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Autore: Bibliotecaria    05/08/2017    0 recensioni
La magia che conosciamo non è l'unica ad esistere, e questo Arthur lo sa, alcune sono antiche e dimenticate, altre novelle e sconosciute. Ora però una magia oscura sta portando Hogwarts nel terrore, sangue innocente scorrerà, e sotto il velo della paura qualcuno alzerà la testa per affrontare il proprio destino. E c'è un nemico che solo l'erede di Merlino può affrontare.
Attenzione: questa storia è il seguito di "Una nuova generazione - il ritorno dei draghi"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Una nuova generazione '
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Cap. 18 Risveglio e spiegazioni

 

Hanna caricò in avanti facendosi strada con un incantesimo bombara mirato al soffitto che fece crollare svariati massi su un piccolo gruppo di chip. Ma non riuscì ad avanzare di più d’un passo che subito venne attaccata, la ragazza imprecò: stava diventando sempre più difficile colpirli, era come se prevedessero le sue mosse. Con furia lanciò i massi contro un gruppo di chip che stava preparando un attacco. Un secondo dopo si difese dai fulmini che stavano per colpirla alla schiena. Si caricò meglio Nathaniel ancora incosciente. –Dannato stupido!- Pensò Hanna lanciando un masso contro l’ennesima ondata disperdendoli.

Nel tentativo di difendere Nathaniel da un fulmine, venne colpita al braccio sinistro. La ragazza imprecò, stringendo i denti, e con un urlo sovrumano riprese ad attaccarli con le pietre avanzando come una furia lanciando i rocce a destra e a sinistra, creando scudi e bloccando, anche se per istanti, i fulmini. La ferita bruciava ma doveva continuare a sorreggere Nathaniel con quel braccio, doveva riuscirci a qualunque costo.

Hanna continuò la sua avanzata lottando per ogni falcata, per ogni metro accumulato, ogni passo. Era stremata, il fiato spezzato, le membra doloranti ma non se ne curava: se avesse raggiunto Arthur sarebbe stata al sicuro, o ameno i chip non li avrebbero più attaccati. Ma mano a mano che avanzava i chip diventavano sempre più difficili da contrastare e, sola com’era, poteva solo sperare di raggiungere la zona sicura. Si fece coraggio e avanzò un passo alla volta, combattendo e urlando, tuttavia i chip la prendevano di striscio sempre più spesso e anche Nath aveva riportato leggeri graffi, malgrado Hanna cercasse in ogni modo di proteggerlo, facendo anche scudo con il proprio corpo.

Come aveva notato prima, non le sembrava che stessero cercando di ucciderla, o almeno non stavano usando la massima potenza d’attacco. Sperò che questo fosse un segno positivo, e che Arthur stesse facendo progressi. Altrimenti la sua fine era già segnata.

 

Stava combattendo senza risparmio con quei pochi incantesimi che conosceva in grado di offendere e inventandosi modi sempre meno originali e veloci per usarli. –Se solo Elaine fosse qui.- Si ritrovò a pensare con un’amara nostalgia. Per lei dei nemici così erano una bazzecola con qualcuno che le copriva le spalle sarebbe stata in grado di affrontare questo genere di nemico. Hanna si era convinta che quel giorno, se solo uno di loro fosse stato presente, Elaine sarebbe ancora con loro, magari le avrebbe coperto le spalle in quel preciso momento.

Hanna ignorò il dolore che le procurava il pensiero dell’amica, non si poteva concedere il lusso di distrarsi. Continuò ad attaccare i chip con tutto quello che le restava: il desiderio di proteggere, il suo coraggio e la sua voglia di vivere.

Poi però un onda di fulmini la accerchiò avvolgendola, alzò velocemente la barriera evitando che la fulminassero. Tuttavia ora, era circondata dai fulmini, in una gabbia ad alta tensione. Guardò a destra e a sinistra cercando un modo per uscirne viva ma non v’era scampo, solo un muro di luce invalicabile. Hanna strinse gli occhi brucianti per la luce intensa e si preparò al peggio, trasse un profondo respiro. –Se devo morire, morirò combattendo!- Si disse e si preparò a respingere l’onda d’urto che a breve sarebbe arrivato. I fulmini si innalzarono per un istante e piombarono su di lei come serpenti di morte.

***

Estrassi il casco dal capo a Peter. Era un ragazzo del settimo anno, dalle poche volte che lo aveva visto ricordava un ragazzo sano, forse un po’ in carne, i capelli castano chiaro corti e sempre in ordine, alto e fiero, con un bel carisma, ora di lui non c’era più traccia: i capelli erano lunghi fino alle spalle, sporchi e disordinati, le mani erano ossute, probabilmente per la denutrizione e gli occhi azzurro grigio erano infossati e contornati da profonde e violacee occhiaie, il viso scarno e pallido.

Peter si portò una mano davanti agni occhi e sorrise un sorriso incredulo e in qualche modo spaventato. “Libero…” Sussurrò incredulo. “LIBERO!” Ripeté più forte scoppiando a ridere, una risata isterica, folle, di chi ha per so ogni speranza, e con ancora quel sorriso malato in volto posò lo sguardo su di me e fece una faccia scettica. “Salvato da un bambino del primo anno e imprigionato da una bambina di sette anni, questo è il colmo!” Esclamò, stava per rimettersi a ridere, ma venne interrotto un mio pugno in piena faccia. “Ahi! Ma che ho fatto!” Urlò massaggiandosi appena la zona lesa, non doveva essere molto forte, visto che a tirarlo ero stato io, ma comunque gli avrei lasciato un livido. “Cos’hai fatto?” Sussurrai rabbioso. “Cos’hai fatto!?!” Tuonai furioso, facendo arretrare il ragazzo sulla sedia. “Osi chiedermelo!!!” Urlai più forte quasi saltandogli addosso. “Hai ucciso molte persone con i tuoi stupidi chip!” Gli ricordai bloccandolo sulla sedia. “Quello non ero io.” Rispose spaventato, ritirandosi ulteriormente. “Non eri tu? Che cazzo vuol dire non eri tu?” Urlai ancora, poi mi ricordai dell’esperienza vissuta: quello che avevo sentito era vero, lo sapevo per certo. “Ma mi hai sentito prima?” Mi domandò il ragazzo arrabbiato. “Tutto ciò che ho fatto in questi mesi non l’ho fatto di mia volontà. Lei, quella bambina, può sembrare buona e innocente, ma in realtà è… non so bene cos’è, usa la magia ma con formule che non ho mai sentito e non usa la bacchetta. È stata lei a sottopormi al suo volere facendomi uccidere quelle persone. Diceva che era per un fine più grande, farfugliava qualcosa al riguardo a otto ragazzi speciali che dovevo uccidere. Non ho mai ben capito di cosa si trattasse. Però se non facevo come diceva…” Il ragazzo rabbrividì un secondo bloccando la sua concitata spiegazione. “Mi lasciava attaccato alla macchina per giorni, obbligandomi a cercare persone con abilità magiche fuori dal comune. Voleva che le uccidessi.” Disse rabbrividendo e potei vedere nei suoi occhi il terrore e l’orrore dell’incubo. “Era terribile, mi guardava con occhi… al solo pensarci…” I suoi occhi si fecero bui dalla paura e tremò. “Quindi… tu… sei solo una marionetta?” Chiesi, più a me stesso che a lui. “Sì.” Affermò senza ombra di menzogna.

***

Hanna strinse la bacchetta, sperando che lo scudo resistesse, e i chip si scontrarono su di esso. Era la fine, se Arthur non disattivava in fretta qualunque cosa permettesse ai chip di muoversi sarebbe morta. Il ronzio elettrico la spinse a stringersi le orecchie. Poi tutto fu silenzio.

Per qualche strano motivo i cip si bloccarono, appena entrarono in contatto con la sua barriera rimasero immobili, congelati sul posto. Hanna osservò quei fulmini: erano bloccati come se qualcuno li avesse congelati. Hanna provò a toccarli, ma a parte un piccola scossa dovuta alla vicinanza, non ci furono altre reazione. Hanna venne presa da un piccolo attacco di claustrofobia, per via del luogo ristretto, ma lo ricacciò in dietro cercando di concentrarsi su qualcos’altro. “Calma!” Si impose colpendo il pavimento. “Pensa ad un modo per liberarti!” Si ripeté, poi si ricordò delle pozioni esplosive, ne aveva proprio una nella… –Tasca della divisa…- Si ricordò notando solo ora di essere nuda.

Hanna si guardò e venne percossa da un brivido quando si accorse che la sua pelle era solcata da superficiali, ma comunque tante e ampie, bruciature. –Devo essermele fatte quando sono andata contro la barriera….- Un leggero ribrezzo scosse le membra di Hanna, non erano un bello spettacolo, ma sapeva che era fortunata e che in realtà erano ferite di poco conto. –Forse Ehogan potrebbe curarmi, e anche se non potesse fa niente, me ne farò una ragione… ma dovrò spiegare come me le sono procurate….- Hanna provò a pensare ad una scusa, ma non ebbe successo. –Ci penserò al momento opportuno, ora le cose più urgenti!- Decretò tornando a concentrarsi e a ragionare con mente fredda.

Pose Nath a terra e gli rubò la giacca della divisa per coprirsi colta improvvisamente dal freddo e da degli strani pizzicori nelle ferite, che fino ad un secondo fa non aveva percepito, oltretutto sentiva improvvisamente un forte bisogno di coprirsi. –Sono proprio un animale!- Si rimproverò la ragazza rendendosi conto solo ora di aver combattuto nuda tutto quel tempo. –Cielo, mi prenderanno in giro per questa storia a vita!- Pensò mentre schiaffeggiava Nath nel tentativo di fargli riprendere i sensi. “Nath! Nath! Nath riprenditi!” Urlò la ragazza fino a quando il ragazzo non reagì con un mezzo borbottio. “Eh?” Chiese ancora mezzo rintontito il Serpeverde. “Ti sei ripreso finalmente!” Esclamò la ragazza. “Hanna? Ma cosa…?” Chiese stordito cercando di rialzarsi ma fallendo miseramente, cedendo sotto il peso del suo stesso corpo. “Hai perso i sensi mentre trattenevi quel vortice.” Tagliò corto Hanna. “Ah, la caduta certo…” Disse Nath confuso, poi si guardò in torno. “Ma che cavolo…?” Urlò spaventato accortosi solo in quel momento di essere circondato da fulmini. “Non lo so neppure io Nath: sono fermi così da qualche minuto.” Spiegò Hanna guardando preoccupata i fulmini che ancora non davano segni di vita. “Arthur?” Domandò il ragazzo. “Si è salvato dai fulmini ma non so come stia ora.” Lo aggiornò Hanna. “Dobbiamo uscire da qui.” Decretò Nathaniel mettendosi seduto e iniziando ad analizzare il muro di chip. Hanna stava per chiedergli come, ma in quel preciso momento i chip vennero scossi da una scarica elettrica e iniziarono a ritrarsi lentamente. Hanna e Nathaniel si ritrassero spaventati e alzarono una barriera, ma inutilmente.

I fulmini si alzarono a mezz’aria e poi si diressero lenti verso uno strano complesso simile ad un laboratorio. Lì un ragazzo stava chiamando a sé i chip con un semplice movimento della mano, non aveva nessuna bacchetta in mano.

***

Ero nel oblio. Vedevo luci e colori, sentivo voci e percepivo di tanto in tanto che qualcuno mi stava stringendo la mano o accarezzando i capelli. C’erano dei pensieri che solleticavano la mia mente come parole lontane. Ma in quel oblio di luce ai miei confini c’era l’ombra che spingeva sempre di più verso di me, un dolore costante una presenza pressante. Ricordo che ero debole e indifesa poiché tutte le mie forze erano canalizzate in quel sottile confine. Era un infinito di pensieri, un acquarello di mille sfumature era la mia mente, credo. Poi l’ombra si ritrasse tutta d’un colpo.

*

Mi alzai di soprassalto nel letto del infermeria improvvisamente carica d’energie. Era buio ma la luce della luna che filtrava dalla finestra mi permetteva di vedere i chip appena usciti dal mio corpo scomparire chissà dove al limitare della parete. Guardai la luna, sorrisi –Ce l’hanno fatta…-

***

Peter si tolse il casco. “Ecco, ho richiamato tutti i UIMT-013 ora le due Tassorosso dovrebbero essere fuori pericolo, ma non so dirvi che conseguenze avrà su di loro questo periodo a contatto con i UIMT-013.” Spiegò il giovane. “Adesso ci spieghi per quale dannato motivo non ti dovrei spaccare la faccia!?!” Sbottò Hanna guardandolo storto, le braccia incrociate e lo sguardo nero di rabbia.

Peter si irrigidì e poi sospirò: un chiaro tentativo di placare la sua anima. Probabilmente stava pensando a come, solo pochi istanti fa, Hanna, gli fosse corso in contro con tutta l’intenzione omicida che aveva potuto osservare dai suoi chip, ma dal vivo doveva averla considerata molto più terrificante, perché aveva iniziato a ritirarsi spaventato. Hanna gli avrebbe spaccato la faccia, e non solo, se non fossi intervenuto bloccando la furia di Hanna urlando. “Sta con noi!”

“Tutto ebbe inizio quando ero solo un bambino…” Iniziò Peter. “Non ci interessa la tua biografia!” Lo interruppe Nath scocciato e diffidente. “Mi lasciate spiegare!” Sbottò Peter per poi riprendere da dove si era interrotto. “Fin da bambino ho posseduto l’abilità di dominare i fulmini o l’elettricità in generale.” Spiegò mentre dal semplice contatto con un computer generò un fulmine che iniziò a girargli intorno al braccio come un serpente. “Quando arrivò la lettera da Hogwarts ero convinto che il mistero fosse svelato; invece continuavo a fare queste cose. Capii in fretta che la mia era una magia separata da quella dei maghi comuni. In certi versi assomiglia alla tua Nathaniel, solo che al posto dell’aria domino i fulmini.” Apostrofò guardando l’interessato dritto negli occhi. “Ehi, ma come lo sai?” Chiese il ragazzo allarmato. Peter sospirò. “Quando indosso il casco i chip mi mandano informazioni e, studiando il tuo potere sul vento, sono riuscito a dedurre che ha un origine simile alla mia.” Prese un profondo respiro. “Comunque sia… questa mia abilità mi ha spinto a fare delle ricerche per fondere la scienza informatica e tecnologica con la magia, e ci sono riuscito. Quelli che voi chiamate banalmente chip, sono in verità delle Unità indipendenti che grazie ad una risonanza elettro magnetica, che io mando dal casco con l’aiuto di tutti questi computer, assumono la forma che io desidero, e grazie alla mia magia che li alimenta, assumono la forma che desiderano. Sono riuscito ad ottenere questo risultato al quarto anno, modesti a parte ho un QI di 168, c’è un motivo se sono capitato a Corvonero dopotutto.” Spiegò con un certo orgoglio. “Però il prototipo UIMT-04 aveva delle limitazioni: dovevo trovarmi entro un certo raggio ed erano estremamente delicati. Così ho iniziato a programmarli con nuove leghe e a progettare questo.” Disse indicando la complessa struttura. “Ho trovato questo posto il primo anno grazie ad una ricerca che ho fatto sulla storia più recente di Hogwarts e in seguito sono riuscito ad estrapolare a Mirtilla la parola d’ordine per l’apertura. Ho scoperto questo complesso di gallerie naturali e da allora ho prodotto qui i miei UIMT.” Spiegò. “Ma io ero convinto che non funzionassero tecnologie ad Hogwarts.” Intervenni curioso di capire come potessero quei computer funzionare. “Ho portato delle batterie enormi.” Disse indicando una qualche forma di conteiner dove erano connessi numerose spine elettriche e uno dei barili che Hanna aveva lanciato. –Ora capisco perché li ha evitati.- Pensai immaginandomi l’esplosione che ci sarebbe stata. “No! Io intendevo che c’è una magia ad Hogwarts che impedisce l’utilizzo di oggetti elettrici.” Riformulai. “Ah, sì… ho essenzialmente aggiunto una fonte magica, la mia bacchetta e i miei fulmini, per confondere l’incantesimo.” Spiegò semplicemente. –Questo tipo è geniale.- Pensai stupefatto. “Non ci hai ancora detto però come mai non ti debba ammazzare!” Sbottò Hanna oramai al limite della pazienza. “Ci sto arrivando.” Spiegò Peter seccato. “All’inizio di quest’anno è successo che una bambina…” Tremò al pensiero. “Non l’ho vista in faccia: indossava sempre una maschera bianca e si copriva i capelli con il cappuccio, ma credo non superi i sette anni. Però è crudele: mi aveva proposto di usare la mia invenzione per stanare otto studenti con abilità magiche fuori dal comune come voi tre, le vostre due amiche Tassorosso e… insomma… avete capito.” Tagliò corto nettamente a disagio e potei leggere i sensi di colpa sul suo viso. “Mi rifiutai e tentai di portarla via con me, ma con mia enorme sorpresa usò uno strano incantesimo e mi rapì in bagno.” Si fermò un secondo cercando di liberarsi dello spiacevole ricordo. “In fine quella bambina mi ha obbligato a progettare i chip per uccidere queste persone o prenderne il controllo. Allora riuscii a trovare un modo per guadagnare tempo: mi inventai che se riuscivo a raggiungere la colonna vertebrale c’erano buone probabilità che riuscissi a tenere il controllo del corpo. Così potei allungare e modificare i miei UIMT, o almeno fingere di modificarli. Provai numerose volte a scappare, ma ogni volta che ci provavo lei mi bloccava usando incantesimi che in qualche modo ricordano quello che hai compiuto tu Arthur, anche lei cantava e faceva fluttuare acqua e altri elementi.” –Una sacerdotessa!- Capii incredulo. Ehogan mi aveva accennato che oltre ai druidi c’erano anche delle sacerdotesse con poteri come i nostri, solo che erano maggiormente devote alla dea Epona, dea dei cavalli, e alle tre dee. “Dunque tu sei stato usato come un burattino da una bambina?” Chiese Hanna scettica. “Sì, me ne rendo conto che sembra incredibile, ma giuro che è la verità.” Disse, nella sua voce non c’era ombra di menzogna. “E ora che si fa?” Chiese Nath. “Non saprei…” Iniziò Peter. “Non posso di certo aspettarmi che il mondo mi capisca o che capisca voi….” Rimase in silenzio a lungo. “Forse ho un idea. Ma mi serve il vostro aiuto.” Disse Peter con una luce triste negli occhi.

***

-Se sperano che io me ne resti qui buona buona si sbagliano di grosso.- Mi dissi mentre con uno sforzo immane mi alzavo dal letto, le gambe erano molli e i piedi mi facevano male da quanto erano intorpiditi, ma ignorai il dolore e lentamente mi alzai sorreggendomi allo schienale del letto. Stavo per compiere un passo quando un’altra persona si svegliò. “Dove sono? I fulmini! Mi hanno aggredita! Cosa…” Sospirai nel sentire quelle urla: adesso non sarei riuscita a svignarmela. “Calmati!” Dissi cercando di avvicinarmi tenendomi saldamente ad un corrimano. “Come ti chiami?” Chiesi, la voce era famigliare ma non riuscivo a collegarla ad un nome. “Sono Liz Wild, Tassorosso, secondo anno.” Disse già più tranquilla. “Liz! Sono Elaine Zannet.” La salutai cercando di usare un tono allegro. “Elaine? Ma non eri…” Iniziò perplessa. “Sì, lo so. Ma i fulmini sono usciti dal mio corpo e ho ripreso conoscenza. Ma tu che ci fai qui?” Chiesi confusa. “Sono stata aggredita anch’io, credevo di morire.” Affermò spaventata. “Tranquilla, probabilmente ti è successa una cosa simile alla mia e non ti hanno uccisa.” Dissi continuando a camminare lentamente verso di lei aiutandomi con una sola mano, visto che la sinistra era dolorante. “Elaine c’è qualcosa di strano…” Iniziò preoccupata. “Le gambe, non sento più le gambe!” Esclamò lei preoccupata. “Calmati, a volte succede di non riuscire più a camminare dopo essere rimasti in uno stato dormiente per molto tempo. Ma si risolve da solo con il tempo, vedrai che tra qualche giorno tornerai a correre e saltare come un grillo.” Dissi ottimista avvicinandomi al letto.

Stavo per compiere un passo quando per poco non inciampai da quanto la potenza di quei pensieri mi investirono. –ELAINE!!!- Urlarono in coro nella mia testa Itrandil e Godren. –Elaine allora stai bene!- Urlò Godren. –Elaine brutta stupida! Mi hai fatto preoccupare!- Urlò a sua volta Itrandil. –Ciao ragazzi. Come state?- Chiesi premurosa continuando a camminare lungo la parete. –Io bene, tu Godren?- Chiese Itrandil –Perché non è con te?- Domandai preoccupata. –No, sono nella borsa di Nathaniel, stanno tutti bene me compreso.- Mi bloccai un secondo. –Quando mi riprendo quei tre mi sentono. Oh… se mi sentono!- Pensai furiosa. Sentii Itrandil ritirarsi alla mia minaccia, poi tornò nella mia mente –Non fare sforzi inutili, ti sei appena ripresa.- Mi raccomandò la dragonessa. “Elaine…” Mi chiamò Liz preoccupata. “Tranquilla sono qui.” Dissi cercando di tranquillizzarla. “È che anch’io faccio fatica a camminare, devi darmi qualche minuto.” Spiegai cercando di accelerare il passo. –Chi è la persona che ti parla?- Chiese Itrandil curiosa. -È Liz, una mia compagna di anno, non la conosco molto ma è spaventata. Itrandil, Godren ci vediamo appena esco di qui. Vi voglio bene.- -Anch’io- Dissero i due in coro.

Quando i due si ritrassero dalla mente, con un ultimo sforzo, mi separai da muro e con dei passi incerti e tremanti molto simili a degli inciampi, raggiunsi la base del letto di Liz poggiando le mani alla sbarra, la testa china, inginocchiata e con il fiatone. Alzai lo sguardo e incrociai gli occhi della compagna.

Liz aveva gli occhi marroni con delle sfumature verdi, da cerbiatto, i capelli d’un castano scuro riccissimi che andavano a formare una serie di piccoli boccoli che assomigliavano a delle molle, molto diversi dal cespuglio disordinato di Hanna, meno gonfi e più ordinati, la pelle pallida in contrasto con le labbra rosso scuro, i lineamenti sottili e affilati, mingherlina all’invero simile, sembrava che con niente l’avrei potuta spezzare, le mani piccole e ben curate, due orecchini dai pendenti violacei, blu e indaco erano appesi alle piccole orecchie. “Ciao.” la salutai dolcemente ma con incertezza “Ciao.”

***

“Allora siamo d’accordo.” Disse Nathaniel stringendo la mano a Peter dopo aver rivisto ogni singolo dettaglio del piano. “Sì, ma per ora dove intendete lasciarmi: non posso lasciare incustodito il laboratorio, ma non voglio rischiare che quella strega di una bambina riprenda il controllo su di me.” Spiegò Peter il quale, malgrado ora si fosse calmato e cercasse di non darlo a vedere, tremava ogni volta che la nominava. “Per questo avrei io una soluzione.” Dissi alzandomi e concentrandomi sull’immagine del mio maestro. “Cosa…” Iniziò Peter, ma venne interrotto da un sibilo seccato di Hanna. Dopo diversi istanti iniziarono a formarsi delle nebbie al di fuori del laboratorio e da esse, come un ombra, apparve Ehogan. “Mi stavi cercando Arthur?” Domandò il druido avvicinandomisi. “Sì, mi servirebbero due favori.” Spiegai avvicinandomi. “Parla pure e vedrò cosa posso fare.” Mi invitò il mio maestro. “Per prima cosa: vorrei che restassi quaggiù fino a domani pomeriggio, assieme a quel ragazzo, si chiama Peter, ed è con noi, solo che… è complicato da spiegare.” “Parla pure.” Mi incoraggiò, così gli spiegai la strana posizione di Peter in quella storia. “Capisco… ma non sarebbe più semplice dire la verità?” Mi domandò il mio maestro. “La gente non capirebbe: né Peter, né noi.” Vidi Ehogan sospirare rassegnato, ma non arrivò una predica come mi aspettavo. “Bene, farò come mi hai chiesto, cos’altro?” Domandò. “Potresti curare Hanna?” Chiesi gentilmente. “Non avete il drago d’oro con voi?” Domandò sorpreso il mio maestro. “Sì, ma… se lasciasse delle cicatrici?” “Non lo farà, fidati la magia di quel piccolo drago è superiore a quella che tu immagini, lady Elaine ha scelto bene il dono del proprio drago.” Spiegò Ehogan. “Okay, allora non c’è altro.” Dissi sorridendo. “Molto bene. E… Arthur…” Iniziò Ehogan con un certo imbarazzo. “Sì?” “Vieni qui.” Con queste parole mi attirò a sé e mi abbracciò con forza. Rimasi un secondo di stucco, poi ricambiai l’abbraccio. “Anche voi due, venite.” Li invitò Ehogan aprendo un braccio. Hanna e Nathaniel in principio furono titubanti, poi si lasciarono coinvolgere nell’abbraccio. “Okay, adesso basta con le smancerie.” Ci interruppe Peter in netto imbarazzo. “Vi accompagno all’uscita.” Decretò. “No, tu resti qui, o non servirebbe a nulla.” Spiegai sciogliendo l’abbraccio. “E poi prima dobbiamo fare un’altra cosa.” Spiegai prendendo Godren dalla borsa di Nathaniel e poggiandolo tra le braccia di Hanna.

Il piccoletto rimase immobile per alcuni istanti, osservando le ferite di Hanna. Poi, con una tenue luce dorata, le curò. Hanna si guardò la pelle stupefatta: non era rimasto neppure un segno delle bruciature, anzi la pelle pareva più liscia rispetto al resto del corpo. “Com’è possibile?” Domandò Hanna stupefatta continuandosi a guardare i dorsi delle mani che fino ad un istante prima erano rossi e le bruciavano. “Non erano ferite gravi, lady Hanna, e il potere curativo del drago d’oro è molto grande, anche se per adesso non sembra. E il suo potere supera quello di ogni altra creatura magica.” Mentre Ehogan diceva questo, Godren sbadigliò tra le mie braccia e si accoccolò tra le mie mani. Guardai Ehogan esterrefatto: sapevo che Godren era diverso dal resto dei draghi, ma non immaginavo fino a questo punto.

Il tragitto del ritorno fu silenzioso, nessuno aveva voglia di parlare, un po’ per la stanchezza e un po’ per la quantità di informazioni acquisite. Ci separammo una volta fuori dal bagno, e, dopo aver sgattaiolato per i corridoi, riuscii a raggiungere il mio letto inosservato. Tuttavia, malgrado il sonno e la spossatezza che mi aveva causato la battaglia, non riuscii ad addormentarmi: avevo una leggera angoscia nel cuore –Esiste un’altra come me, una sacerdotessa.- Alzai lo sguardo sul soffitto portandomi una mano sulla fronte. –Eppure il destino ha scelto vie diverse per noi due.- Cercai di immaginarmi mille motivi per cui quella bambina avesse fatto quelle cose, ma non trovai risposte quella notte: il sonno mi accolse tra le sue braccia prima che un’idea si potesse sviluppare.

***

Quando Hanna quella mattina scese in infermeria, con i suoi due amici, per vedere come stesse effettivamente Elaine, trovarono un letto vuoto e disfatto. Hanna raggiunse il letto e iniziò a sollevare le coperte cercando l’amica in mezzo alle lenzuola. –Dov’è? Dov’è? Dov’è quella ragazza!?!- Urlò Hanna dentro di sé, in preda ad un improvviso dubbio: e se quella persona avesse trovato Elaine, e se l’avesse portata via con lei?

Il fiume di pensieri però vennero bloccati quando la mano di Nathaniel le sfiorò la spalla. Solo quando Hanna si voltò, con già un insulto pronto a fior di labbra, poté vedere Elaine addormentata in un altro letto, accanto alla ragazza che era stata attaccata. Hanna sorrise improvvisamente a cuor leggero, Elaine dormiva un sonno tranquillo, finalmente, e quasi le dispiacque quando Nath le si avvicinò e iniziò a scrollarla. “Elaine… Elaine…” Al dolce richiamo del ragazzo l’interessata emise un mugugno ed aprì lentamente gli occhi mettendosi a sedere con un mezzo sbadiglio scomposto.

Nathaniel per poco non pianse, era lì accanto a lui, era in disordine, puzzava, pareva più addormentata che sveglia, ma non gli importò, e con uno slancio l’abbracciò fino a quasi soffocarla. “Nath!” Esclamò sorpresa la ragazza svegliandosi del tutto e svegliando anche la ragazza lì accanto. “Elaine!” Urlò Arthur aggiungendosi al abbraccio stringendo l’amica al collo, dopo una corsa pazza verso al letto. “Arthur!” Esclamò Elaine rispondendo all’abbraccio con una leggera carezza al capo. “Anch’io sono felice di rivederti, ma mi stai soffocando…” Disse la ragazza con voce strozzata ma divertita. Allora Hanna si aggiunse al abbraccio quasi saltando loro addosso e raccogliendo tutti tra le sue braccia e coprendoli protettiva e possessiva. “Hanna…” Sussurrò sorpresa Elaine; Hanna stava piangendo, furono solo poche lacrime silenziose, di gioia, ma lasciò tutti di stucco. Fu così che tronarono di nuovo insieme, e silenziosamente, scambiandosi quei sorrisi e quegli abbracci, si ripromisero che una cosa simile non sarebbe mai più avvenuta.

“Si può sapere cos’è questa invasione?” Chiese Liz con finta arrabbiatura. “Fate le vostre effusioni fuori dal mio letto!” Decretò la giovane mettendosi a fatica seduta e potando le braccia a pugno sui fianchi. Tutti scoppiarono a ridere. “Liz, loro sono Nathaniel, Arthur e Hanna.” “Sì, ho presente: stai sempre con loro durante le lezioni.” Disse la ragazza. “Si può sapere cos’è questo trambusto?” Urlò Madama Cips dal altro lato del infermeria entrando come un generale pronto a riportare l’ordine. “Signorina Hanna!” Urlò distinguendo la massa rossa dei capelli dell’interessata. “Le ho spiegato un milione di volte che non deve…” Ma la anziana arzilla signora si bloccò di colpo incredula alla vista di due sue pazienti in sesto. “Wild… Zannet… state…” “Bene signora!” Completò Liz con un sorriso. “Quando?” “Ieri notte, mi sono svegliata e ho visto qualcosa uscire dal mio braccio. Non sono mai stata meglio!” Spiegò Elaine mentre cercava di liberarsi dolcemente da quel abbraccio. Subito madama Cips andò a prendere due schede e iniziò a controllarle. “Zannet ti sei spostata tu dal tuo letto?” Chiese la signora. “Sì.” Rispose Elaine “Anche se ho fatto un po’ di fatica a muovermi.” Aggiunse. “Okay… hai qualche fastidio o dolore?” Chiese l’infermiera. “Mi fa un po’ male al avambraccio sinistro.” “Quanto in una scala da uno a dieci?” Elaine ci rifletté un po’. “Mah, non so forse un due è poco più di un fastidio.” Spiegò. “Fammi vedere.” Ordinò l’infermiera ed Elaine porse il braccio ancora rigato da linee nere. La donna lo studiò con l’aiuto di qualche incantesimo poi espresse il suo verdetto. “Non mi sembra che siano rimasto nulla e per il dolore…” “Non servono antidolorifici, non mi fa così male.” La fermò Elaine tranquilla. “Certo, ma preferisco darti un antibiotico per togliere eventuali residui di scorie o quant’altro. Non posso fare nulla per le cicatrici, mi dispiace.” Confessò l’infermiera. Elaine sospirò. “Fa niente, ci farò l’abitudine, non è grave.” Disse la ragazza con un sospiro. “Ora però… mi potete lasciare sola con la signorina Wild. Le dovrei parlare in privato.” I quattro ragazzi si spostarono dal letto. “Madama Cips potrei… ehm…” Chiese Elaine indicando fuori. La donna sospirò: il sole di fine primavera era già alto nel cielo e una dolce brezza penetrava dalla finestra leggermente aperta. “Sì, ma non sforzarti. Per quanto riguarda voi tre.” Disse la donna severa. “Filate a lezione.” I ragazzi uscirono accompagnati dai poco gentili borbottii di Hanna.

***

Nath una volta fuori mi consegnò una borsa in cuoio stranamente pesante, l’aprii. “Godren…” Sussurrai al settimo cielo mentre due occhi d’orati mi guardavano con dolcezza. Con mano tremante accarezzai la testa squamosa di quel cucciolo. “È stato bravissimo: è rimasto buono buono nella borsa tutta la notte e nessuno si è accorto di nulla.” Mi spiegò Nathaniel. Gli occhi mi brillarono. –Elaine… cosa c’è?- Mi chiese Godren preoccupato. “Mi sei mancato piccolo.” Confessai accarezzandolo ancora con dolcezza. “Elaine noi ora dobbiamo filare a lezione.” Disse Arthur. “Alla terza io e Nath abbiamo lezione con Paciock, ci penseremo noi ad avvisare il professore, coccolati un po’ Godren, ma ricordati di lasciarlo andare prima che venga a cercarti il professore. Se vuoi Fernand oggi ha il suo giorno libero, poi andare a salutarlo.” Arthur era chiaramente in imbarazzo e mi venne da ridere. “Arthur se c’è qualcos’altro che mi vuoi dire, dimmelo.” Lo rassicurai sorridendo. Vidi Arthur torcersi le mani e giocare con i piedi per qualche secondo, ma infine parlò. “Temevo di non vederti più così. Sono felice che tu sia tornata.” Gli passai una mano trai capelli arruffandoli scherzosamente. “Ci vuole ben altro di qualche chip per buttarmi giù. E a proposito di chip quando abbiamo un po’ di tempo esigo un resoconto dettagliato.” Dissi puntando il dito sul petto di Nathaniel, il più vicino a me. “Sì, tranquilla ti daremo un resoconto dettagliato. E fidati è meglio che ti prepari perché è una storia assurda. Ma questo non è né il luogo né il momento. Va da Fernand e restaci.” Così dicendo ci salutammo. Camminai piano, un po’ traballante fino al uscita da scuola del tutto inosservata, poi proseguii fino ad un punto riparato da alcuni alberi e lì tirai fuori Godren –Mammina che puzza di cuoio! Non lo sopportavo più! Mi fa venir una fame!- Si lamentò il cucciolo. –Tranquillo quando arrivi c’è una coppia di conigli tutta per te.- Disse Itrandil che ascoltava la nostra conversazione. “Itrandil! Hai imparato a cacciare!” Esclamai contenta. –Ovvio! Sono un drago! È nel mio istinto cacciare!- Spiegò con ovvietà la draghessa mentre Godren si arrampicava sulle mie gambe e io iniziavo a coccolarlo come se fosse un gatto. -Ne sono felice Itrandil, quanto meno non mi farai più impazzire per comprare tre tonnellate di carne in un estate.- Dissi ricordandomi la passata estate dove ogni giorno facevo sparire dal frigo almeno un chilo e passa di carne. –Ah, ah, ah…- Mi beffeggiò la draghessa. –Spiritosa…. Godren però ora torna qui senza farti vedere: Elaine deve riaccumulare le forze e non ha tempo da dedicare a te.- lo rimproverò Itrandil –Come se non lo sapessi!- Sbotto il piccolo facendo uscire uno sbuffo di fumo dalle narici. –Uffa, sempre a dirmi cosa devo fare…- borbottò il piccolo mentre saltava giù dalle mie gambe allontanandosi tra l’erba alta. Lo guardai allontanarsi impettito –E comunque sia.- Riprese Itrandil. –Quando ti riprenderai, non sperare di toccare più terra per qualche mese.- Mi minacciò. –Esagerata.- Pensai mentre mi alzavo e a fatica mi dirigevo verso la casa di Fernand.

Me la presi con comodo, in fondo era il suo giorno libero, l’ultima cosa che volevo fare era svegliarlo. Quando raggiunsi la porta, un eternità di tempo dopo, sentii il suono di tazze e di tè a bollire, bussai. I passi pesanti di Fernand seguirono a un cupo cigolio di legno “Sì....?” Rimase in silenzio, senza parole per qualche secondo “Elaine…” Sussurrò incredulo. “Ciao Fernand.” Lo salutai. In uno slancio di gioia l’omone mi prese in braccio e mi strinse forte a sé. “Fammi prendere un altro colpo del genere e… ma che sto dicendo? Sono così felice di vedere che stai bene!” Esclamò sollevandomi da terra e trascinandomi in casa. Mi fece accomodare e mi offrì una abbondante colazione anche se in fine mangiai poco: avevo lo stomaco serrato. Mi chiese come mi sentivo, cosa avevo intenzione di fare ora e se avessi già informato i miei zii. “A dire il vero no: non avendo un gufo mio ed essendomi svegliata adesso…” Il mio parlare venne interrotto dal vocione di Fernand.  “Ahaha… Dovevi dirmelo prima!” Agitò un secondo la bacchetta e pochi attimi dopo arrivò un vecchi gufo. “È uno dei gufi che usiamo per le comunicazioni con le famiglie, ma se lo usi un secondo non succede nulla.” Mi spiegò consegnandomi carta e penna. Lo ringraziai silenziosamente e scrissi una breve lettera al mio indirizzo e pregai che arrivasse in fretta.

Fernand mi intrattenne ancora un po’ dicendomi alcune novità del mondo di fuori ma la nostra conversazione venne interrotta da una porta sprangata. “Zannet!” Esclamò il professor Paciock stravolto, con il fiatone e il cuore a mille. “Salve professore.” Lo salutai così, come se tutto fosse un vago ricordo. “Per la barba di Merlino, Zannet! Stai bene, sei tutta intera! Volevo dire… sapevo che eri tutta intera, ma non mi aspettavo che stessi già così bene! Fernand dannazione! Dovevi mandarmi una lettera sai quanto ero preoccupato!” Si lamentò il professore “Scusa Nevil.” Il professor Paciock sembrò lanciargli un occhiataccia ma Fernand non vi diede peso. “Quando l’ho vista qui mi sono ritrovato a fare la parte del amicone.” Si giustificò senza problemi Fernand. “Ah, sei sempre il solito! Fai sempre amicizia con i ragazzi: è più forte di te!” Sbottò Paciock scherzando. “Che ci vuoi fare? Professore giovane, innovativo, carismatico, moderno se fossi un po’ più bello avrei tutti ai miei piedi.” Scherzò Fernand indicando i brutti tagli sulla faccia. “Ah… Zannet, tornando a te, devi tornare in infermeria, ce la fai a camminare?” Mi domandò il professore. “Sì, ma sono un po’ lenta è meglio che lei torni in classe, io posso farcela anche da sola.” Dissi alzandomi aiutandomi appena con le braccia e compiendo qualche passo verso il professore che però non parve convinto, così gli rivolsi un dolce sorriso. “Visto, sto una meraviglia per essere stata in coma per mesi.” Dissi sorridendo “D’accordo ma il professor Johnson vorrebbe farti un paio di domande quando arrivi.” Mi spiegò il professore, mi irrigidii ma accennai un sì. “Bene!” Esclamò il professore di erbologia. “Nevil ci penso io ad Elaine, torna pure a lezione.” Disse Fernand tranquillizzandolo. “Grazie! Ora volo!” Disse correndo in direzione della foresta. Io e Fernand lo guardammo perplessi, stavamo per urlargli che quella era la strada sbagliata, ma prima ancora di poterlo contraddire ci ripassò davanti urlandoci: “Sbagliato strada!” Io d Fernand scoppiammo a ridere. “Fernand, non serve che mi accompagni, ce la faccio anche da sola.” Lo rassicurai quando smettemmo di ridere. “Per me è un piacere Elaine, mi hai fatto preoccupare in questi mesi.” Confessò mentre uscivamo.

Una volta in infermeria trovai Liz in una sedia a rotelle, aveva gli occhi rossi dal pianto. Mi avvicinai preoccupata ma venni bloccata dalla cupa presenza del professor Johnson. “Signorina Zannet posso parlarle in privato un minuto?” Mandai giù il magone a vuoto ma seguii il professore in una stanza a parte. “Elaine….” Rabbrividii: non avevo mai sentito il professor Jhonson chiamare i suoi studenti per nome. -Cosa mi dovrà dire?- Mi chiesi preoccupata. “La preside e il resto del consiglio è d’accordo sul farti passare l’anno in via del tutto eccezionale senza svolgere gli ultimi esami, ma dovrai recuperare gli argomenti durante l’estate.” Mi spiegò calmo. “Sì, va bene.” Risposi sorpresa e imbarazzata. “Elaine…” Riprese con maggior serietà. “Tutti si stanno chiedendo come hai fatto a resistere a quella cosa. Mi sapresi dire come hai fatto?” Chiese pacato guardandomi dritto negli occhi. Per un istante mi parve che i suoi occhi verdi mi stessero penetrando l’anima, distolsi lo sguardo un secondo, però lo rialzai e incominciai a parlare.

“Non… non saprei professore.” Risposi in imbarazzo, sperando che credesse alla storiella che mi ero inventata in quelle poche ore. “Sicura? Non hai qualche ricordo su come avresti potuto fare?” Insistette lui sporgendosi leggermente sulla sedia. “Ciò che mi ricordo è che mentre dormivo era come se un ombra premesse su di una barriera ai miei confini.” Spiegai vaga, era una mezza verità, e forse fu per questo che Johnson dopo avermi studiato un secondo, scavando nella mia anima, mi lasciò andare. “D’accordo. Se ti viene in mente qualcos’altro dimmelo.” Mi ordinò aprendo la porta. Mi invitò ad uscire con un elegante gesto della mano. Mi sentii osservata mentre oltrepassavo quella porta, come se fossi improvvisamente diventata un sospettato.

Quando uscii mi avvicinai a Liz che era rimasta lì immobile tutto il tempo. “Cosa ti ha chiesto?” Mi domandò la ragazza con voce strozzata. “Niente di particolare: passerò l’anno senza fare gli ultimi esami.” Raccontai. “Ah, sì. Lo ha detto anche a me.” Disse la ragazza abbracciandosi e accarezzandosi come se stesse scacciando il freddo. Riconobbi quel gesto: lo avevo fatto io non so quante volte solo sette anni fa. Mi avvicinai appoggiando una mano ai braccioli. “Liz che succede?” La ragazza scostò lo sguardo. “Sono le gambe giusto?” Allora un singhiozzo riempì la stanza.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Okay, so cosa pensate: ma Peter non era morto? Ebbene no signori, era solo scomparso! So che la spiegazione in questo capitolo è un po’ strampalata e al limite dell’assurdo, ma siamo in un fantasy e l’assurdo è l’ordinario, quindi… se avete domande, o non vi è chiara una cosa scrivetemi pure e vedrò di darvi una spiegazione.

Detto ciò, meno uno! Ebbene sì gente, il prossimo è l’ultimo capitolo! Farò del mio meglio per pubblicarlo alla svelta.

Ci sentiamo presto, Bibliotecaria.

   
 
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