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Autore: Janey    12/10/2017    6 recensioni
INTERATTIVA
Mi sono candidato sindaco perché credevo di poter cambiare le cose e di fare qualcosa per aiutare la mia gente e il mio distretto, avevo ancora fiducia nell’umanità, pensavo in una risoluzione, ma ero solamente un giovane inesperto che non sapeva niente del mondo e della sua corruzione. Ero pieno di ideali che non sono riuscito a realizzare. Sono solamente un povero fallito, uno strumento di Capitol City che si è cacciato in qualcosa di più grande di lui.
Vivo in un mondo orrendo dove regna il male e io non posso fare niente per fare la differenza.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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    Giorno maledetto

 
Giorno della Mietitura
 


Kai, Distretto 5


Un cenno del capo di Aleksandr costringe tutto il gruppo a fermarsi. Restiamo immobili, per quel lasso di tempo necessario a captare qualsiasi rumore. I secondi passano, ma non si sente nulla. Falso allarme.
Aleksandr muove la mano, segno di procedere. Tutti e quattro avanziamo, compatti e silenziosi in mezzo al bosco. Ci muoviamo agili e sinuosi tra gli alberi, cercando di non farci notare. Se ci scoprissero sarebbe la fine, non solo per me, ma anche per tutti gli altri: non credo che i nostri ideali e la nostra missione facciano comodo alle alte sfere di Capitol e a Snow.
Girare in quattro è pericoloso, soprattutto perché questa faccenda riguarda me in particolare. Più volte ho pregato i miei compagni di aspettarmi nascosti nella boscaglia, e che muovermi da solo sarebbe stato meno rischioso, ma loro non hanno voluto sentire ragioni: siamo una squadra e dove va uno vanno tutti.
Ormai siamo arrivati al confine: un prato incolto e la recinzione ci separano dal mio vecchio distretto.
“Pronto per una rimpatriata, Kai?”, mi canzona Ardee, beffarda.
“Sicuro”, rispondo bisbigliando. Le scompiglio poi la zazzera di capelli neri solo per il gusto di farla innervosire, ma anche per smorzare l’atmosfera. La mia amica mi fa la linguaccia per poi tornare a scrutare l’orizzonte.
Fortunatamente non c’è nessuno: non è conveniente gironzolare attorno alla recinzione o potresti finire nei guai, sospettato di volerla manomettere e di voler dartela a gambe. Ecco perché non ci sono case qui intorno. Oggi poi è il giorno meno indicato per stare qua, con i Pacificatori ovunque.
La prima a partire è Juno: in un paio di minuti attraversa di corsa il prato ed entra nel Distretto 5. La vediamo piegarsi agile tra i fili elettrici e nascondersi dietro una camionetta dei Pacificatori parcheggiata.
“Ora, Kai”, mi ordina Aleksandr. Mi copro il viso con il cappuccio della felpa e incomincio a correre, raggiungendo in poco tempo Juno. Poco dopo si aggregano anche i nostri due amici e tutti e quattro ci addentriamo per le vie del distretto, mischiandoci agli adolescenti che si stanno dirigendo alla Mietitura.
“Certo che il 5 è proprio brutto”, commenta Ardee senza peli sulla lingua, fissando le imponenti pale eoliche che si stagliano contro il cielo grigio. Devo ammettere che ha ragione, ma non le darò questa soddisfazione.
“Detto da una che è cresciuta in mezzo ai campi non mi pare molto convincente”, la stuzzico.
“Ehi, non ti permetto di insultare il Distretto 9!”, esclama scherzando a voce un po’ troppo alta la mia amica, difendendo il luogo in cui lei e Aleksandr sono cresciuti.
“State zitti, per favore!”, esclama spazientito il fratello di Ardee.
“Guastafeste”, si lamenta la sorella.
                                     
Ormai siamo arrivati alla piazza principale: tutti i ragazzi sono disposti nelle rispettive file e le figure importanti sono appena entrate. Io, Ardee, Aleksandr e Juno ci mescoliamo ai non estraibili, in mezzo alla folla degli adulti, tanto nessuno di noi rischia più.
“Hai la trottola, Juno?", le chiedo. Per tutta risposta lei estrae da una tasca una piccola trottola con dei deliziosi colori brillanti che io nascondo nella felpa. Quando la Mietitura sarà terminata e Kea sarà salva, insieme ci dirigeremo a casa sua e io lascerò questo giocattolo sul suo davanzale. È il nostro segreto: significa che sono tornato al Distretto 5 e che sono ancora vivo. Vorrei tanto ritrovare il coraggio di chiederle scusa per averla abbandonata e per averle fatto affrontare tutto da sola, ma ogni volta rimando sempre. Così le lascio questo simbolo. Dovrei parlare anche con Steffon e ringraziarlo, ma mi vergogno di tornare anche da lui. Sono sicuro che entrambi mi odino, ma come biasimarli? Da quella notte non mi sono più fatto vedere per anni.

Ardee mi richiama all’ordine con una leggera gomitata. “Ci sono volontari?”, domanda la nuova accompagnatrice. Nessuno si fa avanti e la capitolina si vede costretta ha pescare un nome dalla boccia di vetro.
“Lana Filbert”. Fortunatamente non è Kea, ma una quindicenne che si avvicina piangendo al palco.
“No, Lana! Mi offro volontaria al suo posto!”, esclama un’altra ragazza dai capelli castani.
“Bene, come ti chiami?”, domanda entusiasta Banshee al nuovo tributo, appena giunge sul palco.
“Darlene Watson”, risponde apatica lei.
Vedo Aleksandr mordersi il labbro, sinceramente preso dal gesto della ragazza. Direi che ce ne possiamo anche andare, non ha più senso stare qua e poi dobbiamo raggiungere l’appartamento di Kea.
“Lorin Alakai”, chiama Banshee riferendosi alla sezione maschile. Improvvisamente mi fermo, mentre i miei compagni mi guardano straniti.
“Kai, muoviti!”, mi riprende Ardee tirandomi per il braccio, ma non la sento.
“C’è Lorin?”, domanda di nuovo la capitolina, mentre il pubblico si agita.
“Kai, che succede?”, mi interroga preoccupato Aleksandr e anche Juno mi guarda dubbiosa.
“Fuori il tributo!”, sbraita quello che deve essere il capo dei Pacificatori. Mi devo muovere o saremo davvero spacciati, io, i miei compagni e anche Kea.

Solo non credevo che dopo tutti questi anni il mio nome fosse ancora nella boccia della Mietitura.


Lily Mackenzie, Distretto 6


Sarah si lega i lunghi capelli neri in una coda bassa e io decido di fare altrettanto.
Non ho la benché minima idea di come ci si comporti ad una Mietitura: tutte le altre volte ho partecipato come spettatrice, stretta tra papà e Jason, ma mai come sorteggiabile. Non sono per niente pronta, ho una paura assurda
Mia sorella ha cercato di consolarmi in ogni modo, dicendomi che la prima volta è la più terribile, ma poi ti abitui. Forse per lei è facile parlare dato che questo è il suo ultimo anno, non come me, che è da una settimana che non riesco a chiudere occhio.
Stringo forte il mio orsacchiotto, sperando di rivederlo al più presto, e insieme a Sarah ci dirigiamo all’ingresso di casa. Sono già tutti pronti, manca solo la mamma.
“Dov’è la mamma?”, chiedo guardandomi intorno. Oggi è un giorno importante per me, perché non c’è?
“Mamma non verrà, Lily”, mi risponde fredda Sarah. Ogni volta che si parla di lei si irrigidisce, strano.

Nonostante sia presto, le strade sono affollate di adolescenti e adulti che procedono in gruppi. Molti piangono sommessamente, altri parlano in continuazione per cercare di scaricare la tensione e la paura. In ogni angolo Pacificatori armati in divisa bianca pronti a sparare su chiunque tenti di fare resistenza e di non andare alla Mietitura.   Più siamo vicini e più sento l’ansia salirmi dentro. Mi stringo forte a Sarah, cercando la sua protezione. Come posso passare i prossimi sette anni della mia vita così? Non è giusto, io non voglio vivere nel terrore!
Ormai siamo arrivati alla grande piazza e molti sono già in fila che attendono tremanti. Improvvisamente incomincio a respirare pesantemente e avverto gli occhi bruciarmi. Non voglio andare, voglio solo tornare a casa. Voglio andare indietro all’anno scorso, quando avevo ancora undici anni e tutto ciò mi sembrava lontano.
“Lily, non farti prendere dal panico”, mi sussurra mio padre, che si è chinato alla mia altezza. “Prima ci sarà il discorso dell’accompagnatrice e dopo l’estrazione. Durerà poco, dieci minuti al massimo”, mi consola lui.
Annuisco dubbiosa. Come posso reggere dieci minuti di pura paura?
Ci salutiamo tutti e io seguo dei miei compagni di classe verso la sezione dei dodicenni. Dopo qualche interminabile minuto arriva sul palco la capitolina, Raven, la stessa dell’anno scorso. Fortunatamente i colori del suo abito riescono a distrarmi per un po’: indossa un vestito molto strano con delle coloratissime fantasie geometriche e una parrucca rosso fuoco. Mi è sempre piaciuta la moda di Capitol, la trovo allegra e divertente.
Raven fa partire un lunghissimo video e nonostante tutti i miei sforzi non riesco a comprenderlo tutto. È pieno di paroloni ed è noioso. La mia amica di fianco a me mi dice che sta spiegando la storia di Panem. Io faccio spallucce, odio la storia.
Presto arriva il momento del sorteggio e tutta la paura di prima ritorna, anche se quest’anno Raven decide di partire dai ragazzi. Spero tanto che non sia Thomas, o nessun altro dei miei amici.
“James Gallagher”. Un quindicenne dai capelli castani si avvicina al palco imprecando a mezza voce. Noto che mentre cammina traballa un po’ e mi accorgo che porta un gesso su una gamba. Mi dispiace, soprattutto per il fatto che conciato così non ha speranze.
“Mi offro volontario!”, grida un altro ragazzo. Sento levarsi un certo rumore dal pubblico e dopo capisco il perché. A parlare è stato un mio coetaneo abbastanza simile al tributo, che si dirige veloce al palco, ignorando lo sguardo furibondo del ragazzo col gesso.
“Che bambino coraggioso! Come ti chiami?”, domanda Raven, allungando il microfono al ragazzino.
“Theodore Gallagher”, risponde lui, con voce limpida.
“Bene, Theodore, ora possiamo scegliere la fanciulla che verrà con te a Capitol City”, continua l’accompagnatrice sorridendo al pubblico e avvicinandosi alla boccia.
Il cuore mi batte all’impazzata, ma cerco di rilassarmi. Tra poco i dieci minuti finiranno.
“Lily Mackenzie”. Le ragazzine intorno a me si allontanano lasciandomi lo spazio necessario per avvicinarmi al palco. Mi guardo intorno, non posso essere veramente io. È uno scherzo. Ho solo dodici anni, non so maneggiare un’arma, non so uccidere! Sono spacciata!
Incomincio a singhiozzare e mi faccio strada tra le mie coetanee. Nessuno però si fa avanti, non c’è nessuno che possa salvarmi. Sono sola, mi hanno tutti abbandonata.
“Mi offro volontaria!”, urla qualcuno con una voce terribilmente familiare. Mi volto, ormai sulle scale. Per poco non cado a terra e  fortunatamente mi aggrappo alla balaustra.
Sarah mi supera e prende posto vicino a Theodore e Raven e io incomincio a piangere senza ritegno. Se mia sorella morirà sarà solo colpa mia.
 
 
Allie Veniur, Distretto 7


Adoro il bosco. L’ombra degli alberi e la sua dolce tranquillità lo rendono un luogo davvero speciale. Qui, nel verde, tutto sembra più brillante; contrariamente al grigio e all’anonimità che dominano il distretto. Qui mi sento sollevata e riesco per un attimo ad allontanarmi psicologicamente da quel buco di disperati che è il 7.
Passeggiare da sola mi ha sempre aiutato a distendere i nervi: è bella la solitudine, non devi rendere conto a nessuno perché non ci sono amici da tradire o persone da deludere. Certo non ho problemi a chiacchierare amichevolmente con i miei coetanei, ma non è che ci possiamo definire amici. Ormai sono abituata a questo stile di vita, solitario e spartano, dopotutto è da anni che me la cavo così.

Decido di andarmene, però. Non è furbo girare per troppo tempo nei boschi fuori dall’orario di lavoro. Già ho dovuto mostrare il permesso per entrare e se tra un po’ non mi ripresento al posto di blocco verranno a prendermi con la forza i Pacificatori per scortarmi alla Mietitura. Sarebbe molto più facile prendere e scappare, e chiudere per sempre con questa immondizia, ma non è una scelta molto onorevole. Ho sempre affrontato i problemi, non posso fuggire. Affronterò anche gli Hunger Games, se necessario. Tanto lo so che tocca a me, ho un sacco di tessere con il mio nome.

Al posto di blocco ci saranno una cinquantina di Pacificatori armati fino ai denti. Prevedibile: nel giorno della Mietitura la tensione è alle stelle.
Mostro il permesso e rientro nei confini del Distretto 7: percorro veloce le strade e raggiungo casa mia. Vivendo da sola non ho bisogno di tanto spazio, quindi tre stanze possono bastare.  Vado in bagno e mi lavo velocemente, poi mi pettino i capelli biondi e indosso il mio semplice vestito turchese. Sono pronta.
Quando torno fuori è già pieno di gente che si dirige in massa verso la piazza principale. Mi unisco anch’io al fiume compatto di persone e in una quindicina di minuti arriviamo a destinazione.
Accanto a me, nella colonna delle sedicenni, ci sono un paio di mie compagne di scuola e iniziamo a parlare amichevolmente insieme per allentare l’atmosfera.
Le porte si aprono improvvisamente e le figure di spicco vengono accolte da uno spento applauso del pubblico. La prima a parlare è la sindachessa, che presenta i mentori e la capitolina.
“Sono così felice di passare un altro anno qui con voi al lussureggiante Distretto 7!”, esclama Kitty, falsa come pochi a questo mondo. Tutti sanno che non le è andata giù per il fatto che dall’1 l’hanno trasferita qua, e che fa ogni cosa in suo potere per tornare al suo “splendente passato”.
Il suo video e il suo discorso sono pallosi come al solito e le lacrime lasciano presto il posto a sbadigli di noia.
Spero che questa pagliacciata finisca il prima possibile, soprattutto perché credo di non aver mai sentito così tante ruffianate in un colpo solo in tutti i miei sedici anni di vita.
“Ora scegliamo i due fortunati che rappresenteranno il Distretto 7 alla Quarantesima Edizione degli Hunger Games di Panem! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, riprende Kitty avvicinandosi pericolosamente alla boccia delle ragazze. Le mani tornano a cercarsi e le lacrime riprendono a scendere sulle guance. Vorrei avere un’ultima possibilità, ma so che tra poco sarà annunciato il mio nome. Ho così tanti bigliettini con il mio nome che mi viene da pensare che nella boccia ci sia solamente il mio.
La capitolina ha già aperto il foglietto, ma vuole creare suspense. Leggi quel cavolo di nome!
“Allie Veniur”. Come volevasi dimostrare. Mi avvicino impassibile al palco, da qui in poi dovrò apparire temibile e valorosa. So su chi puntare.
“Liam Harris”, è il secondo nome che Kitty annuncia al pubblico. Un timidissimo dodicenne dai capelli neri si sistema di fianco a me e all’accompagnatrice, mentre Kitty lo guarda insoddisfatta. Starà già pensando alle probabilità di vittoria che abbiamo io e questo bambino, e lui non deve essere proprio il tributo più adatto per sopravvivere ai Giochi.
“Bene, cari, potete stringervi la mano. E ora intoniamo l’inno nazionale”, ordina solenne la capitolina.
Stringo la piccola mano di Liam, mentre lui evita di guardarmi in faccia.

Gli Hunger Games sono l’ennesima sfida, ma ne uscirò. Come ho sempre fatto. 

 
Kim McFire, Distretto 8                                                                                    

“Non riesco a credere che siamo di nuovo qua!”, esclama sconsolato Nexus.
“Pensa che almeno questo è il nostro ultimo anno”, lo consola Cressida, la fidanzata.
“Cosa vuol dire? Abbiamo ancora più possibilità di essere estratti”, controbatte Bromo, col suo solito ottimismo.
“Piantala di fare l’uccello del malaugurio, Bromo, ti prego”, lo ammonisce Tryphena.
I miei amici continuano a battibeccare ancora per qualche minuto sulla possibilità che abbiamo di venire estratti o meno e io li lascio sfogarsi il più possibile: finché non danno mi danno fastidio a me va bene.
Guardo l’orologio e noto che mancano dieci minuti all’inizio della Mietitura. E noi dobbiamo ancora registrarci. Se facciamo tardi giuro che li ammazzo.
“Ragazzi, se non ci muoviamo ci tocca passare la serata fustigati al palo”, comunico mostrando l’orologio.
“Cacchio, Kim, potevi dirlo prima!”, impreca Nexus sgranando gli occhi e tirando per la mano la fidanzata.
“Ecco, lo sapevo!”, è il commento di Bromo. Questo suo atteggiamento mi da sui nervi e sarei tentata di colpirlo, ma mi trattengo. Dopotutto è uno dei miei migliori amici.
“Scusate, è che mi sembravate immersi in una profondissima conversazione e non volevo disturbare”, affermo sorridendo maliziosa. Lui diventa ancora più nervoso e decide di seguire Nexus e Cressida verso la piazza principale dell’8.
“Scema, muoviti!”, mi riprende ridendo Tryphena. Fortuna che sono io la leader di questo gruppo di disgraziati, sennò chissà che fine avrebbero fatto senza di me! Li ho anche appena salvati da una nottata in prigione.

In tempo lampo ci registriamo e ci posizioniamo nelle rispettive file. Io e le mie amiche abbiamo giusto in tempo preso posto tra le diciottenni che l’accompagnatrice arriva sul palco. Sorrido, grazie a me è tutto sotto controllo. Ora dobbiamo solo trovare un modo per sfangare le prossime ore.
Video e discorsi pallosi si susseguono per non so quanto tempo. La nostra capitolina, Rio, è poi particolarmente sadica nella sua ignoranza, siccome costringe tutti noi a stare ad ascoltare monologhi prolissi quando vorremo solamente concludere il tutto e andarcene a casa.
“Questa volta partiremo dai ragazzi. Credo che qualche volta sia giusto cambiare”, allude lei, credendosi spiritosa. Come se a noi interessasse a chi firma prima la condanna a morte.
Ti prego, non Nexus. E neanche Bromo, anche se gli Hunger Games mi libererebbero dalla sua presenza. Sorrido, mi sa che dopo glielo dirò. Non vedo l’ora di veder il suo volto paonazzo.
“Julivan Sanchez”. Mi alzo sulle punte dei piedi per vedere il tributo e mi accorgo con orrore che è un povero quindicenne sulla sedia a rotelle.
Un uomo (probabilmente il padre), si fa avanti chiamando il figlio, ma viene malamente fermato con un pugno nello stomaco dai Pacificatori. Vedo il ragazzo avvicinarsi al palco spingendo da solo la carrozzella e fermarsi dubbioso alle scale. Non può salire, devono aiutarlo. Gli stessi Pacificatori di prima lo raggiungono e lo sollevano controvoglia, come un inutile peso morto.
I soldati arrivano sul palco e mollano la carrozzella di fianco a Rio, che guarda imbarazzata la scena. Il povero Julivan è accanto alla capitolina a stento trattiene le lacrime.
Sputo per terra, come si può ammettere una cosa simile?
“Bene, ora possiamo passare alle signorine!”, sorride Rio, ma si può notare che il suo umore non è più quello di prima. Sa di aver appena commesso una mostruosità, e se ne rende conto. Sa di aver condannato a morte uno che non ha nessun futuro e che ha sbattuto in faccia all'intera nazione la sventura di questo ragazzo.
“Kim McFire”. Cosa? Ha detto davvero il mio nome? Mi guardo intorno e gli occhi pieni di lacrime di Cressida e Tryphena mi confermano tutto. E ora che diavolo faccio? Sono fottuta, non ho speranze! Lavoro in una fabbrica tessile, non ho mai toccato un’arma in tutta la mia vita.
Mi faccio largo tra le ragazze, spingendo da una parte quelle che mi stanno tra i piedi e presto sono accanto a Rio e a Julivan. Sento l’impulso di spaccare tutto, ma mi rendo conto che non sarebbe una mossa strategica. Ormai sono coinvolta in questo terribile sistema, devo pensare a tutte le mie azioni future.

Non posso fallire, assolutamente.
 
 
 



Quarto faticosissimo capitolo. La prossima volta ci saranno le ultime mietiture.
Alla prossima!               
           
   
 
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