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Autore: Marne    28/08/2017    4 recensioni
Dopo quattro anni di apparente pace e prosperità, il Mondo Magico si ritrova ad attraversare un nuovo periodo di crisi. Qualcuno ha iniziato ad uccidere i vecchi Mangiamorte ed Harry Potter, distrutto dopo la Guerra, inizia a soffrire di incubi spaventosi che sembrano voler mettere in dubbio quell'equilibrio raggiunto con tanta difficoltà.
Hermione Granger, dopo esser sparita per ben due anni a causa di un impiego segreto, fa ritorno nella sua terra d'origine per portare una notizia terribile a Draco Malfoy e per riunirsi al vecchio amico nella lotta contro il nuovo Male che sembra volerli sopraffare.
Un bambino è intenzionato a distruggere ciò che è stato costruito in tantissimi anni e con immense difficoltà e nessuno sembra avere il potere di fermarlo. Come si uccide chi è giù sfuggito alla morte?
Genere: Dark, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Katie Bell, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heir Universe'
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LErede del Male.


 

Never trust a demon.

He has a hundred motives for anything he does...

Ninety-nine of them, at least, are malevolent. ”*



[Neil Gaiman – Preludi e Notturni]

                                  

 

Atto X, Parte II –  Terrori notturni

 

 

L’uomo seduto ad un capo del lungo tavolo aveva l’aria di essere sull’orlo di una crisi di nervi1.

Aveva i capelli neri, corti ed ordinati, il viso dolce e meraviglioso come lei aveva sempre immaginato quello di un angelo. Anche le morbidissime ali bianche che si stagliavano alle sue spalle sembravano confermare quella sua immagine. Non tanto angelici, invece, erano l’arco e le frecce che erano state palesemente scaraventate sul tavolo, in quello che doveva essere stato uno scatto d’ira. Erano armi di evidente elevata manifattura, d’oro purissimo e apparentemente molto pesanti, simili ai cimeli dei folletti che lei aveva visto esposti in più di una delle ville dei purosangue d’alta società, però ancora più belli.

Kate aveva capito immediatamente chi fosse l’Essere che la fronteggiava e che non sembrava essersi reso conto della sua presenza. L’aveva capito, ma non aveva idea del perché o del come fosse riuscita a raggiungerlo. Ci aveva pensato spesso, soprattutto dopo l’incontro con Thanatos, ma non pensava che sarebbe mai successo, almeno non finché tutto quel guaio con Tiresias non fosse stato risolto.

Vagamente a disagio nel non essere ancora stata notata, si guardò intorno alla ricerca di un qualche appiglio, senza trovarlo. Allora, armandosi di coraggio, fece qualche passo avanti, schiarendosi la voce con un colpo di tosse. «Uhm…» tentò, cercando di raccapezzarsi del giusto modo di salutarlo. Quando era toccato a Thanatos, le era stato relativamente facile, considerando il timore reverenziale che i Sacerdoti le avevano trasmesso soprattutto da quando aveva subito la prima trasformazione. Con lui, tuttavia… Thanatos era stato piuttosto aperto nel suo amore paterno, una volta passato il momento di crisi isterica, ma Eros, a dispetto del suo essere una divinità dell’Amore, avrebbe potuto dimostrarsi differente, avendo vissuto lontano dai mortali per così tanto tempo. Forse un semplice “come butta?” non sarebbe stato proprio l’ideale. Magari avrebbe dovuto inginocchiarsi, usare qualche formula del Necromicon, offrire del sangue-

«Oh, Kate! Sia ringraziato Crono2, temevo di non essere riuscito ad intercettarti» praticamente squittì la divinità, balzando in piedi e ritrovandosi davanti a lei nel tempo di un battito di ciglia. Il tono isterico non aveva nulla di quella potenza opprimente con cui Thanatos l’aveva quasi uccisa e, invece di cercare di intimidirla, nell’avvicinarsi lui le aveva preso il viso fra le mani, come a voler controllare che stesse bene. La stava osservando con gli occhi spalancati e pieni di ansia, toccandola ed osservandola come se lei fosse appena tornata da una qualche missione suicida.

No, come un genitore l’avrebbe osservata. Un genitore parecchio ansioso, ma comunque un genitore.

Kate, avendo nel campo un’esperienza simile a quella di Harry Potter, si paralizzò, incerta sul come reagire. Nel dubbio, grugnì.

«Quando ho visto tuo padre darti quel dannato libro ho creduto di impazzire! Sapevo che saresti finita nei guai, non ne esce mai nulla di buono da quella robaccia» si lamentò l’uomo, lasciandole andare il viso per poterla abbracciare, con suo immenso sconcerto. Incurante, continuò a stringerla ed a borbottare. «E quella creatura disgustosa! Forse dovrei ringraziarlo, senza il veleno non sarei riuscito a contattarti, ma… cara, tu hai il cuore spezzato!» sbottò, ad un certo punto, fermandosi per allontanarla e guardarla negli occhi. «Ti hanno spezzato il cuore per ben due volte?» continuò a chiedere, probabilmente in modo retorico.

Quando Kate si rese conto che lui stesse aspettando una risposta, si schiarì nuovamente la voce. «Uh… la seconda volta credo sia giustificabile, dopotutto non… non condividiamo la stessa biologia, ciò che io sento per lui potrebbe non essere uguale. Ed anche la prima… credo sia pure colpa mia, in realtà» provò a giustificare, quasi inquietata dalle ombre in quegli occhi dorati. Una parte di lei era legittimamente preoccupata che lui potesse trovare il modo di… intervenire come solo una creatura immortale avrebbe potuto. Per quanto più paffutello e carino del consorte, Eros non poteva essere meno pericoloso di Thanatos.

Fiamme vive si agitarono nello sguardo della divinità mentre la scrutava con attenzione. La sua espressione non si ammorbidì. «Draco Malfoy è un bugiardo seriale, piccola mia, non crucciarti per lui. Si è innamorato di te quando era poco più di un bambino e la cosa non ha fatto che peggiorare» tentò, forse, di rassicurarla. «Che abbia negato il vostro legame è ridicolo, anche adesso si sta tormentando. Ho voluto che voi aveste delle bestiole da compagnia3 perché non soffriste mai l’abbandono, piccola, quindi non credere che possa semplicemente non amarti». Kate si chiese quanto quell’affermazione potesse essere di conforto a Draco e cercò di trattenere una risatina. Il venir definito “bestiola da compagnia” non doveva essere proprio nella top ten di Lord Malfoy e del suo ego. «Ma non è questo il vero cuore spezzato a cui mi riferisco» continuò Eros, fissandola negli occhi con aria sempre più corrucciata che presto si trasformò in vera rabbia. «Oliver Baston» sibilò quindi, rigido. «Ti ha fatta soffrire così tanto, povera piccola mia» esalò, la voce incrinata da qualcosa di spaventoso. Era come un rombo di sottofondo, un qualcosa che nessuna voce umana avrebbe mai potuto possedere e che per questo capace di instillare in chiunque un inconsapevole terrore.

Furia immortale.

«Uhm… Dominus-» provò ad intervenire, ritrovandosi tuttavia velocemente zittita con un dito sulle labbra ed una divinità con un gran sorriso orgoglioso in viso.

«Padre, mia cara. Credevo avessimo superato questo dettaglio, no?» la corresse, la voce così piena di miele da fare quasi impressione.

«Padre non c’è bisogno di… uh… prendersela tanto» riprese allora lei, incerta su come fosse più opportuno rivolgerglisi. «Oliver è stato una parentesi della mia vita, ma ormai è tutto passato. Neppure della mia vita, se vogliamo essere pignoli, ma della vita di Katie. Io non sono più lei, non mi importa più di tanto» azzardò, pregando che il dolore per il rifiuto di Draco fosse sufficientemente forte da impedirle di mandare al diavolo l’esistenza di Oliver Baston. Le faceva ancora male, per quanto fosse effettivamente tutto passato. Faceva male, ma non abbastanza da giustificare l’ira funesta della divinità dell’amore. «Davvero, non disturbarti».

La carezza che Eros le diede la spinse involontariamente a rilassarsi, lasciando che la propria guancia aderisse meglio alla sua mano, come un gatto alla ricerca di coccole. Gli occhi dorati di lui, che fino a quel momento erano stati duri, si riempirono di dolcezza. «Ah, tu mi somigli troppo, bambina» si lamentò, pieno di dolcezza paterna. Kate aveva visto quella stessa espressione negli occhi di Barry, in più di un’occasione1. «Ho imparato che cedere ai buoni sentimenti non porta sempre a qualcosa di buono e non vorrei che tu dovessi seguire il mio esempio».

Kate arricciò il naso, raddrizzandosi quando lui le lasciò andare il viso ma tallonandolo quando iniziò a trascinarla verso l’unica sedia presente nella stanza, la stessa su cui lui era prima seduto. Quando lui si accomodò, lei non perse tempo a sistemarsi ai suoi piedi. «Le situazioni sono leggermente diverse, padre. Io non mi sto fidando di una creatura viscida e approfittatrice ma solo… beh, di un Portiere con abbastanza neuroni da potersi concentrare solo sul Quidditch» lo rassicurò, con una risata che tuttavia non suonò convinta neppure alle sue orecchie. Stava mentendo ed Eros lo sapeva fin troppo bene, considerato come le accarezzò i capelli.

«Avrebbe funzionato fra voi, sai? Se non fossi cambiata, naturalmente» le mormorò, dolcemente. «Avevo previsto tutto, se avessi potuto intervenire avrei fatto l’impossibile affinché il destino non vi mettesse i bastoni fra le ruote» aggiunse, con il rimpianto ad impregnare ogni sillaba fuoriuscita dalle sue labbra. «Se fosse andato tutto come io speravo andasse, tu ti saresti diplomata e saresti diventata una grande giocatrice di Quidditch, forse la migliore in assoluto. E lui sarebbe rimasto al tuo fianco, incoraggiandoti e sostenendoti come ogni amante avrebbe dovuto fare».

Colpita in pieno nelle profondità del proprio cuore, dove i desideri di una quindicenne speranzosa ancora riuscivano a trovare un po’ di agio, Kate chiuse gli occhi e cercò di nascondersi al genitore immortale. Si sarebbe raggomitolata su se stessa se ciò non avesse implicato mostrarsi debole proprio come sapeva d’essere.

«Ah, allora non è poi così passata, non è vero, bambina?» si rammaricò Eros, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Le sue bianche ali si chiusero come un bozzolo intorno ad entrambi, creando un rifugio apparentemente sicuro, dove nessuno l’avrebbe mai toccata. «Mi dispiace così tanto… se non fosse stato per questo peso che io e tuo padre abbiamo scaricato su di te, tu saresti stata felice. Una ragazza come tante, con un amore come tanti altri e per questo speciale».

Kate tremò, le lacrime ormai libere di scorrere sulle sue guance. «Mi dispiace» sussurrò, sentendo il fiato impigliarsi in gola. «Mi dispiace così tanto». Il suo cuore era spezzato sotto il peso delle aspettative, dei dolori che negli ultimi anni aveva dovuto sopportare. Era stato troppo per lei, ma aveva sempre stretto i denti. Credeva di aver trovato un equilibrio grazie alla sua trasformazione definitiva, credeva di aver trovato pace grazie a Draco, ma era stata un’illusione molto breve, che lui e la realtà avevano impiegato molto poco tempo a distruggere.

Le sue prospettive future non esistevano. Lei aveva provato, aveva provato con tutta se stessa, si era ripetuta che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe trovato il modo di aiutarli tutti, anche a costo di rinunciare a se stessa.

Ma se non avesse voluto fare un tale sacrificio?

«Io ho rinunciato alla mia influenza sulla terra, ma forse…» il tono della divinità fu esitante per un istante, cosa che lei non credeva potesse effettivamente accadere. C’era qualcosa nascosto nella sua voce, una esitante speranza, una possibilità minima. «Sappiamo entrambi che questa volta nulla potrà fermare Sisifo e che tutto il mondo pagherà il… il mio errore. Ma io sono ancora una divinità e forse posso fare qualcosa per te, bambina, prima che questo piccolo spazio che mi sono ritagliato sparisca e l’incanto di quel Legilimens ti assorba. Posso darti quello che vuoi, bambina, posso portarti dove sarai felice» le propose, sollevandole il viso per costringerla a guardarlo negli occhi. Erano così sinceri, così dolci. Gli occhi di un padre pronto a tutto. «Non posso salvarvi tutti, la mia essenza non è più sufficiente, ma almeno tu… tu potresti essere felice».

Felicità. Era un concetto astratto, qualcosa cui Kate aveva rinunciato e che non credeva avrebbe mai ottenuto. Eppure quella creatura, quel padre immortale così diverso da quello biologico e così simile a quello adottivo, le stava offrendo proprio quell’utopia, rinunciando a se stesso4.

«Non posso, io… Thanatos-».

Eros sorrise, tristemente. «Thanatos ed io ci ameremo per sempre, anche quando le nostre essenze si consumeranno. Stiamo soffrendo e continueremo a farlo, ma fin troppi nostri figli hanno perso tutto per il nostro amore. Adesso sono pronto a perdere tutto per l’amore di qualcun altro, soprattutto se sei tu, la mia sfortunata bambina».

Sfortunata bambina, così l’aveva chiamata il Gran Sacerdote, dopo averla appena salvata da una morte certa solo per prolungare di qualche anno la sua agonia. Sfortunata bambina, cui era appena stata offerta una via di fuga1.

«Ti prego cara, lasciamelo fare».

«Io…»

«Non c’è tempo! A breve il veleno farà effetto, devi accettare, ora o mai più! Katie!».

«D’accordo!».

 

***

 

Si svegliò con la sensazione di forti braccia strette intorno al proprio busto, calde e confortevoli come lo sarebbe stata la più morbida fra le coperte. C’era un leggero profumo di muschio bianco e pino nell’aria, un profumo confortevole e impresso a fuoco nella sua memoria. Un ricordo di mattine lontane quando due ragazzini si davano appuntamento al Campo per potersi allenare più degli altri e spesso si abbracciavano per riscaldarsi a vicenda, non essendo proprio capaci di farlo con dei semplici incantesimi. Oppure non volendo imparare per non rischiare di perdere quel piccolo conforto.

Il cuore di Kate si riempì di una gioia quasi selvaggia tanto era incontenibile. Ebbe paura di voltarsi, di assicurarsi di essere davvero lì, fra le sue braccia e di non aver semplicemente immaginato tutto. Era tutto troppo bello, troppo perfetto.

«Trinaaa» l’uomo alle sue spalle si lagnò come un bambino, nascondendo il viso contro l’incavo fra la sua spalla e il collo. «Oggi è giovedì, tocca a te preparare la colazione» aggiunse, con un borbottio, strusciando la guancia barbuta contro la sua pelle delicata. «Avevi promesso, oggi è il nostro giorno libero e io voglio pancake».

Troppo bello per essere vero, fu il suo primo pensiero. Immobile e terrorizzata al solo pensiero di voltarsi e non trovare nulla o, peggio, trovare qualcosa di diverso da ciò che stava immaginando, Kate cominciò a cercare – senza impegnarsi troppo, in realtà – i segni di una possibile alterazione mentale. Non trovandone, comunque, non se la sentì di tirare un sospiro di sollievo: non era mai stata brava con certe cose, non senza prima trasformarsi anche solo parzialmente.

«Bheithir5, ti sento pensare anche da qui e non è normale per te a quest’ora del mattino» continuò l’uomo, stringendola di più a sé con l’evidentissimo intento di voltarla e costringerla a guardarlo. Resistere sarebbe stato inutile, lei lo sapeva benissimo: era sempre stato molto più forte. Un buon portiere avrebbe dovuto esserlo per forza. Grazie a questa consapevolezza ed al suo coraggio da leone, naturalmente, quando lui riuscì nel suo intento la ritrovò con gli occhi serrati. «Non far finta di dormire, di solito russi come Hagrid dopo tre bottiglie di Whiskey».

Lo sdegno fu troppo forte da consentirle di continuare quella ridicola falsa: spalancati gli occhi, non si diede neppure il tempo di mettere a fuoco la figura che ancora la stringeva prima di colpirlo piuttosto violentemente con un pugno al petto. Un istante dopo, comunque, la mascella squadrata e appena barbuta di Oliver Baston, accompagnata dagli occhi scuri di Oliver Baston e dal sorriso un po’ idiota di Oliver Baston le confermarono che davanti a lei, in effetti, ci fosse proprio Oliver Baston, in tutta la sua scozzese virilità e imbranataggine6.

«Ah, questa è la mia Bheithir! Cos’hai? Per essere così attiva devi essere sveglia da almeno un paio d’ora e di certo non è da te, brutta pigrona» le chiese di nuovo, il tono trionfante che lentamente scolorì in uno preoccupato. Si avvicinò di più a lei, finché non riuscì a far sfiorare i loro nasi in una gentile carezza. Era un gesto che le aveva dedicato fin dal primo momento in cui si era sentito abbastanza tranquillo da poterselo permettere senza essere picchiato. Un gesto che le era mancato terribilmente. «Trina?».

Forse fu il calore della sua stretta, forse fu il fatto che l’alito di lui fosse troppo pesante per poter essere parte di una bellissima illusione, ma, alla fine, lei decise di cedere. Rilassò le spalle, socchiudendo gli occhi per poter prendere un lungo respiro e calmarsi davvero. Alla fine, finalmente, parlò. «Ho fatto un brutto incubo, tutto qui» tentò di rassicurarlo, rassicurando lentamente anche se stessa. «È stato davvero terribile, ma adesso è finita, adesso sono sveglia».

Il viso di Oliver si addolcì incredibilmente, facendolo sembrare ancora un quindicenne alla presa con una cottarella adolescenziale7. «Sì, adesso sei sveglia e se qui con me» mormorò, avvicinandosi per lasciarle un bacino sul naso. «La Guerra è stata dura per tutti, Bheithir, non devi vergognarti di portarne ancora le cicatrici. George ancora si rifiuta di guardarsi allo specchio7, nonostante Harry e Ron abbiano fatto di tutto per convincerlo ad andare in analisi. Tu ed io siamo stati fortunati ad essere rimasti insieme, non posso immaginare cos’avrei fatto se ti avessi persa».

Kate non riuscì ad evitare di fare una smorfia. «Probabilmente avresti trovato una qualche altra ragazza da corteggiare ed a cui dedicare le tue partite di Quidditch, facendole la proposta di matrimonio nascondendo l’anello in un boccino» si lagnò, rifiutandosi categoricamente di guardarlo negli occhi. Lei ricordava fin troppo bene il giorno in cui la prima – quella non più vera? – versione di Oliver si era proposta a quella donna. Meglio, ricordava i primi istanti di quella proposta: il resto era totalmente confuso nella sua memoria, per quanto impressa a fuoco in quella dei suoi – forse ex ­– colleghi.

Vedere il suo Oliver fare una smorfia disgustata le alleggerì incredibilmente il cuore. «Posso smontare questa tua teoria evidenziando solo tre particolari» le disse, sollevandole la mano sinistra tenendola per il dito indice, così che potesse farle tenere il conto. «Prima di tutto,» iniziò, lasciando un bacino sul polpastrello del dito in questione, «qualunque altra donna per me sarebbe solo una scialba imitazione. Nessun’altra potrebbe mai conquistarmi lanciandomi una pluffa in faccia e facendomi cadere dalla scopa a soli undici anni. E nessun’altra potrebbe tenermi testa in una gara di bevute. E nessun’altra potrebbe mai e poi mai convincermi a festeggiare San Patrizio oltre Sant’Andrea8» spiegò, sollevandole poi il dito medio e lasciando un bacino anche su quello. «Secondo, una proposta del genere, oltre ad essere eccessivamente smielata, non sarebbe comunque vera. Avrei messo l’ipotetica donna in difficoltà, rischiando di farla passare per stronza davanti a migliaia di miei tifosi, nel caso avesse voluto dire no» aggiunse, per poi sollevare finalmente l’anulare, dove stava già brillando un anellino piccolo ma molto grazioso, privo di diamante ma con un piccolo rubino. «Terzo, io sono già felicemente fidanzato ed ho tutta l’intenzione di sposarmi il diciassette luglio, dopo aver vinto i Mondiali per la Scozia»6.

Non si rese quasi conto di aver iniziato a piangere, finché lui non le asciugò le guance bagnate. «Cosa ti assicura che vincerai i Mondiali e che riuscirai a convincermi a presentarmi all’altare?» gli chiese, nascondendo malamente l’ilarità dietro un’espressione seria.

Oliver si chinò a baciarla, spostandole i capelli da davanti al viso. «Se sono riuscito a chiedertelo ed a farti dire sì, è mio sacrosanto dovere consegnarti una Coppa e l’intera Scozia».

Quell’affermazione, per un attimo, le fece storcere il naso. Ricordi confusi di una proposta fatta nella tranquillità della loro piccola casa, davanti ad un hamburger e delle patatine fritte, cominciarono a rifiorire dal fondo del suo cervello. Lei aveva pianto, per quanto le sembrasse assurdo: doveva essere stato terribilmente romantico, nei limiti delle capacità romantiche di Oliver Baston.

«L’intera Scozia offerta in sacrificio ad una fiera irlandese… i tuoi antenati si staranno rivoltando nella tomba» scherzò, senza sentire – per la prima volta dopo anni – detti antenati intervenire personalmente, riversandole addosso tutto il loro sdegno. C’era finalmente silenzio, nessun’anima pronta a sussurrarle all’orecchio qualcosa di incomprensibile, facendole venire i brividi e costringendola ad una vigilanza costante. Non c’era nulla di tutto ciò, in quella camera da letto di una anonima casetta nelle Highlands scozzesi.

Oliver rise, alzando gli occhi al cielo e rotolando fino a trovarsi con la schiena contro il materasso ed un avambraccio a coprire gli occhi ancora un po’ assonnati. «I miei antenati credo concordino nell’essere sollevati. Mi sarebbe potuta andare molto peggio, Bheithir» le fece notare, aprendo un solo occhio e lanciandole uno sguardo divertito. «Saresti potuta essere inglese».

Il brivido d’orrore che gli dedicò lo fece ridere più forte. «Gli inglesi sono gli unici capaci di far andare d’accordo scozzesi ed irlandesi» mormorò allora lei, tirandosi a sedere nonostante il braccio di Oliver ancora stretto intorno alla vita. «Però dobbiamo ringraziarli».

«E perché mai?».

«Senza di loro, noi non avremmo avuto nessuno contro cui far fronte comune ed avremmo finito per odiarci a vicenda».

Tiratosi a sedere a sua volta, Oliver le lasciò un tenero bacio sulla spalla nuda. «E questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe capitarmi».

 

***

 

C’era stato un tempo in cui Katrina Bell si era convinta di essere un’eccellente cuoca e di non aver bisogno degli elfi domestici di famiglia per sopravvivere durante i mesi di vacanza estiva. Questa sua convinzione l’aveva portata ad imparare a preparare qualcosa di semplice – tanto per iniziare – ed a trascorrere quattro ore nella cucina della villa di famiglia per acquisire la tecnica perfetta per la preparazione dei pancake. Dopo svariati tentativi che avrebbero potuto condurla a morte certa per avvelenamento e dopo qualche intruglio che avrebbe fatto piangere il non compianto Piton9 di gioia, finalmente, aveva potuto dirsi soddisfatta del suo risultato, promettendo tuttavia di non avventurarsi in ricette più complesse. Era fiera dei suoi pancake, meritavano di essere unici e soli nel suo libro di ricette.

«Sono totalmente bruciati ed insapori, Bheithir».

«Va’ un po’ a farti fottere, Baston!». Per buona misura, si premurò di lanciargli lo strofinaccio usato per asciugare le tre padelle usate, tirando fuori la migliore fra le sue occhiate sdegnate. Lui, naturalmente, schivò il colpo e le dedicò il suo miglior sorriso mascalzone. «Se sei tanto bravo a criticare, perché non li fai tu? Sono curiosa».

Oliver ebbe la decenza di arrossire. «Lo sai che non so preparare neppure il » grugnì, vergognandosi di se stesso e riempiendosi velocemente la bocca di una manciata di pancake bruciacchiati. «Fai, in uh fecoddo affaddio fono boni!» aggiunse, sorridendola con le guance ancora piene e somigliando ad un grosso scoiattolo con problemi di autocontrollo.

Kate alzò gli occhi al cielo, con una risatina. «Dobbiamo davvero imparare a cucinare, Oliver, non possiamo passare la vita ordinando cibo» gli fece notare, appellando lo strofinaccio per continuare ad asciugare i vari utensili. «Ed io dovrò farmi insegnare qualche incantesimo domestico dalla signora Weasley, mi sento una babbana. Ed incapace» aggiunse, con un borbottio.

Lui si alzò per avvicinarsi e passarle le braccia intorno ai fianchi. Strusciò la guancia barbuta contro il suo collo, per poi lasciarci un bacino. «Per me vai benissimo anche così» le disse, dolce. «Hai detto che ti senti una babbana quasi fosse un insulto. Mia nonna potrebbe risentirsene, sai?».

Sua nonna è babbana, ricordò, cercando di non fare una smorfia al pensiero. Nonna Baston era una donna gentilissima ed i suoi natali non la rendevano certo meno incredibile. La stupida educazione che i suoi genitori le avevano imposto non si sarebbe mai messa fra la sua nuova famiglia e la felicità futura. Anche a costo di mentire per sempre.

«Adoro tua nonna e tua nonna adora me».

«Diciamo che ti è estremamente grata per avermi reso un uomo onorevole» rettificò lui, con una risata tonante, baciandole la guancia per poi allontanarsi di nuovo. «Forse temeva che sarei rimasto solo come un cane a progettare schemi per il Quidditch» rifletté, afferrando la sua tazza preferita – blu e oro, con il marchio del Puddlemere in rilievo – e sorseggiando quello che avrebbe dovuto essere tè ma che in realtà era solo una terribile imitazione.

«Ah, prima o poi qualcuna avrebbe allungato le manine su di te, signor Miglior Portiere delle ultime due stagioni» gli rispose lei, voltandosi per lanciargli uno sguardo esasperato. «Ammettilo, ti piace sentirti elogiare, per questo fai il finto umile. Ma con me cadi molto male, sono io che voglio essere elogiata in continuazione».

«Hai l’autostima migliore del mondo, Trina, non credo che tu ne abbia davvero bisogno».

Lei gli rispose con un broncio forse non troppo finto. Tornò ai suoi piatti, senza prestare poi molta attenzione a ciò che la circondava, ed iniziò a canticchiare una ninna nanna che davvero non credeva di aver mai sentito in vita sua. Meglio, lo fece finché un dolore acutissimo al petto non le mozzò il respiro, facendole cadere il piatto di mano e facendolo schiantare violentemente contro il pavimento.

«Kat. Con la velocità di un fulmine, Oliver fu al suo fianco, afferrandola per le spalle prima che potesse fare la stessa fine del piatto ed accompagnandola a sedere sulle piastrelle gelide. «Kat, che succede? Ti fa male qualcosa? Sei pallida come un cadavere!» continuò ad urlarle praticamente nell’orecchio, voltandola così da poterla osservare bene. «Bheithir, ti prego, parlami» supplicò ancora, la voce ridotta ad un sussurro spaventato.

In tutta sincerità, Kate non credeva di avere nulla di sbagliato, dopo quel dolore lancinante non c’era stato nulla, neppure un formicolio. Sì, sembrava quasi che tutto il sangue le fosse defluito dal corpo e le gambe non potessero più reggere il suo peso, ma non c’era altro, nulla se non le conseguenze normali di un brutto spavento, quasi…

Quasi non fosse stata lei ad essere colpita.

«Oh… oh no, ti prego, no» scoppiò in lacrime, mentre quel lamento disperato lasciava le sue labbra. Sapeva bene di star perdendo quel minimo di dignità di cui si era sempre vantata, ma il terrore di perdere tutto era troppo grande. No, ti prego, no, era tutto ciò cui riusciva a pensare. «Oliver…» implorò ancora, voltandosi per poterlo stringere di più a sé, per rassicurare se stessa che sì, è tutto vero, sono al sicuro.

«Non piangere Beirthir, va tutto- Kat!». Oliver non ebbe il tempo di aggiungere altro, dovendola sorreggere quando un’altra ondata di dolore insopportabile la tagliò in due. «Amore ti prego… cosa sta succedendo? Katie!».

«No… no no no no!».

Naturalmente lui aveva usato quel nome. Una ulteriore conferma che quel mondo non fosse più suo, che non lo sarebbe mai stato. Un ulteriore promemoria dell’impossibilità di ottenere davvero una opportunità così ghiotta, così meravigliosa. Una opportunità per cui lei sarebbe stata pronta a sacrificare chiunque, anche coloro che aveva sempre considerato come dei nuovi genitori e l’uomo che sapeva l’avrebbe amata più di qualunque altra cosa al mondo, se ne avesse avuto modo.

Li avrebbe sacrificati tutti, per un solo atto di puro egoismo. Uno solo, nulla di più. Non le importava neppure che quella fosse un’illusione, davvero. Non le importava che in realtà Eros non si fosse sacrificato, che probabilmente in quello stesso istante qualcuno stesse portando il suo corpo mortale al patibolo. Avrebbe rinunciato a tutto per altri cinque minuti di pace.

«Katie!».

«No, non voglio andare! Voglio restare qui! Ti prego!».

Il mondo, tuttavia, non sembrava disposto a lasciarla andare.

«Ah, incredibile!» la voce di Oliver, tuttavia diversa, in cambiamento, le sussurrò direttamente nell’orecchio quelle parole, un secondo prima di spingerla via con violenza e direttamente fra le braccia aperte di… di qualcun altro.

Barry la stava guardando con quella che lei avrebbe potuto definire solo pietà. Alle sue spalle, Harry Potter si rifiutava categoricamente di poggiare gli occhi su di lei, ma non perché la stesse biasimando.

Harry Potter era dispiaciuto per lei.

A pochi passi da dov’era caduta, Katie vide colui che era stato il suo Oliver cambiare, plasmare se stesso fino a prendere la forma di Mulciber.

La rabbia che la assalì avrebbe potuto ucciderla, non avesse imparato a controllarsi.

«Sapevo che tu non mi avresti deluso, Succbus» si rallegrò il Legilimens, rialzandosi e spolverandosi i pantaloni immacolati. «Siete delle creature deboli, schiave delle vostre emozioni. Lo siete sempre state» si rallegrò, osservandola come se fosse stata un curioso animale. «Sai, eri ad un passo dal perdere per sempre la possibilità di tornare indietro, ma sfortunatamente Tiresias mi aveva avvisato del tuo legame con… con Malfoy» aggiunse, con uno sbuffo che fece accapponare la pelle alle tre vittime presenti. «Immagino che la mia bambina sia giunta a tutti loro, eh? Probabilmente starà soffrendo come un cane, se il suo dolore è riuscito ad arrivare a te… eppure tu saresti stata felice di lasciarlo a se stesso, per questa illusione».

 Un acutissimo senso di vergogna la spinse ad abbassare gli occhi al suolo. Mulciber aveva ragione, ovviamente. Le speranze di prendere in giro uno come lui erano praticamente nulle. «Io-».

«Se anche avesse voluto farlo, ne avrebbe avute tutte le ragioni» Barry intervenne in sua difesa, ringhiando come le creature che tanto amava studiare. «La vita è stata ingiusta con lei, molto più che con molti di noi. Non posso biasimarla per le sue scelte, anche le mie sarebbero state uguali se non avessi avuto qualcosa ad aspettarmi nella realtà».

L’affetto che le si sprigionò nel petto la fece sentire peggio. Lei avrebbe rinunciato anche a lui e Philly, se ne avesse avuta la possibilità. Non meritava tutto quell’amore, non meritava di essere difesa.

Mulciber lo ignorò, lasciando che lui ed Harry la aiutassero a rimettersi in piedi nonostante il dolore al petto stesse diventando sempre più pressante, sempre più insopportabile.

«Ah, soffri ancora? Forse è una chiamata d’aiuto, ho sentito che accade spesso a quelli come voi» disse l’ultima parola come se fosse stata il peggiore fra gli insulti. «Sai, mi chiedo cosa potrebbe succedergli, se io decidessi di mangiarti per prima» rifletté poi ad alta voce, facendo un passo avanti. «Ah, Maine, credi davvero di potermelo impedire? È carino che tu ci stia pensando, ma no, non potresti essere abbastanza veloce. E tu, Potter… hai sconfitto Tom Riddle perché era un idiota borioso, credi davvero di farcela con me? Io sono immortale».

A quelle parole, Kate si irrigidì. Con una lentezza che non le apparteneva, sollevò lo sguardo dal suolo e lo puntò su di lui, dubbiosa. Era stata un’affermazione dettata da pura e semplice mania di grandezza? Tiresias gli aveva insegnato qualche trucchetto per aggirare la morte? Quelli come lei erano sempre stati messi in guardia da certi atteggiamenti: erano figli della Morte, qualsiasi atto contro questa era un attentato alla loro stessa esistenza ed all’equilibrio di tutto il cosmo. Osservandolo, però, non notò nulla di strano in lui, se non quell’oscurità che qualunque anima avrebbe attirato, considerato il suo curriculum.

Non c’era nulla, ma a lui era stato detto l’opposto.

«No, tu non sei immortale» gli disse, continuando a fissarlo con il capo inclinato, quasi fosse stato un animaletto da esibizione. «Credi di esserlo, non è vero? Credi di essere un Evocato» continuò, lasciando che la sua voce potesse trasmettere un pizzico del divertimento che stava provando e cercando di raddrizzarsi nonostante le fitte. L’unica soluzione per tollerare meglio ciò che le stava accadendo era rispondere alla chiamata del suo potere, diventare forte per poter correre in aiuto di Draco. Per farlo, naturalmente, avrebbe dovuto uscire da quell’illusione.

Dire addio a Katie, definitivamente.

«Trina?» la chiamò Barry, incerto, quando lei scrollò via la presa sua e di Harry. Dietro di lui, proprio l’ex Bambino Sopravvissuto la fissò dubbioso, ponendole tantissime domande senza neppure doverle pronunciare ad alta voce. «Cosa…?».

Evocare la morte che risiedeva nel suo sangue fu facile, molto più del previsto. L’illusione in cui era stata intrappolata non le aveva tolto il potere, lo aveva soltanto assopito quel minimo necessario da renderla più facile da manipolare. Le bastò concentrarsi per spezzare quell’incanto di cui non conosceva l’origine e ritrovarsi, piuttosto che nella cucina della casetta immaginaria, in un grande magazzino polveroso, rinchiusa in un bozzolo che lentamente stava cadendo in pezzi, lasciandola coperta di una sostanza appiccicosa10.

Un battito di ciglia e la Negromante riacquistò il suo legittimo ruolo al mondo, fronteggiando il Legilimens che aveva tentato di intrappolarla sfruttando i suoi più profondi desideri e coprendola di ridicolo davanti a persone evidentemente abbastanza coraggiose da esser pronte a rinunciare a quella trappola per tornare indietro.

Inutile dirlo, Kate era furiosa.

«Possibile che proprio tu, che porti dentro di te il marchio immortale di due divinità, non sia ancora riuscita a riconoscermi?» le domandò Mulciber, a parecchi passi di distanza da lei, la mano comodamente poggiata sull’ultimo bozzolo ancora intatto. Alle sue spalle, Harry e Barry si stavano lentamente riprendendo, nonostante fossero ancora bloccati nelle loro prigioni. «Mi deludi, Succubus. I tuoi fratelli e sorelle, ai loro tempi, capirono subito quanto io fossi pericoloso e tentarono di avvisare i tuoi idioti genitori, senza successo» continuò, l’espressione altera di un immortale, di qualcuno abituato a non dover temere nulla.

Che tutte le sue azioni passate fossero state programmate da Tiresias? Che l’avesse convinto d’essere il suo compagno immortale? Nel caso, perché farlo? Perché corromperlo a tal punto, dandogli un potere immeritato? Perché…?

Kate rise, ripulendosi della sostanza con un colpo di bacchetta. I suoi occhi erano ormai cambiati e quella bellezza sovrannaturale che per tanto tempo aveva detestato doveva aver preso possesso del suo viso. «I miei fratelli e sorelle capirono che Sisifo fosse pericoloso. Tu, invece? Tu sei solo un idiota» gli disse, sorridendo. Sapeva benissimo cosa avrebbe visto lui: una creatura apparentemente sovrumana con occhi della stessa oscurità della notte ed un sorriso capace di sterminare imperi. Il sorriso che era stato di Nefertiti, di Cleopatra11, di Lucrezia Borgia. Un sorriso che lo fece tremare, nonostante le sue pretese d’immortalità. «Credi davvero di essere lui? Di essere l’uomo capace di raggirare due divinità? Non sei stato capace di renderti conto d’essere stato raggirato tu stesso» gli fece notare, divertita.

La sicurezza di Mulciber non vacillò.

Come lei aveva sperato.

«Credi di farmi paura, ragazza? Solo perché non posso ancora controllarti non significa certo che tu possa combattermi! Io sono il più forte, il migliore! Tiresias mi ha lasciato qui così che io possa sacrificarvi e rinascere» si vantò, senza rendersi neppure conto di aver appena ceduto al più vecchio trucco di Incubi e Succubi: il desiderio. Lui voleva, quindi aveva una debolezza. Lui desiderava, quindi lei poteva colpirlo. «Io sono stato Caligola, io sono stato Jack lo Squartatore!  Sono il Mostro che si nasconde in fondo al tuo letto e si ciba dei tuoi incubi!» continuò ad urlare, dando voce a quella vocina che dal fondo della sua anima aveva iniziato a pretendere di essere ascoltata, pretendere di farsi notare.

«Oh, lo sei» si congratulò Kate, lasciando che il suo sorriso assumesse delle tinte delicate, predatorie. Avanzò come una pantera avrebbe fatto davanti alla sua preda, lasciando che i propri movimenti potessero incantarlo, potessero stuzzicare il suo desiderio. Lui voleva e la Succubus aveva fame. «Sei il più forte, lo spauracchio più orribile che sia mai esistito» riprese, la voce ricoperta di miele, lasciando che lo spazio fra loro diminuisse sempre di più. Era riuscita a controllarlo quando ancora Katrina le impediva di rinascere, in quel momento lui non era poi così diverso da tutti gli altri uomini affamati di desiderio che nei secoli erano periti fra le mani delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Il vantaggio che la presenza di Tiresiasdoveva essere stato lui ad aiutarlo, a farlo apparire più forte di quanto in realtà non fosse, negli ultimi trent’anni – era sparito, ma lui non l’aveva ancora capito. Quando lo raggiunse, la sua mano salì a sfiorargli il petto mentre il resto del corpo aderì al suo, come un boa avrebbe fatto con la sua vittima prima di stritolarla e soffiargli via l’ultimo respiro con un bacio. Le sue labbra gli sfiorarono lo zigomo e gli occhi di lui si offuscarono mentre il desiderio insorgeva in lui come una fiamma gelida. «Da bambina ero terrorizzata all’idea che tu venissi a mangiarmi come hai fatto con tanti, tanti altri» gli soffiò all’orecchio, lasciando che la punta della sua lingua gli accarezzasse il lobo. Mulciber tremò sotto le sue mani. «Adesso muoio dalla voglia che tu lo faccia… e tu lo vuoi, non è vero? Ti piacerebbe mangiarmi viva?» propose, quasi gemendo.

Sentì il momento in cui perse completamente ogni collegamento con la realtà come un rush di adrenalina liberata nel suo flusso sanguigno. Il suo cuore aumentò il numero di battiti, la fame insorse come mai prima.

Perché nonostante tutte le sue convinzioni, nonostante fosse assurdamente certo di essere la reincarnazione della creatura più pericolosa mai esistita, in realtà Silas Mulciber era solo un altro burattino nelle mani del veggente, un altro filo della sua tela di intrighi che, diversamente dagli altri, era stato ricoperto da una gloria non totalmente meritata. Lo aveva scelto, lo aveva corrotto e l’aveva convinto di essere l’artefice di cattiverie terribili, quando in realtà era solo debole.

Lo sentì cedere fra le sue mani come creta molle, pronto a tutto pur di soddisfarla, pur di spegnere quel desiderio impellente che lei gli aveva scatenato dentro. Era la prima volta che il suo potere veniva usato al massimo, eppure le sembrava di non aver mai fatto altro.

Il Gran Sacerdote le aveva sempre ripetuto di portare con sé un coltellino d’argento, perché nel loro mondo una bacchetta spesso si sarebbe potuta dimostrare utile come un bastoncino di legno qualunque. Una lama, invece, avrebbe potuto fare la differenza. Una lama avrebbe portato sangue, il sangue avrebbe richiamato la morte.

Quando il suo pugnale d’argento – l’ultimo dono di sua madre - passò sul collo dell’uomo cui si era ormai avvinghiata, il sangue rosso cominciò a scorrere via velocemente, inzuppandoli entrambi.

Tutto ciò che sanguina è umano. Tutto ciò che è umano può morire.

Nonostante tutto, Mulciber era solo umano.

Mulciber poteva morire.

Il bacio di una Succubus era, a detta dei pochi fortunati sopravvissuti, la migliore via per morire, terribile e meraviglioso come essere soffocati dall’ambrosia più dolce, ubriacati dal vino più pregiato. Molti credevano che il principio fosse identico a quello del Bacio del Dissennatore e, in un certo senso, non erano poi molto lontani dalla realtà. Il bacio di una Succubus, tuttavia, non strappava via l’anima: la consumava.

Un bacio e di Silas Mulciber, il più grande spauracchio che avesse mai tormentato l’infanzia dei giovani maghi e streghe inglesi, non restò che un cadavere rinsecchito, un cumulo di tessuti secchi senza volontà propria ed i cui occhi grigi avevano perso qualunque sentore di grandezza.

Un bacio e Silas Mulciber cessò di esistere, diventando nulla più di un pupazzo.

«Trina?».

Lentamente, la Succubus si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata per nome, ritrovandosi a fissare negli occhi l’uomo che avrebbe volentieri chiamato padre, se ne avesse avuta l’occasione. Era spaventato, lei lo sentiva bene, ma era anche estremamente orgoglioso. Forse temeva per lei, per la sua anima. Ne avrebbe avute tutte le ragioni, ma quello di certo non sarebbe stato il momento giusto per parlarne. Avevano problemi più importanti di cui occuparsi.

«Dobbiamo andare via immediatamente» li avvisò, lasciando cadere la mummia fra le sue braccia con un tonfo sordo. «Mulciber era convinto di essere Sisifo, motivo per cui non ha fatto storie nell’essere lasciato qui con noi da solo. Probabilmente era solo una distrazione ed in questo stesso istante Tiresias sta portando avanti il suo piano ben lontano da qui. Malfoy stava male, quindi probabilmente è coinvolto. Non ho idea del perché abbia messo in mezzo quest’idiota, per quanto possa avere dei sospetti, ma non possiamo permetterci di rallentare. Ho il-».

«Trina» chiamò ancora Maine, questa volta palesemente preoccupato al solo guardarla. Temeva davvero per lei. «Trina, sembri più cadavere del solito. Le tue labbra sono nere» le fece notare, ansioso, ma restando saggiamente a parecchi passi di distanza da lei e senza far cenno di volerla toccare. «Non era mai successo prima, non a questi livelli».

Tra le varie possibilità a sua disposizione, Kate convenne che mentire fosse la più saggia.

«È solo eccesso di potere, non avevo mai consumato un’anima, prima. Finché non troverò modo di smaltirla resteranno così, ma non c’è nulla da temere, mi rendono semplicemente più forte». Per buona misura, sorrise nel modo più rassicurante possibile e l’uomo, seppur ancora dubbioso, si tranquillizzò leggermente. «Adesso, però, dobbiamo andare. Per quanto Tiresias non abbia avuto modo di prevedere il modo in cui io l’avrei distrutto, non dubito che lo sapesse già. Potrebbe aver già messo in atto il suo dannatissimo piano, qualunque esso sia, contando in un minimo rallentamento». Accigliata, si voltò a fissare la mummia ormai raggomitolata ai suoi piedi, per poi controllare la tasca della propria giacca, trovandola naturalmente vuota. «Sapeva che noi saremmo stati mandati e che io avrei portato con me il Necromicon… immagino che Mulciber gliel’abbia consegnato dopo avermi colpita con la sua illusione. Ma perché ci ha lasciati qui? Perché io e Potter siamo ancora qui? Siamo due terzi del sangue necessario per completare il rituale dell’Evocazione».

Harry, chiamato in causa, scostò lo sguardo dal bozzolo in cui doveva essere ancora rinchiusa Hermione. Avrebbero dovuto liberarla, prima che potesse succedere l’irreparabile. Fortunatamente la sua energia vitale era ancora a livelli accettabili, non rischiava nulla. «Potrebbe essere parte della trappola. Ha preso il libro, ha avuto il tempo di cercare gli altri ingredienti e, ovviamente, sa che andremo a recuperare Winnie, come previsto» ragionò l’Auror, stringendosi nelle spalle.

Barry annuì, avvicinandosi ad Hermione per cercare un modo di liberarla. Kate sospettò ci fosse lo zampino di qualche animale, visto il suo coinvolgimento. Quindi Tiresias aveva previsto la necessità di un Magizoologo. «Immagino sia così. Cosa che ci porta alla domanda più importante: dov’è Winnie?».

Il dolore al petto, che fino a quel momento non si era mai assopito, la fece quasi piegare nuovamente in due, mozzandole il respiro.

Condividere l’energia vitale è come condividere lo spirito.

Non era un pensiero suo, ne era piuttosto sicura. Non aveva mai pensato con una voce differente dalla propria, quindi era piuttosto certa che quel sussurro appartenente ad un uomo non di sua conoscenza ma comunque parecchio familiare non fosse stato semplicemente frutto della sua immaginazione12, tuttavia non si soffermò a preoccuparsene. Chiunque le avesse sussurrato quel dettaglio le fece un enorme favore.

Condividere lo spirito, per le e Malfoy, significava condividere parte dell’essenza, parte dell’anima. E Draco, dopo averla aiutata a cambiare, aveva giurato a suo padre che non avrebbe permesso che si facesse del male.

Aveva fatto una promessa a suo padre.

L’Araldo di Thanatos.

«Trina?» la chiamò Barry, dopo che Harry, preoccupato, gli aveva dato un colpo sulla spalla, distraendolo dal bozzolo di Hermione. Quando lei si voltò a guardarlo, con l’orrore negli occhi, non impiegò più di tre secondi a balzare in piedi e raggiungerla. «Che succede?».

I pensieri nella sua mente avevano iniziato ad accavallarsi fra loro, desiderosi di diventare coscienti e gettarla ancora di più nello sconforto più nero. «Tua moglie è incinta» gli fece notare, secca. «Incinta, nel senso che una vita sta crescendo dentro di lei» continuò, deglutendo rumorosamente. «Lei sta custodendo un’anima, può decidere cosa farne. È la padrona di un’anima». Lentamente, i suoi occhi neri si spostarono su Harry, rimasto a fissarla basito. «Malfoy. Lui è un Araldo della Morte a causa mia».

Fortunatamente il Bambino Sopravvissuto dimostrò di non essere tardo come lei gli aveva più volte rimproverato. Lo osservò impallidire e reggersi al bozzolo di Hermione, quasi si fosse sentito ad un passo dal perdere i sensi. «Perché ho la sensazione che Fred, che tu hai resuscitato, in questo momento si trovi con loro?».

Fred, colui che è ritornato.

«Siamo stati così egocentrici da non capire» sussurrò, piena di orrore, lasciando che quel dolore al petto la soffocasse, ma solo per un attimo. «Lui è da loro, sono loro le vittime, perché noi saremmo stati troppo difficili da controllare e per questo dovevamo essere allontanati» esalò ancora, tornando a guardare Barry, evidentemente sull’orlo di una crisi di panico. «E tu. Se tu non fossi stato qui, Philly non sarebbe stata rinchiusa. Stessa cosa per Hermione» aggiunse, collegando i pezzi come se fosse stata intenta a ricostruire un enorme puzzle.

«E se non avesse costretto Winnie a uccidere Fred, tu non lo avresti resuscitato, lui non sarebbe ritornato» intervenne Harry, passandosi nervosamente le mani fra i capelli. «E… e se non ci fosse stato l’attacco a Diagon Alley, tu non avresti saputo che Ophelia era incinta e non le avresti impedito di venire qui. E Malfoy… Tiresias sapeva che sareste andati insieme a cercare il libro».

«Io-». Il dolore al petto divenne nuovamente insopportabile e per un istante – un terribile istante – Kate vide chiaramente il viso di Draco contorcersi per il dolore. «Dobbiamo andare, subito! Per quanto ne sappiamo, quel mostro potrebbe essersi introdotto nella base senza neppure essere notato!» urlò, guardandosi intorno in preda all’ansia.

Fu in quell’istante che notò la porta. E ciò che si nascondeva giusto dietro.

«Hermione. Dobbiamo liberare anche lei, non possiamo lasciarla qui, finirebbe col morire» la fermò il Magizoologo, il tono quasi impassibile. «Immagino che io dovrò restare e aiutarla» continuò, tornando ad inginocchiarsi per riprendere da dov’era stato interrotto. Quello non era un atteggiamento da Barry Maine, ma se c’era una cosa che sia lui che Kate avevano imparato era arrendersi all’inevitabile. E tutto ciò che era accaduto loro probabilmente fin dalla nascita era inevitabile.

Harry lo guardò come se fosse impazzito. «Ophelia è in pericolo! Possiamo lavorare insieme per liberare Hermione e poi andare, non ti lasceremo qui da solo, potrebbero esserci altre mille trappole e il dannato ragno che ha fatto questo! Non dirmi che non è ancora in giro, non ti crederei» squittì, istericamente, avvicinandosi per prenderlo per il braccio e costringerlo a rialzarsi.

Fu Kate a fermarlo, le guance sporche di lacrime rossastre.

Barry aveva ragione.

«In un modo o nell’altro, lui resterà qui» gli fece notare. «Tiresias non l’avrebbe fatto venire qui, altrimenti. Vuole allontanarlo» continuò, voltandosi per osservare la porta d’ingresso al magazzino, ancora sbarrata. «E tu resterai con lui».

«Sei forse impazzita?». Fu un coro a due voci che la aggredì, ma lei non vi diede molto peso.

«Era tutto previsto. Harry, tu dovrai assicurarti che lui possa finire il suo lavoro e che non venga attaccato, così che anche Hermione possa uscirne sana e salva. Io andrò a fronteggiare Tiresias, da sola». Alzò la mano per impedire ai due di ribattere. Era terrorizzata. «Non lo capite? È una resa dei conti, questa. Vuole che io assista, che fallisca nel tentativo di fermarlo e che muoia sotto lo sguardo impotente di chi li ha condannati all’Indefinito. Dietro quella porta» ed indicò l’ingresso che aveva continuato a fissare, «ci sono così tante creature oscure da richiedere qualcosa in più di un Auror o un Magizoologo. Se dovessimo uscire tutti insieme o se solo uno di voi dovesse seguirmi, verremmo certamente attaccati».

«E tu allora? Come pensi di farcela da sola?». La voce di Barry era priva di qualunque emozione, tanto era l’orrore al pensiero di perdere tutte le persone che aveva più care. «Una Succubus potrebbe mai farcela da sola?».

Kate sorrise, nonostante dentro di sé volesse solo mettersi ad urlare. «Non mi faranno del male. Probabilmente molti di loro sono qui per scortarmi da Tiresias» gli fece notare, iniziando ad avviarsi all’uscita, la bacchetta in una mano ed il pugnale nell’altra. «Liberate Hermione, sono certa che tutti e tre riuscirete a trovare un modo per raggiungerci e… salvare il salvabile».

«Kate-».

«Harry, non mi faranno del male» lo interruppe, voltandosi per dedicargli un’ultima occhiata, la bacchetta già alzata per spalancare l’ultima difesa fra lei e l’oscurità. Con la coda dell’occhio, notò mani artigliate pronte ad afferrarla e trascinarla via, proprio come aveva immaginato sarebbe successo. «Io sono l’ospite d’onore».

Un passo ed i Terrori Notturni la inghiottirono.

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Io ve l’avevo detto che non c’era da star tranquilli per Sisifo.

 

La #SuicideSquad è diventata #SuicideSoloMission

Ah, sì, #PrayForDraco

 

 

Punti importanti:

 

» * - Mai fidarsi di un demone. Ha cento motivi per qualunque cosa faccia e almeno novantanove sono cattivi. Tiresias è parecchio più lungimirante del previsto.

 

» 1 – Kate sta, effettivamente, immaginando Eros, ma si tratta solo di una ricostruzione della sua mente basata su ciò che ha studiato nel tempo. Eros, poverino, non è riuscito mai a parlarle direttamente (fatta eccezione per dopo, c’è la nota specifica) e lei ha semplicemente immaginato tutto per autoconvincersi di poter cedere, di potersi sentire fortunata nonostante tutto. Quindi no, Katie non è mai finita davanti all’altro padre immortale, era solo frutto del veleno. Ci sono tante tracce di questo suo aver “creato” l’incontro con Eros (lo sguardo di Barry, il modo in cui lui le parla…).

 

» 2 – Non avevo idea di cosa fargli dire. “Per l’amor del Cielo” non mi è sembrata una frase poi tanto adatta, quindi boh…

 

» 3 – “Bestione da compagnia” è la definizione che il Gran Sacerdote usò per spiegare gli Auctor/Amanti. Non essendoci rapporti familiari (come invece accadeva quasi sempre) i Negromanti hanno sviluppato una certa stizza verso questi legami, cominciando a paragonare un Auctor ad un cagnolino federe. 

  

» 4 – Nella mente di Katie, Eros si è “consumato” per ottenere abbastanza potere da spedirla in una realtà alternativa. Eros non avrebbe potuto farlo e, comunque, spesso amare vuol dire sacrificarsi, non l’avrebbe salvata così a cuor leggero.

 

» 5 – Significa fulmine. Perché Katie era velocissima sulla scopa. E Oliver è un biscottino alla crema che va protetto.

 

» 6 – IO AMO OLIVER BASTON FOREVER NEL MIO CUORE!!! AMORE PERDONAMI PER QUELLO CHE TI STO FACENDO!!!!!!!! SEI IL N.1!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! TI AMO OLIVER <3

 

» 7 – Questo “mondo” che Kate ha creato con Oliver è quello che io immagino sia successo nel canon. Quindi Oliver ha avuto la sua cotta fin dal primo anno di Katie (all’epoca non era una cosa razionale ovviamente, era solo grande affetto) e pian piano l’ha sviluppata fino a scoppiare alla penultima partita del terzo anno di Harry (Grifondoro vs Corvonero), quando poi sono finalmente finiti insieme. È così e basta, non vi permettete a contraddirmi. Katie/Oliver nel cuore proprio.  

 

» 8 – Sant’Andrea è il Santo Patrono della Scozia, il corrispettivo di San Patrizio in Irlanda! E Oliver è un fierissimo scozzese che ha sempre festeggiato insieme a tutta la sua patria. Ma poi si è ammorbidito per amore della sua Katie. Rimando alla nota 6 per sottolineare come mi sento in questo momento.

 

» 9 – Katie era una Grifondoro. Piton era un mostro con i Grifondoro. Non parlatemi bene di Piton perché davvero mi viene l’acidità di stomaco. <3

 

» 10 – Come ha fatto Kate a liberarsi del tutto prima degli altri due? Katie non è del tutto umana. Così come lo Stupeficium non fa volare via Hagrid, un semplice veleno non la trattiene come gli altri. Quando ha evocato il suo potere (che si era assopito), ha bruciato via tutto.

 

» 11 – Headcanon: Marco Antonio era l’Auctor di Cleopatra. Hanno deciso di morire insieme. Passo e chiudo.

 

»  12 – Si tratta della voce di Eros, my boy <3

 

 

Dun Dun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!! 2.0

Il grande Mulciber, questo mostro orrendo in realtà era soltanto il tipico pallone gonfiato con la raccomandazione. Sì, si mangiava davvero le sue vittime e le torturava psicologicamente, ma è diventato tanto grande solo perché Tiresias da dietro le quinte tirava i fili, rendendolo apparentemente più forte del previsto.

Poverello, se non avesse torturato Winnie mi farebbe quasi pena.

  

 

Kate ha davvero bisogno di aiuto.

E io ho un girone infernale riservato.

E voi non avete ancora idea.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

   
 
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