non le era concesso margine d’errore, quindi ogni movimento doveva essere calcolato, ma la sua natura le rendeva le cose difficili, poiché percepiva tutto con estrema chiarezza, malgrado la stanchezza sempre maggiore di più di minuto in minuto, però era il suo istinto a consigliarle come muoversi e di norma funzionava, ma avere Nathaniel a peso morto sulle spalle la bloccava. –Arthur, qualunque cosa tu stia facendo falla in fretta: non reggerò ancora a lungo.- Pensò la giovane bloccando l’ennesima ondata di fulmini.

***

Rimasi di stucco. Davanti a me, oltre a decine di computer funzionanti e casse per l’analisi e conservazione dei dati, c’era un ragazzo con la divisa Corvonero, sporca, sgualcita e puzzolente, in condizioni simili, se non peggiori, era ridotto il proprietario di quel corpo: era magro, la testa coperta da un enorme casco nero, da cui si riuscivano ad intravedere i capelli lunghi e sudici, le lunghe mani affusolate erano lasciate penzolanti lungo la sedia come il resto del corpo, la testa inclinata all’indietro, la schiena incurvata e le gambe divaricate lasciate cadenti senza forza. Il pavimento lì vicino odorava di sudore, bava, piscio ed escrementi. Mi venne un improvviso senso di nausea e un conato di vomito. Ma lo ricaccia in dietro e tornai a concentrarmi sulla stanza. La prima cosa che notai era che il casco era direttamente collegato al computer e lì a neanche cinquanta centimetri di distanza c’era una bacchetta, ma non era una bacchetta qualsiasi: era contenuta dentro ad un anello di ferro che la racchiudeva per l’intera lunghezza, e questa si muoveva a destra e a sinistra come un ago. -È la bacchetta delle mie visioni!- Pensai incredulo. Mi avvicinai sorpreso per osservarla: era esattamente come sulla mia visione, compiva gli stessi movimenti e aveva lo stesso aspetto. Ero incredulo –Allora è vero! tutto quello che mi ha insegnato Ehogan è vero! La magia, le visioni, i rituali, gli dei… beh forse quelli no… ma tutto il resto è sicuramente vero!- Mi passai una mano trai capelli alzando per un attimo la frangetta che ricadde quasi subito sugli occhi. Rimasi qualche secondo in contemplazione però un urlo disumano di Hanna mi ricordò che dovevo agire in fretta. Mi avvicinai al mago che era rimasto immobile per tutto questo tempo.

Fui tentato di ucciderlo, una piccola parte di me mi urlò di afferrare una delle pozioni nella mia borsa e di fargliela ingerire, ma un’altra parte di me, mi suggerì di fare altro. Con cautela gli toccai la fronte. Una energia magica mi respinse, era qualcosa di simile ad una scossa. Ritrassi la mano sorpreso, Ehogan mi aveva accennato qualcosa a riguardo della lettura della mente e del fatto che è possibile erigere delle barriere, ma non avevamo mai affrontato l’argomento seriamente prima. L’istinto mi suggerì di riprovare, così strinsi i denti e toccai nuovamente la fronte. Un pensiero non mio rimbombò nella mia mente. –Aiuto!- Allontanai nuovamente la mano incredulo. “Aiuto?” Ripetei tra me e me guardandomi la mano. “Questa persona mi sta chiedendo aiuto?” Un moto di ribrezzo mi invase. –Osa chiedermi aiuto quando lui stesso ha ucciso centinai di persone!- Strinsi forte i pugni. E un moto d’ira mi accolse portandomi a stringergli la gola per soffocarlo.

–Aiuto! Aiuto! Aiuto! No! Non voglio! Aiuto!-

Mi allontanai in preda al panico: avevo sentito quella disperazione come se fosse mia, non era la paura di morire, era qualcosa di diverso, qualcosa che io conoscevo: un senso di impotenza, la disperazione che si prova quando qualcuno ha già deciso per te. Ripensai a quella voce: era giovanile, maschile, disperata e supplicante verso di me. Mi feci coraggio e appoggiai un ultima volta la mano sulla fronte.

*

Mi ritrovai sospeso nel buio, mi guardai attorno in cerca di qualcosa, ma non trovai nulla. Stavo per spostarmi quando un urlo riempì le mie orecchie scuotendomi l’anima. “Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi sente? Aiuto! Non voglio! Non voglio! Aiuto! Aiuto!” La disperazione in quella voce era più intensa di qualunque altra voce avrebbe mai potuto, non era solo una manifestazione di un’emozione, quella voce era quell’emozione e riempiva l’aria attanagliandomi il cuore.

“Sono qui.” Bastò questo mio sussurro per bloccarla. Ci furono lunghi istanti di silenzio. “Chi sei tu!?” Chiese terrorizzata la voce mettendosi sulla difensiva. “Sono un amico.” Dissi cercando di essere cordiale e di esprimere fiducia. “Lo aveva detto anche lei!” Sbraitò il ragazzo terrorizzato “Lei?” Domandai perplesso. “Lei chi?” Insistetti. “Lei!” Ripeté e un’infinità di sensazioni mi investì come uno tsunami: dolore, odio, paura, terrore, e dolore, dolore ancora, ribrezzo e dolore, tanto dolore, troppo dolore. Sentii la mia anima vacillare, ma ripresi il controllo di me stesso. “È stata lei a farmi fare quelle cose! È stata lei a bloccarmi qui! Se non faccio come dice lei mi ucciderà!” Urlò il ragazzo, poiché ero certo che di un ragazzo si trattasse, disperato, confuso e alterato. Con gentilezza lo chiamai “Dove sei? Non riesco a vederti.” “Aiutami ti prego! Prima che lei torni! È vicina, lei è sempre vicina!” Tornò ad urlare entrando nel panico. “Okay, calmati! O non uscirai mai di qui.” Tuonai spingendolo finalmente a calmarsi o quanto meno a diminuire la sua angoscia. “Dimmi il tuo nome.” Ordinai pacato ma autoritario. “Peter Brown sono il prefetto Corvonero, o almeno lo ero a inizio anno.” Disse spaventato e sconsolato il ragazzo. -Peter? Ma…- Il ricordo di quel giorno oramai lontano mi investì e quel senso d’angoscia provato tornò come nuovo. –Per tutto questo tempo era Peter…- “Ti prego liberami, portami fuori da queste tenebre!” L’urlo del mio compagno di casa mi fece tornare nel momento presente. “D’accordo, ma calmati, devi placare la tua mente.” Gli imposi, seguì qualche secondo di silenzio, in cui però continuò ad esserci quell’aria di paura che aveva impregnato la mente di Peter fino ad ora. “Non ci riesco! I UIMT-013 (Unit individual magic thunderbolt versione 13) continuano a mandarmi informazioni! Aiutami ti prego!” Mi supplicò sempre più spaventato, feci un profondo respiro.

Ehogan mi aveva detto che la lettura della mente era una azione complicata di norma, per via delle difese, consce o inconsce che una persona possiede, ma in questo caso non avevo trovato ostacoli, se non una minuscola barriera, la quale però era ceduta all’istante, il ché voleva dire che questa persona aveva di già ceduto tutte le sue difese mentali, probabilmente a causa di quella Lei di cui continuava a blaterare. “Okay, proviamo così: ascolta il suono della mia voce e cerca di guardare verso di me.” Dissi pacato. “Non ti vedo! È tutto così buio!” Urlò spaventato, potei percepire la sua confusione. “Calmo, calmo. Ascolta me e solo me.” Con queste mie parole Peter si placò. Iniziai ad intonare un canto rivolto al dio Belenos, il dio della luce, una melodia dolce, di supplica per illuminare il cammino Peter. Allora una piccola sfera bianca e luminosa riempì le tenebre della mente di Peter. “Cos’è questa luce!” Urlò sorpreso. “Ti spiegherò tutto dopo, ora vieni da me, segui la luce.” Dissi pacato. “Sono quaggiù.” Urlò Peter facendomi abbassare lo sguardo.

Vidi una mano affusolata sollevarsi: era incatenato nell’antro più remoto della sua mente nel suo volto c’era disperazione, e il suo corpo pareva essere di tenebra. Mi chinai sulle ginocchia e con la mano libera dal incantesimo afferrai quella magra mano saldamente.

 

Note dall’autrice

*Per chi non lo sapesse uso il termine caduta perché quello che fa Hanna è una classica ruota di Judo, arte marziale di origine Giapponese, conosciuta anche come Judo Kodokan, nonché sport praticato dalla sottoscritta. Lo so, poco femminile ma… sfracellare a terra un avversario, o avversaria, ti dà una soddisfazione di quelle…. Se non lo si prova non lo si comprende!

Si lo so sono in ritardo, di nuovo, per questo pubblico eccezionalmente di giovedì, ma questa volta cercate di capirmi: era un capitolo in cui praticamente combattevano e basta, mi ci è voluto più tempo del previsto, chiedo umilmente scusa.

 Cambiando argomento che ve ne pare dei poteri di Arthur? Lo so, sono un po’ diversi dalla magia a cui siete abituati nel mondo di Harry Potter, però hanno un loro perché.

Allora… chi aveva capito che dietro a tutto ciò c’era Peter… eh…? *Nella sala sorge un silenzio di tomba* Va beh, in fondo l’obbiettivo era quello.

Reggete, sono gli ultimi capitoli.

Alla prossima,

Bibliotecaria

   
 
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