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Autore: Guido    08/09/2017    5 recensioni
Ormai è ufficiale: Voldemort è tornato. Il Mondo Magico si prepara per la guerra. Harry è ancora alle prese con la morte di Sirius, da cui solo Ginny lo riesce a distrarre. Invece, Draco Malfoy diventa un Mangiamorte, ma le cose non vanno come sognava: ben presto, deve capire se Voldemort lo voglia morto e se suo padre stia tradendo, ma non può più fidarsi neppure della sua stessa memoria. Mentre gli avvenimenti incalzano, i due arcinemici di Hogwarts intrecciano una corrispondenza che avrà conseguenze profonde per entrambi...
NOTA: l'OOC è cautelativo, ma un po' tutti i personaggi si trovano a manifestare lati del loro carattere poco visibili nel canone
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Da Mangiamorte a...'
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Et nunc manet in te

Et nunc manet in te



Ringraziamenti:
Le visualizzazioni del primo capitolo hanno superato il migliaio, mentre per “
Il Profumo della Libertà” siamo arrivati sopra quota millecento. Quindi, prima di tutto un caloroso “Grazie” a tutti: a chi passava di lì per caso, a chi si era sbagliato, a chi non è rimasto convinto... e a chi ha continuato a leggere.
A dire il vero, però, sembra che questi ultimi siano pochi. E mi piacerebbe conoscerne i motivi. Quindi, vi prego di recensire anche e soprattutto per sottopormi le vostre critiche: forse non sarò d'accordo, ma vi assicuro che ne terrò sempre conto.
Mariademolay: bentornata! Sì, Draco si lambicca parecchio il cervello, tanto che io per primo sono rimasto incagliato sul cap. per alcuni anni; ma del resto me la sono un po' andata a cercare, cacciandolo in una situazione in cui deve capire chi stia cercando di farlo fuori e non può fidarsi neppure dei propri ricordi...
Comunque, se non altro per
par condicio, adesso tocca a Harry andare un po' in crisi; e magari questo migliorerà la tua impressione di lui. O magari no. Mi saprai dire.
Quanto alla canzone di turno, credo che il testo prescelto si spiegherà da solo, una volta letto il capitolo.




Please don't tell me what to do
'Cause even if I wanted to
I couldn't throw my life away
By listening to what you say
I'm telling you, ain't nothing you can do to change my way
Hey, hey, hey
Ain't no way gonna make me think like you do


[J.M., Wandering Musician]



Il mattino seguente vide Harry riscuotersi a fatica – e in ritardo - da un sonno agitato.
Stavolta non c'entrava Voldemort, non c'entrava più da un po'. E, incredibilmente, non aveva rivolto a Ginny neppure un mezzo pensiero prima di addormentarsi.
Scrollando la testa nel vano tentativo di liberarla dalle nebbie di una stanchezza persistente, riuscì a mettere a fuoco il dormitorio deserto.
Colto da un improvviso senso di urgenza, che poco o nulla aveva a che fare con la colazione, si vestì in tutta fretta e si precipitò giù per le scale, fuori della sala comune, di corsa per scale e corridoi.
L'adrenalina finì di svegliarlo e il suo umore, già cupo, divenne nerissimo.
Malfoy. Porca puttana. Malfoy.
La sera prima, scrivergli quella lettera di risposta era sembrata un'idea geniale.
Certo, con Hermione e Ron ne aveva discusso un bel po'... ma, alla fine, perché non ribattergli colpo su colpo e lasciargli, nello stesso tempo, la porta aperta se davvero voleva mandare un gufo di rettifica alla Gazzetta? Anzi, perché non rilanciare, prospettandogli addirittura la firma congiunta?
Solo che replicare alla Parkinson e al giornale significava, per forza di cose, affrontare l'argomento dell'asserita, cosiddetta “parentela”.
La sera prima, era andato a dormire sentendosi piuttosto fiero di quella lettera: le parole erano di Hermione, ma idee e concetti provenivano tutti da lui (in effetti, sentendosi dire cosa avrebbe dovuto scrivere al riguardo, la sua migliore amica gli aveva lanciato uno sguardo strano), quindi poteva dire di aver tenuto testa validamente a Draco Malfoy.
Adesso, invece, si sentiva proprio un completo deficiente.
Raggiunse la Sala d'Ingresso mentre lo stomaco cominciava a brontolare, ma lo ignorò: era preso da ben altri problemi. Ad esempio... Perché aveva dovuto porre quella domanda?! E porla a Malfoy, per giunta?!
Attraversò la Sala Grande a passo di carica, indifferente alle teste che si voltavano, agli sguardi che lo seguivano. Sembrava che il pasto fosse appena iniziato: una fortuna, anche se il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri.
Raggiunto il solito posto, si limitò ad un rapido cenno di saluto generale. Erano tutti impegnati nelle solite chiacchiere: gli parve di capire che qualcuno fosse stato beccato a pomiciare in cima alla Torre di Astronomia. Non il migliore dei posti, poco ma sicuro.
Ron e Hermione lo fissavano, naturalmente.
Determinato ad ignorarli, attaccò a mangiare con una sorta di determinazione feroce che, unita ad un viso che minacciava tempesta, dissuase l'intera tavolata dal rivolgergli la parola.
Purtroppo, né il cibo né la mancanza di conversazione potevano impedirgli di continuare a darsi dell'idiota.
La sera prima, era stato quasi convinto che veramente non gli importasse nulla di una (im)possibile parentela con Malfoy. Più convinto di Hermione, con ogni probabilità, vista quella sua occhiata. E comunque, era andato a dormire sentendosi assolutamente certo che la lettera avrebbe persuaso della sua completa indifferenza anche l'osservatore più smaliziato.
Adesso, dopo una notte tormentata da mille dubbi e ipotesi su quella stessa parentela, il tono perentorio delle frasi uscite dalla sua testa (e plasmate dalla piuma di Hermione) gli sembrava soltanto una menzogna patetica. Un inganno tanto stupido da risultar trasparente. Anzi, da attirare addirittura l'attenzione su ciò che avrebbe voluto nascondere.
Era come sentirsi di nuovo sicuro di essere l'arma che Voldemort cercava.
Con una differenza: stavolta si era proprio consegnato nelle sue mani, pronto all'uso. Complimenti.
In un momento di irrazionalità pura, sentì di odiare il cielo brillante della Sala, quasi fosse un gigantesco riflettore puntato dritto sul suo segreto.
Ma sapeva, naturalmente, di non poter incolpare la luce.
No. Poteva – doveva - incolpare solo sé stesso.
Aveva rivelato il proprio punto debole a Draco Malfoy.
Un bastardo, un serpente, un bulletto disgustoso. Ma non uno stupido.
Malfoy avrebbe letto tra le righe. Nello splendore di quel mattino, Harry se ne sentiva sicurissimo, tanto quanto, nell'ombra della sera precedente, lo era stato dell'esatto contrario.
E, naturalmente, un attimo dopo quel Vermicolo sarebbe corso da suo padre, o addirittura da Voldemort in persona.
Il quale sarebbe stato felicissimo di sapere che, dopotutto, c'era un modo per colpire Harry Potter... nonostante tutte le protezioni escogitate da Silente. E nonostante l'Occlumanzia, nonostante il dolore, l'amore o qualunque cosa tenesse quel bastardo fuori della sua testa. No, non serviva nemmeno inviare visioni fasulle.
Bastava colpire la sua famiglia. Quella che tutti pensavano fosse la sua famiglia.
Come aveva fatto ad essere così stupido?!
Non gli era bastata la morte di Sirius? Voleva ammazzare qualcun altro, con la propria idiozia?
Per quanto detestasse i Dursley, detestava ancor più l'idea che Voldemort li uccidesse a causa sua. Neppure Dudley, anzi, neppure zio Vernon meritava un destino del genere. Be', per la verità, su zio Vernon poteva anche nutrire qualche dubbio... ma comunque non voleva nessuno di loro sulla coscienza. Certamente non Dudley, tantomeno zia Petunia.
La sorella di sua madre.
Con una stretta al cuore, ricordò il momento in cui zio Vernon, resosi conto del pericolo che costituiva, stava per sbatterlo fuori... e zia Petunia si era opposta. Dopo una Strillettera di Silente, certo, ma si era opposta.
Tanti anni prima, lo aveva accolto in casa pur sapendo – per averlo appena letto – che così avrebbe esposto sé stessa, suo marito e il suo adorato Didino a gravi rischi. E quella volta aveva voluto che restasse, anche se le aveva appena spiattellato, brutalmente, che Voldemort era tornato.
Non capiva perché l'avesse accolto e ancor meno perché l'avesse trattenuto, non ne aveva la minima idea. Certo non per affetto, vista la freddezza con cui l'aveva sempre trattato. Ma in ogni caso - e quasi a dispetto di sé stesso - sentiva di doverle qualcosa, in cambio di quell'ininterrotta protezione magica, anche se elargita a denti stretti. Nulla di trascendentale, per carità... però, almeno un minimo di attenzione a non mettere ancor più in pericolo lei, suo marito e suo figlio, questo sì. Glielo doveva.
E che cosa aveva appena fatto, invece?
Sorpreeeesaaa!
Vedeva già Voldemort comparire davanti ai Dursley, magari non sulla soglia di Privet Drive, ma in un posto qualunque... metti caso mentre facevano la spesa... qualche Babbano morto in più non sarebbe certo stato un problema, per quel pazzo, quando mai?!
Continuava ad ingurgitare cibo in perfetto “stile Ron”, tanto che l'amico lo guardava stupefatto; ma non ne sentiva neppure il sapore. Lo stomaco si era calmato, perlomeno. I pensieri, decisamente, no. Anzi.
Si ritrovò a domandarsi cosa avrebbe detto sua madre di tutto questo.
Sua madre, morta per fargli scudo dall'Anatema che Uccide.
Cosa avrebbe pensato, se avesse saputo che la sua unica sorella era stata uccisa dallo stesso maledetto assassino, massacrata insieme con il marito e il figlio... solo perché Harry era stato stupido, stupido, stupido?
Cosa gli avrebbe detto?
Forse “Non sei il figlio per cui sono morta!”?
O magari di peggio? Sarebbe potuta esplodere in una tirata degna della madre di Sirius?
Gli riecheggiò in testa il grido “Abominio! Vergogna della mia carne!”. E sentì di meritarlo. Completamente.
Finì di tracannare il succo, ma non riuscì a soffocare quella voce e nemmeno ad attenuare la propria angoscia.
Dopo cinque secondi, o magari cinque minuti o cinque secoli, in suo soccorso giunse un rumore familiare: la posta del mattino.
La posta che, forse, gli avrebbe portato una risposta di Malfoy. Una conferma della sua totale, anzi, criminale stupidità, per non dir di peggio. Ma forse, forse, forse...
Si riscosse. Voleva sapere.
Proprio in quella, gli atterrò davanti un gufo con due lettere. Due distinti rotoli di pergamena – uno per zampa - entrambi legati con un bel nastro di seta verde e argento. All'evidenza, una doppia risposta di Draco Malfoy.
Erano così tanti gli insulti vomitati dal suo arcinemico alla sola idea di una simile (pseudo)parentela? Harry si ritrovò a sperarlo, perché, in tal caso, avrebbe potuto credere che, nella domanda postagli, il Serpeverde non avesse letto nient'altro...
Ron e Hermione – che non potevano attirare l'attenzione sulla sua corrispondenza, date le circostanze – erano attenti a mostrarsi impegnati nel solito scambio di battute sul contenuto del giornale. Nulla di nuovo, per fortuna o purtroppo. Almeno, da quel poco che ne sapeva, nel mondo Babbano le guerre si combattevano tra eserciti in uniforme, su un campo di battaglia ben preciso. Qui, invece... si poteva davvero chiamare “guerra” questa serie angosciante di agguati, rapimenti, imboscate, Maledizioni Imperius alla prima occasione e quant'altro?
Bene, inutile rimandare ancora. Aprire lettere del genere a tavola non era esattamente l'ideale, ma comunque non avrebbe avuto un momento libero prima di pranzo. Si guardò intorno: i suoi compagni di Casa erano tutti assorti nel cibo, nella conversazione o nella posta ricevuta, ma Ron e Hermione lo guardavano di sottecchi. Proprio non gli restava via di scampo.
Trepidante, prese uno dei due rotoli - a caso - e lo aprì.
Cominciava con «Spett. Direzione»; tanto gli bastò per metterlo subito da parte e afferrare l'altro, capendo che lì avrebbe trovato ciò che gli premeva sapere.
Senza che lo notasse, i suoi amici si scambiarono uno sguardo preoccupato. E un secondo subito dopo, non appena lo videro sbiancare.
Non è possibile!
Posò la pergamena, riavvolse il rotolo e lo richiuse con il nastro, esteriormente impassibile; addirittura riprese a mangiare, senza avere la minima idea di cosa stesse mettendo sotto i denti; ma non riusciva a pensare altro che “Non è possibile!”.
Poteva crederci? E poteva non crederci?
Avrebbe potuto giurare che fosse tutta una sordida invenzione della Parkinson, per qualche suo strano, sordido scopo; ma, benché il suo cervello continuasse a strillare il più categorico dei rifiuti, la lettera di Malfoy lo costringeva ad ingoiare almeno una verità molto amara: dei propri parenti, possibili o impossibili che fossero, Harry James Potter, in realtà, non sapeva nulla.
Meglio: sapeva di non averne altri dalla parte di sua madre, perché così gli aveva detto Silente, quando si era, infine, degnato di spiegargli perché mai lo avesse consegnato nelle dolci manine dei Dursley. Ma i Potter? Chi erano i Potter?
Capiva perfettamente che proprio questa domanda lo aveva spinto ad interpellare Draco Malfoy; ma come valutare quella risposta? Gli avessero detto che il suo bisnonno era un Sasquatch emigrato dall'America, con quale certezza avrebbe potuto ribattere “Non è vero!”?
Avvertì una fitta dolorosa, ricordando l'immagine nello Specchio delle Brame: una famiglia.
Un'intera famiglia. Senza i Dursley, naturalmente. Ma con zii, nonni, cugini...
Eppure, si era fatto bastare un semplice album di foto dei suoi genitori.
Come se non fosse mai esistito nessun altro.
E non aveva fatto domande. Non sugli Evans, e passi: esclusa a priori zia Petunia, non restava nessuno cui rivolgersi. Ma nemmeno sui Potter.
Di colpo, si sentiva come se, in qualche modo, li avesse traditi tutti.
Tutta un'orda di parenti sconosciuti, vivi e morti... e il loro ultimo discendente non aveva fatto domande. Neanche una. Come se se ne fosse infischiato del tutto.
I Potter. Questi sconosciuti.
I Potter e i Malfoy?! Impossibile! Il suo cervello continuava a gridarlo.
Eppure... in fondo, che sapeva dei Potter?
Suo padre era un purosangue. Non gli veniva in mente nient'altro. E non era un bel punto di partenza.
Be', purosangue sì e no: per gente come Malfoy, James Potter era un “traditore del proprio sangue”. Ma, data la quantità d'oro rimasta alla Gringott, di certo i suoi nonni non lo avevano diseredato per il matrimonio con sua madre... oppure erano già morti?
Corrugò la fronte, sforzandosi di ricordare quella conversazione con Sirius. Che gli aveva detto, di preciso? “Tutte le famiglie purosangue sono imparentate in qualche modo”, d'accordo, ma che altro? Cos'era quel dettaglio...?
Ah sì: quando il suo futuro padrino era fuggito da Grimmauld Place, in rotta con la Nobile e Antichissima Casata dei Black, lo avevano ospitato proprio i Potter. I suoi nonni. Quindi, magari erano purosangue, ma di certo non fanatici quanto la madre di Sirius. Possibile che fossero davvero imparentati con lei?!
Magari si trattava di una parentela lontana. Che aveva detto Malfoy? “Un legame di sangue per parte Black”, nient'altro. Nessun'indicazione su quanto potesse essere stretto.
Epperò, stretto o largo che fosse, lo schifoso Serpeverde l'avrebbe mai ammesso, se non fosse esistito veramente?
Harry masticò amaro.
Per la prima e, auspicabilmente, unica volta in vita sua, avrebbe potuto giurare sulla sincerità di Draco Malfoy.
Tutto si sarebbe potuto inventare quella carogna, tutto. Ma non una cosa del genere. Neanche, anzi tantomeno, per confermare un'invenzione altrui.
Che aveva scritto il serpente? Ah sì, “Profonda ripugnanza”: per una volta, si sentiva completamente d'accordo con lui!
(Rabbrividì all'idea; tra Ron e Hermione – che fremevano, ma non osavano certo abbordare un argomento simile dinanzi a tutti i Grifondoro – corsero altri sguardi preoccupati).
Tornò all'altra lettera, sperando in qualche chiarimento ulteriore o, forse, in un'improbabile sconfessione di quanto appena letto. Ma, pur correndo subito al contenuto, non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia, vedendo che l'estensore l'aveva addirittura chiosata con abbondanti note a piè di pagina.

«Spett. Direzione,
in riferimento all'articolo del 5 u.s. “Nuovi dettagli sull'attacco a Hogsmeade” (pag. 4) e alla coeva intervista di pag. 5 in basso, dove vengono definiti “cugini” e “grandi amici”, i sottoscritti Sigg. Harry Potter e Draco Malfoy (1) desiderano precisare che, sebbene abbia effettivamente avuto luogo un connubio Black-Potter che, in altre circostanze, darebbe luogo ad un legame di parentela tra loro (2), nessuno dei due ha mai considerato l'altro un cugino o un parente di sorta; entrambi sono consapevoli – pur nella diversità della rispettiva posizione (3) – degli imperativi posti dalla salvaguardia della razza magica e delle relative conseguenze (4). Inoltre, tra loro non esiste, né mai è esistita da quando si sono conosciuti, un'amicizia purchessia, tantomeno una “grande amicizia”. E sarebbero disposti a confermare entrambe le circostanze anche sotto
Veritaserum (5).
Con l'occasione, anzi, mette conto precisare che l'intervistata, Sig.na Parkinson, non è precisamente una delle fonti più attendibili, come la
Gazzetta dovrebbe già sapere bene (6); alla sua radicata inimicizia verso il Sig. Potter sembra che, ora, si sia aggiunta una deplorevole tendenza alla millanteria, dato che – il Sig. Malfoy tiene particolarmente a fugare ogni dubbio sul punto (7) – ella non è mai stata la sua fidanzata, né egli sarebbe mai disposto a considerare l'ipotesi.


Distinti saluti,


(1) Derogo in tuo favore all'ordine alfabetico, Potter, unicamente perché credo che ciò aumenti le nostre speranze di pubblicazione. Mi piacerebbe infinitamente poter dire che, per questo, mi devi un favore... ma ahimè, suppongo che vada considerato un contributo all'interesse comune (Merlino, cosa ho appena scritto!). Puoi ricambiare facendo lo sforzo di ricopiare in bella, così sembrerai l'estensore della missiva. Siccome non mi aspetto granché dal tuo cervello lesionato, ti prego di NON copiare né queste note né i relativi numeri di chiamata; spero che riuscirai almeno a capire da solo il perché.
(2) Tengo a precisare che al tempo i Potter, pur non facendo parte delle Ventotto ed essendo stati alquanto compromessi dalle idee del tuo bisnonno Henry, erano comunque una rispettabile famiglia purosangue. Credo, in effetti, che i tuoi nonni per primi siano rimasti esterrefatti, allorché il loro unico figlio ha scelto di sposare la donna che, di lì a poco, sarebbe divenuta tua madre; ma erano troppo anziani o troppo deboli per reagire nell'unico modo adeguato. In famiglia, però, si racconta ancora che Dorea Black abbia trascorso in lacrime gli ultimi mesi di vita, finché un pietoso attacco di vaiolo di drago non l'ha sottratta al peso di tanta umiliazione. Tutto questo per dire che, a rigore, i tuoi nonni potrebbero anche restare annoverati tra i miei parenti... ma non era il caso di scriverlo al giornale. Ho preferito essere quanto mai drastico e oso sperare che sarai d'accordo.
(3) Apprezzerai l'ambiguità che consente di riferire il sostantivo “posizione” al nostro rispettivo grado di purezza di sangue, oppure alle opinioni che nutriamo al riguardo: confido che essa ti consenta di sottoscrivere in tutta serenità.
(4) Un'attenuazione del testo, su questo punto, non mi era possibile; dovrebbe bastare l'ambiguità di cui alla nota (3)... ma, ad ogni buon conto, osservo che tu potresti intendere l'intero passo come riferito alla guerra in corso. Non c'entra granché con il tema, è vero; però non sarebbe certo la prima volta che soggetti “imparentati” si trovano a militare su fronti opposti.
(5) Tranquillo, Potter, è soltanto un'iperbole. E comunque, io non avrei nulla da nascondere.
(6) Qui forse sto esagerando, dato che, in fin dei conti, al quarto anno Pansy ha fatto poco più che fornire pettegolezzi e malignità alla Skeeter; ma è bene che in quel giornale sappiano che non tutti hanno la memoria corta.
(7) E con questa formula poco cavalleresca, oltreché con ciò che segue, ho stroncato ogni eventuale progetto di matrimonio, casomai i miei ne avessero combinato uno con Pansy a mia insaputa. Ogni tanto mi è sorto qualche dubbio in tal senso; confido che comprenderai la mia scelta di risolvere l'eventuale problema una volta per tutte.
».

Si stropicciò gli occhi, incerto. Nell'insieme, era il testo più strano che avesse mai visto.
Espressioni come “connubio Black-Potter” (!) lo avrebbero fatto incazzare alla grande, se non fosse stato per il modo sbalorditivo in cui Malfoy si era impegnato e ingegnato a giustificare ogni singolo passaggio. Non avrebbe mai creduto che potesse comprendere così bene cosa gli avrebbe dato fastidio – anche se, in effetti, dopo tanti anni di prese in giro... - e tantomeno si sarebbe aspettato di vederlo abbassarsi a giustificare un qualunque aspetto del proprio operato. Doveva tenere davvero molto a quella firma congiunta. Forse era stata una buona idea.
Ma a lui in quel momento non importava affatto della firma, né del giornale, né di nient'altro.
Perché lì, nero su bianco, nella pubblica ammissione di quel... ehm... non-legame di parentela, stava la conferma definitiva della sua realtà. Impossibile nutrire altri dubbi.
Impossibile anche temere che avesse letto tra le righe. Non sarebbe riuscito a scrivere così. No. Neppure Malfoy poteva arrivare a tanto.
Gli girava la testa. In parte per il sollievo, ma soprattutto per la confusione: Draco Malfoy era... un cugino? Aveva capito bene? Non si capia in che grado, ma il dannato legame gli sembrava già fin troppo stretto.
E i suoi nonni... che diceva dei suoi nonni?
Rilesse la nota (2), restandone più confuso che mai.
Senza una parola, passò a Hermione la bozza di risposta alla Gazzetta, pensando vagamente che potesse controllare che non vi fossero significati reconditi o Maledizioni pronte a colpire chiunque avesse cercato di copiare il testo in bella.
Tutti si stavano alzando – Hermione con il naso immerso nella pergamena, ovviamente – e Harry si aggregò in automatico ai Grifondoro del sesto anno, diretti verso l'aula di Incantesimi. Non notò minimamente Ginny, che si aspettava almeno un cenno di saluto, e tantomeno il paio di occhi blu che gli rimase incollato addosso, seguendo con preoccupazione il suo evidente disagio. In effetti, non notò nulla di quel che avvenne intorno a lui, e neppure delle sue stesse azioni.
Nulla, per tutta la mattinata e oltre.
Pensava. Pensava, rimuginava e soffriva.
Sapeva che già al tempo della scuola James Potter cercava di far colpo su Lily Evans, ma... “la donna che, di lì a poco, sarebbe divenuta tua madre”? Che significava? L'aveva messa incinta e si era sentito in obbligo di sposarla?
Come la pensava davvero suo padre? Chi era?
Chi era quest'uomo di cui tutti parlavano bene, fin troppo bene, anche per un morto? Un purosangue con una famiglia giusto un po' meno oppressiva di Sirius?
Una rispettabile famiglia purosangue”, anche se non era nelle Ventotto, qualunque cosa fossero. Anche solo cercar di immaginare qualcosa che Draco Malfoy poteva definire “rispettabile” gli dava il voltastomaco.
Dorea Black. Sua nonna, se aveva capito bene. E piangeva perché il suo unico figlio aveva sposato una nata Babbana.
Sua nonna si vergognava di sua madre.
Poteva Harry Potter non vergognarsi di sua nonna?
Poteva non vergognarsi della propria famiglia?
Per quanto stringesse i denti, quel tormento non diminuiva.
Per quanto stringesse gli occhi, continuava a ripassargli davanti l'immagine vista nello Specchio delle Brame.
E, per quanto cercasse di esorcizzarla a suon di “Non mi importa, non mi importa...”, lo Specchio non aveva mentito allora e il ricordo non mentiva adesso. Gli importava, gli importava più di tutto.
Dannato Specchio. Fottuta immagine. Fottutissimi parenti bastardi.
Be', magari non proprio tutti.
Quel tale Henry Potter. Il suo bisnonno. Se le sue “idee” erano giudicate compromettenti, di sicuro non poteva pensarla come Malfoy!
Almeno un Potter non era stato il tipico purosangue, insomma...
Per questo lo avevano chiamato Harry?
Harry, non Henry: forse il diminutivo voleva sminuirlo, sminuire il piccolo che solo per compassione non era nato bastardo?
O forse, chiamandolo “Harry James”, suo padre aveva comunque voluto dirgli “Bambino mio, nonostante tutto, tu sei mio figlio, sei un vero Potter!”? (Qualunque cosa significasse essere un Potter, beninteso).
Forse, tra tutti i parenti, almeno suo padre non si era vergognato di lui?
Suo padre, che aveva pensato a salvare lui, aveva urlato a sua madre di mettersi in salvo con lui.
Forse li amava davvero, tutti e due, sua moglie e suo figlio. Avrebbe tanto voluto crederlo.
Oppure, forse aveva solo fatto la cosa giusta, senza nemmeno pensare. Un eroe, a suo modo, ma non nel nome dell'amore.
Forse, per lui erano stati soltanto... dovere.
Cosa sapeva di suo padre, dopotutto? Cosa aveva visto di lui, a parte il comportamento da bullo con Piton? Magari, chissà, si era sposato con sua madre come aveva salvato Piton: per dovere. O perfino per una sorta di nobiltà d'animo. Ma non certo per amore.
A chi poteva chiederlo? Morto Sirius, chi gli restava?
Sirius. Ora che ci pensava, doveva essere un cugino di qualche tipo... e non gliel'aveva mai detto, neppure quando stavano davanti a quel maledetto arazzo pieno di nomi. Di cosa si vergognava? Di essere un Black? Be'... ci poteva stare.
Nomi sull'arazzo, odiati.
Facce nello Specchio. Amate. Amate. Amate.
Aveva amato ognuno di quei volti senza nome. Tanto da non accettare mai fino in fondo l'amara verità: che quel non-riflesso mentiva, che lo stramaledetto Specchio mentiva.
Quella non era la sua famiglia. Era “soltanto” ciò che avrebbe voluto avere.
Le immagini di suo padre e sua madre corrispondevano alle foto, certo; ma, anche se fosse stato lo stesso per gli altri volti... comunque erano tutti morti. Morti. Morti.
Soltanto morti! Solo questo mi resta!
Anzi, peggio. Decisamente peggio.
Qualcuno vivo gli rimaneva ancora, sì. Ma di quelli che sarebbe stato meglio non avere affatto. Zia Petunia e Dudley da parte Evans...
…E, da parte Potter, Draco Malfoy.
Avvertì un fortissimo crampo allo stomaco.
Malfoy.
Malfoy e chissà chi altri ancora: dopotutto, se era imparentato con lui, poteva ritrovarsi inclusa nel pacchetto una buona metà dei Mangiamorte, per quanto ne sapeva. Anzi... cazzo, se Voldemort era veramente l'Erede di Serpeverde, sua madre doveva provenire dalla famiglia più fissata di tutte con questa storia del sangue puro! Sta' a vedere... Magari erano cugini alla lontana!
Attento a quel che desideri, Harry: potresti ottenerlo.
Fu un miracolo se non scoppiò in una risata isterica: si immaginava già le riunioni del parentado, intorno ad un grande tavolo da pranzo, e qualche vecchio nonno saggio che ammoniva Voldemort: “Figliolo, dobbiamo sempre ricordare che siamo tutti una grande famiglia... e cercare di ridurre al minimo le uccisioni e le stragi.”.
Deglutì a fatica.
Stava improvvisamente rivalutando i Dursley.
Avrebbe tanto, tanto voluto piangere. Ma stava troppo male per riuscirci.


Note:
In origine, questo capitolo si sarebbe dovuto articolare in due parti; ma, nel corso della stesura, quest'ultima è diventata troppo lunga e troppo diversa nel tono, quindi farà parte per sé stessa; e così, magari, potrò aggiornare più in fretta, dato che sono già a buon punto.
Il titolo mi è venuto in mente da sé, di colpo, e solo dopo ho capito quanto sia azzeccato per esprimere l'improvvisa consapevolezza, da parte di Harry, che la sua famiglia, ormai, sopravvive soltanto (o soprattutto) in Draco. Le sue fonti sono: il
Culex - poemetto dell'Appendix Vergiliana la cui autenticità è controversa - dove evoca la sorte di Euridice e la tristezza di vederla condannata a sprofondare negli inferi una seconda volta per l'errore del marito (“quid, misera Eurydice, tanto maerore recesti, / poenaque respectus et nunc manet Orpheos in te?”: vv. 268-9); e il ben più celebre libro Et nunc manet in te, in cui André Gide, dopo la morte della moglie, rievoca le vicissitudini del loro rapporto coniugale. Non credo che si possa seriamente dubitare del fatto che, qualunque cosa possa evocare per Harry il termine “famiglia”, si tratti di una realtà soggettiva sperimentata a partire da una morte, da una separazione definitiva; e lo Specchio, nel primo libro, dice molto su quanto ciò gli sia pesato. Ma, naturalmente, lascio a voi ogni giudizio.
L'accenno a qualcuno sorpreso a pomiciare alla Torre di Astronomia è una mia presa di distanza dal fanon, che ne ha fatto il luogo di ritrovo per le coppiette: considerato che, in prima battuta, nessuno dovrebbe essere in giro di notte, ha molto più senso il canone, dove ci si infratta nella prima aula deserta che si trova, o all'esterno in angolini appartati; di sicuro, un “posto degli innamorati” sarebbe una tappa fissa nei giri di Gazza, quindi butterebbe subito male. Anche se, indubbiamente, “Vuoi venire con me a guardare le stelle?” suona molto più romantico di “Signorina, perché non sale a vedere la mia collezione di stampe cinesi?”.
Una precisazione che non ho avuto modo di inserire nel testo, anche se forse si intuisce: Harry sa, perché l'ha sentito dalle sue stesse labbra, che Voldemort non può raggiungerlo mentre si trova a casa dei suoi zii; e ovviamente intuisce che la protezione si estende anche a loro (che infatti, nel canone, vengono messi al sicuro solo all'inizio del settimo libro). Ma ha comunque motivo di preoccuparsi: cosa impedirebbe a Voldemort di attirare lontano i suoi familiari, con un pretesto qualsiasi, come fa l'Ordine quando preleva Harry, nel quinto libro? E a proposito... se Privet Drive fosse al sicuro da qualsivoglia interferenza, perché quella sorveglianza continua (a parte la diserzione di Mundungus Fletcher)?
Beninteso: il mio Harry non è affatto equilibrato, anzi, passa da un estremo all'altro, non solo in termini emotivi (credo e spero che si capisca: appunto per questo ho insistito tanto sul contrasto rispetto a come si sentiva la sera precedente). Però non si sta ponendo un problema campato per aria, almeno non secondo me.
Il Sasquatch, a quanto ci dice la Row nella sua storia del MACUSA è una creatura magica americana, nota anche come “Bigfoot”; anche se Harry non sembra una cima su questi argomenti, mi è sembrato un buon esempio di ascendenza inverosimile.
Nella mia versione alternativa, Henry “Harry” Potter ha avuto due figli: Charlus era il primogenito e Fleamont il secondogenito (che, per semplicità, ipotizzo sia morto senza lasciare eredi, o comunque nessuno ancora vivo al tempo della storia). Non ho idea del perché abbia dato al primo un nome francese – non ancora, almeno - ma mi sembra più probabile che la “vittima” del desiderio della moglie di preservare, in qualche modo, il proprio cognome sia il secondogenito, no? Comunque, scordiamoci Fleamont, se anche ha procreato nessun suo discendente è ancora in vita, Harry è l'ultimo dei Potter. Mi pare, del resto, che lo dicano, ne “Il Prigioniero di Azkaban”... ma dovrei cercare di nuovo il passo.
La frase “siamo tutti una grande famiglia...” è una mia citazione a memoria dalla saga di Percy Jackson (il secondo libro, direi), dove è pronunziata dal dio Hermes. Fin dalla prima volta in cui l'ho letta, mi sono ripromesso di trovare un modo per usarla, prima o poi. E qui mi pare che faccia la sua figura!
Infine, ma non da ultimo: le crisi non sono affatto finite e, sulla scena, manca ancora qualche personaggio. Vedrete qualcosa già nel prossimo capitolo. Mi rendo conto che il corso dell'azione è un po' rallentato, ma tranquilli, cercherò di mantenere un equilibrio rispetto alle parti introspettive (che hanno un loro perché). Del resto, mi sono ripromesso di far succedere un bel po' di cose, quindi dovrò sia preparare il terreno, sia... farle succedere.

  
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