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Autore: clepp    19/09/2017    1 recensioni
“Scusami, scusami – riprese fiato mentre si costringeva a rimanere serio – conosco un solo Harold che vive qui”
Gli occhi di Nadine si illuminarono di speranza, avrebbe potuto conoscere l’uomo che aveva fatto innamorare per la prima volta sua nonna, avrebbe potuto parlarci, chiedergli quant’era bella Jane a diciassette anni e fargli tante altre domande.
“Grandioso! – esclamò, tirandosi su frettolosamente dalla macchina – e puoi dirmi chi è?”
Il ragazzo si sporse in avanti, arrivandole a qualche centimetro dal viso.
“Per tua fortuna – sorrise, ammiccando – ci stai parlando proprio adesso”
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Flat 12

 
Erano passati quattro giorni e mezzo dal funerale di nonna Jane e Nadine era ancora, inevitabilmente, distrutta.
Con le mani fredde incrociate sotto la testa, i piedi fasciati in un paio di calzettoni e le persiane semiaperte dalle quali entrava la fioca luce della luna, osservava con attenzione quasi maniacale la lettera di tre pagine gettata malamente sul comodino.
La calligrafia di sua nonna era delicata ed elegante e lei era scoppiata a piangere immediatamente, dopo aver visto quanto fosse bello il suo nome scritto da quella donna.
Con gli occhi arrossati e le labbra secche, sentiva il vuoto nel suo cuore.
Come se lo shock per la morte di sua nonna non fosse stato abbastanza, quando era arrivata al cimitero, suo padre le aveva dato quella lettera che l’aveva completamente svuotata di tutto.
Spostò lo sguardo sull’ultima parola dell’ultimo foglio. Una lacrima aveva inevitabilmente rovinato il nome di sua nonna, bagnando l’inchiostro e rovinando la carta.
Nadine l’aveva letta tre volte, quella lettera, e tutte e tre le volte aveva sorriso e pianto e sorriso di nuovo.
Sua nonna le sarebbe mancata come all’essere umano manca l’ossigeno, forse anche di più.
Nadine chiuse e riaprì gli occhi più e più volte.
Sua nonna era morta. Niente più visite mattutine, niente più telefonate ai compleanni, niente più risate, niente più torte al cioccolato che solo a guardarle ti facevano ingrassare di tre chili.
E niente più discorsi sui ragazzi, sull’amore e sull’amicizia.
Ciò che sua madre non era, lo era sua nonna. Ciò che suo padre non era, lo era sua nonna. Ciò che lei non era, lo era sua nonna.
Prince saltò sul letto, avvicinandosi a lei con lentezza estenuante. Nadine accarezzò il suo pelo nero e lucido mentre con gli occhi osservava ancora quelle tre pagine, arricchite di quella grafia così elegante.
Perché non le aveva detto di questo Harold, molto prima, magari durante i pomeriggi domenicali passati davanti ad una tazza di tè?
E perché voleva che solo lei lo sapesse?
Nadine si grattò il polpaccio con la punta del piede. Sua nonna aveva creato un rapporto diverso con ogni membro della sua famiglia e da quando era piccola, Nadine, aveva condiviso con lei mille segreti che era sicura conoscessero solo loro due. Anche quello, dunque, era un altro piccolo segreto?
Allungò una mano e afferrò il terzo foglio e la busta.
“È così che ti allego una piccola mappa di Londra che ho comprato in uno di quei negozi per turisti, con la speranza che tu riesca a rivivere le gioie e i dolori della mia adolescenza.” Lesse a voce alta, attirando l’attenzione del gattino nero tra le sue braccia.
Nadine aprì la busta, tirandone fuori la piccola mappa di Londra. Era la prima volta che l’apriva ed era la prima volta che si sentiva tanto emozionata per qualcosa.
La stirò bene sul copriletto, illuminandola con la lampada celeste.
Nella cartina c’erano alcuni punti cerchiati con un pennarello indelebile, di fianco ai quali Nadine lesse diversi nomi e descrizioni.
I suoi occhi blu e un po’ lucidi si soffermarono su tre parole: Greenwich, appartamento 12.
Era l’indirizzo di una casa che, se ne accorse solo dopo, distava a soli tre isolati dalla sua.
Chi poteva vivere in quell’appartamento? E cosa poteva c’entrare con la storia che le aveva raccontato nella lettera?
Possibile che quell’Harold fosse ancora vivo e che vivesse così vicino a lei?
Nadine aggrottò la fronte.
Sua nonna conosceva l’indirizzo di casa di quell’uomo e non l’aveva mai cercato? O forse l’aveva fatto?
Tuttavia, non era detto che quella fosse casa sua. Ma se non lo era, che cosa poteva essere, che cosa poteva indicare?
Era l’unica meta che non aveva alcuna descrizione. Nadine si chiese se era un caso, una distrazione oppure una cosa voluta. Sua nonna era sempre stata una donna molto attenta ai dettagli, quindi di certo quella mancanza doveva indicare qualcosa.
Forse il suo intento era quello di attirare l’attenzione di Nadine e, di conseguenza, riempirla di mille interrogativi. Forse il suo intento era quello di farla partire proprio da lì.
Ci era riuscita.
Nadine si asciugò gli occhi ancora un po’ umidi e si mise a sedere.
Erano le dieci di sera, fuori l’aria di Londra soffiava imperterrita contro i muri dei palazzi, ma lei aveva tutta l’intenzione di uscire.
Si alzò di scatto, facendo cadere Prince dal letto, e si avviò verso l’uscita con la mappa tra le mani, il cappotto sulle spalle e le chiavi in borsa.
*
Nadine scese dall’auto incespicando nelle sue scarpe da ginnastica.
Dopo aver guidato per una manciata di minuti sotto il cielo buio di Londra con una mappa scarabocchiata sul sedile accanto, le sembrava quasi di essere impazzita del tutto.
Stava per bussare alla porta di uno sconosciuto che avrebbe potuto tranquillamente essere un assassino o un poco di buono.
Si sistemò meglio il cappotto sulle spalle e chiuse la portiera dell’auto, tesa.
Cercò di non pensare alla sua faccia struccata, ai suoi capelli disordinati e alla maglia del pigiama che fuoriusciva dalla giacca. Forse avrebbe dovuto aspettare fino a domani o forse avrebbe dovuto sprecare cinque minuti in più per sistemarsi alla bell’e meglio. O forse, avrebbe dovuto lasciar perdere fin dall’inizio.
Si torturò le mani mentre gli occhi vagavano per le finestre chiuse dell’edificio di fronte a lei.
Contò le vetrate, i balconi e ipotizzò che l’appartamento che stava cercando dovesse essere al terzo piano, dietro le ultime due persiane, quelle al confine con l’angolo della strada. Si guardò attorno e, prendendo un bel respiro, fece il primo passo verso l’entrata.
Il portone d’ingresso cigolò improvvisamente, aprendosi con un rumore sinistro che la fece immobilizzare sul posto.
Un ragazzo alto ne uscì fuori, scendendo i tre scalini sbadigliando.
Nascosta nella semioscurità, Nadine lo osservò con attenzione.
Doveva avere si e no la sua età, anno più, anno meno. Portava un berretto di lana dal quale fuoriusciva qualche ciuffo riccio e gli occhi, che le sembravano chiari, erano assonnati e semichiusi. Indossava una tuta grigia ed era scalzo, tra le mani, un grosso sacco nero della spazzatura.
Si fermò esattamente a tre passi davanti a lei e, illuminato dal lampione, Nadine ne rimase per un momento ipnotizzata.
Lui sollevò il coperchio del bidone verde e gettò dentro il sacco pesante che teneva tra le mani.
Quando si rigirò, sfregandosi le mani sui pantaloni, i suoi occhi brillarono sotto la luce intensa del lampione e inchiodarono quelli di Nadine.
“Ciao” disse.
Nadine alzò le sopracciglia: “Ciao”
Il ragazzo sollevò gli angoli della bocca e il suo viso non sembrò più tanto stanco.
“Cerchi qualcuno?”
Nadine si morse l’interno della guancia.
Cercava qualcuno?
Scosse la testa mentre, mentalmente, si dava dell’idiota per aver deciso di intraprendere quella stupida avventura.
Lo sconosciuto infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e inclinò lievemente la testa verso destra.
“Una ragazza non dovrebbe andare in giro da sola a quest’ora della notte”
Nadine si strinse nelle spalle.
“Sono solo le dieci”
“E mezza”
“So difendermi”
“Ne sono certo”
La osservò qualche secondo con un sorriso di scherno e due occhi attenti e vigili, mentre Nadine giocherellava con le chiavi. Quella specie di caccia al tesoro le era sembrata un’ idea stupida fin da subito, e adesso si stava mettendo in ridicolo di fronte ad uno sconosciuto a causa della sua impulsività.
“Allora stai aspettando qualcuno?”
Lei scosse la testa, sbuffando.
“Sto... sto... in realtà non so neanche io cosa sto facendo” sbottò, allargando le mani e alzando gli occhi al cielo.
“Problemi di cuore?” chiese lui, arricciando le labbra in una smorfia che stava ad indicare curiosità.
Nadine aggrottò la fronte: “Cosa? No!”
“Chiedevo solo – alzò le mani in segno di difesa – Comunque se sei qui, un motivo ci deve pur essere”
Nadine fece un passo indietro, appoggiandosi alla portiera della sua auto, improvvisamente troppo spossata anche solo per reggersi in piedi.
“Sto cercando una persona – mormorò debolmente, stropicciandosi gli occhi – il problema è che non so esattamente chi sto cercando”
L’espressione del ragazzo si fece perplessa.
“E’ un po’ il problema di tutti” ironizzò, sistemandosi con una mano il berretto grigio che gli stava scivolando davanti agli occhi.
“No, non hai capito – replicò – io cerco qualcuno di cui so solo il nome”
Lui fece qualche passo in avanti, nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Spiegati meglio”
Nadine sbuffò: “Sto cercando un signore, anziano, sui settanta o ottant’anni che vive qui, o che viveva o che centri con questo posto”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, perplesso e allo stesso tempo curioso.
“Conosco tutti quelli che vivono qui – disse – dimmi il nome”
Nadine si passò una mano tra i capelli pensando che, dopotutto, quel ragazzo avrebbe potuto restringerle il campo.
“Il suo nome è Harold – tentò – il cognome non lo so però”
Lui assottigliò gli occhi, osservandola per qualche secondo come se lo stesse prendendo in giro. Poi, inaspettatamente, scoppiò a riderle in faccia, tappandosi subito dopo la bocca con una mano per evitare di risultare scortese.
Nadine roteò gli occhi al cielo, indispettita.
“Grazie”
“Scusami, scusami – riprese fiato mentre si costringeva a rimanere serio – conosco un solo Harold che vive qui”
Gli occhi di Nadine si illuminarono di speranza, avrebbe potuto conoscere l’uomo che aveva fatto innamorare per la prima volta sua nonna, avrebbe potuto parlarci, chiedergli quant’era bella Jane a diciassette anni e fargli tante altre domande.
“Grandioso! – esclamò, tirandosi su frettolosamente dalla macchina – e puoi dirmi chi è?”
Il ragazzo si sporse in avanti, arrivandole a qualche centimetro dal viso.
“Per tua fortuna – sorrise, ammiccando – ci stai parlando proprio adesso”
*
Harry si richiuse la porta di casa alle spalle, ancora lievemente perplesso per l’incontro con quella biondina.
Si chiese se era veramente corsa via così, senza più dirgli una parola, senza dargli una spiegazione. Senza salutarlo. Probabilmente era stata tutta un’allucinazione data dalla stanchezza e dal bicchiere di birra che Louis l’aveva obbligato a bere a cena.
O forse era la gente che con il passare del tempo si faceva sempre più strana.
Sospirò, gettandosi sul divano, accanto a Liam.
“Ti eri perso?” gli domandò distrattamente, troppo concentrato sul film che stava guardando per poter realmente interessarsi agli affari dell’amico. Harry gli rubò qualche popcorn dalla bacinella verde, pensieroso: “Ho incontrato una tizia – rispose e automaticamente gli si aggrottò la fronte – e mi sono fermato a parlarci”
Liam annuì appena, mangiucchiando i popcorn e tenendo gli occhi fissi sullo schermo del televisore.
“Mi sembrava familiare – continuò, sovrappensiero – l’avrò vista in qualche locale, o a lavoro”
L’amico non si diede nemmeno la pena di far finta di aver ascoltato le sue parole. Harry sospirò, quasi tentato di allungare una mano verso il telecomando e spegnere il televisore per ripicca. Ma poi si disse che, alla fine, Liam non poteva essergli affatto d’aiuto.
Dov’è che aveva già visto quegli occhi blu e quei lineamenti così particolari?
Forse l’aveva già vista durante i turni di lavoro, o in discoteca o al parco o al supermercato. Avrebbe potuto incontrarla ovunque. Eppure qualcosa non gli quadrava.
L’iphone vibrò sul tavolino del salotto. Si sporse in avanti e lo afferrò, sbloccandolo.
Sua madre gli diceva che domani mattina sarebbe venuta a ritirare gli ultimi oggetti del nonno e che avrebbe dovuto farglieli trovare negli scatoloni.
Sbuffò, rispondendole con un semplice ok.
Vivere nel vecchio appartamento di suo nonno gli era sembrata un’idea strafica, all’inizio, ma poi, i problemi erano iniziati ad affiorare. Affitto troppo alto, impianto idraulico vecchio, palazzina di soli anziani, camino mezzo distrutto, ascensore rotto.
Si alzò in piedi, dirigendosi verso la camera da letto dove aveva lasciato gli ultimi oggetti personali del nonno, quelli a cui era più affezionato.
La divisa da militare, anno 1940, era piegata sulla poltrona accanto alla finestra. Harry l’aveva indossata una volta ad una festa di Halloween e quando l’aveva macchiata di alcool, sua madre si era così tanto infuriata che non si era mai più azzardato ad avvicinarcisi.
La prese e la sistemò con cautela all’interno di uno scatolone nel quale una decina di libri, qualche camicia e una pipa occupavano già il fondo. Ci aggiunse qualche cornice che raffigurava suo nonno da giovane in compagnia di altri soldati in uniforme e una dove lui e sua nonna sorridevano felici.
Harry chiuse la scatola e la sistemò fuori dalla porta.
Tornò in camera per controllare che non avesse dimenticato nulla.
Poi ricordò.
In una foto.
L’aveva vista in una foto!
Quella biondina con due occhi profondi quanto il mare, l’aveva vista in una foto in bianco e nero che aveva trovato qualche settimana dopo il trasloco.
Si fiondò verso i cassetti della sua scrivania e li aprì con uno scatto. Sotto vari quaderni, fogli, penne e cd, una fotografia stropicciata e vecchia giaceva sul fondo del cassetto.
La tirò fuori e la osservò sotto la luce della lampada.
Un giovane ventenne sorrideva all’obiettivo, con due fossette uguali a quelle di Harry, mentre gli occhi neri così diversi dai suoi erano fissi sul viso di una ragazza.
La tizia strana che aveva incontrato qualche minuto prima era identica a quella nella foto, quella che suo nonno stava fissando con tanto entusiasmo.
I capelli raccolti, gli occhi chiari, il sorriso, i lineamenti.
Erano identiche, due gocce d’acqua.
E se quella che aveva incontrato poco fa, non era un fantasma, doveva essere una familiare, magari la nipote.
Harry capì che, il settantenne che stava cercando, era suo nonno Harold.





Buongiorno a tutti!
Sarò breve anche in questo capitolo. Volevo scusarmi per il ritardo nell'aggiornare, ma non riesco ancora ad essere pienamente convinta di questa storia. Tuttavia ho deciso di darle una chance e provare a continuare, nella speranza di ricevere un feedback positivo da voi lettori. Ringrazio la ragazza che ha lasciato una recensione nel prologo, mi hai convinta ad aggiornare.
Comunque, in questa storia adoro follemente l'Harry che ho creato, e spero che lo facciate anche voi! 
Vi lascio al capitolo, un bacio
Clara


 
 
  
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