Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: theprophetlemonade_    11/09/2017    5 recensioni
«Alexander, non ti spaventa — dice Magnus alla fine — sapere che puoi provare dei sentimenti così forti per qualcuno che una parte di te ancora crede di conoscere a malapena? Perché a me spaventa da morire. Qualcuno che un giorno spunta nella tua vita, all'improvviso, e ti lascia senza alcuna possibilità di scelta a riguardo».
Alec incontra, nello specchio del suo bagno, un uomo che afferma di essere dall'altra parte del mondo. Da quel momento in poi la situazione s'impenna.
[Malec + Sense8 Clusters!AU → NON È NECESSARIO CONOSCERE SENSE8 PER POTER LEGGERE LA FIC]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clary Fairchild, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buongiorno ciurma! 
Come procede da voi? Da me piove da sabato e io sono immensamente felice. Mi erano mancati il tempaccio, il tè bollente, le felpe e il giubbino di pelle. Ogni volta che lo indosso mi sento un po' più Shadowhunter e non so se è una cosa che succede anche a voi o se sono scema io (il che è abbastanza plausibile). 
Comunque, sono felicissima che questa storia vi stia piacendo tanto e sono certa che anche questo capitolo non vi deluderà, soprattutto la parte finale. Tuttavia, devo darvi una brutta notizia: ormai ci stiamo avviando a grandi passi verso la fine della fanfiction. Oltre a questo, rimangono solo altri tre capitoli. Ho pensato fosse meglio avvisarvi, in modo che poteste già entrare nell'ordine delle idee che presto giungerà la fine (ma non vi libererete di me e delle mie traduzioni, sappiatelo). 
Vi ringrazio ancora una volta per tutte le visite, le recensioni, chi ha messo fra le seguite/preferite/ricordate. Grazie a tutti. Buona lettura, gente, e buon rientro a chi in questi giorni ritorna fra i banchi di scuola, invece in bocca al lupo a chi è in sessione autunnale come la sottoscritta. A giovedì! 
Un abbraccio, 
Starsfallinglikerain.

 

Capitolo 10
 

 
 
Sono trascorsi diciotto mesi da quando Jace è apparso nello specchio del bagno e Alec sta... bene. Non ha davvero altra scelta. Alcune sono giornate no, altre sono belle giornate, e altre ancora sono una via di mezzo. Lo svolazzare di sentimenti fra Simon e Jace fa emergere il lato più irritabile di Alec, ma Raphael lo trova infinitamente divertente. Alle volte, Alec guarda Lydia e non riesce a non pensare ai suoi genitori e alle aspettative che una volta avevano su di lui e ciò lo ferisce. Più spesso di quanto non accada, Magnus scivola all'interno della stanza, con un libro o un bicchiere che gli scintilla fra le mani, e profonde Alec di animate conversazioni, e Alec passa tutto il tempo a cercare di lottare contro la sensazione strana e stretta nel suo stomaco che minaccia di aumentare nella sua gola e di serrargliela con un groppo.    
Alec pensa a cosa avrebbe potuto essere diverso se quel giorno nel bagno non fosse successo nulla. Si chiede se le cose sarebbero andate nello stesso modo in cui sono andate: il suo lavoro, i suoi genitori, la sparatoria, o se tutte quelle cose non fossero che una conseguenza di una cosmica, minuscola decisione lungo la linea del suo destino. Si chiede quanto della sua vita, nell'ultimo anno, sia stata scatenata da Jace; quanto di ciò che è successo sia stato intrinsecamente legato alle decisioni delle persone nella sua testa. Si chiede quanto sia stato influenzato da tutti loro.            
Lydia ha toccato il fondo con l'indagine sul Circolo e ciò che è successo a Simon. Alec può affermare che lei e Magnus sono frustrati, ma Simon sembra solo essere grato che si sia placato tutto, grato di stare bene — che tutti loro stiano bene. Scherza sul tornare in tour — ha detto alla sua band che gli è morto un familiare e che non sapeva quando sarebbe tornato — ma Jace, Raphael e Maia l'hanno tenuto continuamente sott'occhio.
Alec non osa affermare che le cose siano tornate alla normalità, perché non c'è mai stata davvero una normalità, ma fiorisce un senso di calma provvisoria. È sin troppo facile dimenticarsi di ciò che è successo. Clary torna a preoccuparsi per frequentare un master; Raphael si apre alla possibilità di raccontare a sua sorella del loro cluster; Simon infastidisce infinitamente Alec con il suo cantare costantemente quando Alec sta cercando di dormire. 
Ma Magnus è ancora preoccupato. Alec non è sicuro che gli altri lo notino, il che è strano. Crede sia ovvio, il modo in cui il sorriso di Magnus delle volte non raggiunge i suoi occhi, o svanisce prematuramente quando nessuno, a parte Alec, lo sta guardando. Chiaramente non vuole che gli altri lo notino, nascondendolo dietro ai glitter, all'eleganza e alle stelle nei suoi occhi; dietro la brillantezza di tutto ciò, è preoccupato.
E tuttavia... Lascia che Alec lo veda.           
Magnus sta ancora pensando al Circolo, ai rischi, a come tenerli tutti al sicuro, e Alec non può fare a meno di sentirsi profondamente colpevole per il modo in cui Magnus ritiene di dover sopportare tutto ciò da solo, così che agli altri sia garantita la tranquillità mentale.  
Dev'essere un fardello per Magnus e Alec sa parecchie cose su parecchi fardelli. Cerca di fare ciò che può, in silenzio, in cuor proprio, senza aspettarsi un grazie o della gratitudine. Quando Clary ha bisogno di aiuto, Alec se ne fa una ragione e le dice ciò che pensa, così che non debba andare a disturbare Magnus. Quando Simon ha bisogno di un consiglio, Alec brontola, ma gli dice fermamente di sedersi sul suo divano e spiegargli il problema. Quando Jace sente che deve inspiegabilmente infastidire qualcuno per qualche ragione inconcepibile, Alec si sforza di chiudere un occhio quando ciò implica che Jace cade di peso sul suo letto e manda all'aria tutti i suoi libri.   
Chiedono tutti molto di Magnus. Si aspettano tutti molto da Magnus: aiuto, supporto, risposte, amore. Alec suppone che, mentre Magnus sembra avere un'inesorabile quantità di tutto ciò da donare, dovrà pur avere un limite. È solo un umano, sebbene cerchi di comportarsi come se non lo fosse.          
Delle volte, Alec vorrebbe metterli tutti a sedere e far dire loro impetuosamente: Grazie, Magnus.        
___________________
 
Alec è frustrato. Non che sia una novità. Si sente troppo spesso ferito troppo in profondità perché possa essere una cosa positiva per la sua pressione sanguigna; se il suo lavoro non lo facesse morire prematuramente, lo farebbe la connessione.  
È seduto alla sua scrivania al distretto, vagamente conscio dei telefoni che squillano e delle chiavi che tintinnano da qualche altra parte, ma è assorbito dalla forte musica che pulsa nelle sue tempie, aggrovigliata con i bagliori di luci stroboscopiche che non può vedere e che gli fanno lacrimare gli occhi. Stringe le dita attorno al bordo della scrivania, le braccia distese, e implora che il rumore finisca.
Maia è in giro per locali, Jace e Simon sono in un bar da qualche parte e pensa che Lydia abbia una conferenza stampa oggi, e il pensiero di tutti loro così vulnerabili, allo scoperto, fra persone senza  alcuna inibizione, e senza inibizione loro stessi — lo riempie con una peculiare sorta di terrore.        
Sa che sta reagendo in modo esagerato; pensa a quando Izzy aveva diciassette anni e sgattaiolava nei bar con una carta d'identità falsa e Alec rimaneva alzato, camminando avanti e indietro per la sua stanza tutta la notte, finché non tornava inevitabilmente sana e salva. Sa che non può obbligarli tutti a rimanere a casa solo per via di ciò che è capitato a Simon.       
Ma, Dio, vorrebbe poterlo fare.        
Si sentirebbe molto meglio riguardo a molte cose.   
Mentre fissa lo schermo del suo pc, Alec considera l'idea di chiedere loro di andarsene tutti a casa. Se alzasse la voce quel tanto che basta, o se rivolgesse loro quello sguardo che ha appreso da sua madre, forse lo ascolterebbero. Ha visto il modo in cui Magnus riesce a rimettere Jace al suo posto solo alzando un sopracciglio. Alec vorrebbe avere quell'autorità su di loro; fulminerebbe qualsiasi cosa per essere certo che sono tutti al sicuro e fuori pericolo.    
Un brivido corre lungo la sua schiena. La sensazione di avere degli occhi puntati addosso è irremovibile, e non è mai stata una cosa che sa gestire bene, anche se gli occhi che percepisce stanno guardando Maia ballare, o Jace e Simon che ridacchiano nei loro shottini, o Lydia che fa un discorso provato fino allo sfinimento su un palco. Si sente esaminato, ansioso, nudo.     
Il pensiero del Circolo pesa gravemente nella sua mente, seguito repentinamente da qualcosa che Clary gli ha detto nella sua auto, prima dell'inverno: Sei protettivo con noi.    
Accidenti a te, Fray, impreca Alec. Odia il fatto che avesse ragione.         
Quasi quanto odia l'inettitudine dell'essere bloccato alla scrivania quando sa perfettamente come sopporterebbe gli occhi che lo osservano, giusto per essere al fianco di Maia, o mentre copre le spalle a Jace, o mentre guarda Lydia dalla folla, scansionando il pubblico per essere certo che sia al sicuro.
Desidera essere lì, essere ovunque. È qualcosa che crede di aver sempre voluto, specialmente crescendo con genitori che si aspettano il mondo da lui e con fratelli ostinati ad esplorarlo, il mondo; il bisogno di essere ovunque, a fare tutto, a guardare che ognuno sia radicato nelle proprie ossa.          
E tuttavia ancora non riesce a visitare nessuno. E ciò è atroce.       
«Beh, ma ci provi?» dice Maia. Appare, appollaiata sulla scrivania di Alec, facendo una bolla con il chewing gum e guardandolo nei suoi sforzi, chiaramente disinteressata. Brilla a causa del trucco appariscente sui suoi occhi e la sua pelle riluce del lieve strato di sudore procuratosi ballando, ammassata fra corpi che si agitano. Respira un po' a fatica, ma la musica che risuona nella testa di Alec si è acquietata un po', quindi forse è sgattaiolata in un bagno per rimproverarlo per il fatto che si lamenta così tanto.
«Certo che ci provo» risponde Alec, sulla difensiva. «Sto facendo quello che ha detto Clary, io — io penso a dove voglio andare e... E non funziona».  
«Dove vuoi andare?».           
Alec aggrotta le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto. Non vuole farsi coinvolgere da questa lezione, indipendentemente dal fatto che è ancora al lavoro, nella centrale. I pensieri ribollenti di inadeguatezza non sono mai un bene, per lui.         
«Evidentemente non importa» borbotta Alec. «Non c'ero per Simon quando ha avuto bisogno di me. Non riesco a visitare Jace quando voglio. Non posso nemmeno aiutare Magnus se non —».     
Alec  si blocca, stringendo le labbra in una linea sottile.     
«Non puoi aiutare Magnus» ripete Maia, lentamente. Solleva un sopracciglio, per nulla entusiasta. «Sai, Alec, non verterà mai sul dove vuoi andare».   
«Questo lo so».         
«Hai provato a visitare Magnus?».   
L'orecchio di Alec formicola, il calore sale fastidiosamente sulla sua nuca. Stringe i denti e distoglie lo sguardo da Maia.  
«Ovvio che ci ho provato».   
Lo guarda come se non credesse a una parola di quello che ha detto. Non è sicuro del motivo, perché — perché ci ha provato, dannazione. Ha provato così tanto a visitare Magnus. Vuole essere come Magnus, aiutare gli altri, vuole tenerli al sicuro. Ha cercato di concentrarsi sul profumo di legno di sandalo, sul colore degli abiti di Magnus, sulla sensazione del whiskey che scende lungo la sua gola. Tutte quelle cose riguardano Magnus, ma —.      
Ma ogni volta che ci prova è come se ci fosse qualcosa che disturba la sua concentrazione. Un peso nel petto, il calore sulle sue guance, quest'immensa autoconsapevolezza che ha quando Magnus lo visita. E lo rende così... Confuso.           
«Hai provato a visitare Magnus» dice nuovamente Maia, impassibile. «Non il luogo in cui si trova Magnus. Non le cose che ti ricordano Magnus. Non perché vuoi essere capace di fare questa o quella cosa o perché così puoi avere un piedistallo da cui tenere ognuno sott'occhio, o qualsiasi sia il motivo. Hai provato a visitare Magnus solo perché è Magnus?».     
Quando Alec non risponde, Maia sospira, facendo rotolare il chewing gum nella sua bocca.       
«Senti, Alec» dice. «Non sto tentando di screditarti, ma non puoi mentirmi. So che sei triste. Frustrato. O in qualunque modo tu ti senta. Sto cercando di prendermi cura di te, perché ti stai auto-flagellando per questa storia di Simon e hai questo assurdo complesso da fratello maggiore. So quanto vuoi essere in grado di visitarci, e, credimi, allo stesso modo Magnus desidera che tu lo visiti. Devi solo... Aprire gli occhi. Fa' qualcosa per te, per una volta, okay? Accidenti».     
Scompare prima che Alec possa battere ciglio, tornando agli inebrianti e frastornanti colori e alla musica martellante di Tokyo e le orecchie di Alec ricominciano a ronzare. Serra la mascella così duramente che i suoi denti iniziano a dolere, le dita affondano nelle braccia.        
Non ritorna in sé fino a che Raj volta l'angolo e dice sbrigativamente: «Ehi, Alec, stavi parlando in Giapponese?».
___________________
 
Fa' qualcosa per te.   
Alec non sa davvero cosa significhi. Fa cose per sé da tutta la vita: badare a sua sorella, perché gli dà tranquillità mentale; seguire le orme di suo padre, perché sapeva che avrebbe reso suo padre fiero; essere intelligente e gentile e sforzarsi così tanto di essere il figlio perfetto, perché ciò che aveva sempre desiderato era che sua madre sorridesse quando varcava la soglia. E ora — vedere come vivono le persone nella sua testa, voler essere i loro occhi fra la folla, voler guardare loro le spalle, desiderare che ciò che è accaduto a Simon non accada mai a nessun altro...          
Tutte quelle cose sono per lui. No?   
In lontananza, Alec ha l'impressione che Maia stia alzando le mani al cielo, esasperata.   
Alec è così vicino a scattare. Sa di essere intensamente protettivo, di essere scostante ed arrogante alle volte, di essere solo e che non sarà mai quel genere di "persona normale" che brama disperatamente di essere, ma... Non dovrebbe essere punito per questo, vero? Perché non si sta rassegnando. Non è sbagliato voler stare con qualcuno. È un eco di tutte le parole rassicuranti che Izzy gli ha detto dopo aver fatto coming out, e forse la situazione è un po' diversa, forse dovrà imparare di nuovo tutta quell'auto-accettazione, ma...           
Quando va a dormire, quella notte, chiede silenziosamente a Raphael di insegnargli una preghiera, e si inginocchiano entrambi ai piedi del letto di Alec, Alec con le mani fermamente giunte, implorando, supplicando che gli venga concessa questa sola cosa.    
Brevemente, i suoi pensieri si rivolgono a Magnus. Non sa il motivo, ma, assieme alla martellante musica da discoteca e l'ansia che si accumula nel suo petto, sta diventando una costante su cui può contare. Pensa al modo in cui Magnus gli ha stretto le mani quella notte dopo il concerto di Simon e fa qualcosa per sedare la furia  nel suo petto. Lo fa sempre.          
Maia schiocca la lingua.        
«Ce la stai facendo» dice.     
___________________
 
«Non vestirti per me».          
È presto, a malapena l'alba; l'orologio sul comodino di Alec non segna ancora le sei del mattino. Solo l'abat-jour è accesa, quindi la stanza di Alec è ancora sfocata e grigia, e c'è ancora del sonno  avvinghiato alle sue ciglia.
Alec, mezzo vestito per il turno di lavoro, aggrotta le sopracciglia in direzione dello specchio per un istante, le dita si fermano sul primo bottone della sua camicia — ma poi scuote il capo affettuosamente.
«Va bene»  commenta Magnus, appollaiato da qualche parte alle spalle di Alec. Forse ha un appuntamento con un cliente presto quella mattina, o forse oggi il suo fuso orario è molto diverso da quello di Alec, o forse non è ancora andato a dormire. Le gambe sono accavallate, in modo disinvolto, ma i suoi occhi sono fissi su Alec, nonostante Magnus tenti di fingere di ammirare le sue unghie. «Ma mi è piaciuto quello che ho visto».
«Devo lavorare» spiega Alec. «Ma tu devi mai lavorare?». 
«È un commento beffardo quello che sento, Alexander?» lo punzecchia Magnus, le labbra sollevate negli angoli. «E sì, lavoro. Parecchio, dovrei aggiungere». Solleva suggestivamente un sopracciglio e Alec alza gli occhi al cielo, esasperato. «Ci sono parecchi benefici nell'essere il tuo stesso capo, tesoro. A cominciare dalla scelta del tuo orario di lavoro. Forse dovresti venire a lavorare per me. Sono sicuro che ci divertiremmo».
«Non sono un avvocato» gli fa notare Alec, con un lieve sguardo di rimprovero.
«Oh, ma sei un poliziotto» replica Magnus in modo spigliato. Si alza in piedi ed Alec lo osserva attentamente nello specchio. Fa qualche passo verso Alec e poi lascia che i suoi occhi scivolino lungo il corpo di Alec, un dito appoggiato sulle labbra, pensieroso. La pelle di Alec formicola. «E conosci la legge. Potremmo farlo funzionare».           
«Penso che Lydia o Raphael sarebbero una scelta più indicata».    
Alec continua ad abbottonarsi la camicia, le sue dita sono più impacciate del solito mentre lottano con i bottoncini. Spera che Magnus non lo noti, ma Magnus sembra essersi isolato nei propri pensieri, i suoi occhi sono lontani.
«Per quanto voglia loro un bene dell'anima» dice Magnus. «Lydia è terribilmente rigorosa e temo che io e Raphael finiremmo per ammazzarci a vicenda se stessimo nella stessa stanza per più di un'ora».   
Magnus ha sempre tracciato una linea molto sottile fra l'essere prodigo e l'essere sfuggente riguardo al suo passato: condivide quando gli viene chiesto ma, per principio, Alec l'ha trovato una persona estremamente riservata. È un qualcosa che Alec rispetta e ammira, perché non è un'impresa facile. La privacy è un qualcosa di complicato quando altre sette persone possono accedere liberamente ai tuoi pensieri più intimi.
Ma ciò non ferma Alec dal volerne sapere di più. Ha sempre amato le storie, sin da quando era un bambino.
«Pensavo andassi molto d'accordo con Raphael» Alec sorride delicatamente. «O più d'accordo rispetto al resto di noi».   
«Raphael non va d'accordo con nessuno» sospira Magnus drammaticamente. «Ma è stato il primo di voi che ho incontrato, quindi suppongo che avremo sempre quel feeling».      
«Sì?» chiede Alec, deciso a sfruttare al meglio l'umore di Magnus. «Com'è stato?».        
«Onestamente? Esilarante. Ma Raphael lo negherebbe se lo dicessi ad anima viva. Però è stato bello. Come tornare a casa dopo una giornata particolarmente ardua al lavoro. Molto diverso dalla mia prima volta».
Incrocia il suo sguardo nello specchio, sopra la spalla di Alec. Alec solleva le sopracciglia, come per spingerlo a continuare.     
«È stata dura» ammette. «Ero giovane, stavo cercando di capirci qualcosa e non avevo nessuno. Camille e Ragnor non erano minimamente d'aiuto, come puoi immaginare. È stato orribile all'inizio».         
«Chi è stato il primo? Il primo che hai incontrato?».           
Il sorriso di Magnus si fa assorto e alza lo sguardo verso il soffitto per richiamare il ricordo.       
«Ragnor, in qualche modo»  dice. «Certamente, avrebbe dovuto essere l'ultimo. Era così scorbutico. Non aveva mai tempo. Ma è stato il primo che ho incontrato ed io sono stato il primo che lui ha incontrato, e — avevo dato la colpa al whiskey, lì per lì. Ero così sconvolto che non ho bevuto per un mese. Un mese».         
«Come hai... Sai, reagito? La prima volta che è apparso Ragnor, intendo».          
«Mmmh» ridacchia Magnus. «Ragnor era flemmatico, ovviamente. Ha a malapena battuto ciglio, come se non fosse qualcosa di diverso da un sassolino nella scarpa. Per quanto mi riguarda, beh. Forse sarebbe meglio per la mia reputazione se rimanesse saldamente nell'oblio, Alexander».         
Alec si chiede come fosse Magnus allora. Magnus ha avuto una vita intensa, molto più eccitante di qualsiasi cosa Alec abbia mai fatto: ha vissuto in più paesi di quanti Alec conosca per nome, ha provato cibi che Alec sarebbe riluttante ad assaggiare, cambia lingua come se stesse semplicemente accendendo la luce. Ma, prima di tutto ciò —.           
Alec si chiede come sia cambiato Magnus. Chi l'abbia cambiato. Chi fosse Magnus prima di essere l'uomo che sta in piedi dietro di lui nello specchio, c'è qualcosa di schivo e curioso che danza nel suo sguardo?    
«Desideri...» inizia Alec. «Desideri mai che non fosse mai successo? Di essere... Normale?».     
Magnus non spreca nemmeno un battito cardiaco, le sue sopracciglia si aggrottano.        
«Pensi di essere normale, Alexander?».       
Alec inspira.   
«Magnus...» lo mette in guardia, piano. Incontra lo sguardo di Magnus nello specchio mentre finisce di abbottonarsi la camicia. Magnus alza gli occhi al cielo, ma fa un ulteriore passo verso Alec, entrambe le mani si posano sulle sue spalle. Fa scorrere le dita sull'ampiezza della sua schiena, incantato dalla forza che Alec vi trattiene, i suoi occhi sono fissi sulle pieghe della sua camicia. Alec non respira fino a che Magnus non riporta lo sguardo su di lui, c'è qualcosa di intenso nel suo sguardo ora.         
«Sette miliardi di persone hanno vissuto questa giornata in modi completamente diversi. Ma noi otto — noi abbiamo vissuto questa giornata nello stesso identico modo. Ed è una cosa meravigliosa, credo» dice Magnus. «Permettere a qualcuno di vedere quella parte di te, condividere ogni pensiero e sentimento; stringere la tua mano nella felicità e nell'angoscia  e... Nell'amore. Non è una maledizione. Non è un qualcosa di cui mi rammarico. Mi ha ferito più di quanto non osi ammettere, ma — quando ho perso tutto questo la prima volta — beh. Mi sono chiuso al provare sentimenti per qualcuno per un tempo molto lungo. Non avrei mai pensato di avere una seconda possibilità di conoscere qualcuno nel modo in cui voglio conoscere te». 
Stringe le spalle di Alec e il respiro di Alec si blocca.         
È straordinario, non è vero? Quanto Alec possa sentirsi timido e sconvolto accanto a qualcuno che lo conosce, dentro e fuori, che inciampa con lui sulle parole che cerca così disperatamente di pronunciare, che sa sempre cosa  sta per dire o per fare prima ancora che lo dica o lo faccia. 
Prima che se ne renda conto, Alec sta sorridendo.  
E il volto di Magnus si illumina.       
«Sorride!» ride Magnus, le sue mani lasciano le sue spalle solo per applaudire una volta, entusiasta. Alec si volta per guardare Magnus in faccia, timido, ma il suo stesso sorriso si amplia. La gioia di Magnus è magnetica. «Raphael mi deve un sacco di soldi. Lo sapevo!».
«Sei ridicolo» dice Alec, incrociando le braccia sul petto — ma il suo tono è leggero. Spensierato.
«Tesoro» fa le fusa Magnus, estasiato. Toglie della polvere immaginaria dalla spalla di Alec e le sue dita indugiano, seguendo la lunghezza del bicipite di Alec. «Con piacere».           
Non c'è un momento fulminante per Alec. Non è davvero certo di come sia arrivato dal suolo di quel vicolo a qui. Di certo, è accaduto in modo violento e rapido e inelegante, ma —.   
Pensa per un momento a Maia e alle sue parole: Apri gli occhi. Fa' qualcosa per te.         
Qualcosa si piega nel petto di Alec con un respiro, lento e bellissimo. Gli ricorda la musica udita attraverso porte chiuse o la pioggia che batte sulle finestre, a mezzo continente di distanza. Assomiglia molto alla sensazione che ha avuto all'ospedale, quando i suoi occhi si sono posati davvero su Magnus per la prima volta.
Un senso di conclusione. Di inevitabilità. Finalmente. Questo è ciò che mi stavo perdendo.        
Nella prima luce mattutina che filtra attraverso le imposte, disperdendo pulviscolo sul pavimento in legno massello, Alec vede Magnus per la prima volta. Vede l'intenso colore della sua giacca jacquard,  i riflessi dorati nei suoi capelli, il morso piacevole dei gioielli sulla sua gola. Inspira il profumo di legno di sandalo, ma anche caffè, ode qualcosa di simile ad un miagolio in lontananza, è trascinato dal canticchiare di un vecchio stereo. È come se si fosse sollevata una pellicola che gli copriva gli occhi e finalmente vedesse i colori, dopo aver trascorso così tanto tempo sommerso dalle sfumature del grigio e della seppia.     
Qualcosa va al proprio posto.           
«Magnus...» dice Alec lentamente. Il sorriso di Magnus raggiunge i suoi occhi, in profondità, e c'è un'oscillazione nelle sue spalle mentre si avvicina ad Alec, finché non sono faccia a faccia. La mano di Magnus continua a scendere lungo il braccio di Alec, finché solo il suo indice si libra lungo l'avambraccio di Alec, sul suo polso, delicato sulle sue nocche. Solleva pigramente lo sguardo su Alec e l'aria attorno a loro sembra gocciolare, lenta e sdolcinata. Magnus è sempre stato bellissimo, ma il modo in cui è stretto nel petto di Alec ora è qualcosa di diverso. Non l'aveva realizzato prima?
Una scintilla d'elettricità trova strada attraverso le vene di Alec ed egli percepisce l'estremità di ogni nervatura, solleticata, infiammata ed estremamente vigile, come se fosse stato mandato al tappeto, stupito. I suoi polpastrelli formicolano ed apre la bocca per parlare.     
E poi le dita di Magnus si agganciano alla mano di Alec ed improvvisamente Alec non è più nel suo appartamento.
O meglio, è nel suo appartamento, perché una qualche parte di lui riesce ancora a sentire il pavimento di legno duro sotto i suoi piedi e riesce ancora ad annusare un vago rimasuglio del profumo di Izzy nell'aria, ma —.   
Ma riesce anche a sentire l'elegante tappeto su cui sta poggiando i piedi e percepisce qualcosa di simile allo zucchero caramellato nella parte retrostante della propria lingua e si irrigidisce quando qualcosa di piccolo e soffice si struscia contro le sue gambe facendo le fusa.           
Abbassa lo sguardo e una risata gli esce improvvisamente dalla gola.        
«Hai un gatto» dice, senza fiato. «Tu... Hai un gatto». Magnus gli sorride raggiante.      
«Il suo nome è Presidente Miao» dice Magnus. I suoi occhi traboccano di qualcosa di violentemente dolce, che si conficca nella gola di Alec. «Gli piaci. Di solito non gli piace nessuno».   
Magnus stringe le sue dita e poi lo lascia andare e, per un istante, ad Alec manca quel contatto, la sua mano stava quasi per sporgersi ad afferrare le falde della giacca di Magnus mentre vaga per la stanza con un'oscillazione ancor presente nelle spalle e un balzo nei suoi passi.         
Perché è con Magnus. È a casa di Magnus.
Sta succedendo veramente? Finalmente? Non sta sognando, vero?           
«Come...?» inizia Alec, abbassando lo sguardo sulle sue mani, come se potesse avere la risposta stretta nei suoi palmi. Il gatto — piccolo, soffice e grigio — si siede davanti ai piedi di Alec, leccandosi le zampe con noncuranza e pulendosi dietro  le orecchie. L'aria è calda — più calda che nell'appartamento di Alec e Izzy, con le sue pareti sottili e le porte piene di spifferi — e leggermente dolce sulla lingua di Alec. C'è un dipinto appeso al muro, ampio, imponente e pieno di colori sfarzosi, e poi un mandolino antico e barocco appeso dalla parte opposta, estremamente vecchio e consunto. Ci sono cuscini rossi e dorati allineati sui divani — entrambi neri e lucidi — e un giradischi sta riproducendo un vinile in un angolo della stanza, il suono basso e malinconico del canto del cigno di un violoncello riempie lo spazio.       
La casa di Magnus è lussuosa e opulenta e tutto ciò che Magnus stesso è, il tutto stipato fra quattro mura ed un tetto, e — Alec è lì. Alec è qui.      
Si tratta di focalizzarsi sul pensiero di dove vuoi andare, aveva detto Clary, tempo fa.     
Penso semplicemente con chi voglio parlare, aveva riso Simon. O di cosa ho bisogno.    
Hai provato a visitare Magnus solo perché è Magnus? gli aveva detto Maia.       
Alec guarda Magnus, che si è fermato di fronte alle portefinestre, sommerse da tende viola spesse e pesanti. Le apre con un gesto plateale e poi apre le porte che conducono alla terrazza.       
Alec non ha il tempo di pensare dove sia o perché sia lì.     
La luce del sole lo acceca per un istante, scorrendo sul fiume in raggi gialli e aurorali. Strizza gli occhi, alzando una mano per proteggerli. Inala il sapore della città. La forma dei grattacieli si fonde; l'ombra in primo piano diventa qualcosa di simile ad un ponte —.    
Il respiro gli si blocca in gola e poi trapassa le sue labbra sottoforma di una parola.          
«Brooklyn» dice senza fiato, l'orizzonte che gli si para di fronte fin troppo familiare. Sono a Brooklyn. Magnus vive a Brooklyn. «Tu vivi a Brooklyn».    
«Esatto» dice Magnus, un sorriso soddisfatto impresso sulle sue labbra mentre si volta per guardare Alec in faccia, la luce forte lo illumina da dietro, definendo i bordi della sua silhouette solida. Dietro c'è il Ponte di Brooklyn, fiero e inconfondibile. «Però preferirei che non lo dicessi in giro. Tendo a tenere le tende chiuse quando gli altri mi visitano. È abbastanza semplice per me non apparire in un posto, cosa che faccio per lavoro, ma trovo più sicuro quest—.».           
«I-Io —» lo interrompe Alec, ogni speranza di eloquenza è gettata da quelle finestre aperte alle strade della città sottostante. Non riesce a crederci. Tutti quei mesi, tutto quel tempo, e Magnus era solo — dall'altra parte della città rispetto a lui. E ora Alec è — «I-Io — Sono a Manhattan. Io —».
«Lo so, tesoro» Magnus sorride. Sorpassa un tavolino per alcolici a forma di mappamondo — un tavolino per alcolici a forma di mappamondo — posto vicino al divano e si versa un bicchiere di whiskey. Gli anelli alle sue dita tintinnano contro il vetro. Prende un sorso prima di ribattere, ma gli occhi di Alec non lo lasciano per un secondo. «Per quanto ami l'uomo in divisa, non ero così preso alla sprovvista da non vedere il piccolo distintivo del dipartimento di polizia di New York sul tuo petto, lì, la prima volta che ti ho visto. Con o senza tutti gli altri da essere così gentili da tenermi aggiornato su di te. È stato abbastanza faticoso aspettare che ti facessi vivo».      
Alec arrossisce.          
«G-Giusto». Abbassa lo sguardo sul suo petto, le dita si sollevano per sfiorare il distintivo agganciato all'altezza del suo cuore. «Giusto». Sembra tutto così reale. Sta succedendo. Sta finalmente facendo visita a qualcuno. Sta davvero facendo visita a qualcuno.     
Il sorriso di Magnus si solleva agli angoli delle labbra, diventando un po' più schivo. Fa mulinare il whiskey nel bicchiere e guarda Alec da sotto le ciglia.    
«È eccitante, no?» chiede. «Il pensiero di essere così vicini fisicamente. Chiedersi se ci siamo mai incrociati per strada. So che ci sto pensando. E non poco».          
Alec non si è mai sentito così pieno, così sopraffatto, tanto da scoppiare. In un certo senso è disagevole, sgradevole, e una parte di lui vorrebbe grattarsi via la pelle dal petto e aprirlo, così che il sentimento potesse sgocciolare come un rigagnolo sul suo stomaco. Si sente dissestato, come se le cavità vacue fra le sue costole che aveva cercato di bilanciare per tutta la sua vita fossero improvvisamente piene e dovesse imparare di nuovo come camminare.   
Magnus sembra leggere il tumulto che lampeggia sul suo volto, perché le sue labbra si stringono a formare una linea fina, segno della sua preoccupazione, e appoggia il suo whiskey, avvicinandosi ad Alec.
«Alec?» dice. «Stai bene?».  
Alec fa una smorfia, la pelle fra le sue sopracciglia è corrugata. Incrocia le braccia sul petto, stringendo con forza il tessuto della sua camicia, tenendo tutti quei nuovi pezzi compressi dentro di sé.  
Vuole sapere se è così che si sentono gli altri — se è così che si sono sentiti, dal primissimo istante, persino dalla loro prima visita. Dovrebbe saperlo se così fosse, no? Suda quando Jace suda, prega quando Raphael prega, si stizzisce quando Maia si stizzisce. Riesce a provare ciò che provano —.      
E tuttavia non si è mai sentito così prima d'ora. Ha visitato Tokyo in precedenza per aiutare Maia e ha condiviso così tanti momenti alle tre del mattino con Magnus che ormai ha perso il conto, ma ciò continua  a non essere paragonabile a come si sente ora.      
«Perché —» chiede Alec, la sua voce è bassa ed esce a stento. «Perché non mi hai detto niente prima d'ora, Magnus?».
Sei stato proprio qui, per tutto questo tempo.           
Magnus sta in silenzio a lungo e Alec ricerca sul suo volto qualcosa che sia decifrabile, qualcosa che possa riconoscere. Non vede l'essenza di Jace, né l'onesta di Simon, né la scontrosità di Raphael. È tutto Magnus.
E poi, Magnus stende le braccia e Alec guarda la sua mano come se stesse andando a fuoco. La sente come se stesse andando a fuoco — o forse è solo Alec che sta bruciando — quando Magnus sposta con attenzione una ciocca di capelli che gli ricade mollemente sulla fronte, il grazioso  guizzo del suo polso, lo sguardo nei suoi occhi che va oltre la tenerezza.   
«Alexander, non ti spaventa» dice Magnus alla fine. «Sapere che puoi provare dei sentimenti così forti per qualcuno che una parte di te ancora crede di conoscere a malapena? Perché a me spaventa da morire. Qualcuno che un giorno spunta nella tua vita, all'improvviso, e ti lascia senza alcuna possibilità di scelta a riguardo».
Il cuore di Alec sta martellando nel suo petto. Non sa cosa fare, come gestire questo genere di situazione, questa vicinanza che piega le pregiudiziali leggi dello spazio e del pensiero.        
Quand'è — Quand'è diventata così la situazione? pensa nello stesso momento in cui lo realizza: Dall'inizio. Aveva guardato Jace nello specchio e non aveva avuto scelta. Si era lamentato di Clary e Simon, ma non aveva avuto scelta. Maia gli aveva chiesto aiuto e non aveva avuto scelta.        
Si stava dissanguando sull'asfalto e qualcuno gli aveva detto di fare pressione sulla ferita e non aveva avuto scelta.
Sarai sempre tu, non è vero?
Alec non crede al fato, al destino, o a tutte quelle svenevolezze, ma pare che non sia stato un caso che Magnus sia stato il primo che ha visto, quando si è risvegliato nella stanza d'ospedale, sembra ci sia un motivo. Magnus era giunto nella sua vita ben prima di quel momento, fra la disorientante melodia delle accidentali conversazioni a cuore aperto alle tre del mattino e i sentimenti che Alec sapeva che non gli appartenevano, e vedere Magnus finalmente non era stato altro che una conferma di un qualcosa d'inevitabile.
Qualcosa d'inevitabile che ha portato Alec qui e che lo fa lottare anche solo per riuscire a respirare, che lo fa sudare un po' sulla nuca e che gli fa formicolare la pelle della fronte, laddove le dita di Magnus lo sfiorano.
«Aspettavo che mi visitassi» dice Magnus, tranquillo. «Uomo nella mia testa».   
«Mi... Dispiace di averci messo tanto» replica Alec.           
È straordinario — esistere in due luoghi contemporaneamente. Qui, lì, nel suo appartamento — e poi dov'è Magnus. Vorrebbe dire a Magnus: Mi fai provare sentimenti che non ho mai provato prima, com'è possibile? Trattiene quel bisogno stretto contro il suo petto. Magnus lo guarda come se avesse appeso il sole nel cielo.     
Alec non si sente così incompleto, non più.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: theprophetlemonade_