L’Erede del Male.
“«Or discendiam qua giù
nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne.*”.
[Dante Alighieri –
Inferno, Canto IV]
Atto XII, Parte III
– Limbo
I viaggi nell’Aldilà erano stati vietati per millenni, eppure generazioni e
generazioni di giovani Negromanti avevano avuto modo di conoscere alla
perfezione ogni minimo dettaglio di quella particolare realtà. Erano solo
dicerie, per la maggior parte. Racconti tramandati dai primi Negromanti e, in
rarissimi casi, esperienze dirette raccontate da Thanatos in persona. Kate era
la prima ad avventurarsi in quel luogo dal momento della caduta dei suoi padri immortali.
Era una sensazione bizzarra,
per usare un’espressione decisamente vaga. Lei percepiva con esattezza la
realtà del mondo umano in cui il suo
corpo era bloccato1, eppure la sua anima era altrove, proiettata in
quel luogo fumoso dai contorni indefiniti. Le anime intorno a lei erano
tormentate, per la maggior parte, ma in tante erano pacificamente in attesa di qualcosa di cui esse stesse potevano non
essere consapevoli. Muovendosi fra loro non riuscì a capire cosa stessero vivendo, avrebbe dovuto
avvicinarsi per ritrovarsi nella loro versione
del limbo, quindi il comportamento buffo di alcuni non poté trovare
giustificazione. Alcune sembravano intente a prendere il tè, altre leggevano
libri o combattevano con spade per lei invisibili.
Il Limbo
è ciò che ognuno desidera.
C’erano tante anime a lei sfortunatamente note, in quel luogo.
Si trattava delle più giovani, per la maggior parte vittime di Voldemort che
non avevano trovato la loro pace. Lontano da lei, invece, poteva scorgere delle
anime minuscole, disinteressate a tutto e tutti: i bambini nati prima di poter
sviluppare la loro piena essenza2.
«Katie?».
Una presa gelida – un’impressione, naturalmente, non
esistevano vere sensazioni in quel luogo – seguì al richiamo, spingendola a
balzare via per lo spavento. Quando si voltò, si ritrovò faccia a faccia con
l’ultima persona – poteva ancora definirla tale? – che avrebbe voluto
incontrare. L’espressione di quegli occhi verdi era dolce proprio come lei la
ricordava, il sorriso gentile nonostante l’evidente preoccupazione. Kate sentì
il cuore stringersi nel petto e la tentazione di piangere per poco non ebbe la
meglio su di lei.
«Oh, no» esalò,
portandosi una mano al viso, consapevole di quanto triste dovesse essere la sua
espressione. Intorno a lei la nebbia era mutata, prendendo l’aspetto di un
piccolo ma confortevole soggiorno. «Professor Lupin, cosa ci fa lei qui? Dovrebbe essere oltre, con sua
moglie».
Lo sguardo del suo ex insegnante di Difesa si addolcì ancora
di più. «Non temere, anche Dora è qui con me. Credo sia andata a fare un giro
fra… fra i bambini3»
mormorò, esitando prima delle ultime parole. «Non potremmo mai riposare in
pace, senza la certezza che Teddy abbia avuto una
buona vita» le spiegò, gentile, indicando qualcosa fuori dalle false mura.
«Anche James e Lily Potter hanno avuto una sorte simile, ma con la morte di
Voldemort sono riusciti ad andare avanti. Per noi è stato… differente. Preferiamo aspettarlo personalmente, forse perché
abbiamo avuto troppo poco tempo con lui».
Tentare di spiegare le ragioni di un’anima bloccata era
un’attività su cui Kate non poteva permettersi di indugiare, nonostante il
cuore le piangesse in petto al pensiero del più gentile fra i suoi professori
costretto a quell’esistenza a metà.
«Sono sicura che quando sarete pronti potrete procedere
insieme» lo rassicurò, cercando di suonare convincente anche alle proprie
orecchie.
Lupin sorrise, dandole un buffetto sul braccio. «Ne sono
certo, cara» mormorò, prima di accigliarsi. «Tu, piuttosto. Sei ancora viva, per quanto… maltrattata» le fece
notare, indicando il suo viso. «Come fai ad essere qui?».
Una smorfia fu tutto ciò che lei si lasciò sfuggire. «Diciamo
che ho i miei collegamenti,
professore» mormorò, prima di realizzare un piccolo
dettaglio. Lupin era stato a scuola nello stesso periodo della madre di
Winter, quindi avrebbe dovuto conoscerla ed aiutarla a scovarla, così da
dimezzare il suo tempo di ricerca. «Professore, lei per caso può portarmi da
Beatrice Vane? Il Limbo è leggermente
infinito, rischierei di perdere troppo tempo e, ugh, stare troppo qui potrebbe rendere difficile il mio
ritorno fra i vivi4».
L’espressione dell’insegnante cambiò improvvisamente, passando
da curiosa a preoccupata nel tempo di un battito di ciglia. «Non credo sia una
buona idea, signorina Bell» le fece notare, mentre intorno a loro il soggiorno
spariva, rimpiazzato dalla vecchia nebbia. «Beatrice è fra le anime più
tormentate, non esce mai dal suo
mondo. Potrebbe non voler parlare con te».
Per nulla sconfortata, Kate scosse il capo. «Mi creda, sono
piuttosto convinta di avere argomenti molto più che convincenti a supporto
delle mie richieste» gli fece notare, tranquilla. «Può accompagnarmi? Ho una
certa fretta, mi serve lei per evitare che il mondo vada in rovina».
Lupin sospirò. «Un altro guaio, eh?5 Mi auguro che
riusciate a risolverlo e che Harry non perda nessun altro» mormorò, triste.
«Quando Ron è passato di qui, prima di andare avanti, ho temuto che in poco
tempo avrei accolto anche lui ed Hermione.
Di positivo, quindi, c’era che nessuno dei due fosse ancora morto mentre lei sbrigava quelle
faccende.
«Faremo del nostro meglio. Mi può accompagnare, quindi?».
Il professore annuì, cominciando a far strada. «Quando
tornerai indietro… potresti portare un messaggio ad Harry?».
***
«Io non ti conosco».
La giovane donna era accucciata in un angolo o, quantomeno, lo
era la sua anima. Kate aveva sempre saputo che l’avrebbe trovata nel Limbo,
prima ancora di tentare altri tipi di contatto. Era il luogo in perenne
crepuscolo in cui il potere di Thanatos era minimo ma in cui non esisteva
neppure alcuna altra forza dominante, in cui le anime irrequiete erano
costrette a rivivere i traumi del loro passato senza avere alcuna possibilità
di andare oltre, poiché impossibilitate a risolvere le loro faccende in
sospeso. Non avevano scelto di tornare come fantasmi, tuttavia non erano
neppure pronte a proseguire. Non lo
sarebbero mai state. La condizione ideale per Beatrice Vane.
Kate cercò di sorridere, ma scoprì di non riuscirci. Le nuove
cicatrici al viso6 le impedivano di muoversi con la stessa disinvoltura
di un tempo, avrebbe necessitato di tempo
per abituarsi, tempo che non aveva.
«No, non mi conosci ed io non ti ho mai conosciuta in vita, Beatrice» confermò,
suonando il più rassicurante possibile.
Lo spirito la fissò per un lungo istante, accigliandosi. «Dici
di non avermi conosciuta, eppure mi chiami per nome. Le Porte ti hanno fatta entrare, eppure tu sei ancora in vita»
constatò, sbattendo un paio di volte le palpebre. Non che ne avesse davvero
bisogno, doveva essere un tic ereditato dalla sua vita passata. «Cosa sei tu?».
La Negromante strinse le labbra, usando il tono più gentile di
cui fosse in possesso. «Non crucciarti, sappi solo che non voglio farti alcun
male» la rassicurò, stando bene attenta alle proprie parole. In quel luogo non
poteva mentire7. «Sono venuta qui perché ho bisogno del tuo aiuto,
Beatrice. Del tuo aiuto nel mondo dei vivi».
Con un gesto pieno d’orrore, l’anima balzò in piedi,
allontanandosi da lei con una velocità sovrumana. «No» disse, ferma, appiattendosi contro una parete inesistente, come
tutto ciò che le circondava. Kate sapeva che ogni anima, in quel luogo, avrebbe
visto il luogo che più avrebbe ritenuto appropriato. Spesso era un luogo di
transito, altre volte una riproduzione del luogo in cui avevano trascorso gli
ultimi momenti. Per Beatrice Vane si trattava della cella di un sotterraneo.
«Io non voglio avere a che fare con quel mondo, mai più».
Esasperata, Kate si pizzicò la radice del naso. Era piuttosto
seccante che Draco avesse avuto ragione nel credere che lei non li avrebbe mai aiutati immediatamente, di certo non
seguendo il piano che lei aveva velocemente architettato. Avrebbe dovuto
scusarsi, prima o poi. «Posso
immaginare le tue ragioni, Beatrice» provò a dirle, un sorriso appena accennato
ad incurvarle le labbra. «Eri tranquilla a rimuginare sulla tua pessima sorte
ed all’improvviso è comparsa questa Respirante
tutta piena di cicatrici e sporca di sangue a chiederti di lasciare questa pace
per tornare nel luogo in cui hai sofferto così tanto» aggiunse, mostrandosi
accomodante. «Lo capisco, davvero, ed odio doverti disturbare, ma è importante».
L’enfasi delle sue parole non turbò affatto lo spirito, che
inarcò le sopracciglia con incredulità. «Non credo che possa esistere qualcosa
di abbastanza importante, grazie tante» la congedò, indicandole la porta
spalancata della cella, quasi fosse stata reale,
quasi fosse stato possibile, per lei, essere sbattuta fuori. Il Limbo neppure
esisteva, per la miseria!
«Per favore, Berenice» tentò ancora Kate, addolcendo sempre di
più il suo tono, ricoprendo ognuna delle sue parole in uno strato di densa
melassa. «Si tratta dell’unica ragione che io so ti spingerebbe a tornare indietro. Credimi» mormorò, puntando probabilmente sulla pietà. «Non vuoi
aiutare Winter? Non vuoi aiutare la tua bambina? Sta soffrendo così tanto».
Fra tutte le reazioni che Kate aveva messo in conto, la totale
indifferenza non era stata proprio considerata. Eppure fu proprio quella la
risposta di Beatrice: una stretta nelle spalle ed un sguardo apatico. Kate
sentì la propria mascella toccare terra.
«Che c’è?» le chiese lo spirito, confuso. «Credevi davvero che
mettere in mezzo la ragazzina avrebbe avuto qualche effetto su di me? Non l’ho
mai sopportata, troppo simile a quel mostro
di suo padre» spiegò, con una tranquillità spaventosa. «Certo, prima non me ne
sono mai resa conto, credo fosse tutta colpa di quella cosa che viveva dentro di me. Ma adesso che sono libera…».
Il cuore di Kate sembrava essersi fermato nel suo petto e lei dubitava che fosse colpa di quel rituale
che l’aveva spedita – quasi letteralmente – nell’aldilà. Né lei né Draco si
erano aspettati l’indifferenza, lui era stato certo che sarebbe stata la paura
ad impedirle di tornare e fare del bene.
«Ma Winter è tua
figlia. Sangue del tuo sangue» le fece notare, piuttosto accigliata. «Per
quanto sia frutto di Mulciber, sei stata tu a crescerla, a prenderti cura di lei…
è impossibile che tu non provi
proprio nulla. L’istinto materno appartiene a tutti gli animali, che diamine».
Rendendola ancora più sconvolta, l’anima rise alla sua
affermazione. «L’hai mai guardata negli occhi? Quella creatura non ha nulla di me, se non il naso» sbottò,
riavvicinandosi con fare spavaldo. «No, umana,
non mi convincerai a tornare indietro, di certo non per aiutare quell’essere.
Come potrei amarla, se ho odiato ogni istante in cui l’ho avuta in grembo? Ogni
carezza era il ricordo delle violenze che suo padre ha usato su di me» sputò,
continuando ad avanzare fino a ritrovarsi a pochi centimetri da lei. «Se avessi
avuto controllo di me stessa, avrei strappato via quella cosa dal mio ventre con le mie stesse mani».
Una sensazione strana alla bocca dello stomaco impedì a Kate
di rispondere, nonostante la sua mente stesse arrancando per elencare tutti gli
insulti disponibili nel suo repertorio. Le servirono un paio di secondi per
comprendere e, quando ci riuscì, la voce le morì definitivamente in gola. Non
si trattava della semplice
consapevolezza di essere davanti ad un muro cieco, ma, piuttosto, della
realizzazione di aver avuto una vita molto più simile a quella di Winter di
quello che avrebbe sempre immaginato. Quelle stesse parole sua madre le aveva
rivolte a lei, quando, stremata, aveva deciso di rinfacciarle gli anni di
soprusi.
Piccola
irriconoscente, sarebbe stato meglio se avessi seguito il mio desiderio e tu
non fossi mai nata!
Non si era mai soffermata a riflettere su quanto quelle parole
l’avessero ferita. Non aveva mai pensato che l’avessero segnata tanto a fondo.
Eppure, nell’osservare lo sguardo pieno di cattiveria di quella donna, non
riuscì a reprimere la rabbia. Con un gesto dettato più dalla stizza che da un
ragionamento serio e maturo, Kate afferrò l’anima per il collo – naturalmente
si trattava di una raffigurazione puramente mentale, non esistevano colli o muri o qualunque altra realtà fisica
– e le impedì di continuare, piegandola ai suoi ordini.
«Adesso tu farai esattamente
quello che io ti ordinerò» le comunicò, secca, scoprendo i denti in una smorfia
infastidita che avrebbe reso orgogliosi i vari vampiri che aveva avuto sotto il
suo controllo, primo fra tutti il suo compianto Jacques, che proprio Tiresias aveva eliminato. Era stata Kate a dover comunicare
alla sua compagna, Arthemis, la perdita del suo
eterno amore, nonché creatore. Arthemis si era
lasciata uccidere dal dolore, soffrendo una solitudine che solo gli immortali
avrebbero mai potuto comprendere. Jacques era stato sacrificato nel tentativo
di salvare Winnie, eppure sua madre
si stava rifiutando di collaborare.
Assolutamente
no.
Lo sguardo terrorizzato dell’anima le diede una scarica di
adrenalina. La fissava come se all’improvviso fosse diventata un mostro a sei
teste, spostando la propria attenzione fra il suo viso ed un punto imprecisato
alle sue spalle.
«Cosa sei tu?».
«Cosa sono non è di tuo interesse, ma se non collaborerai ti
assicuro che diventerò la protagonista di tutti i tuoi incubi» la avvisò, in un
sibilo. «Potrei non essere ancora morta, ma presto o tardi anch’io passerò per
questo luogo e allora mi assicurerò di usare tutti i privilegi che la mia posizione
mi garantirà e di questo tuo angolo di pace non resterà nulla».
«Perché ti interessa tanto?» urlò allora Beatrice, dimenandosi
inutilmente. Per quanto in vita fosse stata più alta e probabilmente più forte
di Kate, in quel luogo ogni suo vantaggio cedeva davanti al potere della Morte.
«Stai per morire, perché ti importa tanto di quella creatura?».
«Perché il peccato dei padri non appartiene ai figli» sbottò,
furiosa. «Perché Winter ha sofferto molto più di te e merita la salvezza molto
più di quanto tu meriti la tua pace. Non me ne importa un cazzo del fatto che tu sia già morta, che sia stata costretta ad un
matrimonio violento e che Sisifo ti abbia fatta morire per poter raggiungere il
suo nuovo tramite» riprese, stringendo di più la presa. «Winnie ha vissuto i tuoi traumi più tanti altri, anche lei
deve essere salvata ed è proprio quello che tu
farai. Sono stata chiara?».
Beatrice si divincolò di più. «No! Non tornerò indietro e non
la aiuterò, non c’è nulla che tu possa fare per costringermi».
Fu a quel punto che il sorriso di Kate si allargò, nonostante
fosse terribilmente doloroso per il suo viso maltrattato. «Credimi, potrei trascinarti in un luogo ben peggiore del mondo dei
vivi, se non dovessi collaborare. Quindi ti consiglio bene di stare al gioco ed
aiutarmi a riportare indietro Winter» la avvisò, con macabra allegria.
«Possibile tu non voglia vendicarti di Sisifo e Tiresias?».
Qualcosa cambiò nello sguardo dell’anima, qualcosa che spinse
Kate a lasciare la presa e consentirle di arretrare. «Vendetta?».
«Voglio riportare indietro Winter e, nel farlo, potrei anche
riuscire a porre fine alla follia di quei due imbecilli immortali. Potresti
prendertela con i veri artefici di ogni tuo dolore, magari riuscire anche ad
andare avanti» le spiegò, dandosi mentalmente dell’idiota. Gli esseri del Limbo
generalmente restavano bloccati per due motivi principali: desiderio di attendere
una persona amata o desiderio di ottenere vendetta. I secondi erano quelli che
generalmente non riuscivano mai ad
andare oltre, non potendo più intervenire nel mondo dei vivi. Ma in quel caso…«Pensaci,
Beatrice. Potresti vendicarti. Infliggere
loro lo stesso dolore che è stato imposto a te».
Kate seppe di aver vinto con un solo sguardo.
***
Il Dottor Newton Crave aveva vissuto
parecchie avventure nella sua vita. Per esempio, era stato mandato per il mondo
già durante il suo apprendistato, così da poter studiare rimedi magici per ogni tipo di malattia. Oppure, era stato
invitato a tenere conferenze nelle più importanti sedi accademiche del mondo
magico. Da quando aveva accettato il suo incarico con le Banshee non aveva
fatto altro che collezionare casi umani
come se fossero stati figurine delle Cioccorane.
Naturalmente, però, la sua avventura più grande era stata prendersi cura della
sua adoratissima bambina, nonostante fosse stato poco più che ventenne e la
madre non avesse voluto aver nulla a che fare con loro8. Non si era
mai pentito di aver preso con sé Rosemary – grazie anche all’aiuto dei suoi
genitori, da solo non sarebbe stato capace di curare un cactus – e mai l’avrebbe fatto. Certo, l’idea che lei avesse
deciso di sposare quel… quel Weasley
non lo rendeva felice. O fiero. Tuttavia aveva sempre pensato che avrebbe avuto
tutto il tempo per convincerla a desistere e trovare qualcuno che fosse alla
sua altezza.
Osservando un altro fra i suoi colleghi cadere in preda alle
convulsioni, cominciò a temere che quel tempo di cui era sempre stato sicuro
non fosse in realtà nelle sue disponibilità immediate. Erano rimasti in pochi e le creature stavano avanzando,
per nulla colpite dai loro nulli tentativi di fermarle. Avevano provato qualunque cosa, ma le bestie erano come
fumo e nulla sembrava infastidirle più di tanto. L’unico effetto vagamente
positivo era stato raggiunto dall’Agente Rogers9 e solo con la sua
polvere d’oppio10, nonostante lui avesse previsto di ritrovare le cose che li attaccavano morte e non semplicemente stordite. Le
sue allegre imprecazioni da beneducato Canadese lo avrebbero fatto sorridere,
in un qualunque altro momento.
Perché
Rosie non si è innamorata di uno come lui?
«Doc» lo richiamò proprio Steve, dandogli un leggero colpo sul
braccio e distraendolo dalle sue cupe elucubrazioni. «Non ci resta molta
polvere, Spykoros l’aveva finita poco prima di essere
preso» lo avvisò, lanciando un’occhiata piena di dispiacere al corpo martoriato
del loro collega, ormai irriconoscibile. «Ha idea di cosa… di cosa gli abbiano
fatto?».
Il suo disgusto era quasi commovente.
Crave sospirò, pizzicandosi la
radice del naso. «Mentirei se ti dicessi di si, Rogers»
gli comunicò a malincuore. «Sembra quasi una possessione demoniaca, eppure
nessun tipo di esorcismo riesce a funzionare» continuò, inginocchiandosi per
poter avere una visione ravvicinata del cadavere. Era stato, ovviamene,
circondato da polvere d’oppio, così da non rischiare che qualunque cosa
l’avesse colpito potesse intaccare altri. «Una volta che la creatura penetra
nel corpo della sua vittima, questa perde qualunque controllo. Tutti hanno
avuto iniziali convulsioni prima di cavarsi gli occhi e morire dissanguati».
«Però perdevano sangue da bocca, orecchie e naso ben prima di
tirarsi via gli occhi» gli fece notare l’agente, con una smorfia. «Crede
abbiano già avuto emorragie celebrali in corso?».
Crave accennò un sorriso
stanco, rialzandosi e dando una pacca sulla spalla all’uomo più giovane. «Se
usciremo vivi da questo posto, ricordami di presentarti mia figlia Rosemary»
gli disse, confermando implicitamente la sua idea. Era un bravo ragazzo, Steve Rogers. In alcuni casi era fin troppo buono e con principi troppo
sani, ma era un male che Newton era disposto a superare, davvero.
Soprattutto per la sua bambina. «Dubito, comunque, che ne usciremo vivi. Non
quando l’uomo più potente di tutto l’Ordine è anche lo stesso che ci ha
venduti».
Lui
l’aveva sempre saputo che quell’uomo non era normale. Non si
era mai azzardato ad analizzarlo, poiché il regolamento lo impediva, ma la sua
curiosità aveva fortunatamente avuto la meglio non più di un mese prima.
Ufficialmente, infatti, Newton era entrato nel suo ufficio solo per lasciare
dei referti. Ufficiosamente aveva indugiato fra i suoi documenti fino a trovare
la sua scheda personale. Non aveva trovato nulla, ovviamente, ma l’impeccabilità
della stessa era fin troppo strana
per poter essere normale.
«Non perda le speranze, Doc, sono sicuro che gli altri
verranno a cercarci. Non si dimentichi che la Peregrine è probabilmente la
migliore fra tutti noi. Sicuramente ideerà qualcosa di brillante» provò a
rassicurarlo Steve, prima di lanciargli un’occhiata furtiva ed anche piuttosto
imbarazzata. «Quanto a sua figlia… mi dispiace, ma credo che le manchi qualcosa di fondamentale affinché la
storia fra noi possa funzionare» confessò, passandosi una mano fra i corti
capelli biondi. Il modo eloquentissimo in cui arrossì quando Newton si voltò a
guardarlo con le sopracciglia inarcate lo avrebbe fatto scoppiare a ridere, in
un altro momento.
«Buon per te, Rogers, fors-».
«Dottore!».
L’urlo terrorizzato dell’Agente Williams9 gli fece
sprofondare il cuore fra i piedi, rendendolo pesante come il piombo. Fece
appena in tempo a voltarsi prima che un’orda
di bestie senza forma si scagliasse contro la loro ridicola difesa di
polvere d’oppio, già ridotta all’osso dalla lunghissima attesa. Il rumore dello
scontro con la debole barriera fu devastante
oltre che inevitabile. Non c’era più nulla
che loro potessero fare, nulla che
potesse salvarli. Nonostante ogni cellula del suo corpo stesse urlando di
non voler morire, di non voler abbandonare la vita senza aver almeno salutato
Rose, non ci sarebbe stato nulla da fare per lui.
Mi
dispiace, bambina mia.
Il colpo tanto atteso, tuttavia, non arrivò mai.
Pur avendo chiuso gli occhi per il terrore, Newton riuscì
comunque a percepire un movimento strano tutt’intorno. Un movimento che di
certo non apparteneva ad una bestia pronta a sbranarlo. Sbattendo le palpebre
con giusto un filo d’ansia, si ritrovò occhi negli occhi con… con una pecorella?
La bestiolina evanescente trotterellava tutt’intorno a lui,
accompagnata da animali della stessa natura ma, per la maggior parte, ben più
grossi.
Un cervo,
una lontra, un Thunderbird, un corvo, una volpe ed un
leone11.
L’illuminazione colpì Newton nello stesso momento in cui la
pecorella lo prese a testate, come se fosse stata una capra. «Usate l’Incanto Patronus!
È l’unico modo per allontanarli, presto!».
La manciata di agenti rimasti, probabilmente racimolando tutta
la forza rimasta nei loro corpi, si fece avanti evocando sempre più animali.
L’aquila di Rogers e l’alce di Oswin
Williams si unirono velocemente al pavone di Crave
stesso e agli altri evocati, disperdendo velocemente le creature di fumo nero
ed interrompendo, finalmente, il
continuo rumore della battaglia a senso unico che li aveva quasi uccisi tutti.
Un momento dopo, Crave si ritrovò
assalito dalla sua pecorella in carne
ed ossa, furiosa per il rischio che aveva corso e sollevata di averlo ritrovato
ancora sano e salvo.
«Porca puttana papà!»
gli sbraitò in faccia, aggrappandosi a lui con braccia e gambe. «La prossima
volta ti incatenerò nel recinto degli Spinati, almeno correrai meno rischi».
«Mi dispiace, bambina» le rispose lui, sentendo lacrime di
sollievo pizzicargli gli occhi. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Avrei
dovuto sapere che saresti venuta a s- perché
sei venuta a salvarmi? È pericoloso!».
«Se non
fossi venuta a prenderti, saresti morto! Possibile che tu non possa
mettere da parte la sciocchezza del padre protettivo dopo che ti ho salvato le chiappe?» rispose lei,
furiosa, senza tuttavia staccarsi dall’abbraccio. «Non è modo di mostrare la
tua riconoscenza, signorino, lo sai?».
«Avresti
potuto mandare un dannatissimo patronus e basta! Io avrei capito!».
«Dubito che avrebbe capito qualcosa, dottor Crave» lo avvisò Hermione Granger, facendosi spazio fra gli
altri suoi accompagnatori. Era un sollievo vedere che fosse sopravvissuta alla
missione. «Questa non è una soluzione definitiva, in men che non si dica si
ricostruiranno e torneranno a colpirvi».
«Cosa sono?» chiese Crave, ansioso.
«Come possiamo sbarazzarcene definitivamente?».
«Si chiamano Terrori Notturni» si intromise un giovanotto a
lui sconosciuto, con i tratti del viso che lo rendevano simile ad un roditore,
nonostante fosse decisamente più grosso. Ed intelligente. «Non possono essere
uccisi perché, in effetti, non esistono. Sono la materializzazione degli
incubi, motivo per cui cambiano forma e sembrano non aveva un corpo vero e
proprio».
«Tuttavia hanno ucciso i nostri colleghi» gli fece notare Rogers, che aveva appena finito di salutare con enorme
entusiasmo Barry. Forse troppo entusiasmo.
Newton avrebbe dovuto ricordare ad Ophelia di tenere gli occhi aperti. Sempre
che Ophelia… «Emorragie interne, a quanto pare. Prima che si strappassero via
gli occhi».
Il giovanotto strinse le labbra. «Potremmo dire che uccidano
con la paura. Troppa paura tutta d’un colpo».
«L’eccessiva pressione sanguigna fa esplodere le arterie
celebrali e pur di porre fine alle loro visioni ed al dolore, le vittime
preferiscono strapparsi via gli occhi che continuare a soffrire» mormorò
proprio Crave, con una smorfia. «Tutto torna. Ma il
problema resta: come ce ne sbarazziamo?».
«L’unico modo è interrompere l’incantesimo che li genera»
riprese nuovamente il ragazzo. «Stando alle nostre ipotesi, da qualche parte al
piano di sopra dovrebbe trovarsi la fonte, oltre che il nemico in prima
persona». Il suo sguardo si puntò sui suoi vari accompagnatori, in quel momento
impegnati ad aiutare i vari agenti ancora sopravvissuti. «Abbiamo bisogno che
voi teniate a bada le bestie e impediate loro di seguirci. Il rischio di essere
fermati è troppo».
Crave annuì, allungando la mano
per afferrare forse poco gentilmente sua figlia. «Tu torni a casa. Adesso» la avvisò, secco, senza tuttavia
sorprendersi quando lei sollevò un sopracciglio nella sua direzione.
«D’accordo, però resti qui dove posso controllarti».
Rosemary annuì, esasperata. «Era il mio piano, papà. Se
dobbiamo morire, almeno lo faremo insieme».
Non era
in dubbio da chi avesse preso la drammaticità.
«Preferirei non morisse nessuno» sbottò Hermione, facendosi
avanti per lanciare uno sguardo verso le scale che li avrebbero condotti al
piano terra. «Noi dobbiamo andare, voi fate attenzione» si raccomandò, facendo
un cenno agli altri con cui era arrivata. Solo Rosemary e la Peregrine rimasero
lì, aiutando i sopravvissuti e, soprattutto, spostando i cadaveri così che, se
fossero sopravvissuti, avrebbero potuto aiutare gli altri.
«Credi che ce la faranno?» domandò il Dottore, lanciando
un’occhiata a sua figlia. Avrebbe voluto rimandarla a casa, al sicuro, ma
dubitava che lo sarebbe stata, a prescindere da quanto lontano potesse
nascondersi.
Rosie si strinse un momento nelle spalle, prima di tornare ad
abbracciarlo forte, proprio come quando era bambina. «Non lo so, papà. Ma se
non dovessero farcela…».
Sentendo il cuore stringersi nel petto, Newton ricambiò la
stretta. «Almeno siamo insieme».
«Sì, almeno siamo insieme».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Mi mancava Dante.
Questo
è il penultimo capitolo, in teoria. Il prossimo sarà l’ultimo, poi solo l’epilogo.
Spero.
No,
diciamola tutta, deve essere così, il venti ottobre inizia il Grand Prix di pattinaggio e io mi
devo concentrare.
Io
non ho una vita, ahah.
Punti importanti:
» * - DANTE! DANTE! DANTE!!!!!!
Mi mancava Dante. Mi piace Dante. Adoro l’Inferno. Dante <3 Il Limbo vale un po’ per tutto, non credete? Kate era
nel Limbo, ma anche il Dottore egli altri si trovavano in una specie di mondo a
metà? Fra la vita e la morte.
» 1 – Ok, come
funziona tutto? Avete mai visto streghe? La proiezione astrale di Prue? Katie è
rimasta al suo posto con il corpo, ma il suo spirito si è proiettato nel Limbo.
Lei sente di avere il proprio corpo, in realtà non è così.
» 2 – Ho ripreso un po’
il Limbo dantesco, con i bambini non battezzati. In questo caso sono i bimbi
troppo piccoli per aver avuto un’anima
pienamente realizzata, come dei sogni, speranze e così via.
» 3 – Lupin. Sono
pentita. Tanto. Dovrebbero essere felici e invece io li ho messi qui. Però vi
assicuro che non soffrono. Dora visita spesso i bimbi perché l’istinto materno
l’ha accompagnata anche lì.
» 4 – Stare troppo fra i morti potrebbe render difficile
tornare fra i vivi. Cose di anime, non crucciatevi troppo.
» 5 – Lupin è così
tranquillo, riguardo l’imminente catastrofe, perché lui è già morto. La cosa lo tocca molto relativamente.
» 6 – Ricordiamoci
che le ferite di Kate sono state cauterizzate col fuoco. Nessun altro incantesimo potrebbe
funzionare. Quindi ha così tante cicatrici, per ora, da fare invidia a Lupin
stesso.
» 7
– I morti non mentono. Quello è il regno dei morti. Vale la stessa regola
di Thanatos, gente.
» 8
– Backstory: Crave ha avuto
una storia con una geniale ma piuttosto egocentrica ricercatrice. Lei è rimasta
incinta e gli ha detto di voler abortire. Newt si è
fatto prendere dall’angoscia e le ha detto che avrebbe cresciuto la bimba da
solo (o meglio, con i suoi genitori). Rosie è cresciuta alla grande, anche se
padre e figlia sono giusto leggermente
morbosamente legati.
» 9
– Sì, Steve Rogers. Captain
America. Ovviamente non è davvero Captain America,
sia chiaro, è solo un gentilissimo Canadese (io adoro il Canada). La seconda, Oswin
Williams, è un incrocio fra “i Pond” e Oswin Oswald, chiunque abbia seguito Doctor
Who li riconoscerà. <3
» 10
– Perché polvere d’oppio? L’oppio viene usato per la morfina, la morfina viene
usata per le anestesie (più o meno, non siate pignoli). In un certo senso l’oppio li rimanda nel loro mondo
d’origine, quindi la Terra degli “Incubi”
» 11
– Sinceramente non avevo idea di come tradurre Thunderbird
senza farlo sembrare meno figo. È la mia casa di Ilvermorny,
ci tengo. Quanto ai collegamenti mago/Patronus:
Rosemary/Pecorella
Hermione/Lontra
Harry/Cervo
Barry/Thunderbird
Theo/Leone
Fred/Volpe
Peregrine/Corvo (LOL)
Se sono riuscita a
pubblicare di lunedì, sono fiera di me
stessa.
Ci siamo quasi, gente.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie
cxcmscm