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Autore: Signorina Granger    22/09/2017    6 recensioni
[Raccolta di OS dedicate ai protagonisti di "Act II"]
Lavoro, amore, famiglia, amici... dopo essersi Diplomati ci sono molte cose che li aspettano, un'intera vita da vivere.
Ma forse godersela non sarà così semplice, dovendo fare i conti con la prima guerra magica.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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James & Veronica 

 
James Julius IMG_4966e Veronica ZabiniIMG_4965



“Alla buonora.” 

James, seduto ad un tavolo del bar del Ministero, accolse i suoi due migliori amici con un brontolio, osservando Jonathan e Kathleen avvicinarglisi tenendosi mollemente il capo con una mano:

“Scusa Jamie, la colpa è ovviamente di Jonathan, ci ho messo quasi dieci minuti a scollarlo dalla scrivania.” 
“Volevo finire di sistemare un paio di cose, Kathy.” 

Il biondo fulminò l’amica con lo sguardo mentre prendeva posto di fronte a James, maledicendo mentalmente il giorno in cui, mesi prima, avevano deciso di intraprendere la medesima strada. 
Non era sicuro di riuscire a sopportarla ogni giorno per il resto della sua vita, considerando che si vedevano comunque oltre il lavoro. 

“Il solito irritante pignolo… In ogni caso Jamie, come va?” 
“Bene.” 
“È da una settimana che non ci vediamo… il clan Julius sta bene?” 
“Come sempre.” 

James parlò senza battere ciglio, limitandosi ad osservare l’amica di rimando quasi con aria annoiata, parlando con un tono neutro che non sembrò farla demordere: dopotutto sapeva già che cosa volesse chiedergli realmente. 

“Kath, smettila con i convenevoli e chiediglielo e basta, credi non ti conosca?” 
“Come vuoi, io volevo essere carina e interessarmi prima anche ad altro, ma se proprio insisti… Allora Jimmy, come vanno le cose con Veronica?” 

Kathleen stese le labbra in un sorriso senza staccare gli occhi scuri dal volto dell’amico, che si limitò a stringersi nelle spalle con nonchalance come se stesse parlando del tempo:

“Bene.” 
“Bene? Smettila di parlare così, che fine ha fatto la tua parlantina?” 

“Kath, non ti dirò niente, e sai perché? Perché altrimenti tra due ore le mie sorelle e mia madre ne staranno parlando, visto che sicuramente tu andrai a riferire tutto per spettegolare alle mie spalle.”

Jonathan non riuscì a nascondere un sorriso, trovandosi completamente d’accordo con l’amico mentre invece la ragazza sbuffava, incrociando le braccia al petto:
 
“Come ti pare, non dire nulla… scrivi pure tutto nel tuo diario segreto senza condividere niente, tanto ne parlerai di certo con Jonathan… e io lo torchierò finché non saprò qualcosa, sono curiosa!” 
“E quando mai? Sei uguale allo zio Maxi.” 

“E tu allo zio Dan!” 

“Scusate, visto che tecnicamente siamo in un bar, possiamo ordinare qualcosa, avrei un certo appetito…” 
“Aspetta, prima torchio Jimmy, poi ordiniamo.” 


*


Stava quasi cominciando a pentirsi della sua scelta, visto il cumulo infinito di cose che aveva da studiare per preparare il suo terzo esame. 
Ma ormai era tardi per tirarsi indietro e voleva andare fino in fondo, non aveva alcuna intenzione di rinunciare. 


“Ciao, stagista… finito di prendere appunti?” 
Smise finalmente di pensare allo studio e agli esami quando vide un ragazzo piuttosto alto aspettarla infondo al corridoio, accanto agli ascensori, con un sorriso sulle labbra. 
La ragazza annuì, ricambiando mentre si avvicinava a James:

“Sì per oggi sì. Com’è che tu sembri sempre così rilassato mentre io sono un fascio di nervi?” 
“Anche mia madre è così, mio padre le ripete di rilassarsi da credo trent’anni… e ora io lo dico a te Veronica: rilassati, cerca di non pensare allo studio per un po’.” 

James sorrise alla bionda, mettendole un braccio sulle spalle mentre Veronica alzava lo sguardo, abbozzando un sorriso a sua volta:

“Ci proverò. Ora andiamo, o faremo tardi… e non mi va di far aspettare Berenike, lei non sopporta le persone che arrivano in ritardo agli appuntamenti.” 
“Davvero? Strano, Markus non ci fa mai molto caso… Ma stanno bene insieme comunque.”


*


Eltanin teneva gli occhi sulla lettera che le era appena arrivata, leggendo le poche righe che Veronica le aveva scritto. 
Aiden era seduto accanto a lei, impegnato a leggere a sua volta, ma quasi sobbalzò sulla sedia sentendo la voce della moglie esplodere nella stanza:

“Merlino El, che ti prende?” 
“Devo andare… ti spiego dopo!” 
“Qualcuno sta male?” 

“No, tutt’altro… ci vediamo dopo!” 

Eltanin si alzò con un largo sorriso sulle labbra, correndo verso il camino per poi sparire subito dopo, lasciando il ragazzo solo e decisamente confuso: sì, stare con lei era un lavoro a tempo pieno. 


Si disse che probabilmente era solo la sua ennesima pazzia e tornò a leggere, ma la pace ebbe vita breve visto che poco dopo qualcuno comparve nel camino, guardandosi intorno con lieve perplessità:

“Ciao Aiden, scusa il disturbo… c’è Eltanin?” 
“No, l’hai persa di pochissimo, è appena corsa via per qualche motivo. Perché la cerchi?” 
“Speravo sapesse dirmi qualcosa a proposito di Berenike, dieci minuti fa si è Smaterializzata dopo aver letto una lettera, pensavo fosse venuta qui.” 

“No, non l’ho vista… ma anche El stava leggendo una lettera.” 

Aiden alzò lo sguardo dal giornale per rivolgere un’occhiata perplessa a Markus, che ricambiò per un istante prima di parlare:

“Beh, se non si stavano scrivendo a vicenda, direi che rimane solo Veronica.” 



E infatti, a diversi km di distanza, le tre ex Corvonero stavano festeggiando il recente fidanzamento della bionda.


*


“Questo turno sembrava infinito, abbiamo avuto decine di visite… per lo meno non tutte cattive notizie, oltre a lesioni di qualunque tipo è anche arrivata una ragazza in dolce attesa.” 
“Finalmente una bella notizia, allora.” 

Jane sorrise alla collega mentre si sfilava il camice, guardandola annuire con aria arrota mentre teneva un fascicolo in mano:

“Sì, ho giusto qui la cartella clinica… direi che va tutto bene. Sai, il nome mi sembra familiare, in effetti… ti dice qualcosa?” 

Quando prese la cartella gli occhi azzurri della Medimaga finirono immediatamente sul nome scritto in un angolo, in alto a destra… e subito dopo Jane li strabuzzò, stentando a credere a quello che aveva davanti:

“Merlino… devo andare! È già andata a casa?” 
“Non credo, stanza 38… allora la conosci?” 

“Veronica Zabini è mia nuora! Diventerò nonna!” 

Jane sorrise prima di quasi correre fuori dallo spogliatoio, dimenticandosi di aver finito il turno per raggiungere Veronica e stritolarla, poco dopo, in un abbraccio che avrebbe fatto sicuramente invidia a suo marito. 


*


“Su, avanti, dillo: nonno. Non-no.” 

Jason teneva gli occhi fissi sul nonno paterno, che era seduto al tavolo della sala da pranzo accanto a lui per imboccare il nipotino, che però di parlare proprio non ne voleva sapere.

“Andiamo! Non è certo una parola difficile…” 

Dante Julius sbuffò, scoccando un’occhiata quasi di rimprovero in direzione del nipote di circa un anno, che però gli sorrise quasi a volerlo prendere in giro:

“Mi ridi anche in faccia? Bravo!” 

“Stai ancora cercando di fargli dire “nonno”? Dagli tempo, è piccolo!” 

Quando la voce della moglie arrivò alle sue orecchie Dante si voltò, rivolgendo un’occhiata grave in direzione di Jane, che si avvicinò a marito e nipote. 
Jason invece, non appena la vide, sfoggiò un larghissimo sorriso sdentato, allungando le braccia verso di lei prima di dire qualcosa:

Nonna!” 
“Ecco, lo vedi? Perché dice nonna e non nonno? Piccolo ruffiano.” 

Dante sbuffò, scoccando un’occhiata torva al nipote mentre Jason si lasciava prendere in braccio dalla nonna, godendosi le coccole con aria soddisfatta. 

“Non prendertela Dan, so per certo che ti adorerà. Tu stesso dici sempre che i bambini ti adorano, no?” 
“Certo che mi adorano Jane, ma il fatto che il mio primo e per ora unico nipote non si degni di dire “nonno” è un po’ deprimente.”


*


Quando vide un’inconfondibile ragazza dai capelli scuri avvicinarlesi Veronica sorrise, rivolgendole un lievissimo cenno con la mano prima di alzarsi e abbracciare l’amica non appena l’ebbe raggiunta:

“Ciao Vee… Berenike deve ancora arrivare?” 
“Sì, non si è ancora fatta vedere, ma non ama essere in ritardo, sono sicura che presto sarà qui.” 

Veronica sorrise all’amica prima di sedersi nuovamente sulla poltroncina mentre Eltanin prendeva posto di fronte a lei, aspettando che anche la cugina arrivasse. 
Le previsioni della bionda si confermarono quando, pochi minuti dopo, la rossa entrò quasi di volata per poi raggiungere le due sbuffando come una ciminiera:

“Scusate il ritardo, ma Pollux non la smetteva mai di piangere, Castor faceva i capricci… Sono felice di vedere qualcuno che parla correttamente, cammina, sa leggere e non piange in continuazione.” 
“Sì rossa, siamo felici di vederti anche noi, ora che siamo tutte e tre alle prese con un gruppo di marmocchi urlanti 12 h su 24 vedersi è diventato difficile… alla fine hai risolto con i bambini?” 

“Oh, sì, li ho lasciati da Libra, se la vedrà lei.”
Berenike si strinse nelle spalle mentre si sporgeva in avanti per prendere uno dei menù rilegati appoggiati sul tavolino da caffè che divideva la poltrona e il piccolo divano, mentre Eltanin sorrideva alle sue parole:

“Scaricare i figli sulle sorelle, ottima strategia.” 
“Io sono figlia unica, ma ho avuto la fortuna di sposare il maggiore di cinque figli, quindi credo che adotterò questa tattica anche io… anche se, a differenza vostra, di marmocchio ne ho ancora solo uno.” 

Veronica sorrise, pensando con affetto a Jason mentre gli occhi di Berenike correvano sul menù:

“La metà della fatica, in pratica. Che cosa prendete? Per me niente di alcolico, non posso bere.” 

“Sì, nemmeno io.” 
“Neanche io.” 


Alle parole di cugina e amica gli occhi della rossa saettarono dal menù che aveva davanti per posarsi prima su Eltanin e poi su Veronica, esitando prima di parlare con sincera perplessità, quasi indecisa se ridere o meno:

“… mi prendete in giro? … Tutte e tre?!” 


*



Mentre camminava sul vialetto di ghiaia ormai praticamente ghiacciato tenendo Victoria per mano e la piccola Jasmine di nemmeno un anno in braccio, Veronica Zabini si chiese se, anni prima, avrebbe mai ipotizzato di ritrovarsi alle prese con una famiglia tanto numerosa, un giorno. 


James camminava accanto a lei mentre Jason gli trotterellava accanto, il viso appena visibile sotto la sciarpa che la madre lo aveva costretto ad indossare mentre continuava a lanciare occhiate al sacco che il padre si portava appresso, pieno dei regali che avevano “trovato” quella mattina sotto l’albero. 

“Quando posso aprire i regali?” 
“Tra poco, ma prima dobbiamo distribuirli a cugini, zii e ai nonni.” 

James sorrise al bambino, dandogli un lieve buffetto sulla nuca mentre ripensava a tutti i Natali in cui era corso a svegliare i genitori praticamente all’alba per aprire finalmente i regali. 


“Sai, a volte mi chiedo COME facciamo a starci tutti, qui dentro. Insomma, tra noi cinque, i tuoi genitori, i tuoi fratelli con consorti e figli al seguito…” 
“Già, e ho anche la sensazione che tra qualche tempo saremo aumentati, in genere in famiglia abbiamo tutti più di due figli.” 

James si strinse nelle spalle mentre raggiungeva il portico della casa dove era cresciuto, non stupendosi per niente quando la porta si spalancò e sua madre comparve sulla soglia, un enorme sorriso stampato sul volto e un bambino in braccio:

“Eccovi, finalmente, il pranzo è pronto.” 
“Nonna, ho fame!” 
“Adesso si mangia Al, non preoccuparti. Su, entrare.” 

La donna si spostò per lasciar entrare figlio, nuora e nipoti, accogliendo con un abbraccio sia Jason che Victoria mentre Alberth continuava a tirarle un lembo del grembiule, reclamando il pranzo.


“Buon Natale mamma… non hai cucinato per un reggimento, vero? Ogni Natale sgobbi ai fornelli per tre giorni interi.” 
“Nessun reggimento Jimmy, ma siamo comunque in tanti, e questi bambini mangiano quasi più di voi. Ragazzi, gli altri sono in salotto… Dante, vieni!” 

Mentre Victoria e Jason schizzavano in salotto per raggiungere i cugini Veronica sfilò il berrettino di lana dalla testa di Jasmine, liberando i suoi folti capelli castani mentre la nonna le sorrideva:

“Ciao, tesorino… posso tenerla?” 
“Certo.” 

“Ma come siamo carine… Dante, muoviti! Sono arrivati Jimmy e Vee!” 

“Eccomi, sono qui… ciao ragazzi! Jimmy, lì ci sono i regali? Dammeli, i bambini stanno per sollevare una protesta.” 

James sorrise al padre, porgendogli i numerosi regali che si era portato da casa per poi seguirlo in salotto, guadagnandosi la consueta pacca sulla schiena che quasi gli distrusse una scapola. 


“Posso darti una mano, Jane?” 
“Certo che no, sei un’ospite… vieni, andiamo di là. Jasmine, vuoi andare a salutare le zie? Sì? Che dolce!”


“Già, sembra che invece del gene Julius abbia ereditato quello Prewett… non che mi dispiaccia, ovviamente.” 
“Credo che nessuno ti capisca meglio di me, stare al passo con questa famiglia non è sempre facile, se non ci si è abituati… sono figlia unica anche io.” 

Veronica sorrise alla suocera prima di seguirla in cucina, salutando allegramente le numerose cognate prima che Jane lasciasse la figlia più piccola tra le braccia di Grace per tornare a spignattare. 

Forse non era sempre facile, o almeno non lo era stato all’inizio… ma Veronica amava la sua nuova famiglia, e soprattutto amava farne parte. 


*


Se c’era una cosa che James Julius amava, era dormire. Specialmente in inverno, quando faceva freddo… specialmente nel weekend, quando poteva restare sotto il piumone quanto voleva. 

O almeno, un tempo era stato così. Ma ormai le cose erano cambiate. 
Stava facendo un sogno strano, all’improvviso era tornato ad Hogwarts e doveva ancora superare i M.A.G.O., sognava dei libri che lo inseguivano mentre la voce di Kathleen gli ricordava di dover studiare… 

“Papà!” 

Gli parve di sentire una vocina chiamarlo e una mano dargli una leggera spinta dalla sulla, ma continuò a tenere ostinatamente gli occhi chiusi, ignorandola. 

“Papà!” 

Un altro richiamo, un altro colpetto. 
Con un piccolo sbuffo il Grifondoro aprì gli occhi, puntandoli con leggera confusione sulla fonte della voce, che gli stava davanti in pigiama e i capelli raccolti in due treccine spettinate. 

“Ciao Jas… che cosa c’è?” 
“Dobbiamo giocare!” 

“Vai a giocare con le tue sorelle, allora.” 
“No, voglio giocare con te.” 

La bambina sorrise, mettendo nuovamente le piccole mani pallide sul suo braccio per spingerlo leggermente mentre il padre sbuffava, rivolgendosi alla donna che sonnecchiava accanto a lui:

“Veronica, mi spieghi perché abbiamo avuto quattro figli se poi non giocano tra di loro? Sto iniziando a compatire i miei genitori.” 
“Perché voi avete quella specie di tradizione, credo.” 

Il brontolio della bionda arrivò alle orecchie del marito solo vagamente, assorbito dal piumone sotto al quale era sparita. 

E quando Jasmine reclamò di nuovo la presenza del padre James sbuffò, afferrandola per poi sollevarla e metterla tra lui e la moglie, borbottando che avrebbero dormito ancora un po’. 

“Ma io non ho sonno!” 
“Allora facciamo il gioco del silenzio.” 

James chiuse nuovamente gli occhi mentre la figlia di tre anni lo abbracciava, udendo poco dopo l’inconfondibile rumore di piedi nudi che corronevano sul pavimento:

“Sono sveglia anche io, facciamo colazione?” 
“Ma perché i bambini si svegliano all’alba? Vicky, vieni qui anche tu.” 

“Ci manca solo che Violet si svegli piangendo e questo sabato mattina sarà perfetto.” 


Veronica aiutò la secondogenita a salire sul letto e ad infilarsi sotto le coperte accanto a lei, pregando che almeno la piccola di casa restasse nel mondo dei sogni ancora per un po’. 


Infondo però non poteva lamentarsi, era stata lei la prima a volere diversi bambini… quando James le aveva accennato alla “tradizione” della sua famiglia, secondo la quale in ogni nucleo familiare un figlio dovesse averne a sua volta sette, aveva detto “Ma sì, perché no? Cosa vuoi che sia?” 

Certo, una vera passeggiata.


*


La corsia del reparto maternità del San Mungo non era, probabilmente, mai stata affollata come quella sera: James Julius era seduto su una sedia, tra suo padre e suo fratello Jake, insieme alle sue tre sorelle, i suoceri, Jonathan e Markus.
Sua madre era in sala parto insieme a Berenike ed Eltanin mentre tutti aspettavano, irrequieti. 

Jason, Victoria, Jasmine e Violet erano rimasti a casa insieme a Kathleen, e per fortuna nessuno dei suoi fratelli si era portato i figli appresso, così come Markus, Jonathan o Eltanin… a quel punto sarebbe stato davvero tutto molto confusionario. 

“Rilassati, andrà tutto bene.” 
“Lo so papà, ma muoio dalla voglia di sapere il sesso!” 

James sbuffò, continuando a tamburellare un piede sul pavimento con impazienza mentre aspettava, morendo dalla voglia di vedere quella porta aprirsi. 

Le sue preghiere vennero esaudite circa una ventina di minuti dopo, quando sua madre aprì la porta con un largo sorriso ad illuminarle il volto:

“Jimmy, puoi venire dentro, se vuoi… congratulazioni, è un maschio.” 

“Grazie al cielo, dopo tre femmine di seguito finalmente un altro maschio!” 

James scattò in piedi, sorridendo prima di affrettarsi a raggiungere la moglie, sollevato: sopportare quattro femmine di seguito sarebbe stata dura, già in tre gli davano un bel da fare. 

E sembrava che Veronica fosse dello stesso avviso, mentre osservava il figlio con le due amiche accanto:

“Sei felice che sia un maschio?” 
“Molto, ci speravamo… Jamie? Vieni a salutare Jack.” 

Veronica sorrise al marito, rivolgendogli un cenno prima che James si avvicinasse al letto, rivolgendo un largo sorriso al bambino:

“Jason farà i salti di gioia, ieri mi ha solennemente annunciato che se fosse arrivata un’altra sorellina avrebbe fatto i bagagli e sarebbe andato a vivere dai miei genitori. Non che a loro dispiacerebbe, mia madre li vizia tremendamente…” 
“Ha le idee chiare per avere otto anni!”


*


1985


Jason Julius Image and video hosting by TinyPic  Victoria Julius  Image and video hosting by TinyPic Jasmine Julius Image and video hosting by TinyPic
  Violet Julius Image and video hosting by TinyPic  Vivian Julius Image and video hosting by TinyPic  Jack e Joseph JuliusImage and video hosting by TinyPic
 



Veronica Julius era in piedi, nel bel mezzo di un corridoio della propria casa, le braccia conserte e la sua miglior espressione severa dipinta sul volto mentre osservava i figli, o almeno la maggior parte, starle davanti.

“Allora. Presumo che non sia stato nessuno.” 

“Già.” 
“Non sono stata io!” 

“È quello che dite sempre… quindi suppongo che il vaso in cristalli di Boemia si sia rotto da solo.” 
“Può darsi.” 

Jason si strinse nelle spalle con nonchalance, guadagnandosi un’occhiata torva da parte della madre, che sbuffò prima di parlare, osservando ad uno ad uno i cinque bambini:

“Ora basta… voglio sapere chi è stato. Violet?” 
“Non sono stata io mamy!” 

“Vicky?” 
“Nemmeno. È stata Vivian!” 
“Vivian? Ironico, visto che vostra sorella cammina a malapena… Jack. Tesoro… non sei stato tu, vero? Vuoi dire alla mamma chi è stato?” 

Veronica sorrise, chinandosi leggermente per diminuire la differenza d’altezza tra lei e il bambino, che però tentennó senza dire nulla, lanciando un’occhiata timorosa in direzione dei fratelli maggiori, che lo stavano guardando con evidente avvertimento. 

“Non lo so mamma.” 

“Bene, visto che non volete parlare mi costringete ad usare questo tasto. Non potete rompere tutto quello con cui entrate in contatto, dovete imparare a comportarvi bene… Se non salta fuori un nome, userò questo.”   

Quando tirò fuori dalla tasca un foglietto ripiegato gli occhi dei figli si catalizzarono su di esso, osservandolo con leggera confusione:

“Che cos’è?” 

“L’indirizzo di Babbo Natale.” 
“Come fai ad averlo?”
 

Violet sgranò gli occhi azzurri, guardando la madre con sincera sorpresa mentre l’avvocato si stringeva nelle spalle:

“Conosco un tipo che conosce un tipo che conosce uno dei suoi elfi, e se non mi dite subito chi è stato dirò a Babbo Natale di portarvi LIBRI per Natale. Grossi libri SENZA immagini.” 

Un’ombra di terrore oltrepassò i visi dei bambini, fatta eccezione per Victoria, che sorrise quasi con allegria alla madre:

“A me piacciono i libri!” 
“Ah, è vero… allora per te ci saranno calzini. Pelosi.” 

Quando anche Victoria sfoggiò un’espressione disgustata la bionda sorrise con aria soddisfatta, facendo nuovamente vagare lo sguardo tra i figli:

“Allora? Siamo ancora a metà Agosto, ma non penso che Babbo Natale se la prenderà se gli scrivo con così largo anticipo…” 
“È stata Jasmine!” 

“Spiona!” 

Jasmine fulminò Violet con lo sguardo, promettendole silenziosamente vendetta mentre la madre invece sorrise, quasi sollevata:

“Bene, finalmente abbiamo chiarito. Voi quattro potete andare…” 

Stava per fare una ramanzina alla figlia quando un suono fin troppo familiare arrivò alle sue orecchie, facendola sospirare:

“Jasmine, ne parleremo dopo, vostro fratello si è svegliato…” 
“Mamma, perché Joe piange sempre quando si sveglia?” 

“I bambini piccoli lo fanno Vicky, lo facevate anche voi… credo di aver sentito più pianti io di tutto il mio ufficio insieme.” 


*


Minerva McGranitt aveva davanti la lista completa degli studenti che, di lì ad un paio di settimane, sarebbero arrivati ad Hogwarts per frequentare il primo anno. 
Voleva metterli in ordine alfabetico per tempo per lo Smistamento, e leggendo la lista non era riuscita a non soffermarsi su qualche nome piuttosto familiare: c’erano un paio di Julius, cognome a cui si era decisamente ormai abituata… e poi comparivano anche un “Jay Miller”, un “Simon Shacklebolt”, un “Castor Fawley” più quelli che sapeva essere i figli di Eltanin e Aiden Burke, Elaine e Alexander. I nipoti di Elnath ed Electra Black, quindi. 

La Vicepreside si ritrovò quasi ad impallidire, osservando quei nomi mentre sentiva il pavimento mancarle da sotto i piedi:

“No, non di nuovo!” 


*



1998



Procedeva quasi barcollando, cercando di riconoscere qualcuno in mezzo alla grande quantità di persone ammassate nella Sala Grande.

Era riuscita ad intravedere Eltanin e Berenike ed era sollevata che entrambe stessero bene… ma forse non si poteva dire lo stesso dei loro cari: aveva visto la prima in lacrime insieme ad Aiden, ai genitori e alla sorella attorno al corpo privo di vita di Elnath, mentre Berenike era insieme alle sorelle e ai figli vicino a Markus, cosciente ma ricoperto di sangue. 


E la sua famiglia? 

Riuscì a scorgere James e con un tuffo al cuore cercò di avvicinarsi al marito districandosi tra la ressa, e prima di riuscire a raggiungerlo vide dei corpi accanto a lui, abbandonati attorno ai suoi figli e ai cognati. 
E non le ci volle molto per rendersi conto che non tutti erano presenti. 

Deglutì a fatica, abbassando lo sguardo su Phoebe, inginocchiata sul pavimento mentre, in lacrime, era china sul corpo privo di vita della sorella gemella insieme ai figli di Cecily. 
James era in piedi, teneva Violet stretta a sé mentre i suoi occhi erano fissi sul corpo adagiato accanto a quello della sorella minore. Una ragazza dai capelli scuri che la donna non tardò a riconoscere, avvicinandosi quasi di corsa prima di parlare, praticamente senza fiato:

“Jas…” 

Victoria e Jason erano inginocchiati accanto alla sorella, la ragazza si teneva una mano premuta sulle labbra per soffocare i singhiozzi che la scuotevano mentre il fratello maggiore teneva un braccio sulle sue spalle, attirandola a sé senza battere ciglio o muovere un muscolo, gli occhi fissi sul volto pallido e ormai inespressivo della sorella.

“Jasmine…” 

Veronica sì lasciò cadere accanto alla figlia, smettendo improvvisamente di sentire o prestare attenzione a ciò che le accadeva intorno. Smise di sentire i singhiozzi di sua figlia o di sua cognata, non fece nemmeno più caso agli occhi lucidi di Jake e di Violet, in piedi e stretta al padre. 


“Vi avevo detto… di restare a casa.” 

Veronica allungò una mano tremante per sfiorare i capelli castani della figlia, di appena 19 anni, mentre Jason annuiva, parlando in un sussurro:

“Jack, Joe e Vivian sono dalla zia Grace.” 

La donna quasi non lo sentì, limitandosi a continuare a fissare il volto della ragazza quasi stentando a credere a ciò che vedeva, a ciò che era appena successo. 
Davvero sua figlia era morta? Una ragazza che si era Diplomata solo un anno prima? La bambina che aveva passato l’infanzia a farla tribolare? 

Aveva detto ai figli di restare a casa quella sera, ma Jason e Victoria non avevano voluto ascoltarla… e Jasmine e Violet li avevano seguiti a ruota. 
Una scelta che, a quanto sembrava, era costata la vita ad uno di loro. 


Mentre guardava sua figlia quasi perse la cognizione del tempo, si accorse che James si era inginocchiato accanto a lei solo quando sentì le sue braccia stringerla, attirandola dolcemente a sé. 

E solo allora le lacrime iniziarono a scorrere. 





“Jane? Jane!” 

Non faceva altro che guardarsi intorno con impazienza, pregando mentalmente di vederla rivolgergli il suo bellissimo, dolce sorriso che molti anni prima lo aveva fatto innamorare di lei. 

Perché non gli aveva dato retta? 
Perché? 

Quasi tremava, Dante Julius, mentre si faceva largo in mezzo alla ressa per trovare sua moglie. Sua moglie, che aveva pregato di restare a casa quella sera, sua moglie che non lo aveva ascoltato, insistendo per andare, per aiutare. 
La sua maledetta indole da crocerossina non se n’era mai andata, nemmeno con la pensione. 


No, si rifiutava anche solo di prendere in considerazione l’idea che potesse essere morta… Jane non era morta, Jane probabilmente si stava adoperando per ricucire qualcuno… Jane gli sarebbe andata presto incontro sorridendo per abbracciarlo. 

Il mago deglutì, cercando qualcuno della sua famiglia con lo sguardo. Il suo stomaco si contorse quando posò gli occhi su uno dei più vecchi amici di suo figlio ridotto in pessime condizioni… ma voleva trovare Jane prima di avvicinarsi al capezzale di Markus Fawley. 


“Dante!” 

Quando sentì quella voce chiamarlo si irrigidì, fermandosi di colpo e guardandosi intorno con un tuffo al cuore, pregando di non averlo solo immaginato. 
Sorrise con indescrivibile sollievo quando vide finalmente sua moglie, che gli si avvicinò di corsa per poi abbracciarlo con slancio. 

“Jane, meno male… perché sei venuta? Dovevi restare a casa.” 
Si lasciò sfuggire un sospiro mentre l’abbracciava, ma lei non sorrise mentre alzava lo sguardo per posare sul suo volto gli occhi azzurrissimi, che non lo guardavano con il sollievo che si sarebbe aspettato. 

No, gli occhi chiari di Jane erano lucidi. 

“Jane? Che cosa c’è?” 

Sua moglie aprì la bocca, ma poi la richiuse senza dire niente. 
Si limitò a voltarsi e Dante, seguendo il suo sguardo, finì col posare gli occhi su quella che riconobbe come la sua famiglia. I suoi figli, e buona parte dei suoi nipoti. 
Ma non erano tutti in piedi e impegnati ad abbracciarsi. 

Le parole gli morirono in gola quando posò gli occhi su sua figlia Phoebe, inginocchiata sul pavimento accanto ai figli di Cecily… impegnata a piangere proprio sul corpo privo di vita della gemella, di sua figlia. 
Notò con sollievo che Jake e James stavano bene, così come Veronica… ma erano tutti copiosamente in lacrime, così come Jason, Victoria e Violet. Sul corpo di sua nipote Jasmine. 

“Cecily.” 

Sciolse la presa sul corpo della moglie quasi senza rendersene conto, avvicinandosi con passo spedito alla sua famiglia per poi lasciarsi cadere accanto al corpo della figlia, stringendo Phoebe in un abbraccio. 

Jane invece non si mosse, osservando la scena a qualche metro di distanza. Aveva avuto la famiglia che aveva tanto agognato durante tutta l’infanzia e l’adolescenza… eppure, quella gioia e quel perfetto quadro si era appena irrimediabilmente rotto. 


*


“Veronica mi ha detto che non vuoi vedere neanche Jonny e Kath.” 
“Non mi va di chiacchierare molto, di recente.” 

James parlò in tono neutro senza nemmeno staccare gli occhi dalla finestra davanti alla quale era seduto, udendo i passi della madre avvicinarsi senza voltarsi. 

“Lo capisco… ma forse potrebbe aiutarti, sono come dei… fratelli per te.” 

Jane si costrinse a sorridere, pronunciando quella parola quasi a fatica mentre il figlio maggiore si rabbuiava, passandosi nervosamente una mano tra i capelli:

“Lo so, ma per ora non voglio vedere nessuno.” 
“Dovrei andare via, allora?” 
“No mamma, tu sei un caso a parte.” 

James si voltò finalmente verso la madre, rivolgendole un sorriso quasi impercettibile che la donna ricambiò, avvicinandoglisi per prendergli una mano tra le sue:

“So che è difficile, Jimmy… e sai benissimo che posso immedesimarmi in te, in questo momento. Ho perso una figlia anche io, anche se Jasmine era disgraziatamente molto più giovane di Cecily e con molta più vita davanti a sé.” 

“Mi manca anche lei. Bibi come sta?” 
“Non benissimo… per lei è molto difficile, del resto erano davvero legate.” 

Jane si rabbuiò, pensando alla figlia che aveva appena perso e a quella che ancora non si era ripresa dal lutto. E poi c’era suo figlio James, messo praticamente nella sua stessa situazione. 
L’ex Grifondoro si limitò ad annuire, riportando lo sguardo sulla finestra senza dire nulla finché la mano della madre non si appoggiò sul suo viso, costringendolo a guardarla:

“Sai, ho fatto davvero molta fatica ad averti. Te l’abbiamo mai detto?” 
“Non esplicitamente.” 
“Beh, prima di avere un figlio meraviglioso, con un considerevole ciuffo di capelli e più grande della media, ne ho persi tre. E non hai idea di quanto io ti abbia amato guardandoti per la prima volta… un amore che dura anche ora, che difficilmente si spezza. Lo so, perdere un figlio è tremendo, James, come perdere un fratello o un genitori, altra situazione che purtroppo conosciamo entrambi. La tristezza poi passa, il dolore resta.”


“E quanto ci mette, la tristezza, ad andarsene?” 

James parlò con un filo di voce, tenendo gli occhi quasi lucidi fissi in quelli della madre, che gli sorrise con una nota di amarezza mentre continuava ad accarezzargli il volto:

“Non lo so. Lo scopriremo insieme, immagino.” 



   
 
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