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Autore: Ginevra1988    20/09/2017    9 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Chi ti cullerà quando il sole non ti lascerà dormire?
Chi si sveglierà per portarti a casa quando sarai ubriaco e solo?
Chi ti guiderà attraverso il lato oscuro del mattino?
Non sarò io
 
It ain’t me – Selena Gomez
 
 
 
 
 
 
17 agosto 1998 – San Mungo, reparto Janus Thickey
 
 
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda soppesò ancora una volta la sfera di vetro nascosta nella tasca della sua veste e ancora una volta pensò che avrebbe dovuto dosare bene la forza, la palla di per sé era troppo leggera.
   “Signora Tonks, si sbrighi, stanno già servendo il pranzo!”
   “Grazie Amalia, tesoro” disse Andromeda con un sorriso amabile. Lasciò la presa sulla sfera e si incamminò tranquilla verso la sala comune in cui mangiavano tutti i reclusi; le avevano dato il permesso da poco e lei si era ben guardata dal dare loro motivi per revocarglielo. Doveva stare tranquilla, doveva pazientare, dove aggrapparsi a quello che sapeva essere vero.
   Ted, Dora, Remus.
   Si ripeté ancora una volta quei nomi, come una litania, come una preghiera incessante. C’era stato un momento, forse giorni, forse mesi, non sapeva dire, in cui aveva dimenticato il suono di quei nomi, aveva dimenticato che cosa era successo a quelle persone. Sapeva solo che un giorno si era ritrovata in piedi davanti ad un tavolo a piegare vestiti per neonati; in testa aveva una strana storia che riguardava sua figlia: per qualche assurdo motivo era convinta che Dora fosse incinta.
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda si sedette al lungo tavolo insieme agli altri reclusi e mentre le veniva messo davanti un piatto di carne e verdure rimuginava sul suo piano. In un piccolo tavolo rotondo, in un angolo del salone immacolato, Frank ed Alice Paciock fissavano le loro pietanze con sguardo vuoto.
   E’ così che mi vogliono ridurre, è così che ridurranno tutti quanti!
   Andromeda non capiva proprio come tutti i reclusi, dal primo all’ultimo potessero essere così ciechi da non vedere la semplice realtà delle cose: erano stati presi, alla fine Voldemort aveva vinto e i Mangiamorte avevano preso tutti loro. Erano stati deportati e rinchiusi in quella specie di gabbia dorata in cui tutti si fingevano estremamente gentili, comprensivi, desiderosi di aiutarti. Ma lo scopo finale era un altro, e Andromeda l’aveva capito perfettamente quando aveva rivisto Frank ed Alice: li avrebbero portati alla follia, uno per uno, subdolamente, con le buone o con le cattive. Avrebbero rimosso i ricordi di ognuno di loro sostituendoli con meravigliose storie inventate da chissà chi.
   Dora incinta, ma che assurdità. Dora non avrebbe mai rischiato di far nascere un bambino in un mondo del genere, figlio di un Licantropo, poi. Remus, Remus aveva del buon senso, non voleva un figlio e lei lo sapeva.
   Ted, Dora, Remus.
   Doveva concentrarsi su ciò che le era rimasto di reale. E fingere, fingere cortesia ed obbedienza, come tutti loro, ancora per un poco, finché non si fosse presentata l’occasione giusta.
   “Signora Tonks, il Guaritore Paracles ha anticipato il suo appuntamento all’una e mezza” Amalia si era chinata su Andromeda e sorrideva con gentilezza. “Il Guaritore si scusa e spera che per lei non sia un problema.”
   Stupida serpe, pensò Andromeda, ma quello che uscì dalla sua bocca fu un cordiale: “Va bene comunque, Amalia cara.”
   Finse di concentrarsi nuovamente sulle sue verdure cotte, mettendosi un boccone in bocca con un gesto automatico. Forse quella era l’occasione giusta. Il Guaritore Paracles era giovane, sembrava inesperto e ingenuo abbastanza da fidarsi di lei. Era stato proprio nel suo studio che Andromeda era riuscita a rubare quella sfera di cristallo che in quel momento nascondeva nella tasca della veste; doveva essere qualche sciocchezza babbana che Paracles teneva come trofeo: che cos’altro avrebbe potuto farci un Mangiamorte con una sfera piena di acqua e di piccoli pallini bianchi che si muovevano solo se si scuoteva la palla con insistenza? La base di legno era abbastanza pesante, si ripeté ancora una volta, quella mi aiuterà.
   Ted, Dora, Remus.
   Avevano preso anche loro, ne era certa come era sicura del fatto che il cielo fosse azzurro. Chissà dove erano in quel momento, chissà che cosa stavano facendo loro. Era solo questione di tempo, lo aveva detto tante volte a Ted, mentre lo supplicava di scappare da qualche parte, qualunque parte che non fosse l’Inghilterra. Fin quando non era stato troppo tardi e le leggi contro i Nati Babbani erano state emanate.
   Andromeda finì di mangiare con calma, non doveva trasparire alcuna fretta dai suoi movimenti, nessun gesto brusco che avrebbe potuto insospettire le guardie in divisa verde acido.
 
   “Prego signora Tonks, si accomodi.”
   Il Guaritore Paracles aveva l’aria di essere davvero molto giovane, con quella barba castana che cresceva qua e là e gli occhi chiari; probabilmente non aveva più di venticinque anni, forse era fresco del corso quadriennale del San Mungo. Andromeda comprendeva perfettamente perché i Mangiamorte si servissero di Guaritori: chi meglio di loro poteva raggirare la mente umana fino a portarla sul baratro? Ma lei aveva capito, lei sapeva, lei avrebbe resistito.
   Ted, Dora, Remus.
   Strinse un’ultima volta la sfera di vetro nella tasca, poi si alzò ed entrò nello studio del Guaritore, dove, come al solito, erano preparate due ampie poltrone una di fronte all’altra. Paracles si accomodò su quella di sinistra e fece cenno ad Andromeda di sedersi sull’altra.
   “Allora, come si sente oggi?” chiese il Guaritore aprendo un taccuino e intingendo una penna nella boccetta di inchiostro poggiata su un tavolino.
   “Direi bene” rispose Andromeda evasiva.
   “E come stanno i suoi familiari? Suo marito, sua figlia?”
   Un moto di rabbia salì dallo stomaco di Andromeda.
   Tu sai, figlio di puttana, tu sai dove sono.
   “Oh, è un po’ che non li vedo a dire il vero.”
   Era il momento di cambiare il copione, di scoprire qualche carta.
   “Davvero?” Paracles inarcò le sopracciglia e prese appunti concitati sul piccolo quaderno. Andromeda approfittò della distrazione per cominciare a cercare.
   “Inizio a preoccuparmi” proseguì la donna. “Ted non torna a pranzo da diversi giorni. Lei sa dirmi qualcosa?”
   Vediamo come te la cavi.
   “Potrei avere qualche informazione. Ma mi parli prima di Dora. Come sta? Mi diceva che era incinta.”
   “Oh no, non credo lo sia più.”
   “Ha avuto il bambino?”
   Gli occhi di Andromeda percorrevano febbrilmente la divisa verde acido del Guaritore, in cerca di una tasca.
   “Io… non lo so.”
   “Le dice niente il nome Ted Remus Lupin?”
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda interruppe per un attimo la sua ricerca e fissò Paracles negli occhi.
   “Dovrebbe?”
   “Mi dica solo se le ricorda qualcosa.”
   Doveva dirgli qualcosa che lo accontentasse o lei non avrebbe mai trovato quello che cercava.
   “Remus Lupin è mio genero” scandì quelle parole con calma misurata; il Guaritore ricominciò a scrivere sul suo taccuino e Andromeda riprese a scrutare quella maledetta divisa. Paracles incrociò le gambe, la veste si piegò ed eccola, finalmente: da una tasca sul fianco spuntò l’impugnatura di una bacchetta.
   La prima cosa che le avevano tolto quando era arrivata in quel posto – Andromeda lo ricordava bene – era la sua bacchetta: frassino e corda di cuore di drago, l’unica e sola che avesse mai posseduto in tutta la sua vita, una parte di lei, la sua amica – la sua arma. Privata della sua sola difesa, era poi stata costretta a bere pozioni e a dormire, dormire finché il giorno e la notte non erano diventati un’unica cosa e realtà e menzogne si erano fusi in un groviglio inestricabile.
   Ma da quando si era risvegliata, da quando aveva riaperto gli occhi davvero e aveva capito che cosa le stavano facendo, il suo unico obiettivo era stato quello di mettere le mani su una bacchetta, una qualsiasi.
   “Signora Tonks?”
   Andromeda distolse gli occhi dalla tasca del Guaritore, che la guardava perplesso.
   “Mi scusi, cosa mi ha chiesto?”
   “Le ho chiesto cos’altro mi sa dire di suo genero, di Remus.”
   Ted, Dora, Remus.
   Maledetto, maledetto bastardo.
   “E’ un Licantropo” disse Andromeda senza tanti tentennamenti; Paracles annuì e prese un altro appunto.
   “Guaritore, posso farle io una domanda?”
   Paracles sembrò incerto, poi annuì di nuovo.
   “Perché sta facendo tutto questo?”
   L’uomo si strinse nelle spalle.
   “Aiuto le persone a stare meglio, signora Tonks. Fare il Guaritore dà molte soddisfazioni. I pazienti mi danno molto più di quello che io riesco a dare loro.”
   Era così giovane – e così ingenuo. Andromeda infilò una mano in tasca con movimenti lenti e misurati.
   “Lei è un ragazzo buono, Paracles.”
   “La ringrazio” il Guaritore le sorrise.
   Andromeda afferrò la sfera di vetro, la estrasse dalla veste e la usò per colpire con decisone la tempia del Guaritore, che non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo. Il colpo non riuscì a stordirlo, ma fu sufficiente a farlo cadere dalla poltrona e a far scivolare la bacchetta dalla sua tasca quel tanto che bastava per consentire ad Andromeda di afferrarla.
   “Petrificus Totalus!
   Fu estremamente difficile scagliare quell’Incantesimo, la bacchetta si ribellava alle dita estranee, ma i muscoli di Paracles rimasero comunque contratti e meravigliosamente pietrificati. Gli occhi del Guaritore guardavano Andromeda disperati e pieni di panico; la donna si accovacciò di fianco a lui e gli puntò la sua stessa bacchetta alla tempia.
   “Voglio delle risposte” sibilò. “Sbatti le palpebre una volta per il sì, due per il no. Sono stata chiara?”
   Paracles sbatté le palpebre una volta.
   “Sai dove sono Ted, Dora e Remus?”
   Gli occhi del Guaritore si riempirono di lacrime.
   Stupido ragazzino.
   “Ti ho chiesto se sai dove sono!” Andromeda affondò la punta della bacchetta nella tempia del legittimo proprietario, che sbatté le palpebre una volta.
   “Stanno bene?”
   Le palpebre si chiusero due volte. No. Andromeda socchiuse gli occhi e soppesò le proprie parole; sapeva che la risposta sarebbe stata quella, era preparata – ma fino a che punto lo era davvero?
   “Sono feriti?”
   Nessuna risposta. La donna trattenne il fiato.
   “Sono… morti?”
   Sì.
   La mano di Andromeda tremò così forte che quasi la bacchetta le cadde. Lo aveva detto a Ted, lo aveva detto che era solo questione di tempo. Li avrebbero trovati e li avrebbero uccisi, tutti, dal primo all’ultimo. Probabilmente a lei era stato riservato quel “trattamento speciale” solo a causa del nome della sua famiglia di origine, l’antica e nobile casata dei Black – la voce pomposa di sua madre sembrava quasi rimbombarle nelle orecchie in quel momento. Ma un Nato Babbano, una Mezzosangue e un Lupo Mannaro non avevano alcuna speranza, assolutamente nessuna.
   Era solo questione di tempo.
   Andromeda lasciò cadere la testa sul proprio petto; aveva sempre creduto che avrebbe pianto, una volta ricevute quelle notizie, ma i suoi occhi erano asciutti. La sua anima era asciutta, prosciugata, essiccata dall’interno, soffocata dall’assenza di speranza.
   Speranza.
   Una cosa che le aveva insegnato Ted. Lui ne aveva sempre avuta in abbondanza, anche per gli altri, anche per lei che non sapeva vedere il lato buono della vita. Ted aveva sempre una parola gentile per tutti e non credeva che le cose potessero mettersi male; e anche quando si erano messe male davvero, lui aveva messo al sicuro Andromeda e Dora e aveva preso la via dei boschi, come uno spirito libero. Aveva detto che sarebbe tornato, che era solo questione di tempo, che tutto si sarebbe calmato, che Harry Potter avrebbe vinto quella guerra.
   E invece tutto era perduto. Lui non sarebbe tornato.
   Ma su una cosa Ted aveva avuto ragione: era solo questione di tempo. E Andromeda aveva ancora un po’ di tempo a sua disposizione. Non sarebbero stati loro a decidere come lei avrebbe speso quel tempo.
   Andromeda si alzò con calma, una calma che non avrebbe mai pensato di riuscire a mantenere in un momento del genere. Pensò a Dora, la sua piccola, la loro unica, meravigliosa, preziosa figlia; cercò di ricordare ogni particolare del suo viso, ogni espressione, ogni giorno passato a vederla crescere, ridere, correre, studiare, combattere e infine tornare a casa mano nella mano con Remus, annunciando che si era sposata da qualche parte in Scozia.
   Scozia? Era la Scozia?
   Scosse la testa, cercando di riordinare i ricordi, ma l’ultimo anno era così confuso da non sembrare nemmeno reale. Andromeda si rese conto di non essere più in grado di distinguere cosa era accaduto veramente da quello che le avevano instillato nella mente quei bastardi.
   Abbassò lo sguardo su Paracles: sembrava più giovane che mai, gli occhi sbarrati dal terrore, le lacrime che rigavano le guance. Piangeva come un bambino.
   “Mi dispiace” disse in ultimo moto di umanità. “Mi dispiace che tu debba vedere queste cose. Ma dimmi, cosa ci faccio io in un mondo dove non ci sono più le persone che ho amato molto più di me stessa?”
   Per un momento ad Andromeda sembrò che il Guaritore volesse dirle qualcosa, qualcosa di importante, e fu quasi tentata di revocare l’Incantesimo. Ma cosa le poteva dire quel piccolo, ingenuo Guaritore al servizio dei Mangiamorte? Bugie, nient’altro che bugie.
   Ted, Dora, Remus.
   Le cose veramente importanti, le uniche reali, erano quelle tre parole – perché ormai non erano altro che tre semplici, vuote parole. Respirò a fondo e alzò la bacchetta.
   E la puntò contro la propria tempia.
   Gli occhi di Paracles sembrarono spalancarsi ancora di più, ma la formula magica aveva già lasciato le labbra di Andromeda.
   “Avada Kedavra.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Mi dispiace.
Mi dispiace mi dispiace mi dispiace e ancora mi dispiace.
Mi dispiace così tanto che ho cominciato a chiedervi scusa dal capitolo scorso!
 
Prima di passare al 27 però voglio fare una precisazione sul capitolo scorso: come ho scritto a diversi di voi che hanno recensito, quando finii di leggere “I doni della morte” come credo tutti avevo cercato la storia dei protagonisti nel “dopo guerra” e da qualche parte avevo letto che Hermione tornava in Australia solo per rinnovare l’incantesimo di memoria dei suoi genitori. Ne ero talmente sicura che non ho nemmeno fatto la consueta ricerca febbrile di conferma.
Alla quarta recensione in cui il lettore di turno shockato mi confidava di aver sempre creduto che Hermione riportasse indietro i propri genitori, mi sono fatta due domande e ho fatto la ricerchina... ed in effetti nei fandom la versione è questa, anche se sul Pottermore non ho trovato nulla che si sbilanci in un senso o nell’altro. Quindi chiedo scusa a tutti per la solenne fandonia e vi prego a questo punto di considerare questa versione come la mia privata visione dei fatti, seguendo la quale proseguirà la linea narrativa di Hermione.
 
Detto ciò, arriviamo ad Andromeda: ci ho pensato e ripensato, ma questo era l’unico modo in cui la mia Andromeda poteva finire. Troppi lutti, troppe ferite, troppo tutto insomma. Si è completamente sciroccata il cervello - detto in termini puramente tecnici. E allora ho attinto a piene mani dalla mia esperienza professionale e vi ho portato un caso da manuale di psicosi con manie di persecuzione e negazione della realtà! Con tanto di “canto del cigno” prima del gesto estremo.
Una piccola curiosità: Paracles vuole essere un micro omaggio a Paracelso, uno dei pochi illuminati che, all’epoca della Santa Inquisizione e della caccia alle streghe, cominciò a parlare di disturbi psichiatrici e non di stregoneria – aveva altri problemi, ma questo è un altro discorso! ;-P
 
Ok, chiudo qui perché ho scritto veramente tanto e sarete morti di noia.
Giuro nei prossimi capitoli mi faccio perdonare.
Grazie, grazie e ancora grazie a chi ha letto e leggerà, a chi segue e grazie di cuore a chi recensisce!
 
Special thanks to:
_il colore del vento_ : grazie anche in pubblico della tua bellissima recensione!
DANI1993: che ha recensito da poco i capitolo 1 e 2, quindi arriverà qui tra un po’ di tempo, ma ci tengo a ringraziarlo già da ora!
 
A presto!
Smack
Gin
   
 
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