L’Erede del Male.
“Never trust a
demon.
He has a hundred
motives for anything he does...
Ninety-nine of them, at least, are malevolent. ”*
[Neil Gaiman – Preludi e Notturni]
Atto X, Parte II
– Terrori notturni
L’uomo seduto ad un capo del lungo tavolo aveva
l’aria di essere sull’orlo di una crisi di nervi1.
Aveva i capelli neri, corti ed ordinati, il viso
dolce e meraviglioso come lei aveva sempre immaginato quello di un angelo.
Anche le morbidissime ali bianche che si stagliavano alle sue spalle sembravano
confermare quella sua immagine. Non tanto angelici, invece, erano l’arco e le
frecce che erano state palesemente scaraventate sul tavolo, in quello che
doveva essere stato uno scatto d’ira. Erano armi di evidente elevata
manifattura, d’oro purissimo e apparentemente molto pesanti, simili ai cimeli
dei folletti che lei aveva visto esposti in più di una delle ville dei
purosangue d’alta società, però ancora più belli.
Kate aveva capito immediatamente chi fosse
l’Essere che la fronteggiava e che non sembrava essersi reso conto della sua
presenza. L’aveva capito, ma non aveva idea del perché o del come fosse
riuscita a raggiungerlo. Ci aveva pensato spesso, soprattutto dopo l’incontro
con Thanatos, ma non pensava che sarebbe mai successo, almeno non finché tutto
quel guaio con Tiresias non fosse stato risolto.
Vagamente a disagio nel non essere ancora stata
notata, si guardò intorno alla ricerca di un qualche appiglio, senza trovarlo.
Allora, armandosi di coraggio, fece qualche passo avanti, schiarendosi la voce
con un colpo di tosse. «Uhm…» tentò, cercando di raccapezzarsi del giusto modo
di salutarlo. Quando era toccato a Thanatos, le era stato relativamente facile,
considerando il timore reverenziale che i Sacerdoti le avevano trasmesso
soprattutto da quando aveva subito la prima trasformazione. Con lui, tuttavia… Thanatos era stato
piuttosto aperto nel suo amore paterno, una volta passato il momento di crisi
isterica, ma Eros, a dispetto del suo essere una divinità dell’Amore, avrebbe
potuto dimostrarsi differente, avendo vissuto lontano dai mortali per così
tanto tempo. Forse un semplice “come
butta?” non sarebbe stato proprio l’ideale. Magari avrebbe dovuto
inginocchiarsi, usare qualche formula del Necromicon,
offrire del sangue-
«Oh, Kate!
Sia ringraziato Crono2, temevo di non essere riuscito ad
intercettarti» praticamente squittì
la divinità, balzando in piedi e ritrovandosi davanti a lei nel tempo di un
battito di ciglia. Il tono isterico non aveva nulla di quella potenza opprimente con cui Thanatos l’aveva quasi
uccisa e, invece di cercare di intimidirla, nell’avvicinarsi lui le aveva preso
il viso fra le mani, come a voler controllare che stesse bene. La stava osservando con gli occhi spalancati e pieni
di ansia, toccandola ed osservandola come se lei fosse appena tornata da una
qualche missione suicida.
No, come un
genitore l’avrebbe osservata. Un
genitore parecchio ansioso, ma comunque un genitore.
Kate, avendo nel campo un’esperienza simile a quella
di Harry Potter, si paralizzò, incerta sul come reagire. Nel dubbio, grugnì.
«Quando ho visto tuo padre darti quel dannato libro ho creduto di impazzire!
Sapevo che saresti finita nei guai, non ne esce mai nulla di buono da quella
robaccia» si lamentò l’uomo, lasciandole andare il viso per poterla
abbracciare, con suo immenso sconcerto. Incurante, continuò a stringerla ed a
borbottare. «E quella creatura disgustosa!
Forse dovrei ringraziarlo, senza il veleno non sarei riuscito a contattarti,
ma… cara, tu hai il cuore spezzato!»
sbottò, ad un certo punto, fermandosi per allontanarla e guardarla negli occhi.
«Ti hanno spezzato il cuore per ben due
volte?» continuò a chiedere, probabilmente in modo retorico.
Quando Kate si rese conto che lui stesse aspettando
una risposta, si schiarì nuovamente la voce. «Uh… la seconda volta credo sia giustificabile, dopotutto non… non
condividiamo la stessa biologia, ciò che io sento per lui potrebbe non essere
uguale. Ed anche la prima… credo sia pure colpa mia, in realtà» provò a
giustificare, quasi inquietata dalle ombre in quegli occhi dorati. Una parte di
lei era legittimamente preoccupata che lui potesse trovare il modo di… intervenire come solo una creatura
immortale avrebbe potuto. Per quanto più paffutello e carino del consorte, Eros non poteva essere meno pericoloso di
Thanatos.
Fiamme vive si agitarono nello sguardo della
divinità mentre la scrutava con attenzione. La sua espressione non si
ammorbidì. «Draco Malfoy è un bugiardo seriale, piccola mia, non crucciarti per
lui. Si è innamorato di te quando era poco più di un bambino e la cosa non ha
fatto che peggiorare» tentò, forse, di rassicurarla. «Che abbia negato il
vostro legame è ridicolo, anche
adesso si sta tormentando. Ho voluto che voi aveste delle bestiole da compagnia3
perché non soffriste mai l’abbandono, piccola, quindi non credere che possa
semplicemente non amarti». Kate si
chiese quanto quell’affermazione potesse essere di conforto a Draco e cercò di
trattenere una risatina. Il venir definito “bestiola da compagnia” non doveva
essere proprio nella top ten
di Lord Malfoy e del suo ego. «Ma non è questo il vero cuore spezzato a cui mi
riferisco» continuò Eros, fissandola negli occhi con aria sempre più
corrucciata che presto si trasformò in vera rabbia.
«Oliver Baston» sibilò quindi,
rigido. «Ti ha fatta soffrire così tanto,
povera piccola mia» esalò, la voce incrinata da qualcosa di spaventoso. Era come un rombo di
sottofondo, un qualcosa che nessuna voce umana avrebbe mai potuto possedere e
che per questo capace di instillare in chiunque un inconsapevole terrore.
Furia
immortale.
«Uhm… Dominus-» provò ad intervenire, ritrovandosi
tuttavia velocemente zittita con un dito sulle labbra ed una divinità con un
gran sorriso orgoglioso in viso.
«Padre,
mia cara. Credevo avessimo superato questo dettaglio, no?» la corresse, la voce
così piena di miele da fare quasi
impressione.
«Padre non c’è
bisogno di… uh… prendersela tanto»
riprese allora lei, incerta su come fosse più opportuno rivolgerglisi. «Oliver è
stato una parentesi della mia vita, ma ormai è tutto passato. Neppure della mia vita, se vogliamo essere pignoli, ma
della vita di Katie. Io non sono più
lei, non mi importa più di tanto» azzardò, pregando che il dolore per il
rifiuto di Draco fosse sufficientemente forte da impedirle di mandare al
diavolo l’esistenza di Oliver Baston. Le faceva ancora male, per quanto fosse
effettivamente tutto passato. Faceva male, ma non abbastanza da giustificare
l’ira funesta della divinità dell’amore. «Davvero, non disturbarti».
La carezza che Eros le diede la spinse
involontariamente a rilassarsi, lasciando che la propria guancia aderisse
meglio alla sua mano, come un gatto alla ricerca di coccole. Gli occhi dorati
di lui, che fino a quel momento erano stati duri, si riempirono di dolcezza.
«Ah, tu mi somigli troppo, bambina» si lamentò, pieno di dolcezza paterna. Kate
aveva visto quella stessa espressione negli occhi di Barry, in più di
un’occasione1. «Ho imparato che cedere ai buoni sentimenti non porta
sempre a qualcosa di buono e non
vorrei che tu dovessi seguire il mio esempio».
Kate arricciò il naso, raddrizzandosi quando lui
le lasciò andare il viso ma tallonandolo quando iniziò a trascinarla verso
l’unica sedia presente nella stanza, la stessa su cui lui era prima seduto.
Quando lui si accomodò, lei non perse tempo a sistemarsi ai suoi piedi. «Le
situazioni sono leggermente diverse, padre.
Io non mi sto fidando di una creatura viscida e approfittatrice ma solo… beh,
di un Portiere con abbastanza neuroni da potersi concentrare solo sul
Quidditch» lo rassicurò, con una risata che tuttavia non suonò convinta neppure
alle sue orecchie. Stava mentendo ed Eros lo sapeva fin troppo bene,
considerato come le accarezzò i capelli.
«Avrebbe funzionato fra voi, sai? Se non fossi
cambiata, naturalmente» le mormorò, dolcemente. «Avevo previsto tutto, se
avessi potuto intervenire avrei fatto l’impossibile affinché il destino non vi
mettesse i bastoni fra le ruote» aggiunse, con il rimpianto ad impregnare ogni
sillaba fuoriuscita dalle sue labbra. «Se fosse andato tutto come io speravo andasse, tu ti saresti diplomata
e saresti diventata una grande giocatrice di Quidditch, forse la migliore in
assoluto. E lui sarebbe rimasto al tuo fianco, incoraggiandoti e sostenendoti
come ogni amante avrebbe dovuto fare».
Colpita in pieno nelle profondità del proprio
cuore, dove i desideri di una quindicenne speranzosa ancora riuscivano a
trovare un po’ di agio, Kate chiuse gli occhi e cercò di nascondersi al
genitore immortale. Si sarebbe raggomitolata su se
stessa se ciò non avesse implicato mostrarsi debole proprio come sapeva
d’essere.
«Ah, allora non è poi così passata, non è vero,
bambina?» si rammaricò Eros, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Le
sue bianche ali si chiusero come un bozzolo intorno ad entrambi, creando un
rifugio apparentemente sicuro, dove nessuno l’avrebbe mai toccata. «Mi dispiace
così tanto… se non fosse stato per questo peso che io e tuo padre abbiamo
scaricato su di te, tu saresti stata felice. Una ragazza come tante, con un
amore come tanti altri e per questo speciale».
Kate tremò, le lacrime ormai libere di scorrere
sulle sue guance. «Mi dispiace» sussurrò, sentendo il fiato impigliarsi in
gola. «Mi dispiace così tanto». Il
suo cuore era spezzato sotto il peso delle aspettative, dei dolori che negli
ultimi anni aveva dovuto sopportare. Era stato troppo per lei, ma aveva sempre
stretto i denti. Credeva di aver trovato un equilibrio grazie alla sua
trasformazione definitiva, credeva di aver trovato pace grazie a Draco, ma era stata un’illusione molto breve, che lui e la realtà avevano impiegato molto poco tempo a distruggere.
Le sue prospettive future non esistevano. Lei aveva provato, aveva provato con tutta se stessa, si era ripetuta che ce l’avrebbe fatta, che
avrebbe trovato il modo di aiutarli tutti, anche a costo di rinunciare a se
stessa.
Ma se non avesse voluto fare un tale sacrificio?
«Io ho rinunciato alla mia influenza sulla terra,
ma forse…» il tono della divinità fu esitante per un istante, cosa che lei non
credeva potesse effettivamente accadere. C’era qualcosa nascosto nella sua
voce, una esitante speranza, una possibilità minima. «Sappiamo entrambi che
questa volta nulla potrà fermare Sisifo e che tutto il mondo pagherà il… il mio errore. Ma io sono ancora una
divinità e forse posso fare qualcosa per
te, bambina, prima che questo piccolo spazio che mi sono ritagliato
sparisca e l’incanto di quel Legilimens ti assorba. Posso darti quello che
vuoi, bambina, posso portarti dove sarai felice» le propose, sollevandole il
viso per costringerla a guardarlo negli occhi. Erano così sinceri, così dolci. Gli occhi di un padre pronto a
tutto. «Non posso salvarvi tutti, la mia essenza
non è più sufficiente, ma almeno tu…
tu potresti essere felice».
Felicità. Era un concetto astratto, qualcosa cui
Kate aveva rinunciato e che non credeva avrebbe mai ottenuto. Eppure quella
creatura, quel padre immortale così
diverso da quello biologico e così simile a quello adottivo, le stava offrendo
proprio quell’utopia, rinunciando a se stesso4.
«Non posso, io… Thanatos-».
Eros sorrise, tristemente. «Thanatos ed io ci
ameremo per sempre, anche quando le nostre essenze si consumeranno. Stiamo
soffrendo e continueremo a farlo, ma fin troppi nostri figli hanno perso tutto
per il nostro amore. Adesso sono pronto a perdere tutto per l’amore di qualcun
altro, soprattutto se sei tu, la mia
sfortunata bambina».
Sfortunata
bambina, così l’aveva chiamata il Gran Sacerdote, dopo averla appena
salvata da una morte certa solo per prolungare
di qualche anno la sua agonia. Sfortunata
bambina, cui era appena stata offerta una via di fuga1.
«Ti prego cara, lasciamelo fare».
«Io…»
«Non c’è tempo! A breve il veleno farà effetto,
devi accettare, ora o mai più! Katie!».
«D’accordo!».
***
Si svegliò con la sensazione di forti braccia
strette intorno al proprio busto, calde e confortevoli come lo sarebbe stata la
più morbida fra le coperte. C’era un leggero profumo di muschio bianco e pino
nell’aria, un profumo confortevole e impresso a fuoco nella sua memoria. Un
ricordo di mattine lontane quando due ragazzini si davano appuntamento al Campo
per potersi allenare più degli altri e spesso si abbracciavano per riscaldarsi
a vicenda, non essendo proprio capaci di farlo con dei semplici incantesimi.
Oppure non volendo imparare per non rischiare di perdere quel piccolo conforto.
Il cuore di Kate si riempì di una gioia quasi
selvaggia tanto era incontenibile. Ebbe paura di voltarsi, di assicurarsi di
essere davvero lì, fra le sue braccia e di non aver semplicemente immaginato
tutto. Era tutto troppo bello, troppo
perfetto.
«Trinaaa» l’uomo alle sue spalle si lagnò come un bambino,
nascondendo il viso contro l’incavo fra la sua spalla e il collo. «Oggi è
giovedì, tocca a te preparare la colazione» aggiunse, con un borbottio,
strusciando la guancia barbuta contro la sua pelle delicata. «Avevi promesso,
oggi è il nostro giorno libero e io voglio pancake».
Troppo
bello per essere vero, fu il suo primo pensiero. Immobile e
terrorizzata al solo pensiero di voltarsi e non trovare nulla o, peggio,
trovare qualcosa di diverso da ciò che stava immaginando, Kate cominciò a
cercare – senza impegnarsi troppo, in realtà – i segni di una possibile
alterazione mentale. Non trovandone, comunque, non se la sentì di tirare un
sospiro di sollievo: non era mai stata brava con certe cose, non senza prima
trasformarsi anche solo parzialmente.
«Bheithir5,
ti sento pensare anche da qui e non è normale per te a quest’ora del mattino»
continuò l’uomo, stringendola di più a sé con l’evidentissimo intento di
voltarla e costringerla a guardarlo. Resistere sarebbe stato inutile, lei lo
sapeva benissimo: era sempre stato
molto più forte. Un buon portiere avrebbe dovuto esserlo per forza. Grazie a
questa consapevolezza ed al suo coraggio da leone, naturalmente, quando lui
riuscì nel suo intento la ritrovò con gli occhi serrati. «Non far finta di
dormire, di solito russi come Hagrid dopo tre bottiglie di Whiskey».
Lo sdegno fu troppo forte da consentirle di
continuare quella ridicola falsa: spalancati gli occhi, non si diede neppure il
tempo di mettere a fuoco la figura che ancora la stringeva prima di colpirlo
piuttosto violentemente con un pugno al petto. Un istante dopo, comunque, la
mascella squadrata e appena barbuta di
Oliver Baston, accompagnata dagli occhi scuri di Oliver Baston e dal sorriso un po’ idiota di Oliver Baston le confermarono che davanti a lei, in effetti, ci
fosse proprio Oliver Baston, in tutta
la sua scozzese virilità e imbranataggine6.
«Ah, questa è la mia Bheithir! Cos’hai? Per essere così attiva devi essere sveglia da almeno un
paio d’ora e di certo non è da te, brutta pigrona» le chiese di nuovo, il tono
trionfante che lentamente scolorì in uno preoccupato. Si avvicinò di più a lei,
finché non riuscì a far sfiorare i loro nasi in una gentile carezza. Era un
gesto che le aveva dedicato fin dal primo momento in cui si era sentito
abbastanza tranquillo da poterselo permettere senza essere picchiato. Un gesto
che le era mancato terribilmente. «Trina?».
Forse fu il calore della sua stretta, forse fu il
fatto che l’alito di lui fosse troppo pesante per poter essere parte di una
bellissima illusione, ma, alla fine, lei decise di cedere. Rilassò le spalle,
socchiudendo gli occhi per poter prendere un lungo respiro e calmarsi davvero.
Alla fine, finalmente, parlò. «Ho fatto un brutto incubo, tutto qui» tentò di
rassicurarlo, rassicurando lentamente anche se stessa.
«È stato davvero terribile, ma adesso è finita, adesso sono sveglia».
Il viso di Oliver si addolcì incredibilmente,
facendolo sembrare ancora un quindicenne alla presa con una cottarella
adolescenziale7. «Sì, adesso sei sveglia e se qui con me» mormorò,
avvicinandosi per lasciarle un bacino sul naso. «La Guerra è stata dura per
tutti, Bheithir,
non devi vergognarti di portarne ancora le cicatrici. George ancora si rifiuta
di guardarsi allo specchio7, nonostante Harry e Ron abbiano fatto di
tutto per convincerlo ad andare in analisi. Tu ed io siamo stati fortunati ad
essere rimasti insieme, non posso immaginare cos’avrei fatto se ti avessi
persa».
Kate non riuscì ad evitare di fare una smorfia.
«Probabilmente avresti trovato una qualche altra ragazza da corteggiare ed a
cui dedicare le tue partite di Quidditch, facendole la proposta di matrimonio
nascondendo l’anello in un boccino» si lagnò, rifiutandosi categoricamente di
guardarlo negli occhi. Lei ricordava fin troppo bene il giorno in cui la prima – quella non più vera? – versione
di Oliver si era proposta a quella donna. Meglio, ricordava i primi istanti di
quella proposta: il resto era totalmente confuso nella sua memoria, per quanto
impressa a fuoco in quella dei suoi – forse ex
– colleghi.
Vedere il
suo Oliver fare una smorfia disgustata le alleggerì incredibilmente il
cuore. «Posso smontare questa tua teoria evidenziando solo tre particolari» le
disse, sollevandole la mano sinistra tenendola per il dito indice, così che
potesse farle tenere il conto. «Prima di tutto,» iniziò, lasciando un bacino
sul polpastrello del dito in questione, «qualunque altra donna per me sarebbe
solo una scialba imitazione. Nessun’altra potrebbe mai conquistarmi lanciandomi
una pluffa in faccia e facendomi cadere dalla scopa a soli undici anni. E nessun’altra potrebbe
tenermi testa in una gara di bevute. E nessun’altra
potrebbe mai e poi mai convincermi a festeggiare San Patrizio oltre Sant’Andrea8» spiegò,
sollevandole poi il dito medio e lasciando un bacino anche su quello. «Secondo,
una proposta del genere, oltre ad essere eccessivamente smielata, non sarebbe
comunque vera. Avrei messo
l’ipotetica donna in difficoltà, rischiando di farla passare per stronza
davanti a migliaia di miei tifosi,
nel caso avesse voluto dire no» aggiunse, per poi sollevare finalmente
l’anulare, dove stava già brillando un anellino piccolo ma molto grazioso,
privo di diamante ma con un piccolo rubino. «Terzo, io sono già felicemente fidanzato ed ho tutta l’intenzione
di sposarmi il diciassette luglio, dopo aver vinto i Mondiali per la Scozia»6.
Non si rese quasi conto di aver iniziato a
piangere, finché lui non le asciugò le guance bagnate. «Cosa ti assicura che
vincerai i Mondiali e che riuscirai a convincermi a presentarmi all’altare?»
gli chiese, nascondendo malamente l’ilarità dietro un’espressione seria.
Oliver si chinò a baciarla, spostandole i capelli
da davanti al viso. «Se sono riuscito a chiedertelo ed a farti dire sì, è mio
sacrosanto dovere consegnarti una Coppa e l’intera Scozia».
Quell’affermazione, per un attimo, le fece
storcere il naso. Ricordi confusi di una proposta fatta nella tranquillità
della loro piccola casa, davanti ad un hamburger e delle patatine fritte,
cominciarono a rifiorire dal fondo del suo cervello. Lei aveva pianto, per
quanto le sembrasse assurdo: doveva essere stato terribilmente romantico, nei
limiti delle capacità romantiche di Oliver Baston.
«L’intera Scozia offerta in sacrificio ad una
fiera irlandese… i tuoi antenati si staranno rivoltando nella tomba» scherzò,
senza sentire – per la prima volta dopo anni
– detti antenati intervenire personalmente, riversandole addosso tutto il
loro sdegno. C’era finalmente silenzio,
nessun’anima pronta a sussurrarle all’orecchio qualcosa di incomprensibile,
facendole venire i brividi e costringendola ad una vigilanza costante. Non
c’era nulla di tutto ciò, in quella camera da letto di una anonima casetta
nelle Highlands scozzesi.
Oliver rise, alzando gli occhi al cielo e
rotolando fino a trovarsi con la schiena contro il materasso ed un avambraccio
a coprire gli occhi ancora un po’ assonnati. «I miei antenati credo concordino
nell’essere sollevati. Mi sarebbe potuta andare molto peggio, Bheithir» le fece
notare, aprendo un solo occhio e lanciandole uno sguardo divertito. «Saresti
potuta essere inglese».
Il brivido d’orrore che gli dedicò lo fece ridere
più forte. «Gli inglesi sono gli unici capaci di far andare d’accordo scozzesi ed irlandesi» mormorò allora lei, tirandosi a sedere
nonostante il braccio di Oliver ancora stretto intorno alla vita. «Però
dobbiamo ringraziarli».
«E perché mai?».
«Senza di loro, noi non avremmo avuto nessuno
contro cui far fronte comune ed avremmo finito per odiarci a vicenda».
Tiratosi a sedere a sua volta, Oliver le lasciò un
tenero bacio sulla spalla nuda. «E questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe
capitarmi».
***
C’era stato un tempo in cui Katrina Bell si era
convinta di essere un’eccellente cuoca e di non aver bisogno degli elfi
domestici di famiglia per sopravvivere durante i mesi di vacanza estiva. Questa
sua convinzione l’aveva portata ad imparare a preparare qualcosa di semplice –
tanto per iniziare – ed a trascorrere quattro ore nella cucina della villa di
famiglia per acquisire la tecnica perfetta per la preparazione dei pancake.
Dopo svariati tentativi che avrebbero potuto condurla a morte certa per avvelenamento e dopo qualche intruglio che avrebbe
fatto piangere il non compianto Piton9 di gioia, finalmente, aveva
potuto dirsi soddisfatta del suo risultato, promettendo tuttavia di non
avventurarsi in ricette più complesse. Era fiera
dei suoi pancake, meritavano di essere unici e soli nel suo libro di ricette.
«Sono totalmente bruciati ed insapori, Bheithir».
«Va’ un po’ a farti fottere, Baston!». Per buona
misura, si premurò di lanciargli lo strofinaccio usato per asciugare le tre padelle usate, tirando fuori la
migliore fra le sue occhiate sdegnate. Lui, naturalmente,
schivò il colpo e le dedicò il suo miglior sorriso mascalzone. «Se sei tanto
bravo a criticare, perché non li fai tu? Sono curiosa».
Oliver ebbe la decenza di arrossire. «Lo sai che
non so preparare neppure il té» grugnì, vergognandosi
di se stesso e riempiendosi velocemente la bocca di
una manciata di pancake bruciacchiati. «Fai,
in uh fecoddo affaddio fono
boni!» aggiunse, sorridendola con le guance ancora piene e somigliando ad
un grosso scoiattolo con problemi di autocontrollo.
Kate alzò gli occhi al cielo, con una risatina.
«Dobbiamo davvero imparare a cucinare, Oliver, non possiamo passare la vita
ordinando cibo» gli fece notare, appellando lo strofinaccio per continuare ad
asciugare i vari utensili. «Ed io dovrò farmi insegnare qualche incantesimo
domestico dalla signora Weasley, mi sento una babbana.
Ed incapace» aggiunse, con un borbottio.
Lui si alzò per avvicinarsi e passarle le braccia
intorno ai fianchi. Strusciò la guancia barbuta contro il suo collo, per poi
lasciarci un bacino. «Per me vai benissimo anche così» le disse, dolce. «Hai
detto che ti senti una babbana quasi fosse un
insulto. Mia nonna potrebbe risentirsene, sai?».
Sua nonna
è babbana, ricordò, cercando di non fare una
smorfia al pensiero. Nonna Baston era una donna gentilissima ed i suoi natali
non la rendevano certo meno incredibile. La stupida educazione che i suoi
genitori le avevano imposto non si sarebbe mai messa fra la sua nuova famiglia
e la felicità futura. Anche a costo di
mentire per sempre.
«Adoro tua nonna e tua nonna adora me».
«Diciamo che ti è estremamente grata per avermi
reso un uomo onorevole» rettificò lui, con una risata tonante, baciandole la
guancia per poi allontanarsi di nuovo. «Forse temeva che sarei rimasto solo
come un cane a progettare schemi per il Quidditch» rifletté, afferrando la sua
tazza preferita – blu e oro, con il marchio del Puddlemere
in rilievo – e sorseggiando quello che avrebbe dovuto essere tè ma che in
realtà era solo una terribile imitazione.
«Ah, prima o poi qualcuna avrebbe allungato le
manine su di te, signor Miglior Portiere
delle ultime due stagioni» gli rispose lei, voltandosi per lanciargli uno
sguardo esasperato. «Ammettilo, ti piace sentirti elogiare, per questo fai il
finto umile. Ma con me cadi molto male, sono io che voglio essere elogiata in continuazione».
«Hai l’autostima migliore del mondo, Trina, non
credo che tu ne abbia davvero bisogno».
Lei gli rispose con un broncio forse non troppo finto. Tornò ai suoi piatti,
senza prestare poi molta attenzione a ciò che la circondava, ed iniziò a
canticchiare una ninna nanna che davvero non credeva di aver mai sentito in
vita sua. Meglio, lo fece finché un dolore acutissimo al petto non le mozzò il
respiro, facendole cadere il piatto di mano e facendolo schiantare
violentemente contro il pavimento.
«Kat!». Con la
velocità di un fulmine, Oliver fu al suo fianco, afferrandola per le spalle
prima che potesse fare la stessa fine del piatto ed accompagnandola a sedere sulle
piastrelle gelide. «Kat, che succede? Ti fa male
qualcosa? Sei pallida come un cadavere!» continuò ad urlarle praticamente
nell’orecchio, voltandola così da poterla osservare bene. «Bheithir, ti prego, parlami»
supplicò ancora, la voce ridotta ad un sussurro spaventato.
In tutta sincerità, Kate non credeva di avere nulla di sbagliato, dopo quel dolore
lancinante non c’era stato nulla, neppure un formicolio. Sì, sembrava quasi che
tutto il sangue le fosse defluito dal corpo e le gambe non potessero più reggere
il suo peso, ma non c’era altro,
nulla se non le conseguenze normali di un brutto spavento, quasi…
Quasi non
fosse stata lei ad essere colpita.
«Oh… oh no, ti prego, no» scoppiò in lacrime, mentre quel lamento disperato lasciava le
sue labbra. Sapeva bene di star perdendo quel minimo di dignità di cui si era
sempre vantata, ma il terrore di perdere tutto era troppo grande. No, ti prego, no, era tutto ciò cui
riusciva a pensare. «Oliver…» implorò ancora, voltandosi per poterlo stringere
di più a sé, per rassicurare se stessa che sì, è tutto vero, sono al sicuro.
«Non piangere Beirthir, va tutto- Kat!». Oliver non ebbe il tempo di
aggiungere altro, dovendola sorreggere quando un’altra ondata di dolore
insopportabile la tagliò in due. «Amore ti prego… cosa sta succedendo? Katie!».
«No… no no no no!».
Naturalmente lui aveva usato quel nome. Una ulteriore conferma che quel mondo non fosse più suo, che non lo sarebbe mai stato. Un
ulteriore promemoria dell’impossibilità di ottenere davvero una opportunità così
ghiotta, così meravigliosa. Una
opportunità per cui lei sarebbe stata pronta a sacrificare chiunque, anche coloro che aveva sempre considerato come dei nuovi
genitori e l’uomo che sapeva l’avrebbe amata più di qualunque altra cosa al
mondo, se ne avesse avuto modo.
Li avrebbe sacrificati tutti, per un solo atto di puro egoismo. Uno solo,
nulla di più. Non le importava neppure che quella fosse un’illusione, davvero.
Non le importava che in realtà Eros non si fosse sacrificato, che probabilmente
in quello stesso istante qualcuno stesse portando il suo corpo mortale al
patibolo. Avrebbe rinunciato a tutto per
altri cinque minuti di pace.
«Katie!».
«No, non
voglio andare! Voglio restare qui! Ti prego!».
Il mondo, tuttavia, non sembrava disposto a
lasciarla andare.
«Ah, incredibile!»
la voce di Oliver, tuttavia diversa, in cambiamento, le sussurrò direttamente
nell’orecchio quelle parole, un secondo prima di spingerla via con violenza e
direttamente fra le braccia aperte di… di
qualcun altro.
Barry la stava guardando con quella che lei
avrebbe potuto definire solo pietà.
Alle sue spalle, Harry Potter si rifiutava categoricamente di poggiare gli
occhi su di lei, ma non perché la stesse biasimando.
Harry
Potter era dispiaciuto per lei.
A pochi passi da dov’era caduta, Katie vide colui
che era stato il suo Oliver cambiare,
plasmare se stesso fino a prendere la forma di Mulciber.
La rabbia
che la assalì avrebbe potuto ucciderla, non avesse imparato a controllarsi.
«Sapevo che tu
non mi avresti deluso, Succbus»
si rallegrò il Legilimens, rialzandosi e spolverandosi i pantaloni immacolati.
«Siete delle creature deboli, schiave delle vostre emozioni. Lo siete sempre
state» si rallegrò, osservandola come se fosse stata un curioso animale. «Sai,
eri ad un passo dal perdere per sempre la possibilità di tornare indietro, ma
sfortunatamente Tiresias mi aveva avvisato del tuo
legame con… con Malfoy» aggiunse, con
uno sbuffo che fece accapponare la pelle alle tre vittime presenti. «Immagino
che la mia bambina sia giunta a tutti loro, eh? Probabilmente starà soffrendo
come un cane, se il suo dolore è riuscito ad arrivare a te… eppure tu saresti
stata felice di lasciarlo a se stesso, per questa
illusione».
Un
acutissimo senso di vergogna la spinse ad abbassare gli occhi al suolo. Mulciber aveva ragione,
ovviamente. Le speranze di prendere in giro uno come lui erano praticamente
nulle. «Io-».
«Se anche avesse voluto farlo, ne avrebbe avute
tutte le ragioni» Barry intervenne in sua difesa, ringhiando come le creature
che tanto amava studiare. «La vita è stata ingiusta con lei, molto più che con
molti di noi. Non posso biasimarla per le sue scelte, anche le mie sarebbero
state uguali se non avessi avuto qualcosa
ad aspettarmi nella realtà».
L’affetto che le si sprigionò nel petto la fece
sentire peggio. Lei avrebbe
rinunciato anche a lui e Philly, se ne avesse avuta la possibilità. Non
meritava tutto quell’amore, non meritava di essere difesa.
Mulciber lo
ignorò, lasciando che lui ed Harry la aiutassero a rimettersi in piedi nonostante
il dolore al petto stesse diventando sempre più pressante, sempre più
insopportabile.
«Ah, soffri ancora? Forse è una chiamata d’aiuto,
ho sentito che accade spesso a quelli come voi»
disse l’ultima parola come se fosse stata il peggiore fra gli insulti. «Sai, mi
chiedo cosa potrebbe succedergli, se io decidessi di mangiarti per prima»
rifletté poi ad alta voce, facendo un passo avanti. «Ah, Maine, credi davvero
di potermelo impedire? È carino che tu ci stia pensando, ma no, non potresti essere abbastanza
veloce. E tu, Potter… hai sconfitto
Tom Riddle perché era un idiota borioso, credi davvero di farcela con me? Io sono immortale».
A quelle parole, Kate si irrigidì. Con una
lentezza che non le apparteneva, sollevò lo sguardo dal suolo e lo puntò su di
lui, dubbiosa. Era stata un’affermazione dettata da pura e semplice mania di
grandezza? Tiresias gli aveva insegnato qualche
trucchetto per aggirare la morte? Quelli
come lei erano sempre stati messi in guardia da certi atteggiamenti: erano
figli della Morte, qualsiasi atto contro questa era un attentato alla loro
stessa esistenza ed all’equilibrio di tutto il cosmo. Osservandolo, però, non
notò nulla di strano in lui, se non quell’oscurità che qualunque anima avrebbe
attirato, considerato il suo curriculum.
Non c’era
nulla, ma a lui era stato detto l’opposto.
«No, tu non sei immortale» gli disse, continuando
a fissarlo con il capo inclinato, quasi fosse stato un animaletto da
esibizione. «Credi di esserlo, non è vero? Credi di essere un Evocato» continuò, lasciando che la sua
voce potesse trasmettere un pizzico del divertimento che stava provando e
cercando di raddrizzarsi nonostante le fitte. L’unica soluzione per tollerare
meglio ciò che le stava accadendo era rispondere
alla chiamata del suo potere, diventare forte
per poter correre in aiuto di Draco. Per farlo, naturalmente, avrebbe dovuto uscire da quell’illusione.
Dire
addio a Katie, definitivamente.
«Trina?» la chiamò Barry, incerto, quando lei scrollò
via la presa sua e di Harry. Dietro di lui, proprio l’ex Bambino Sopravvissuto
la fissò dubbioso, ponendole tantissime domande senza neppure doverle
pronunciare ad alta voce. «Cosa…?».
Evocare la
morte che risiedeva nel suo sangue fu facile, molto più del previsto.
L’illusione in cui era stata intrappolata non le aveva tolto il potere, lo
aveva soltanto assopito quel minimo necessario da renderla più facile da
manipolare. Le bastò concentrarsi per spezzare quell’incanto di cui non
conosceva l’origine e ritrovarsi, piuttosto che nella cucina della casetta
immaginaria, in un grande magazzino polveroso, rinchiusa in un bozzolo che
lentamente stava cadendo in pezzi, lasciandola coperta di una sostanza
appiccicosa10.
Un battito di ciglia e la Negromante riacquistò il suo legittimo ruolo al mondo,
fronteggiando il Legilimens che aveva tentato di intrappolarla sfruttando i
suoi più profondi desideri e coprendola di ridicolo davanti a persone
evidentemente abbastanza coraggiose da esser pronte a rinunciare a quella
trappola per tornare indietro.
Inutile dirlo, Kate
era furiosa.
«Possibile che proprio tu, che porti dentro di te
il marchio immortale di due divinità,
non sia ancora riuscita a riconoscermi?» le domandò Mulciber,
a parecchi passi di distanza da lei, la mano comodamente poggiata sull’ultimo
bozzolo ancora intatto. Alle sue spalle, Harry e Barry si stavano lentamente
riprendendo, nonostante fossero ancora bloccati nelle loro prigioni. «Mi
deludi, Succubus. I tuoi fratelli e sorelle, ai loro
tempi, capirono subito quanto io fossi pericoloso e tentarono di avvisare i
tuoi idioti genitori, senza successo»
continuò, l’espressione altera di un immortale, di qualcuno abituato a non
dover temere nulla.
Che tutte le sue azioni passate fossero state
programmate da Tiresias? Che l’avesse convinto d’essere il suo compagno
immortale? Nel caso, perché farlo? Perché corromperlo a tal punto, dandogli un
potere immeritato? Perché…?
Kate rise, ripulendosi della sostanza con un colpo
di bacchetta. I suoi occhi erano ormai cambiati e quella bellezza
sovrannaturale che per tanto tempo aveva detestato doveva aver preso possesso
del suo viso. «I miei fratelli e sorelle capirono che Sisifo fosse pericoloso. Tu, invece?
Tu sei solo un idiota» gli disse, sorridendo. Sapeva benissimo cosa avrebbe visto lui: una creatura apparentemente
sovrumana con occhi della stessa oscurità della notte ed un sorriso capace di
sterminare imperi. Il sorriso che era
stato di Nefertiti, di Cleopatra11, di Lucrezia Borgia. Un sorriso
che lo fece tremare, nonostante le sue pretese d’immortalità. «Credi davvero di
essere lui? Di essere l’uomo capace
di raggirare due divinità? Non sei stato capace di renderti conto d’essere
stato raggirato tu stesso» gli fece notare, divertita.
La sicurezza di Mulciber
non vacillò.
Come lei
aveva sperato.
«Credi di farmi paura, ragazza? Solo perché non
posso ancora controllarti non
significa certo che tu possa combattermi! Io sono il più forte, il migliore!
Tiresias mi ha lasciato qui così che io possa
sacrificarvi e rinascere» si vantò,
senza rendersi neppure conto di aver appena ceduto al più vecchio trucco di
Incubi e Succubi: il desiderio. Lui voleva, quindi aveva una debolezza. Lui desiderava, quindi lei poteva colpirlo.
«Io sono stato Caligola, io sono
stato Jack lo Squartatore! Sono il Mostro che si nasconde in fondo al tuo
letto e si ciba dei tuoi incubi!»
continuò ad urlare, dando voce a quella vocina che dal fondo della sua anima
aveva iniziato a pretendere di essere
ascoltata, pretendere di farsi notare.
«Oh, lo sei»
si congratulò Kate, lasciando che il suo sorriso assumesse delle tinte
delicate, predatorie. Avanzò come una pantera avrebbe fatto davanti alla sua
preda, lasciando che i propri movimenti potessero incantarlo, potessero stuzzicare il suo desiderio. Lui voleva e la Succubus
aveva fame. «Sei il più forte, lo
spauracchio più orribile che sia mai esistito» riprese, la voce ricoperta di
miele, lasciando che lo spazio fra loro diminuisse sempre di più. Era riuscita
a controllarlo quando ancora Katrina le impediva di rinascere, in quel momento lui non era poi così diverso da tutti
gli altri uomini affamati di desiderio che nei secoli erano periti fra le mani
delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Il vantaggio che la presenza di Tiresias – doveva essere
stato lui ad aiutarlo, a farlo apparire più forte di quanto in realtà non
fosse, negli ultimi trent’anni – era sparito, ma lui non l’aveva ancora capito.
Quando lo raggiunse, la sua mano salì a sfiorargli il petto mentre il resto del
corpo aderì al suo, come un boa avrebbe fatto con la sua vittima prima di
stritolarla e soffiargli via l’ultimo respiro con un bacio. Le sue labbra gli
sfiorarono lo zigomo e gli occhi di lui si offuscarono mentre il desiderio
insorgeva in lui come una fiamma gelida. «Da bambina ero terrorizzata all’idea che tu venissi a mangiarmi come hai fatto con
tanti, tanti altri» gli soffiò all’orecchio, lasciando che la punta della sua
lingua gli accarezzasse il lobo. Mulciber tremò sotto le sue mani. «Adesso muoio dalla voglia che tu lo faccia… e
tu lo vuoi, non è vero? Ti piacerebbe mangiarmi
viva?» propose, quasi gemendo.
Sentì il momento in cui perse completamente ogni
collegamento con la realtà come un rush di adrenalina liberata nel suo flusso
sanguigno. Il suo cuore aumentò il numero di battiti, la fame insorse come mai prima.
Perché nonostante tutte le sue convinzioni,
nonostante fosse assurdamente certo di essere la reincarnazione della creatura
più pericolosa mai esistita, in realtà Silas Mulciber
era solo un altro burattino nelle mani del veggente, un altro filo della sua
tela di intrighi che, diversamente dagli altri, era stato ricoperto da una
gloria non totalmente meritata. Lo aveva scelto, lo aveva corrotto e l’aveva
convinto di essere l’artefice di cattiverie terribili, quando in realtà era
solo debole.
Lo sentì cedere fra le sue mani come creta molle,
pronto a tutto pur di soddisfarla, pur di spegnere quel desiderio impellente
che lei gli aveva scatenato dentro. Era la prima volta che il suo potere veniva
usato al massimo, eppure le sembrava di non aver mai fatto altro.
Il Gran Sacerdote le aveva sempre ripetuto di
portare con sé un coltellino d’argento, perché nel loro mondo una bacchetta
spesso si sarebbe potuta dimostrare utile come un bastoncino di legno
qualunque. Una lama, invece, avrebbe potuto fare la differenza. Una lama
avrebbe portato sangue, il sangue avrebbe richiamato la morte.
Quando il suo pugnale d’argento – l’ultimo dono di
sua madre - passò sul collo dell’uomo cui si era ormai avvinghiata, il sangue
rosso cominciò a scorrere via velocemente, inzuppandoli entrambi.
Tutto ciò
che sanguina è umano. Tutto ciò che è umano può morire.
Nonostante tutto, Mulciber
era solo umano.
Mulciber poteva
morire.
Il bacio di una Succubus
era, a detta dei pochi fortunati sopravvissuti, la migliore via per morire,
terribile e meraviglioso come essere soffocati dall’ambrosia più dolce,
ubriacati dal vino più pregiato. Molti credevano che il principio fosse
identico a quello del Bacio del Dissennatore e, in un certo senso, non erano
poi molto lontani dalla realtà. Il bacio di una Succubus,
tuttavia, non strappava via l’anima: la consumava.
Un bacio e di Silas Mulciber,
il più grande spauracchio che avesse mai tormentato l’infanzia dei giovani
maghi e streghe inglesi, non restò che un cadavere rinsecchito, un cumulo di
tessuti secchi senza volontà propria ed i cui occhi grigi avevano perso
qualunque sentore di grandezza.
Un bacio e Silas Mulciber
cessò di esistere, diventando nulla più di un pupazzo.
«Trina?».
Lentamente, la Succubus
si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata per nome, ritrovandosi a
fissare negli occhi l’uomo che avrebbe volentieri chiamato padre, se ne avesse
avuta l’occasione. Era spaventato, lei lo sentiva bene, ma era anche
estremamente orgoglioso. Forse temeva per lei, per la sua anima. Ne avrebbe avute tutte le ragioni, ma quello di certo
non sarebbe stato il momento giusto per parlarne. Avevano problemi più
importanti di cui occuparsi.
«Dobbiamo andare via immediatamente» li avvisò, lasciando
cadere la mummia fra le sue braccia con un tonfo sordo. «Mulciber
era convinto di essere Sisifo, motivo per cui non ha fatto storie nell’essere
lasciato qui con noi da solo. Probabilmente era solo una distrazione ed in
questo stesso istante Tiresias sta portando avanti il
suo piano ben lontano da qui. Malfoy stava male, quindi probabilmente è
coinvolto. Non ho idea del perché abbia messo in mezzo quest’idiota, per quanto
possa avere dei sospetti, ma non possiamo permetterci di rallentare. Ho il-».
«Trina»
chiamò ancora Maine, questa volta palesemente preoccupato al solo guardarla. Temeva davvero per lei. «Trina, sembri
più cadavere del solito. Le tue labbra sono nere»
le fece notare, ansioso, ma restando saggiamente a parecchi passi di distanza
da lei e senza far cenno di volerla toccare. «Non era mai successo prima, non a
questi livelli».
Tra le varie possibilità a sua disposizione, Kate
convenne che mentire fosse la più saggia.
«È solo eccesso di potere, non avevo mai consumato
un’anima, prima. Finché non troverò modo di smaltirla resteranno così, ma non
c’è nulla da temere, mi rendono semplicemente più forte». Per buona misura,
sorrise nel modo più rassicurante possibile e l’uomo, seppur ancora dubbioso,
si tranquillizzò leggermente. «Adesso, però, dobbiamo andare. Per quanto Tiresias non abbia avuto modo di prevedere il modo in cui
io l’avrei distrutto, non dubito che lo sapesse già. Potrebbe aver già messo in
atto il suo dannatissimo piano, qualunque esso sia, contando in un minimo
rallentamento». Accigliata, si voltò a fissare la mummia ormai raggomitolata ai
suoi piedi, per poi controllare la tasca della propria giacca, trovandola
naturalmente vuota. «Sapeva che noi
saremmo stati mandati e che io avrei portato con me il Necromicon…
immagino che Mulciber gliel’abbia consegnato dopo
avermi colpita con la sua illusione. Ma perché ci ha lasciati qui? Perché io e
Potter siamo ancora qui? Siamo due terzi del sangue necessario per completare
il rituale dell’Evocazione».
Harry, chiamato in causa, scostò lo sguardo dal
bozzolo in cui doveva essere ancora rinchiusa Hermione. Avrebbero dovuto
liberarla, prima che potesse succedere l’irreparabile. Fortunatamente la sua
energia vitale era ancora a livelli accettabili, non rischiava nulla. «Potrebbe
essere parte della trappola. Ha preso il libro, ha avuto il tempo di cercare
gli altri ingredienti e, ovviamente, sa che andremo a recuperare Winnie, come
previsto» ragionò l’Auror, stringendosi nelle spalle.
Barry annuì, avvicinandosi ad Hermione per cercare
un modo di liberarla. Kate sospettò ci fosse lo zampino di qualche animale,
visto il suo coinvolgimento. Quindi Tiresias aveva previsto la necessità di un Magizoologo.
«Immagino sia così. Cosa che ci porta alla domanda più importante: dov’è Winnie?».
Il dolore al petto, che fino a quel momento non si
era mai assopito, la fece quasi piegare nuovamente in due, mozzandole il
respiro.
Condividere
l’energia vitale è come condividere lo spirito.
Non era un pensiero suo, ne era piuttosto sicura.
Non aveva mai pensato con una voce differente dalla propria, quindi era
piuttosto certa che quel sussurro appartenente ad un uomo non di sua conoscenza ma comunque parecchio familiare non fosse
stato semplicemente frutto della sua immaginazione12, tuttavia non
si soffermò a preoccuparsene. Chiunque le avesse sussurrato quel dettaglio le
fece un enorme favore.
Condividere lo spirito, per le e Malfoy,
significava condividere parte dell’essenza, parte dell’anima. E Draco, dopo averla aiutata a cambiare, aveva giurato a suo
padre che non avrebbe permesso che si facesse del male.
Aveva fatto una promessa a suo padre.
L’Araldo
di Thanatos.
«Trina?» la chiamò Barry, dopo che Harry,
preoccupato, gli aveva dato un colpo sulla spalla, distraendolo dal bozzolo di
Hermione. Quando lei si voltò a guardarlo, con l’orrore negli occhi, non
impiegò più di tre secondi a balzare in piedi e raggiungerla. «Che succede?».
I pensieri nella sua mente avevano iniziato ad
accavallarsi fra loro, desiderosi di diventare coscienti e gettarla ancora di
più nello sconforto più nero. «Tua moglie è incinta»
gli fece notare, secca. «Incinta, nel senso che una vita sta crescendo dentro di lei» continuò, deglutendo
rumorosamente. «Lei sta custodendo
un’anima, può decidere cosa farne. È la
padrona di un’anima». Lentamente, i suoi occhi neri si spostarono su Harry,
rimasto a fissarla basito. «Malfoy. Lui è un Araldo della Morte a causa mia».
Fortunatamente il Bambino Sopravvissuto dimostrò
di non essere tardo come lei gli
aveva più volte rimproverato. Lo osservò impallidire e reggersi al bozzolo di
Hermione, quasi si fosse sentito ad un passo dal perdere i sensi. «Perché ho la
sensazione che Fred, che tu hai
resuscitato, in questo momento si trovi con loro?».
Fred,
colui che è ritornato.
«Siamo stati così egocentrici da non capire» sussurrò, piena di orrore, lasciando che
quel dolore al petto la soffocasse, ma solo per un attimo. «Lui è da loro, sono loro le vittime, perché noi
saremmo stati troppo difficili da controllare e per questo dovevamo essere
allontanati» esalò ancora, tornando a guardare Barry, evidentemente sull’orlo
di una crisi di panico. «E tu. Se tu
non fossi stato qui, Philly non sarebbe stata rinchiusa. Stessa cosa per
Hermione» aggiunse, collegando i pezzi come se fosse stata intenta a ricostruire
un enorme puzzle.
«E se non avesse costretto Winnie a uccidere Fred,
tu non lo avresti resuscitato, lui non sarebbe ritornato» intervenne Harry,
passandosi nervosamente le mani fra i capelli. «E… e se non ci fosse stato
l’attacco a Diagon Alley, tu non avresti saputo che
Ophelia era incinta e non le avresti impedito di venire qui. E Malfoy… Tiresias sapeva
che sareste andati insieme a cercare il libro».
«Io-». Il dolore al petto divenne nuovamente
insopportabile e per un istante – un terribile
istante – Kate vide chiaramente il viso di Draco contorcersi per il dolore.
«Dobbiamo andare, subito! Per quanto
ne sappiamo, quel mostro potrebbe essersi introdotto nella base senza neppure
essere notato!» urlò, guardandosi
intorno in preda all’ansia.
Fu in quell’istante che notò la porta. E ciò che si nascondeva giusto dietro.
«Hermione. Dobbiamo liberare anche lei, non
possiamo lasciarla qui, finirebbe col morire» la fermò il Magizoologo, il tono
quasi impassibile. «Immagino che io dovrò restare e aiutarla» continuò,
tornando ad inginocchiarsi per riprendere da dov’era stato interrotto. Quello
non era un atteggiamento da Barry Maine, ma se c’era una cosa che sia lui che
Kate avevano imparato era arrendersi
all’inevitabile. E tutto ciò che era accaduto loro probabilmente fin dalla
nascita era inevitabile.
Harry lo guardò come se fosse impazzito. «Ophelia
è in pericolo! Possiamo lavorare
insieme per liberare Hermione e poi andare, non ti lasceremo qui da solo, potrebbero esserci altre mille
trappole e il dannato ragno che ha fatto
questo! Non dirmi che non è ancora in giro, non ti crederei» squittì,
istericamente, avvicinandosi per prenderlo per il braccio e costringerlo a
rialzarsi.
Fu Kate a fermarlo, le guance sporche di lacrime
rossastre.
Barry
aveva ragione.
«In un modo o nell’altro, lui resterà qui» gli
fece notare. «Tiresias non l’avrebbe fatto venire
qui, altrimenti. Vuole allontanarlo» continuò, voltandosi per osservare la
porta d’ingresso al magazzino, ancora sbarrata. «E tu resterai con lui».
«Sei forse
impazzita?». Fu un coro a due
voci che la aggredì, ma lei non vi diede molto peso.
«Era tutto previsto. Harry, tu dovrai assicurarti
che lui possa finire il suo lavoro e che non venga attaccato, così che anche
Hermione possa uscirne sana e salva. Io
andrò a fronteggiare Tiresias, da sola». Alzò la mano per impedire ai due di ribattere. Era terrorizzata. «Non lo capite? È una resa
dei conti, questa. Vuole che io
assista, che fallisca nel tentativo di fermarlo e che muoia sotto lo sguardo
impotente di chi li ha condannati all’Indefinito. Dietro quella porta» ed
indicò l’ingresso che aveva continuato a fissare, «ci sono così tante creature oscure da richiedere qualcosa
in più di un Auror
o un Magizoologo. Se dovessimo uscire
tutti insieme o se solo uno di voi dovesse seguirmi, verremmo certamente
attaccati».
«E tu
allora? Come pensi di farcela da sola?». La voce di Barry era priva di
qualunque emozione, tanto era l’orrore al pensiero di perdere tutte le persone
che aveva più care. «Una Succubus potrebbe mai
farcela da sola?».
Kate sorrise, nonostante dentro di sé volesse solo
mettersi ad urlare. «Non mi faranno del male. Probabilmente molti di loro sono
qui per scortarmi da Tiresias» gli fece notare,
iniziando ad avviarsi all’uscita, la bacchetta in una mano ed il pugnale
nell’altra. «Liberate Hermione, sono certa che tutti e tre riuscirete a trovare
un modo per raggiungerci e… salvare il
salvabile».
«Kate-».
«Harry, non mi faranno del male» lo interruppe,
voltandosi per dedicargli un’ultima occhiata, la bacchetta già alzata per
spalancare l’ultima difesa fra lei e l’oscurità. Con la coda dell’occhio, notò
mani artigliate pronte ad afferrarla e trascinarla via, proprio come aveva
immaginato sarebbe successo. «Io sono
l’ospite d’onore».
Un passo ed i Terrori Notturni la inghiottirono.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Io ve l’avevo detto che
non c’era da star tranquilli per Sisifo.
La #SuicideSquad
è diventata #SuicideSoloMission
Ah, sì, #PrayForDraco
Punti importanti:
» * - Mai fidarsi di un demone. Ha cento motivi per qualunque
cosa faccia e almeno novantanove sono cattivi. Tiresias è parecchio più lungimirante del previsto.
» 1 – Kate sta,
effettivamente, immaginando Eros, ma si tratta solo di una ricostruzione della
sua mente basata su ciò che ha studiato nel tempo. Eros, poverino, non è
riuscito mai a parlarle direttamente (fatta eccezione per dopo, c’è la nota
specifica) e lei ha semplicemente immaginato tutto per autoconvincersi di poter
cedere, di potersi sentire fortunata nonostante tutto. Quindi no, Katie non è
mai finita davanti all’altro padre immortale, era solo frutto del veleno. Ci
sono tante tracce di questo suo aver “creato” l’incontro con Eros (lo sguardo
di Barry, il modo in cui lui le parla…).
» 2 – Non avevo idea di cosa fargli dire. “Per l’amor del
Cielo” non mi è sembrata una frase poi tanto adatta, quindi boh…
» 3 – “Bestione da
compagnia” è la definizione che il Gran Sacerdote usò per spiegare gli Auctor/Amanti. Non essendoci rapporti familiari (come
invece accadeva quasi sempre) i Negromanti hanno sviluppato una certa stizza
verso questi legami, cominciando a paragonare un Auctor
ad un cagnolino federe.
» 4 – Nella mente di Katie, Eros si è “consumato” per
ottenere abbastanza potere da spedirla in una realtà alternativa. Eros non
avrebbe potuto farlo e, comunque, spesso amare vuol dire sacrificarsi, non
l’avrebbe salvata così a cuor leggero.
» 5 – Significa fulmine. Perché Katie era velocissima
sulla scopa. E Oliver è un biscottino alla crema che va protetto.
» 6 – IO AMO OLIVER BASTON
FOREVER NEL MIO CUORE!!! AMORE PERDONAMI PER QUELLO CHE TI STO FACENDO!!!!!!!!
SEI IL N.1!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! TI AMO OLIVER <3
» 7 – Questo “mondo”
che Kate ha creato con Oliver è quello che io immagino sia successo nel canon. Quindi Oliver ha avuto la sua cotta fin dal primo
anno di Katie (all’epoca non era una cosa razionale ovviamente, era solo grande
affetto) e pian piano l’ha sviluppata fino a scoppiare alla penultima partita
del terzo anno di Harry (Grifondoro vs Corvonero), quando poi sono finalmente
finiti insieme. È così e basta, non vi permettete a contraddirmi. Katie/Oliver
nel cuore proprio.
» 8 – Sant’Andrea è il
Santo Patrono della Scozia, il corrispettivo di San Patrizio in Irlanda! E
Oliver è un fierissimo scozzese che ha sempre festeggiato insieme a tutta la
sua patria. Ma poi si è ammorbidito per amore della sua Katie. Rimando alla
nota 6 per sottolineare come mi sento in questo momento.
» 9 – Katie era una
Grifondoro. Piton era un mostro con i Grifondoro. Non parlatemi bene di Piton
perché davvero mi viene l’acidità di stomaco. <3
» 10 – Come ha fatto Kate
a liberarsi del tutto prima degli altri due? Katie non è del tutto umana. Così come lo Stupeficium non fa volare via
Hagrid, un semplice veleno non la trattiene come gli altri. Quando ha evocato
il suo potere (che si era assopito), ha bruciato via tutto.
» 11 – Headcanon: Marco Antonio era l’Auctor
di Cleopatra. Hanno deciso di morire insieme. Passo e chiudo.
» 12 – Si tratta della voce di Eros, my boy <3
Dun Dun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!!
2.0
Il grande Mulciber, questo mostro
orrendo in realtà era soltanto il tipico pallone gonfiato con la
raccomandazione. Sì, si mangiava davvero le sue vittime e le torturava
psicologicamente, ma è diventato tanto grande
solo perché Tiresias da dietro le quinte tirava i
fili, rendendolo apparentemente più forte del previsto.
Poverello, se non avesse
torturato Winnie mi farebbe quasi pena.
Kate ha davvero bisogno
di aiuto.
E io ho un girone
infernale riservato.
E voi non avete ancora idea.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie