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Autore: Frulli_    29/10/2017    2 recensioni
Inghilterra, 1805. Cathleen ed Emma non potrebbero essere più diverse: la prima è razionale e posata, la seconda entusiasta e romantica. Ma quando le due sorelle avranno a che fare con l'amore e i sentimenti, le reazioni saranno totalmente diverse.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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11. Wife and Husband
 

 

20 Giugno 1806

Camminava lentamente tra i corridoi di Barrington House. Era Giugno inoltrato ed era passato quasi un mese dal loro ritorno da Bath. Era fisicamente in forze, ma la testa era ricolma di pensieri, domande, dubbi.
Arthur le era stato accanto, mai come in quel periodo. La perdita di un figlio aveva avvicinato uno all'altra, lentamente e con discrezione. Da un sorriso ad una parola in confidenza. Aveva trascorso le ultime settimane seduta in giardino, incapace di fare nulla, di pensare a nulla. Solo al quel bambino perso, a quella macchia rosso vivo sulle lenzuola che veniva portate via, a quel dolore che avrebbe dovuto subire al parto, e non abortendo. Ed era stata tutta colpa sua, del suo essere testarda, debole, lamentosa come una bambina. Avrebbe dovuto avvisare Arthur del suo sospetto di essere incinta...per quell'ora forse avrebbero ancora loro figlio, e i loro sentimenti sarebbero stati più forti. O forse no?
Non aveva la forza di pensare a tutto ciò: sua madre le aveva detto che doveva andare avanti, tornare a essere se stessa, provare di nuovo. Che a tutte le donne capita, che era capitato anche a lei, da giovane, prima di avere Edward. Ma come poteva provare di nuovo, come se fosse un semplice esercizio tecnico di solfeggio? Era complicato, e lei ed Arthur ancora non si toccavano dall'ultima volta: per odio prima, per senso di colpa poi.
«Arthur?» chiamò appena, senza alzare troppo la voce. Parlava di rado e urlava ancora meno. In quanto ai sorrisi, lo sapeva, erano più rari di un miracolo. Era trasformata, il matrimonio e la perdita del bambino l'avevano completamente cambiata.
Arthur non rispose, così continuò il suo incedere lungo il corridoio illuminato dalle candele, per combattere il buio che era sceso appena dopo il vespro di quella estiva quanto fresca giornata. Si strinse mollemente lo scialle sulle spalle, i capelli in disordine e con addosso lo stesso abito del giorno precedente. Sentì qualche suono, come di uno strumento che veniva accordato, e si bloccò con il sangue gelato nelle vene.
Arthur stava suonando nella Music Room. Deglutì a fatica: non entrava in quella stanza da mesi ormai Ebbe un fremito alle mani, come se cercassero di spingerla ad entrare, come se la pregassero.
Si fece coraggio, quindi lentamente avanzò ed aprì la porta della Sala. Vide subito Arthur, chino verso uno scaffale pieno di spartiti, che cercava con insistenza.
«Cerchi qualcosa?» gli chiese, facendolo sobbalzare dalla paura. Emma sorrise appena e così fece anche il marito.
«Dì un po', vuoi farmi venire un malore vero? Non ti biasimo» mormorò Arthur, sarcastico.
Emma si avvicinò, sorridendo appena. «Giammai, mio caro marito. Cosa cerchi?» rispose con altrettanto sarcasmo, avvicinandosi. Evitò volutamente di inquadrare nel proprio sguardo la sua arpa, poggiata lì al centro della stanza, a prendere solo polvere.
«Oh nulla, solo qualcosa da suonare, per passatempo. Consigli?»
«Non saprei...» mormorò Emma, lanciando un'occhiata agli spartiti. Le mani ebbero un secondo fremito che dovette nascondere, stringendo lo scialle sulle spalle. Lo sguardo cadde inesorabilmente sulla sua arpa ed ebbe un brivido lungo la schiena, che la fece sorridere appena, con rammarico.
«Ebbene?» insistette suo marito, indicandole gli spartiti. Emma si avvicinò, incerta, prese a sfogliarli, quindi sollevò il viso al cielo, presa da una folgorazione improvvisa.
«Perchè non suoni L'arrivo della Regina di Saba?»
«Uh, Handel, ottima scelta. Certo, come solista è un po' impegnativo...non trovi? Se solo trovassi un accompagnamento...» mormorò, con tono teatrale.
«Arthur, io non...» sussurrò incerta Emma, deglutendo.
«Oh avanti, Emma, non dirmi che non ti manca la tua arpa. E a me manca, quindi devi per forza suonare» precisò Arthur, sorridendo divertito e porgendole una mano. Impiegò molto, ma alla fine Emma la strinse con garbo e si lasciò guidare lentamente verso lo sgabello davanti l'arpa. Osservò lo strumento, impolverato e rigido come un povero vecchio, senza più cure.
Si sedette, sistemò l'arpa e poggiò le mani sulle corde tese, in vibrante attesa. Socchiuse gli occhi, le palpebre tremavano appena, e alla fine guardò il marito alla sua destra, il violoncello in posizione.
«Non ce la faccio...» mormorò Emma, gli occhi che si riempivano di lacrime.
Arthur sorrise, annuendo. «Ce la fai, Emma, ce la faremo insieme. Forza, suonami Handel...per favore»
Emma deglutì a fatica, quindi osservò le dita e le corde. Le pizzicò, con incertezza e, dopo poche note, stonò miseramente. Arretrò appena con le dita ma il marito la fissava ancora, con calma.
«Non stai suonando col cuore, Emma. Chiudi gli occhi, e lasciati guidare da esso, lasciati guidare dalla musica. La musica salva ogni afflizione e turbamento, lo sai meglio di me. Forza...» la incoraggiò, con garbo.
Emma chiuse lentamente gli occhi, quindi ricominciò da capo. Prima incerta, poi sempre più sicura, le note si spalancavano radiose e leggiadre come musica divina e celestiale, risuonando in tutta la Music Room. Non c'era più nulla intorno a lei, non c'erano più pensieri nella sua testa, né dolore nel suo cuore. Muoveva appena il capo, a quel ritmo celestiale, mentre davanti alla sua fantasia si apriva il corteo festante che accoglieva la Regina di Saba alla dimora di Salomone, tra cori e danze. Le dita pizzicavano con maestria e scioltezza le corde, come se avessero una propria memoria, come se avessero ritrovato da sole quella strada da molto tempo abbandonata ma mai dimenticata del tutto. Quando le ultime corde furono pizzicate, Emma poggiò appena la testa contro il proprio strumento e sorrise, aprendo gli occhi.
«Ci sei mancata, Emma» mormorò Arthur, che fino ad allora l'aveva accompagnata con il violoncello.
La giovane sorrise di più, osservando il marito, e non riuscì ad evitare il pensiero che, sorridente e calmo, era di una bellezza disarmante. Arrossì appena a quel pensiero e cercò di distrarsi, ma scoppiò quasi a ridere quando Arthur imbracciò il violoncello, come una chitarra, con la fascia laterale poggiata sulla sua coscia.
«Ma cosa fai?»
«Ho intenzione di invitare dei vecchi amici a suonare un concerto di Boccherini, qui a casa nostra, se e quando a te sarà gradito, cara. E così pensavo di rinfrescarmi la memoria, mi aiuti?» rispose Arthur, guardandola con sfida.
Emma rise appena, scuotendo la testa, quindi sistemò di nuovo l'arpa e fissò Arthur, in attesa che cominciasse a suonare.
La serata proseguì con quasi tutto il repertorio di Boccherini, che cercarono modestamente di riprodurre con solo un'arpa e un violoncello. I loro cuori non piangevano più e nemmeno i loro occhi. Al contrario, le bocche erano aperte alle risate allegre e gli occhi lacrimanti di divertimento. Arthur espresse tutto il suo folle e divertente stile musicale, ed Emma si lasciò coinvolgere e influenzare. Suonarono come due bambini, cantandolo a squarciagola.


«Arthur, ti prego basta ridere, non riesco nemmeno...a camminare!» esclamò Emma, cercando di camminare piano data l'ora tarda: molti servitori erano andati sicuramente a dormire, se non tutti. Stavano risalendo nella zona notte della casa, sottobraccio come due ubriaconi, seppur l'unica ebbrezza provata era quella data dalla felicità.
«Io? Guarda che io non sto facendo nulla, sei tu che hai cercato di suonare il violoncello. Assolutamente disdicevole, Lady Egerton...» borbottò Arthur, facendo scoppiare Emma in una sonora risata, seguita a ruota dal marito. Si bloccarono di colpo, nel movimento e nel ridere, quando una porta si spalancò e videro un'assonnata cameriera, in vestaglia e candela in mano, sul ciglio della porta.
«Tutto bene, signori...?» rantolò quella, assonnata ma allarmata probabilmente dal chiasso.
«Si, certo Josephine, puoi andare a dormire. Buonanotte...» annunciò serio e gelido Arthur, com'era solito fare. Quando Josephine richiuse la porta, marito e moglie si dovettero tappare entrambe le bocche con le mani per evitare che le loro risate si sentissero fino a Bath. Corsero fino alla zona notte padronale e lì si fermarono davanti a due porte: le loro camere separate. Si zittirono entrambi, probabilmente colti dallo stesso dubbio.
«Bene...allora buonanotte» annunciò Arthur dopo secondi interminabili.
«Si, certo...buonanotte Arthur» rispose Emma, girandosi verso il marito il quale, castamente, le baciò una guancia e poi, con calma, entrò nella sua stanza.
Emma fece altrettanto, facendo silenzio: qualcuno della servitù aveva acceso le candele dentro la camera ma nonostante quello l'oscurità l'opprimeva. Si appoggiò alla porta con la schiena, fissando il buio nella stanza, quella stanza doveva aveva pianto per mesi, prima per un matrimonio infelice, poi per un figlio mai nato. Aveva senso stare ancora lì? Voleva davvero stare lì, soprattutto? Deglutì, si sedette sul bordo del letto. Si spogliò, infilandosi poi la veste da notte. Si sciolse i capelli, lasciando che una cascata di onde dorate ricadessero sulla schiena. Sbadigliò, data l'ora tarda, e provò a sdraiarsi sotto le gelide coperte. Fissò a lungo il baldacchino del proprio letto, sentendo la pendola contare i secondi, i minuti...
«Basta» borbottò alla fine, esasperata. Si alzò quasi avesse dei bracieri bollenti nel letto, prese il porta candela, si gettò lo scialle sulle spalle ed uscì dalla stanza: il silenzio e l'oscurità la invasero in pieno. Si avvicinò lentamente alla porta del marito, poggiò l'orecchio contro il legno: non sentiva nessun rumore. Deglutì, ma si fece coraggio e lentamente aprì la porta, sgattaiolando dentro prima di chiudersi la porta alle spalle. Non era mai stata lì dentro, in tutti quei mesi di matrimonio: era sempre Arthur a farle visita, mai il contrario. Arrossì a quel pensiero ma si fece coraggio e si avvicinò.
«Emma?» la voce impastata di sonno del marito non celava affatto la sua sorpresa.
«Io...non riesco a dormire in quella stanza» ammise candidamente lei, a bassa voce. Arthur si tirò su immediatamente. La luce della candela ne illuminava appena il torace nudo, i capelli rossi disordinati e l'aria confusa.
«Vuoi...dormire qui?» propose lui, osservandola.
«Potrei, certo...se non ti reco disturbo» rispose la moglie, avvicinandosi incerta.
«Basta che non russi...» commentò ironico Arthur, scivolando di lato e facendole spazio. Emma ridacchiò appena, rilassandosi immediatamente. Si tolse lo scialle e poggiò la candela sul comodino, poi s'infilò sotto le coperte calde e accoglienti. Tremò appena, incerta se fosse il freddo e il nervosismo.
«Emma?»
«Si?»
«Mi spiace sia andata così...» il tono del marito era serio ma sincero.
«Lo so, Arthur. Non lo abbiamo scelto noi, ci è stato imposto. Ma vedrai che ce la faremo»
«Per notti intere pensavo a cosa fare, ma lasciare l'Inghilterra significava venderela tenuta: non abbiamo più parenti, né prossimi né lontani, e avrei dovuto cacciare mia madre e mia sorella da casa loro, dove sono nate e vissute. Non potevo farlo, ma allo stesso tempo odiavo mio padre per avermi fatto tornare di forza, se solo me lo avesse chiesto...»
«Cosa è successo tra voi due?»
«Beh da bambino ero una gran testa calda, ne combinavo di tutti i colori, mio padre s'infuriava con me ogni giorno. Quando avevo sedici anni mi innamorai di una popolana e, quel che è peggio...lei rimase incinta»
Emma si girò di scatto, fissando il marito nella penombra.
«Ero uno sciocco, te l'ho detto. Mio padre quasi morì di crepacuore quel giorno. Mi cacciò via, mi mandò a studiare in Europa gridando che mai avrei rimesso piedi in casa sua. In quanto alla ragazza, purtroppo...» si fermò ma Emma capì comunque.
«E non vi vedeste mai più, tu e tuo padre?»
«No, mai. Mia madre e mia sorella mi scrivevano mensilmente, ed io rispondevo loro con stizza nei primi mesi, con rimorso nei successivi. Mi dicevano che col passare del tempo mio padre si era pentito della scelta ma che, orgoglioso com'era, non mi avrebbe mai richiamato. Ed io ero troppo orgoglioso per tornare in ginocchio. Immagino che questo sia stato il suo modo di farmi tornare a casa, dalla mia famiglia»
Emma tacque, osservandolo in silenzio.
«Pensavo di essere stata io la vittima di questo matrimonio, ma ora comincio a pensare che sei tu...»
Arthur sorrise appena, mestamente. «Lo siamo entrambi, Emma. Siamo stati anche due sciocchi, ma credo che...sì, credo che nostro figlio ci abbia fatto avvicinare, per la prima volta in tutti questi mesi»
Emma sorrise di nuovo, triste. Sentì la mano di Arthur, calda, stringersi alla sua più fredda. La prese delicatamente e la portò alla bocca baciandola.
«Andrà tutto bene, Emma, te lo prometto. Mi prenderò cura di te, in ogni tua necessità, e cercherò di amarti e onorarti, finchè morte non ci separi. E avverrà molto presto, se continuiamo a suonare Boccherini»
La giovane rise divertita e strinse forte la mano del marito.
«Lo farò anche io: cercherò di essere una brava moglie, di assisterti, onorarti e...e amarti. Ma devo confessarti una cosa...»
«Cosa...» sussurrò Arthur, serio.
«Io russo davvero...»
Scoppiarono entrambi a ridere, nascondendosi sotto le coperte per evitare di svegliare tutta Egerton House.




Era uno splendido pomeriggio di Giugno, il sole era alto nel cielo e l'abbigliamento estivo era stato rinfrescato e indossato prima del previsto, data l'estate calda. Era stato organizzato un magnifico pic-nic nel giardino dei Barrington per festeggiare l'ingresso dell'estate e l'inizio del raccolto, e molti vicini erano stati invitati. I più giovani stavano giocando a cricket nel prato adiacente, mentre le coppie già sposate passeggiavano o chiacchieravano all'ombra delle bianche tende, davanti ad una bella tazza di thè pomeridiano.
Cathleen e Charles camminavano per la grande tenuta dei Barrington, tenuti a vista dagli adulti della compagnia come l'etichetta imponeva ma, a conti fatti, nessuno aveva intenzione di disturbare corteggiatore e corteggiata. Cathleen poteva sentire suo fratello e Mr Barrington discutere animatamente per un punteggio non dato mentre giocavano a cricket.
«Vi ho mai mostrato il ruscello della tenuta? C'è un ponticello in pietra, sopra, dove da piccolo mi piaceva molto pescare. Non temente, non è lontano, non ci coglierà la tempesta questa volta» annunciò di punto in bianco il Capitano, sorridendo appena.
«Certamente, andiamo» rispose sorridente Cathleen.
La residenza dei Barrington era grande, con innumerevoli stanze e centinaia di servitori, ma il suo giardino era il più grande della zona in assoluto. La parte più vicina alla residenza riprendeva la moda del giardino italiano, con siepi, statue greche e fontane, un gazebo in pietra ed un vasto prato; più in lontananza, c'era un labirinto circolare fatto di alte siepi, un ruscello con un ponte di pietra, e persino un piccolo bosco per la caccia. Una piccola comunità di scoiattoli gironzolavano allegri per gli acri della tenuta, e si poteva vedere persino qualche falco pellegrino sorvolare la zona di caccia.
Dalla residenza al ruscello non c'era molta distanza, impiegarono meno di mezz'ora, giusto il tempo per far arrossire le gote di Cathleen per il calore e la fatica della camminata.
«Eccoci qua» annunciò il Capitano, indicando il piccolo e romantico ponticello di pietra che attraversava il ruscello, gorgogliante e cristallino. Cathleen salì sul ponte per prima, lentamente, avendo tempo di godersi quel momento: il sole rifletteva sull'acqua trasparente, le rondini cantavano allegre e intorno a loro c'era solo pace e tranquillità. Sorrise al Capitano, vicino a lei, e poggiò le mani sulla balaustra.
«E' davvero un posto incantevole...»
«E' vero. Da piccolo venivo spesso qui, con mia madre o mio nonno. Pescavamo, cantavamo,..poi, da adulto e quando ero in licenza, mi sono recato qui con frequenza per trovare pace e conforto dai problemi che assillano solo i grandi, e fortunamente mai i bambini»
Cathleen sorrise, annuendo appena. Rimasero vicini, uno accanto all'altro e in silenzio, a lungo.Il vento estivo le smuoveva appena l'abito di mussola bianca e qualche ciocca di capelli che sfuggivano insolenti alla capigliatura.
«Miss Cathleen...?» chiamò improvvisamente il Capitano.
«Si?»
«Io...ho da dirvi una cosa»
«Ditemi pure, Capitano» l'etichetta le imponeva garbo e discrezione, ma in quel momento avrebbe voluto gridare al giovane di sbrigarsi a parlare perchè aveva atteso fin troppo.
«Ebbene...Immagino sappiate già della mia richiesta a vostro padre, quello di poter trascorrere del tempo con voi, per conoscervi. Sapete anche, immagino, della mia lettera di dimissioni alla Marina. Ho sempre pensato che se avessi mai lasciato la mia carriera militare sarebbe stato per una donna intelligente, forte, una mia pari...e quella donna siete voi, Miss Cathleen» annunciò serio il giovane, prendendole poi le mani «non sono bravo con le parole, ma credo di avervi già dimostrato con i fatti che mi siete cara. Spero di non offendervi con queste parole, ma in caso contrario basta una vostra parola e mi fermerò»
Cathleen lo fissava senza dire nulla, totalmente in balìa delle sue parole. Non era una dichiarazione romantica e appassionata come nei romanzi che aveva letto, ma era la sua dichiarazione...solo per lei. Sorrise al Capitano, stringendo le sue mani.
«Continuate pure, Capitano, vi ascolto...» mormorò Cathleen, tradendo l'emozione nella sua voce.
«Ebbene...» annunciò il giovane, e si inginocchiò lentamente davanti alla giovane, la quale sorrise ancora di più, emozionata «Miss Cathleen, volete sposarmi?»
«Sì» rispose subito Cathleen, annuendo «mille volte sì, temevo non me l'avreste mai chiesto!» esclamò alla fine Cathleen, sollevata e sorridendo tremante.
Il Capitano si alzò di scatto, sorridendo raggiante e stringendole ancora le mani, emozionati come due bambini. Si guardarono a lungo, ridendo e sorridendo senza ragione alcuna. Ma lì la ragione non aveva proprio senso, lo sapevano entrambi.


«Forza, siediti e raccontami tutto. Voglio sapere ogni dettaglio!» mormorò Emma eccitata, facendo sedere la sorella davanti al camino. Charlotte e Mrs Colborne erano già sedute e in attesa, mentre Mr Colborne ed Edward erano in un angolo del salotto a leggere, seppur Cathleen avesse giurato di aver colto il padre di sorpresa, un paio di volte, guardare verso di loro con la coda dell'occhio.
«Non c'è nulla da raccontare, Emma. Stavamo passeggiando per il parco, mi ha mostrato quel grazioso ponticello che hanno vicino al bosco, e...mi ha chiesto se volevo sposarlo. E io ho detto sì»
Charlotte sospirò sognante, e così fece anche Emma.
«Oh cara sono così contenta che finalmente il Capitano si sia fatto avanti! Certo, avrei preferito suo fratello, ma...»
«Mr Barrington? Dite madre, siete fuori di senno?»
«Emma, non parlare così a tua madre»
«Scusate padre, ma sono sinceramente sorpresa. Come può nostra madre preferire un uomo tanto insulso, iracondo e poco attraente a suo fratello, che ne è l'esatto opposto?»
«Credo che la sua rendita lo faccia rendere un uomo perfetto agli occhi di tua madre»
«Che assurdità, una rendita perfetta non rende un uomo migliore...» precisò Emma seria.
«Come Sir Egerton?» disse candidamente Charlotte.
Emma diventò paonazza ma fulminò subito la sorella minore. Tutti si accorsero di come avesse difeso, seppur non a parole, l'opinione del marito, ma nessuno disse nulla.
«Fatto sta» riprese Mrs Colborne «che dovrai aspettare per sposarti, Cathy. Non potete sposarvi se prima non lo farà Mr Barrington»
«Lo so, ma Sir Barrington ha assicurato che entro la fine dell'estate Mr Barrington si sposerà, ed allora potremmo sposarci anche noi» commentò prontamente Cathleen. Sir Barrington aveva tenuto molto a rassicurare lei e Mr Colborne riguardo tale faccenda, firmando anche un pre-contratto dove si impegnavano a rispettare la parola data entro i termini previsti.
«Allora è tutto sistemato, no? Presto dovremmo andare dalla sarta per farti un vestito» annunciò entusiasta Mrs Colborne.
Cathleen ascoltò con piacere le chiacchiere matrimoniali di Emma e della madre, seppur non faceva altro che pensare a come poteva essere diventare Mrs Barrington, la moglie del Capitano.






L'estate, quell'anno, era molto calda e allo stesso tempo molto piovosa. Un equilibrio leggero e a volte instabile, come ogni cosa lì in quella bucolica campagna inglese. Quel giorno, quel primo giorno di Luglio, il sole era alto nel cielo e nulla poteva davvero rabbuiare la mente di Cathleen. Era seduta su una panchina in legno nel suo giardino di lavande, e ad occhi chiusi poteva sentire il calore intenso del sole sul viso. Stormi di uccelli si muovevano nell'aria, creando fantasiosi disegni, ed un profumo intenso di lavanda permeava tutto intorno a lei.
Sentì dei passi sul ciottolato ma non se ne curò, non finchè non riconobbe quella colonia così stuzzichevole e familiare.
«Charles!» esclamò felice, aprendo di scatto gli occhi. Si alzò, andando ad abbracciare il suo adorato Charles, che ricambiò con slancio il suo gesto. Le baciò la fronte con delicatezza, ma aveva sul viso un'espressione tesa, contrita. Cathleen sapeva che qualcosa lo crucciava.
«Cosa c'è?» chiese subito, e Charles sorrise appena.
«Ormai conosci i miei sentimenti meglio di me»
«Sono un'ottima osservatrice»
«E' vero. Ebbene...c'è qualcosa che debbo dirti. Una infausta notizia, invero, che non avevo calcolato» ammise sincero e schietto come solo il Capitano sapeva essere.
Cathleen deglutì ma si lasciò guidare dalla sicurezza di Charles, con cui si sedette sulla panchina.
«Il matrimonio è stato annullato?» chiese lei, temendo il peggio.
Charles sorrise appena, sfiorandole la guancia in una carezza. «No, mia dolce Cathleen. Ma ho ricevuto questa» e dalla tasca estrasse una lettera, sgualcita ma con il timbro rotto ben in evidenza: l'emblema della Marina. Deglutì, osservando Charles che si limitò a ricambiare lo sguardo. Doveva leggere. Aprì lentamente la lettera, con mani incerte, e lesse il contenuto della lettera. Il cuore si fermò qualche istante.
«Ma come, io...non capisco» ammise Cathleen, confusa.
«Nemmeno io, ma credo che la mia lettera di dimissione non è mai stata pervenuta, a volte le lettere vanno perdute, non sarebbe la prima volta. E così la Marina, non sapendo delle mie dimissioni, mi ha richiamato per un breve viaggio»
«Ma devi partire per forza?» chiese Cathleen, sentendo già gli occhi umidi e la voce tremante.
«Temo di si, mia dolce Cathleen, il dovere mi chiama un'ultima volta. Non devi temere: è solo un viaggio di ricognizione, è molto usuale dopo una grande vittoria navale. Starò via per un mese a malapena: partirò fra un paio di giorni e tornerò prima della raccolta del grano, e a quel punto...» si fermò, sorridendole con dolcezza «diventeremo marito e moglie»
Cathleen sospirò, porgendogli la lettera. Deglutì e fissò il cielo sereno sopra di lei.
«So che ti sto chiedendo tanto, Cathleen, a te e alla tua famiglia. Per questo devo chiederti di rispondere con sincerità alla domanda che sto per porti: mi aspetterai?»
Cathleen lo guardò di scatto e sorrise, prendendogli una mano.
«Certo che ti aspetterò, Charles, dovessi aspettare l'eternità»
«Spero che sia meno di un'eternità, potrei stufarmi di vedere solo il mare e non i tuoi occhi» rispose leggero Charles, facendola sorridere. Si zittirono, maturando lentamente l'idea della lontananza fisica e mentale per così tanto tempo. Non dissero nulla per molto tempo, poi Charle lentamente si sdraiò sulla panchina, posando la testa sulle gambe della sua amata. Cathleen gli sorrise, guardandolo dall'alto, e gli accarezzò dolcemente i capelli castani; notò qualche capello grigio sparso sulla nuca e sorrise appena, divertita.
«Cosa ridi?» chiese lui, sorridente.
«Hai i capelli bianchi»
«Verranno presto anche a te, non temere»
«Oh beh, potrò sempre tingerli o usare qualche vaporosa parrucca»
«Come quella di mia nonna, con le pulci dentro?»
«Cielo, Charles, sei disgustoso!» esclamò lei, ridendo divertita.
Il silenzio tornò di nuovo, un dolce vento estivo si alzò sopra di loro trasportando un intenso odore di lavanda. Charles portò di nuovo gli occhi su Cathleen, sorridendo.
«Ecco, io e te siamo come la lavanda: sempreverde, rende il suo cespuglio profumato e vigoroso. Nè la neve né la siccità può procurarle danno, e si staglia forte davanti ad ogni avversità. Noi saremo così Cathleen, te lo prometto: questo viaggio non ci scalfirà né ci allontanerà. Sarà solo più bello quando ci rivedremo, e quando accadrà vorrà dire che mancherà poco prima di sposarci»
Cathleen sorrise per tutto il tempo, prima di annuire. «Come la lavanda, va bene. Ma torna presto, Capitano»
«Sarà fatto, Ammiraglio...» mormorò Charles, baciandole la mano che stringeva.




Se ne stava in piedi, in cima alla scalinata di Barrington House, mentre i paggi finivano di caricare la carrozza.
Charles indossava la sua divisa della Marina, la stessa che aveva quando lo aveva visto per la prima volta, quella che probabilmente aiutò a farla innamorare di lui. Quel portamento regale, d'altri tempi, il modo in cui portava con orgoglio quelle mostrine e quelle medaglie, il modo in cui i bottoni dorati della giacca brillavano. Il suo viso era teso mentre parlava a suo padre, che sembrava invecchiato improvvisamente.
Charles abbracciò il padre con affetto, sorridendogli e mormorando qualcosa. Sollevò gli occhi verso la scalinata, Cathleen seguì il suo sguardo e si girò dietro di lei. Adam era in cima alla scalinata di marmo, serio e tetro come un'ombra. Sollevò appena il mento verso il fratello, a mò di saluto, quindi rientrò nel palazzo. Molti scambiarono quel gesto come imbarazzo nel lasciarsi andare ad un addio doloroso dal fratello, ma Cathleen ebbe di nuovo la sensazione che Adam guardasse il fratello con occhi colmi di risentimento. Perchè tutto quell'astio?
Si distrasse quando Sir Barrington salì lentamente le scale, incrociandone gli occhi: aveva due grosse lacrime che gli solcavano le guance, ed il cuore di Cathleen si fece piccolo. Gli sorrise appena, con dolcezza, quindi scese la scalinata sollevando appena l'abito azzurro. Si avvicinò a Charles, che attendeva impettito ma lo sguardo sereno e rilassato. Per qualche secondo non riuscirono a dirsi nulla, ma alla fine fu Charles a muoversi, prendendo la mano della giovane e baciandola con affetto.
«A presto, mia dolce Cathleen. Ricorda la tua promessa»
«Scrivere una breve sonata al pianoforte?»
«Esatto. Il tempo di finire la composizione ed io sarò tornato, pronto ad ascoltarla»
Cathleen sorrise, stringendo forte la sua mano. «Sta attento. E torna presto»
«Lo farò» mormorò Charles, quindi aprì la porta della carrozza e salì, richiudendola.
Cathleen estrasse qualcosa dalla tasca dell'abito e la consegnò della sua mano.
«Lo sai che non sono molto brava...mi ha aiutato Elizabeth a farlo»
Charles osservò il fazzoletto bianco, ricamato ai bordi e con sopra le doppie consonanti “C. C.”
«Le tue iniziali?»
«Le nostre iniziali» precisò lei, sorridendo dolcemente. Charles le strinse di nuovo la mano, infilando il fazzoletto nella tasca sul petto della giacca.
«Lo custodirò come il più prezioso dei miei tesori. A presto, mia dolce Cathleen»
«A presto, Charles...»
Il Capitano sorrise, quindi sventolò la mano verso chi era rimasto la scalinata, ed infine la carrozza partì veloce, diretta a Londra.



Per finire: bentornat* a tutt*! Come si dice? Una storia d'amore non è bella abbastanza se non ci ostacoli di mezzo, e qui ce n'è uno bello grosso :P Finalmente Charles si è deciso ed ha chiesto a Cathleen di sposarlo, ma subito dopo deve partire per una maledetta lettera non arrivata, che strano vero? Eppure deve partire, lasciando solo momentaneamente la sua amata. In quanto ad Emma e Arthur, invece, si riavvicinano sentilmentalmente grazie soprattutto al loro amore per la musica «3 Che altro dirvi? Spero vi sia piaciuto questo capitolo, fatemelo sapere e al prossimo capitolo! Ne vedrete delle belle (o brutte?) :)

  
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