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Autore: Echocide    20/10/2017    15 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.042 (Fidipù)
Note: Note a fine capitolo!

 

Sarah girò i cereali nella tazza, prendendo una generosa parte e, alzata la mano con la posata, si fermò a mezz’aria mentre leggeva veloce alcune righe dell’articolo che l’aveva interessata, allungando poi la mano libera verso il tablet e scorrendo la pagina verso il basso: «Buongiorno» mugugnò Rafael, entrando nella cucina e massaggiandosi il petto nudo, facendo dondolare il Miraculous che teneva appeso al collo.
Sarah s’infilò il cucchiaio in bocca, alzando la testa e sorridendo mentre masticava il generoso boccone, seguendo con lo sguardo il ragazzo mentre le si avvicinava e si chinava verso di lei, posandole un bacio fra i capelli: «Che cosa stai leggendo?» le domandò, guardando il tablet e ricevendo una risposta mugugnata e non capibile a occhio umano.
Sarah buttò giù il boccone, sorridendo all’espressione confusa di Rafael: «E’ un articolo su Le Figaro, chi l’ha scritto era un invitato di Kwon.»
«Mh» Rafael annuì con la testa, appoggiandosi con il fianco al tavolo e incrociando le braccia al petto: «Che cosa dice?»
«Per riassumere…» Sarah si fermò, scuotendo appena la testa e allungando nuovamente la mano al tablet, riportando l’articolo all’inizio: «Prima parla di quanto la festa è partita bene, poi dice che a un certo punto della serata ha notato l’assenza del padrone di casa e, poco dopo, c’è stato un blackout, seguito subito da quello che sembrava un terremoto e che ha scatenato il panico.»
«Tutto questo mentre noi…» Rafael si fermò, poggiando una mano sul tavolo e scuotendo il capo: «Mentre non so cosa ci stava succedendo: eravamo sotto sale?»
«Forse è meglio dire sotto Quantum.»
«Sarah…»
«Comunque poi continua, dicendo che Kun Wong è sparito e non ha lasciato nessuna traccia, iniziando poi a parlare di possibili intrighi con gente poco raccomandabile, concludendo che la festa a casa sua è stata semplicemente una copertura per un giro di droga e qualcosa è andato storto, tanto che tutti dovevano essere sotto stupefacenti» Sarah si fermò, storcendo la bocca: «Penso che quest’ultima parte l’abbia detta per motivare il fatto che la scossa è stata solo ed esclusivamente nella casa di Kwon.»
«Credo anch’io…» mormorò Rafael, grattandosi la guancia e sospirando: «Meglio questa spiegazione a quella…» si fermò, interrotto dal campanello dell’abitazione e alzò la testa, osservando la direzione in cui era la porta: «Fa che non sia quella di fianco.»
«Ehi, io stanotte non ho urlato.»
«Non la signora che si lamenta delle tue urla, Sarah. L’altra…»
«La tipa che ci prova con te?»
«Lei» borbottò Rafael, socchiudendo gli occhi quando il suono del campanello s’irradiò di nuovo per l’appartamento: «L’altro giorno mi ha fatto un agguato e ha aperto la porta di casa mentre stavo passando, con una cosa trasparente addosso…»
«Perché non me l’hai detto?»
«Perché non volevo venire ucciso o, peggio, castrato.»
«Tu devi rivedere le tue priorità…»
«Le mie priorità vanno benissimo. Grazie.»
«Fra le tue priorità io metterei anche gettare l’Unico Anello al Monte Fato» bofonchiò Flaffy, sbandando appena mentre fluttuava per la stanza: «Qualcuno apra quella porta, prima che liberi gli Uruk-hai.»
Sarah ridacchiò, osservando Rafael alzare il viso verso il soffitto e poi scuotere il capo, andando finalmente ad aprire la porta all’ospite mattiniero: «Come ti senti?» domandò la ragazza, osservando il kwami sistemarsi sul tavolo e allungare una zampetta verso la barretta di cioccolata che lei aveva preparato assieme al miele per Mikko.
«Meglio» borbottò il piccolo kwami, scartando l’involucro e addentando immediatamente il cioccolato, masticandolo velocemente: «Wayzz dice che è normale: abbiamo gettato fuori il Quantum e poi ripreso» si fermò, inclinando appena la testa e sbadigliando: «E’ una fortuna che non dovete trasformarvi.»
«Già, una vera fortuna…» mormorò Sarah, fermandosi e osservando Emile entrare come una furia nella cucina: «Ah…ehm…buongiorno…» pigolò, dando una veloce occhiata a Flaffy, che si era bloccato con la cioccolata a un millimetro dalla bocca e lo sguardo rosso che saettava da una parte all’altra.
«Sono sul divano, papà» borbottò Rafael, mettendosi davanti Sarah e Flaffy, la testa inclinata da parte: «E ti ricordo che non ti ho rubato niente, sei tu ad avermeli dati di tua spontanea volontà.»
«Io che mi separo dal lavoro della mia vita? Scommetto che è stata tua madre a ordinarti di farlo» Emile si fiondò sul divano, afferrando la borsa di pelle e stringendosela al petto: «Puoi dirmelo, non mi arrabbio.»
«Te lo ripeto: me li hai dati tu.»
«Non ho memoria di questo evento…»
«Non è colpa mia se soffri di demenza senile.»
«Buongiorno, professore» mormorò Sarah, alzandosi e aggirando il tavolo, in modo da affiancare Rafael: «Davvero non si ricorda di aver dato tutto a suo figlio?» domandò, scambiandosi una veloce occhiata con il compagno e poi riportando l’attenzione sul padre di questo.
«Mia cara Sarah» Emile schioccò la lingua contro il palato, scuotendo il capo: «I miei ricordi arrivano fino a poco prima di Natale, tutto il resto è confuso» si fermò, storcendo le labbra e lasciando poi andare un sospiro: «E’ come se fossi uscito da una sbronza veramente potente.»
«E conoscendoti…»
«Cosa vuoi insinuare, figliolo? Non sono io quello che si faceva tutti i locali di Parigi…»
«Posso confermare» mugugnò Sarah, sorridendo innocente quando Rafael le scoccò un’occhiata e tornò a fissare il professore: «Oggi ci sarà a lezione?»
«Ovviamente sì!»


La collana di Routo era al centro del tavolo, in mezzo a loro due.
Xiang spostò lo sguardo dalle maglie del gioiello ad Alex, la cui attenzione era completamente rivolta sul monile: «Quindi te ne andrai?» commentò il ragazzo, annuendo con la testa e stringendo le labbra: «Beh, alla fine è normale: hai compiuto il tuo dovere…»
«Io non ho fatto nulla» commentò Xiang, allungando una mano e afferrando la collana, guardando le maglie più da vicino: «Tutte le cose che ho fatto, le decisioni che ho preso, si sono rivelate errate. Poi mi sono completamente affidata agli Eroi di Parigi…»
«Beh, quella è stata una signora decisione. Come anche quella di rapire me.»
«Adesso mi stai prendendo in giro.»
«No, non potrei mai.»
«Alex…»
Alex sorrise, stringendosi nelle spalle e sorridendole, mentre si portava una mano al volto e si sistemava gli occhiali: «Beh, cosa farai da adesso in poi?» le domandò, alzandosi in piedi e muovendosi per la stanza, giungendo davanti il grammofono che conteneva lo scrigno dei Miraculous: «Porterai la collana a Nêdong e poi tornerai nella tua Shangri-la, vero?»
«Perché dovrei tornare a Shangri-la?»
«Beh…perché? Perché…mh. Non so, perché dovresti tornare a Shangri-la?»
«Felix non me lo permetterebbe mai» mormorò Xiang, alzandosi in piedi e lasciando la collana sul tavolo, raggiungendo il ragazzo e posandogli una mano sul volto e facendolo girare verso di lui: «Sono certa che verrebbe subito a recuperarmi.»
«Sì, lo credo anche io.»
«E poi a Shangri-la non ci sei tu, Alex» Xiang sorrise appena, sollevandosi appena sulle punte dei piedi e sfiorando le labbra del ragazzo con le proprie, sentendo il respiro che gli moriva in gola e il corpo di lui che s’irrigidiva: «Non posso vivere senza di te» bisbigliò contro la sua bocca, allontanandosi poi con un balzo: «E non vivrò se non vado a scuola: Felix sarebbe capace di uccidermi. Ci vediamo stasera.»
«Eh…ah…sì.»
«Ciao ciao, Alex.»
«Ciao ciao, Ale…volevo dire: ciao, Xiang.»
    

Marinette saltò giù dalla moto, storcendo le labbra e voltandosi verso il motociclista che, le spalle scosse dalle risata, stava con il capo chino: «Non ridere» decretò la ragazza, scoccandogli un’occhiata e vedendolo annuire, nonostante il corpo stesse ancora vibrando per le risa: «Adrien.»
«Non posso farci niente, my lady. Sei troppo adorabilmente imbranata.»
«Tu sei l’unico a trovare adorabile la mia imbranataggine cronica.»
«Questo perché mi permette di fare l’eroe dalla scintillante armatura» commentò Adrien, osservandola mentre si toglieva il casco e lo passava a lui, continuando a guardarla mentre si sistemava i capelli mori: «Se tu fossi sempre decisa e sicura sarebbe noioso, no? Come la mia perfezione: a lungo andare annoia.»
«Certo, certo.»
«Sai, non mi piace quando usi quel tono…»
Marinette sorrise, avvicinandosi e poggiando la fronte contro la spalla del giovane, aspirando il profumo costoso che Adrien era solito usare: «Ah…» una voce maschile che conosceva fin troppo bene la fece sobbalzare e si tirò su, voltandosi e notando Nathaniel a pochi passi da loro: «Marinette. Adrien» li salutò entrambi il ragazzo, stringendo il blocco al petto e facendo vagare lo sguardo dall’uno all’altro: «Ecco io…»
«Ciao, Nathaniel» mormorò Marinette, piegando le labbra in un sorriso e scoccando un’occhiata al marito, che rimase immobile: sapeva benissimo che Adrien sarebbe rimasto attento e vigile, almeno fino a quando non fosse stato certo che la minaccia che Nathaniel aveva rappresentato se ne fosse andata assieme a Kwon.
«Io…» Nathaniel si fermò, scuotendo il capo: «Io in verità non so cosa è successo nell’ultimo periodo: è dall’altro giorno che cerco di capire cosa è successo, perché mi sembra di essermi svegliato da un lungo sonno ma…» si bloccò nuovamente, chinando la testa e nascondendo lo sguardo a entrambi: «Non so cosa ho fatto, ma ho la sensazione di non essermi comportato bene e quindi…»
«Va tutto bene, Kurtzberg» commentò Adrien, sistemandosi meglio sulla moto e poggiando entrambe le mani sul manubrio: «E fidati, alle volte è meglio non ricordare nulla» decretò, sorridendo quando poi incontrò lo sguardo di Marinette: «Tesoro, devo andare a lezione e poi ho il set oggi pomeriggio.»
«D’accordo. Ci vediamo a casa, allora?»
«Certamente, principessa» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e abbassandosi la visiera scura del casco, accendendo poi la moto e immettendosi nel traffico di Parigi, scivolando con velocità fra le auto e sparendo poco dopo alla vista dei due ragazzi.
«Quanto è figo…» sospirò Marinette, lasciando andare un lungo sospiro e poi scattando sull’attenti, guardandosi attorno e sorridendo impacciata all’amico: «L’ho detto?»
«Sì, lo hai detto.»


Wei sorrise, osservando l’uomo che era entrato nel magazzino di Mercier, e si tirò su sentendo immediatamente i muscoli della schiena lavorare e imprecare contro di lui: «Stai invecchiando» commentò Wayzz, nascondendosi nella felpa, mentre Ruggero li raggiungeva.
«Lo ammetto, sono venuto per sapere se avrò ancora una moglie o devo iniziare a preparare i funerali» dichiarò l’uomo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti e guardandolo come se avesse ogni risposta: «Sai niente?»
«Lila non mi ha ancora chiamato per fornirle un alibi e stamattina mi ha promesso che avrebbe fatto la brava.»
«Lila ti ascolta?»
«Il più delle volte sì» dichiarò Wei, sorridendo e poggiando entrambi le mani sui fianchi: «Comunque non penso che la uccida: non ha preso nessun coltello dalla cucina…»
«Potrebbe avere un ricettatore esterno.»
«Un complice? Non ci ho pensato…» Wei annuì con la testa, abbassando lo sguardo per terra: «Stamattina indossava anche i tacchi.»
«Se usati bene, quelli sono letali.»
«Voi due» la voce imperiosa di Lila fece sobbalzare entrambi gli uomini: Wei sorrise caloroso alla vista della ragazza, mentre Ruggero si voltava e allargava le braccia, stringendo la figlia in un abbraccio: «Non ho ucciso la mamma» bofonchiò Lila, ricambiando la stretta del padre e fissando male prima l’uno e poi l’altro: «Quindi, papà, sei pregato di smetterla e tu» si fermò, indicando Wei: «Non dargli corda.»
«La mamma?»
«E’ in macchina con il suo assistente» borbottò Lila, sciogliendo la stretta e allontanandosi dal genitore, raggiungendo Wei: «Ha detto che vuole parlare con te, papà. Vacci piano, non ricorda niente…»
«Mi chiedo ancora cosa ci facesse a casa di quel Kun Wong…»
«Beh, se è vero quello che dicono i giornali, sembrava che ricettasse droga e…» Lila si fermò, scuotendo il capo e guardando nella direzione dove sapeva essere la macchina della madre: «Beh, spero che non fosse caduta in quel giro.»
Ruggero annuì, sorridendo appena e voltandosi anche lui: «Venite a cena da noi, stasera?»
«Abbiamo già un impegno, papà.»
«Un altro giorno?»
«Un altro giorno andrà benissimo, Ruggero» dichiarò Wei, osservandolo mentre li salutava frettolosamente e si dirigeva verso l’esterno: «Complimenti, Volpina. Bella messa in scena.»
«Sai con chi stai parlando, vero?»
«Vero.»


Gabriel si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale e sospirando pesantemente, ascoltando la risata di Sophie che, voltata verso la porta dell’ufficio dell’uomo, tendeva l’orecchio con molto interesse alla conversazione che stava avvenendo fuori: «Sembra sia tornata la normalità» commentò la donna, voltandosi verso il marito e accavallando le gambe, sistemandosi meglio i pantaloni color crema.
«E’ tornata la confusione» commentò Gabriel, sobbalzando appena quando la porta dell’ufficio si aprì e sbatté contro il muro, mentre la figura di Bridgette entrava prepotente: «A cosa devo l’onore?»
«Facciamo cambio di assistenti. Ti prego!»
«Non ci penso neanche minimamente.»
«Che cosa è successo?» domandò Sophie, seguendo con lo sguardo l’amica: quest’ultima aveva iniziato a muoversi per l’ufficio di Gabriel come se fosse un animale in gabbia, tormentandosi un’unghia laccata di rosso e lanciando, di tanto in tanto, occhiate alla porta: «Aspetta. Fammi indovinare…»
«Felix! E’ sempre lui!» sbottò Bridgette, fermandosi a pochi passi dalla donna e allargando le braccia: «E’ venuto perché voleva vedere quello stagista – grazie, Gabriel. Sappi che in qualche modo mi vendicherò – abbiamo discusso e poi…»
«Poi ho deciso che mi licenzio» dichiarò la voce di Maxime, anticipando l’entrata dell’uomo nella stanza: il volto contratto in una smorfia disgustata, le mani che tenevano stretti i bordi della giacca grigio tortora: «Io non posso lavorare con il timore di entrare nel suo ufficio e trovarla…» Maxime si fermò, alzando il mento e scuotendo il capo: «…trovarla in una simile…»
«Inizio a comprendere cosa è successo…» mormorò Sophie, voltandosi verso il marito e vedendolo prendersi il setto nasale fra l’indice e il pollice, mentre chinava la testa verso il basso e la scuoteva appena: «Bridgette, ti ricordi della cena di stasera a casa di Adrien e Marinette?» domandò, cercando di spostare la conversazione su argomenti più tranquilli: «Vuoi che vi passiamo…»
«Per tutte le farfalle di questo mondo, Sophie, no!» Gabriel poggiò le mani sul tavolo, issandosi su e fissando la collega: «Non voglio che lei e quell’altro abbiano un altro problema di coppia e traumatizzino anche il Gorilla.»
«Signore?»
Gabriel inspirò profondamente, spostando nuovamente lo sguardo verso la porta e vedendo la propria assistente, impeccabile e altera come sempre, che fissava il piccolo gruppo riunito: «Vorrei ricordarle l’appuntamento per la scelta della stoffa dei nuovi abiti, poi alle tre ha un appuntamento con il giornalista di 93 Style e infine le ricordo l’appuntamento con l’ente televisiva TF1, alla quale ha promesso un intervento nel prossimo speciale dedicato alla moda.»
«Sì. Grazie, Nathalie.»
«Vedi? Vedi come funziona un vero assistente?»
«Vedi? Vedi come funziona un vero stilista, Bridgette?» esclamò Maxime, facendo il verso alla propria datrice di lavoro e indicando con un gesto della mano Gabriel: «Lui non viene trovato a fare…certe cose!»
«Quanto sei noioso…»
«Ora basta! Tutti fuori di qui!»


Thomas sbadigliò, mentre si sistemava lo zaino sulle spalle e inclinò la testa all’indietro, lasciando andare un lungo sospiro: «Non per metterti fretta» commentò Nooroo, facendo capolino dalla sacca: «Ma Manon ci sta aspettando.»
«Lo so, lo so. Abbi pietà di me! Ho avuto due ore di matematica! Nemmeno Kwon sarebbe stato così perfido…» bofonchiò Thomas, sospirando nuovamente e uscendo dalla classe, fermandosi poco dopo e sorridendo alla vista della ragazzina che lo stava aspettando: lo sguardo di Manon era fisso sul cellulare, quasi certamente impegnato a scorrere le parole di una delle fanfiction che tanto adorava, mentre la mano libera tormentava una ciocca di capelli, sfuggita all’acconciatura che sfoggiava quel giorno.
«Sai, amico, se non ti sbrighi a chiederle di uscire, lo farò io» commentò Jérèmie, assaltandolo alle spalle e attirando l’attenzione di Manon: «Ciao, bellezza.»
«Ciao, Jérèmie» mormorò la ragazzina, inclinando la testa e facendo spaziare lo sguardo dall’uno all’altro: «Ehm…»
«Mh. A quanto pare devo affinare il mio stile di abbordaggio.»
«E magari indirizzarlo verso altro soggetti» bofonchiò Thomas, liberandosi dalla stretta dell’amico e fissandolo in volto, scuotendo il capo di fronte al sorrisetto dell’altro.
«Bello, il mio gelosone» commentò Jérèmie, ghignando e allontanandosi: «Beh, starei volentieri con voi ma ho cose da fare, gente da vedere, bei ragazzi su cui sbavare…insomma, sono impegnato. Ci vediamo.»
Manon annuì, osservando l’amico uscire velocemente dalla scuola e poi si voltò verso Thomas, quasi a cercare spiegazioni per il comportamento bizzarro del ragazzo: «Non guardare me. Ne so quanto te.»
«Ha…»
«Non lo so.»
«Ma…»
«Ti ho detto che non lo so.»
«Sei…»
«Manon: non lo so!»
«Ok, ok» mormorò Manon, fissandolo mentre scuoteva il capo, l’espressione ancora sconvolta per il comportamento dell’amico; allungò le dita, sfiorando appena quelle di Thomas e sorrise, quando lo sguardo di lui si posò nel suo: «Andiamo?»
«Andiamo.»


«Vi prego, non voglio sentire parlare di supercattivi per un bel pezzo» mormorò Lila, lasciandosi andare sul divano e suscitando l’ilarità di Sarah e Wei: «Sono seria, non voglio combattere per almeno un anno.»
«Dillo ai cattivi di Parigi, volpe.»
«Ma scusate, nei film e negli anime, non è sempre l’America o Tokyo a venire attaccata?» domandò Manon, addentando un macaron rosa e pulendosi poi la bocca dalle briciole della pasta: «Qualcuno lo spieghi a questi tizi.»
«Al prossimo, gli diremo: ‘guarda, amico, hai sbagliato città. Questa non è Tokyo e quella non è la Tokyo Tower» decretò Alex, ghignando: «Se vuoi attaccare New York devi andare a ovest, per Tokyo a Est.»
«No, ti prego. New York no» bofonchiò Sarah, socchiudendo le palpebre e mugugnando: «Altrimenti poi devo andare a salvare la città…»
«Amico, guarda che bella che è Los Angeles!»
«Perché proprio Los Angeles?» domandò Marinette, poggiando sul tavolinetto basso un secondo vassoio pieno di macarons: «Fra tutti i posti che ci sono in America…»
«Perché a Los Angeles si è trasferita una che l’ha friendzonato» spiegò Sarah, allungando il braccio e recuperando un macaron candido: «Voleva fare l’attrice, vero?»
«Sono certo che al momento sta facendo ben altro…»
«Alex.»
«Andiamo, lo sappiamo entrambi che si era ripassata tutti o quasi a scuola.»
«In effetti…»
«Perché non vai a Los Angeles e vedi se hai un’opportunità, yankee?» dichiarò Felix, portandosi il bicchiere alla bocca e sorridendo all’espressione di esasperazione che era apparsa sul volto di Bridgette: «Che cosa ho detto?»
«Non ho più la forza di dirti qualcosa…»
«Lei non ha più la forza?» sbottò Gabriel, incrociando le braccia e suscitando l’ilarità della madre e del figlio: «Sono io quello con l’ufficio invaso ogni santo giorno! Se avessi ancora il mio Miraculous…»
«Che è mio, attualmente» commentò Thomas, allungandosi e arraffando un numero imprecisato di macarons, sotto lo sguardo di tutti: «Che c'è?» mugugnò con la bocca piena: «Sono in fase di crescita.»
«Sì, in larghezza» commentò Manon, rubandogliene uno e guardandolo con un sorriso angelico in volto, sbattendo le palpebre: «Ogni cosa che mi dirai sarà usata contro di te. A tempo debito.»
«Questa l’ha imparata dalla volpe» decretò Rafael, scuotendo il capo e passandosi una mano fra i capelli: «E’ l’unica che lo direbbe.»
«Ne sei certo, Rafael?»
«Apetta, io ne ho dette di cose che potrebbero essere usate contro di me e…»
«Forse perché me le segno e basta?»
«Questo non è corretto, Sarah» dichiarò Adrien, ghignando: «Non che non sia a favore di torturare psicologicamente il pennuto però…»
«Adrien, ti senti davvero così al sicuro?» domandò Marinette, sorridendo mentre lo sguardo verde si posava su di lei: «Davvero davvero?»
«Il moccioso dovrebbe stare solo zitto…»
«Parlo il kwami che era meglio se stava zitto» dichiarò Tikki, zittendo così il kwami nero e ridacchiando, mentre al suo fianco Plagg s’imbronciava e incrociava le zampette, voltandosi poi di lato e fissando un punto senza particolare interesse.
Marinette sorrise, mentre si allontanava di qualche passo verso la cucina, ascoltando le chiacchiere degli amici che, adesso, stavano passando dal prendere in giro Plagg a farlo con Alex: sistemò un’altra busta di macarons del padre in un vassoio e poi ritornò nella parte adibita a sala dell’abitazione, posando il secondo vassoio e osservando come tutti si avventassero sui dolcetti.
Lentamente arretrò, avvicinandosi alla porta che dava sul terrazzo e, silenziosa, uscì fuori: sospirò, mentre si chiudeva alle spalle la porta a vetri e socchiuse gli occhi, godendosi il silenzio dell’esterno; si strinse nello scialle che si era messa sulle spalle quella sera e si voltò, ascoltando appena il chiacchiericcio all’interno dell’appartamento, attutito dalle porte: «Troppa confusione, vero?» domandò Tikki, volandole attorno al volto e fermandosi davanti a lei, portandosi le zampette al musetto e ridacchiando.
«Avevo bisogno di un momento» mormorò Marinette, avvicinandosi alla balaustra e poggiandosi a questa, mentre lo sguardo scivolava sulla città immersa nelle luci della notte: «Volevo…»
«Pensare?» buttò lì Tikki, poggiandosi sul metallo della ringhiera, vicina al gomito di Marinette: «Sai, alle volte ti osservo e mi sento orgogliosa: la ragazzina che aprì la scatola del mio Miraculous è diventata una giovane donna fantastica, che è amata dal ragazzo che è l’amore della sua vita, ed è una Ladybug fantastica che ha salvato così tante volte Parigi…»
«Quest’ultima volta non ho fatto nulla, però.»
«Eri lì, ed eri pronta a tutto per fermare Kwon. Questo è l’importante.»
Marinette annuì, chinando lo sguardo verso il basso e sorridendo appena: «E’ strano» mormorò, tirando su il capo e portandosi una mano al volto, scacciando una ciocca scura di capelli e sorridendo appena: «Da quel giorno, lentamente, tutto è cambiato.»
«E’ normale, Marinette. E’ una cosa chiamata vita» dichiarò Tikki, sorridendole e fluttuandole fino a trovarsi davanti al viso della su Portatrice: «E continuerà a cambiare e cambiare. Un giorno, forse, faremo nuovamente questo discorso e tu dirai ancora che la tua vita è cambiata, ma perché è così che vanno le cose.»
«E la tua, Tikki?»
«Cosa?»
«La tua vita è cambiata?»
Tikki la guardò, piegando poi le labbra in un tenero sorriso e avvicinandosi alla ragazza, strusciandosi contro la guancia: «Ogni Ladybug che ho incontrato nel mio passato mi ha cambiata. Tu mi hai cambiata» mormorò la kwami, scrollando poi le piccole spalle: «Grazie a te e ad Adrien, io posso vivere con Plagg adesso e sono immensamente felice» si fermò, sorridendo e abbassando lo sguardo: «Ho persino potuto rivedere quella sua faccia da schiaffi…»
«Sarebbe stato bello se foste rimasti umani.»
«Saremmo morti entro breve» mormorò Tikki, chinando la testa e posandosi di nuovo sulla ringhiera: «E il mondo ha ancora bisogno del nostro potere, perché non si può sapere cosa c’è là fuori: Kwon e Routo non sono gli unici nemici, lo sai anche tu. No?»
«Papillon. Coeur Noir…»
«Loro sono stati solamente due.»
«Immagino che tu ne abbia combattuti molti di più. Vero?»
«Akenathon. L’imperatore Qin, i romani, gli schiavisti…» Tikki si fermò, sorridendo appena: «Ogni epoca ha il suo male e, forse è un bene, che i Miraculous esistono ancora. Che cosa sarebbe successo se non ci fossero stati? Quale realtà ci sarebbe adesso?»
Marinette annuendo, aprendo la bocca per ribattere ma si fermò al suono della porta scorrevole che si apriva; si voltò, notando Adrien mentre stava richiudendo il vetro, voltandosi verso di lei e sorridendole: «Bonsoir, my lady» decretò allegro, avvicinandosi e facendo vagare lo sguardo da lei alla kwami, poggiandosi poi alla balaustra e voltandosi, in modo da osservare l’interno dell’abitazione mentre un sorriso pigro gli distendeva le labbra: «Stavate facendo una discussione seria che non può essere ascoltata da nessuno?» domandò, inclinando appena la testa verso la moglie e guardando la piccola kwami rossa: «Plagg, andiamo anche a noi a fare un discorso…»
«Senti, moccioso, ho una forma di camembert fra le zampe, al momento non sono disponibile.»
«Stavamo solo riflettendo su quanto è cambiato…» Marinette si fermò, stropicciando appena il bordo della maglia e scuotendo il capo: «Beh, tutto da quando ho aperto la scatoletta che conteneva il mio Miraculous» continuò, alzando una mano e sfiorando uno degli orecchini magici: «Tutto qua.»
Adrien annuì, spostando nuovamente l’attenzione sui loro compagni che, al di là della vetrata, stavano chiacchierando fra loro, ignari del fatto che loro due non erano presenti o, più facilmente, consci che forse avevano bisogno di un minuto per loro; ghignò e alzò la mano, avvicinandola a Marinette e chiudendo le dita a pugno, osservandola mentre piegava le labbra in un sorriso e lo imitava, colpendolo con il proprio e, in contemporanea, aprirono la bocca pronti a dire quelle due parole che tante volte avevano detto e che, per gran parte della loro vita come supereroi, erano state un sinonimo di vittoria: «Bien joué!»


Volevo postare questo capitolo ieri ma, ahimè, cause di forza maggiori me lo hanno impedito, facendomi slittare di un giorno (esattamente come qualcuno aveva predetto! Bah, e pensare che avevo fatto i salti mortali per aggiornare tutto in tempo...). In ogni caso sono riuscita a concludere questa  trilogia prima della mia partenza e prima della partenza della seconda stagione.
Ed è finita.
Mi fa strano dirlo ma Miraculous Heroes, la trilogia principale e punto di partenza dell'intera saga del Quantum, si è conclusa.
Concludere una storia è sempre problematico, perché non so mai esattamente le parole giuste per concluderla, sebbene abbia la scena in mente: la prima parte, Miraculous Heroes, si è conclusa con un pensiero che faceva vivere la speranza di Marinette; Miraculous Heroes 2 invece con un ritorno, quest'ultima parte ho voluto finirla con qualcosa che è canonico nella serie.
Un gesto e due parole che abbiamo sentito in ogni puntata e che Jeremy Zag usò per presentare la data di fine produzione della seconda stagione: i pugni di Chat Noir e Ladybug uniti sotto a un panorama notturno di Parigi.
Ed è così che ho voluto concludere Miraculous Heroes - la trilogia - con un ritorno alle origini, un po' come lo è questo capitolo: un ritorno alla normalità che si è letta solo nel primissimo capitolo, quello dove Marinette disegna tranquilla nel suo terrazzino e viene raggiunta dalla chiamata del suo ragazzo, Adrien.
Mi sembrano passati secoli da quando ho scritto quelle parole, da quando mi sono messa al pc e ho buttato giù i primi capitoli di quella che, pensavo, sarebbe stata una storiellina così, tanto per ammazzare il tempo e scrivere qualcosa su uno show che mi aveva preso, anima e cuore.
E' passato un anno e mezzo (più o meno), e in questo lasso di tempo mi sono successe tantissime cose legate a Miraculous e alla mia storia: ho ripreso a scrivere, ho riacceso la fantasia che da troppi anni era sopita dentro di me, ho sorriso, mentre leggevo i vari commenti e, cosa più importante, ho fatto amicizia con persone fantastiche, a cui voglio un mondo di bene e che mi domando come facciano a sopportarmi nei miei giorni 'migliori'.
Ed è a queste persone che dico grazie, perché forse inconsciamente non hanno idea della forza che mi hanno dato.
E grazie lo dico anche a chiunque mi abbia letto, dandomi il suo supporto.
Il Quantum continuerà, perché ormai voglio dare vita al mondo che ho creato dentro di me, partendo da quei 26 episodi che tanto mi hanno preso: voglio approfondire la mitologia che ho creato, narrare le gesta delle Ladybug passate, le vite dei kwami ai tempi di Daitya, creare il collegamento fra la puntata di Volpina e il primo capitolo di In the Rain.
E poi continuare con i il futuro dei Portatori che avete imparato a conoscere assieme a me - perché, devo ammetterlo, non sarà facile staccarmi da questi sette che, ormai, sono entrati nella mia quotidianità -, scoprire come si sono evolute le loro storie sia nel corso di Miraculous Heroes che dopo (insomma: Xiang come ha fatto a cedere ad Alex? Com'è andato il primo appuntamento fra Rafael e Sarah? E i primi giorni di convivenza di Wei e Lila? Thomas e Manon, non li consideriamo? E poi la coppia con la C maiuscola), e poi i nuovi Portatori che da un po' di tempo sono diventati miei compagni al pari dei loro predecessori.
Forse queste storie non interesseranno, forse verranno ignorate, ma non m'interessa. Come direbbe Fu: ormai sei in ballo, e allora balla questo charleston!
Miraculous Heroes finisce qua.
Il Quantum no, quello continua e si espande.
Ed io spero di trovarvi ancora.
Echocide

 

 

   
 
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