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Autore: malandrina4ever    31/10/2017    9 recensioni
«Perché sono il tuo migliore amico. E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.»
~ James Potter
«E lui poteva appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato. Perché Lily sorrideva a me e non a lui.»
~ Severus Piton
«Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.»
~ Lily Evans
«La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.»
~ Remus Lupin
«Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei sentirmi almeno leggermente in colpa per aver barato. Ma il Malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.»
~ Sirius Black
«James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.»
~ Peter Minus
«Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile. Solo non il mio.»
~ Regulus Black
---
I'm not a perfect person
I never meant to do those things to you
And so I have to say before I go
That I just want you to know

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Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando lui e non me.
Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me.
Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
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I've found a reason to show
A side of me you didn't know
A reason for all that I do
And the reason is you.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Mangiamorte, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAPITOLO 25.

   


 


 
Nel momento stesso in cui poso il primo piede a terra, scendendo dal treno, l’immagine del mio libro di Erbologia abbandonato sulla mia scrivania a casa si materializza di colpo nella mia mente ed io mi congelo sul posto. Ecco cos’ho dimenticato. Riesco già a sentire la voce di mamma sfondarmi i timpani tramite la strillettera che riceverò non appena si accorgerà che è successo di nuovo, nonostante i suoi infiniti ‘Peter, tesoro, sicuro di aver preso tutto? Sicuro? Sicuro sicuro? Ma sicuro sicuro sicuro?’. Non è nemmeno colpa mia a dirla tutta: nessuna persona al mondo riuscirebbe a connettere ancora il cervello dopo l’ennesimo sicuro sicuro sicuro? pronunciato con una tonalità ascendente sempre più acuta e vagamente dolorosa. A parte Remus, certo, ma lui sarebbe in grado di pensare e connettere e tutte quelle cose intelligenti anche con due strillettere appiccicate alle orecchie: è la sua specialità, far funzionare il cervello anche in condizioni avverse al ragionamento. Così come è specialità di James afferrare un boccino minuscolo prima degli altri, specialità di Sirius riuscire a mangiare anche a testa in giù e specialità mia farmi spintonare e prendere a male parole dagli studenti bloccati sul treno dietro di me, sui cui gradini ho ancora l’altro piede, quello che non è a terra. Non sono Remus, pensare lucidamente ed in fretta anche mentre tutti mi stanno gridando contro non mi riesce particolarmente bene, ma nonostante ciò, giungo abbastanza in fretta alla conclusione che la mossa migliore da fare ora è spostarmi, lasciando tutti liberi di uscire. Funziona, per l’appunto: non appena porto a terra anche l’altro piede, spostandomi di lato, il folto gruppo di studenti che sono rientrati a casa per le vacanze di Natale si riversa sull’asfalto grigiastro della stazione, puntando subito in direzione dell’uscita, dove ci aspettano le carrozze per Hogwarts; non c’è nessuno da salutare qui, è domenica sera e questo vuol dire che a nessuno studente di Hogwarts è permesso essere ad Hogsmeade, nemmeno per dare il bentornato ai propri amici.
I miei amici, per l’appunto, non sono nessuno studente di Hogwarts.
Sono i Malandrini e questo è il motivo per cui, prima di poter fare anche solo un passo, sento improvvisamente delle dita che si chiudono attorno al mio braccio strattonandomi di lato e subito dopo una stoffa fresca e liscia come seta scorrermi rapida sul viso. 
 
*
 

«Peter!»
James, nell’eccessivamente entusiasta intento di abbracciare il nostro amico, mi dà la terza gomitata sul naso da questa mattina, quando è stato deciso all’unanimità – in cui unanimità sta ad indicare che ogni parte di James era convita della cosa – che saremmo stati degli amici spregevoli e infami se non fossimo venuti a prendere Peter alla stazione di Hogsmeade. Forse ha ragione, lo saremmo stati: amici spregevoli e infami e col naso intatto e non dolorante per le infinite gomitate e perfettamente in linea col regolamento scolastico, ad attendere comodamente Peter all’entrata del parco di Hogwarts insieme a tutti gli altri e non spiaccicati l’uno contro l’altro sotto un mantello dell’invisibilità in un posto in cui non ci è assolutamente concesso di essere. Credo che sia stata una buona idea quella di lasciare la mia spilla da Prefetto al castello, l’unica buona idea della giornata.
«Cazzo, James, ahia, spero che tu muoia nel sonno, figlio di puttana. Sta’ fermo, fermo» Sirius, d’altro canto, non ha la mia stessa predisposizione a ricevere in silenzio le gomitate altrui. «Peter. Petey Pete. Sei proprio tu? Sei tornato davvero, dopo tutto questo tempo?»
«Sono stato via solo venti giorni.»  
«Pensavamo ci avessi abbandonato per sempre, è così bello vederti.»
«Sei ancora come ti ricordavamo, come se non fosse passata un’eternità.»
«Venti giorni.»
«Anni luce!»                                                                                                                        
«Quella non è un’unità di tempo» Qualcosa nel nucleo stesso del mio essere mi costringe a precisare, mandando in frantumi il mio proposito di non intervenire nel melodrammatico teatrino di James e Sirius. Davvero, non vedo il punto di stare sotto un mantello dell’invisibilità se poi si ha comunque intenzione di schiamazzare in questo modo. «Bentornato, Pete. Sei mancato anche a me.»
«Mente» dice Sirius intercettando con un gesto deciso la mia pacca di saluto a Peter. «Sotto il suo materasso ha i moduli da compilare per partecipare alle selezioni del Malandrino sostitutivo: ha iniziato a distribuirli dopo appena due ore dalla tua partenza. Ha una spilla da Prefetto al posto del cuore, te lo dico io.»
«È vero» annuisce James con aria grave. «Ci ha impedito di portare in camera il topo che abbiamo catturato nei sotterranei.»
«Avete catturato un topo?»
«Certo, perché a noi mancavi davvero.»
«Più grande di me?» si informa Peter sospettoso e quando James nega pare rilassarsi: a quanto pare il fatto che i tuoi migliori amici provino a rimpiazzarti con un roditore qualsiasi è offensivo solo se suddetto roditore ha una stazza maggiore della tua. Affascinante.
«In ogni caso era malvagio» aggiunge Sirius. «Continuava a cercare di morderci.
«Troppo tempo passato nei sotterranei» sospira James. «La sua lealtà era segnata: era un topo Serpeverde.»
«Era?»
«Remus lo ha ucciso.»
«Non l’ho mai nemmeno sfiorato il vostro topo, da persona sana di mente quale sono.»
«Ci hai costretto a liberarlo, la morte di Wormtail secondo è sulla tua coscienza.»
«Non pensavo di dovervi ricordare io di controllare che non ci fosse Mrs Purr nei paraggi prima di liberarlo.»
«Ha cercato di mangiare anche me una volta» sospira Peter con lo sguardo nel vuoto, perso in ricordi lontani.
«Bene» esclama Sirius battendo le mani. «Voto per allontanarci da qui: mi sono rotto di stare sotto questo mantello con voi tre appiccicati addosso come bavose.»
«Ti vogliamo bene anche noi, Padfoot» James fa un sorrisetto sarcastico. «Comunque io voto per andare ai Tre Manici.»
«Anch’io.»
«Sì, una Burrobirra la prenderei volentieri.»
«Io voto per tornare al castello.»
«Tutti d’accordo quindi, sì? Nessuno contrario?»
«Io voto per tornare al castello.»
«E Tre Manici sia!»
 
 
 

«E poi le ho spinto forte sul petto e la prozia Betty ha sputato l’osso di pollo in faccia a mamma» Peter sorseggia compiaciuto la sua Burrobirra, visibilmente orgoglioso. «E tutti hanno iniziato ad applaudirmi.»
«È stato molto eroico da parte tua, Pete, davvero» commento pacato, scaldandomi le mani contro la tazza di cioccolata fumante. E nonostante abbia le labbra ancora immerse nella schiuma della sua Burrobirra, il versetto contrariato di Sirius mi giunge chiaro alle orecchie.
«Ho fatto la stessa identica cosa con mia zia Druilla e tu l’hai definito immaturo, non eroico.»
«Le hai infilato un osso di pollo in gola con la magia: non è per niente la stessa cosa» preciso. «È la differenza tra un salvataggio e un tentato omicidio.»
«Non è tentato omicidio sotto gli undici anni: non avevo nemmeno la bacchetta ancora.
«Ha ragione, Moony» annuisce James, che tende a dare ragione a Sirius come regola di vita. «La magia non intenzionale non conta, lo sanno tutti.»
«E quello è stato il momento più emozionante delle mie vacanze» riprende Peter ignorandoci. «Cos’avete combinato voi invece?»
Sirius smette di guardarmi vittorioso solo per voltarsi verso Peter, accigliato. Anch’io mi volto verso di lui. James no. Sorseggia la sua Burrobirra con aria distratta, ignorando che ora sia i miei occhi che quelli di Sirius sono su di lui. Poi Sirius torna a guardare me ed io guardo lui e poi guardiamo di nuovo Peter, che pare piuttosto confuso. Per qualche secondo l’unico rumore è quello del chiacchiericcio tranquillo degli altri clienti e il tintinnare dei boccali contro il bancone del locale, poi Peter solleva le sopracciglia e spezza il silenzio.
«Beh? Non è successo niente di niente in venti giorni?»
Passano diversi secondi e sembra che nessuno mai risponderà a questa domanda, ma alla fine Sirius lo dice e basta.
«James lo sa.»
«Certo che lo sa, è rimasto qui con voi» borbotta Peter, che non ha evidentemente colto la solennità dell’annuncio. «Sono io che non lo so.»
«No, James lo sa. È questo che è successo.»
«James sa cosa?»
«La cosa.»
«Quale cosa?»
«La cosa. Quella.»
«La cosa che noi sappiamo e che James non sa» intervengo io, perché Peter continua ad avere un’aria perplessa. Quando finisco di parlare spalanca gli occhi, guardandomi incredulo.
«La cosa?»
«Sì, quella.»
«No, aspettate, non credo che abbiate capito a quale cosa sto pensando io» Peter assottiglia gli occhi, spostandoli da me a Sirius come se cercasse di leggere attraverso le nostre fronti. «Non può essere quella.»
«È quella.» 
«Ma quella quella?»
«Hai capito perfettamente.»
«La cosa che noi tre sappiamo e che James non sa? Quella? James lo sa ora?»
«Lo sa. Da quasi tre settimane.»
«Lo sa? Lo sai? È incredibile» Peter lancia un’occhiata sconvolta a James, che è ancora impegnato a sorseggiare la sua Burrobirra e a fingere di non essere seduto a questo tavolo con noi, perché è quello che fa quando non vuole che si tenga una conversazione. Peter riporta gli occhi su di noi, un sorrisetto incredulo sulle labbra. «E ne stiamo parlando? Quella è la cosa di cui non parliamo, ora possiamo farlo invece?»
«Non ne sono sicuro» commento, azzardando un’altra occhiata nella direzione di James. Non riesco ad essere particolarmente intelligente riguardo a tutta questa storia, perché nemmeno Sirius sa bene come comportarsi e questo è inusuale. Non che Sirius sia di solito un modello di comportamento da imitare naturalmente, ma quando si tratta di James è l’unico in grado di fare luce fino in fondo in quello che si nasconde sotto quel groviglio di capelli dotati di vita propria. «Forse non la chiameremmo la cosa se ne potessimo parlare.»
«Possiamo parlarne» dice Sirius. «Non parlandone.»
«Oh Godric, ragazzi, piantatela» James sbuffa, battendo esasperato il boccale vuoto della sua Burrobirra sul tavolo. Ed io potrei prendere la sua aria spazientita molto più sul serio se non ci fossero quei baffi di schiuma proprio sopra le sue labbra. Non sono l’unico ad averli notati e prima di riprendere a parlare, James si leva con uno scatto nervoso il tovagliolo che Sirius gli ha appiccicato sotto il naso. «Sono proprio qui davanti a voi. E non c’è nessuna cosa, non chiamatela la cosa, lo fate sembrare il punto attorno a cui gira tutto l’universo conosciuto. Non lo è. È un fottuto incidente di percorso.»
«Fottuto incidente di percorso è il nome in codice quindi?» chiede Peter, con l’aria di chi vorrebbe avere una pergamena su cui prendere appunti. «Ufficialmente parlando?»
«No» dice James e non ha l’aria di chi sta galleggiando a tre metri dal suolo che ha di solito. «Non ci serve un nome in codice, perché non c’è alcun bisogno di parlarne: è un problema totalmente risolvibile di cui mi occuperò al più presto. Un errore di distrazione. Seccatura momentanea. Beffa del destino. Anomalia correggibile.»
Ho come l’impressione che James stia ancora mormorando tra se e sé bizzarre definizioni del suo essere innamorato di Evans mentre si allontana in direzione del bancone, senza più degnarci di un’occhiata. Peter lo segue con lo stesso sguardo che dedica di solito ai miei appunti di Aritmanzia, poi si gratta il naso, dubbioso.   
«Siete sicuri che lo sappia, sì?»
«Lo sa» dice Sirius, che quella notte mi ha buttato giù dal letto alle tre e mi ha trascinato in bagno solo per bisbigliarmi lo ha detto, Remus, lo ha proprio detto.
«A me sembra in fase di negazione» insiste Peter, prendendo un sorso di succo di zucca.
«No, ha ammesso di essere innamorato di Evans» dico io. «Quello che non accetta è continuare ad essere innamorato di lei. È convinto che ora che ne è consapevole, potrà applicarsi e farsela passare.»
«Quindi non lo sa davvero.» 
«Oh, non lo so, Pete, è James, lo sai com’è.»
«Io lo so, ma lui lo sa?»
 
*
 

- Ecco a te, James.
Rosmerta, la giovane figlia del proprietario dei Tre Manici, fa scivolare la Burrobirra di fronte a me con un sorriso sfavillante, prima di riprendere a spolverare il bancone qui vicino. Io mi sistemo meglio sullo sgabello, appoggiando un gomito al bancone e bagnandomi le labbra nella schiuma, trattenendo un sospiro seccato: tutto questo non dovrebbe accadere a me. Riscoprirsi innamorati pateticamente di una che non ti vorrà mai è qualcosa che si addice di più ad un Tassorosso sfigato, come quel Butler del quinto anno che passa tutto il tempo a cercare farfalle nel parco da aggiungere alla sua collezione; lui ha sicuramente una cotta senza speranza per qualche sua compagna che non se lo filerà mai, ci metto la mano sul fuoco. È scontato e prevedibile che cose del genere accadano a tipi come lui, è l’ordine naturale degli eventi ed è giusto così. Quello che non è affatto naturale o sensato o giusto è che succeda a me, a James Potter, che sono il Grifondoro meno Tassorosso che esista e non ho mai collezionato farfalle in vita mia. Mi fanno schifo le farfalle, a dirla tutta: tutti ad ammirare i disegni e i colori sgargianti delle ali e mai nessuno che si soffermi su quelle zampette nere e disgustose che se ne stanno proprio lì nel mezzo a contorcersi. Ho sempre trovato le farfalle repellenti, ogni istante della mia intera vita, e quindi perché ora sono innamorato di Evans?
Non c’è alcuna logica in tutto ciò. Non dovrebbe succedere a me e ci dev’essere qualcuno a cui posso dirlo, una qualche figura che stia a capo di queste cose e che controlli che sia tutto nella norma, da cui posso andare e spiegare con il mio charme inenarrabile che è stato commesso un errore. Che è Butler quello innamorato di Evans, non io.
Rosmerta continua a spolverare e a lanciarmi occhiatine di sfuggita, mentre io fisso attentamente il liquido chiaro nel mio boccale. Inizio a trovare insopportabile il restarmene semplicemente qui seduto senza fare nulla, quando è così chiaro che è necessario trovare una soluzione a questa intera situazione al più presto, solo che nessun piano preciso riesce a prendere forma nella mia mente. Non essere innamorato di Evans, ovviamente, ma questo è più un obiettivo che un piano. Ora devo solo capire qual è la mossa giusta da fare per raggiungerlo, una mossa diversa dal tornare al castello e prendere Butler a pugni finché non ammetterà di essere lui quello innamorato di Evans, così che io possa tornare alla mia vita felice e spensierata in cui l’unica persona di cui sono innamorato è Roderick Plumpton, Capitano dei Cannoni di Chudley e miglior Cercatore al mondo. Credo che sarebbe soddisfacente prendere a pugni Butler e costringerlo a dichiararsi ad Evans, anche se lui non ha la più pallida idea di chi sia lei probabilmente, perché sarebbe comunque fare qualcosa, qualcosa di diverso del sorseggiare la mia Burrobirra sotto lo sguardo insistente di Rosmerta.
Lei ha una cotta per me, è abbastanza evidente.
Ha una cotta anche per Sirius, credo, e per ogni ragazzo di Hogwarts sufficientemente carino a cui serve da bere, ma sono abbastanza sicuro di essere io il suo preferito. Questo perché Rosmerta è una ragazza normale ed è questo che le ragazze sane di mente fanno: preferire me. Riconoscere la mia indiscussa bellezza, simpatia, bravura in praticamente tutto ed eleggermi a loro esponente preferito del genere maschile. Voglio dire, non sono tutte innamorate di me, è chiaro, e checché si dica in giro non sono così arrogante da non saperlo; e tuttavia io piaccio a tutte, almeno un po’, suscito in loro una simpatia istintiva, perché è quello che le persone come me fanno, piacere agli altri. Ma Evans non è normale, è stata per cinque anni la migliore amica di Severus Piton e questo è un chiaro segno di quanto lei sia totalmente fuori di testa. Apprezzare Piton e odiare me, chi farebbe una cosa del genere? A parte i Serpeverde, certo, ma lo sanno tutti che loro non sono vere e proprie persone, quanto piuttosto bizzarri scherzi della natura formati da frecciatine velenose e battutine sprezzanti, il tutto condito con costanti sguardi di superiorità.
 
Siete uguali voi due.
 
Lei è completamente fuori di testa, è evidente. Voglio dire, anch’io tendo a guardare il resto del mondo dall’alto in basso come alcuni Serpeverde, d’accordo, ma non perché il sangue che scorre nelle mie vene rispetta stupidi canoni di purezza, semplicemente perché sono più bello, più brillante, più divertente e più talentuoso della maggior parte della gente. C’è differenza. Io non vado in giro a chiamare le persone Sanguesporco o...
- Ti porto altro, James?
Rosmerta è davanti a me ora ed io sbatto le palpebre perplesso, prima di realizzare che non è rimasta neppure una goccia di Burrobirra nel mio boccale.
- No, grazie, Ros, - le sorrido, prima di ricordarmi una cosa. – Anzi, mi daresti una caraffa da portare al tavolo?
- Certo. Con cosa?
- Quello che vuoi.
 

 
Remus non grida, quando gli rovescio l’acqua gelida sulla testa, sotto gli sguardi perplessi di Sirius e Peter; si limita ad arpionarsi al tavolo con le dita e a trattenere il fiato per diversi secondi, immobile. Quando riapre gli occhi, le goccioline intrappolate tra le ciglia e il maglione completamente zuppo, io ho già ripreso posto sulla mia sedia, proprio accanto a lui.
- Andava fatto, - informo i miei amici con un’alzata di spalle. – Uno di voi tre andava punito per dare l’esempio agli altri: la conversazione di prima non era tollerabile.
- E hai scelto me perché? – sibila Remus con rabbia trattenuta, ancora senza spostare le mani dal tavolo. Alle sue spalle Rosmerta ci lancia un’occhiata a metà tra il perplesso e il divertito, mentre l’anziano signore al bancone ha l’aria di chi ha appena confermato tutti i suoi peggiori pensieri sulla gioventù odierna.
- Sirius si sarebbe messo a piangere e Peter è appena tornato dalle vacanze, non sarebbe stato carino nei suoi confronti.
- Io cosa? – Sirius, che non ha chiaramente la minima consapevolezza dei versi bizzarri che emette quando viene colto di sorpresa, mette su un’espressione oltraggiata da manuale, ma Peter decide saggiamente di cambiare argomento.
- Comunque, parlando di cose che non ci faranno finire con l’acqua anche dentro le mutande...
- Ci?
- Che non faranno finire Moony con l’acqua anche dentro le mutande, d’accordo, - Peter si corregge, mentre Remus inizia a far uscire aria calda dalla sua bacchetta lanciandomi un’occhiataccia; non me lo ricordavo così permaloso. – In treno sono finito in scompartimento con un gruppo di Tassorosso del quinto ed ora sono incredibilmente informato sulla vita mondana di Hogwarts: non indovinerete mai con chi si è fidanzata Sherry Mills, la Corvonero stratosferica dell’ultimo anno.
Il sorrisetto eccitato di Peter si protrae più a lungo del previsto e Sirius inarca un sopracciglio.
- Hai intenzione di dircelo ad un certo punto o la pausa per la suspance durerà in eterno?
- Con il Tassorosso del quinto, quello strano.
- Chi?
- Dai, Padfoot, quel tipo buffo che colleziona farfalle.
- Butler, - sospiro. – Si chiama Charlie Butler.
E io odio Charlie Butler.
 








 
**********
 
- Alice.
- Mh?
- La stai fissando di nuovo.
Alice continua a seguire con lo sguardo Lizzie Carson fino a quando non sparisce oltre le scale che portano ai dormitori femminili insieme ad Allison Ross ed Emmeline Vance e solo allora si volta verso di me con un’alzata di spalle.
- Non la stavo fissando, - si giustifica chinandosi a prendere una Cioccorana dal tavolino di fronte a noi; non è ben chiaro di chi fossero in principio, ma nessuno dei Grifondoro che passano regolarmente ad infilare la mano nel pacchetto pare sentirsi minimamente in colpa. È una di quelle regole non scritte, ma universalmente valide dai tempi dei fondatori, che se lasci del cibo incustodito nella Sala Comune di Grifondoro quello diviene automaticamente un bene comune di tutta la Casa ed in quanto Prefetto è mio dovere far rispettare questa regola. Un ragazzino del quarto è spuntato poco fa a reclamare il pacchetto, ma dato che non poteva provare di essere il vero proprietario, è stato deciso all’unanimità che avrebbe potuto prendere una sola Cioccorana, come tutti gli altri. – Non è fissare, se lei non mi vede.   
- Credo che lo sia, in realtà, - commento, ricontrollando distrattamente il mio tema di Difesa per le vacanze: il professor Mason è dannatamente puntiglioso ed è in grado di togliere un voto per la minima sbavatura: rientrare dalle vacanze di Natale e trovarsi lui alla prima ora non sarà esattamente il massimo. – E poi perché ti importa così tanto?
- Sono solo curiosa, - dice Alice e questa è la sua risposta praticamente a tutto, perché ha sempre avuto questa tendenza a dover sapere ogni cosa che accade ad Hogwarts o in qualunque altra parte del mondo. – Insomma, è strano, no? Prima gironzolava sempre attorno a Potter, sembravano sul punto di mettersi insieme e ora sembra che lei faccia di tutto per evitarlo.
- Io non lo trovo così strano, – commento pacata, perché evitare Potter è la cosa più sensata al mondo e se Lizzie Carson lo ha finalmente capito vuol dire solo che è rinsavita.
- Dev’essere successo qualcosa alla festa di Lumacorno, - continua Alice con l’aria di chi sta parlando più a se stessa che alla persona al suo fianco. – Un attimo prima erano lì con noi ed erano carinissimi...
Non replicare, Lily. Se la tua migliore amica vuole definire una coppia di essere umani di cui uno è Potter carinissimi che faccia pure: non puoi pretendere che tutti sappiano che l’unico modo in cui Potter risulterebbe carinissimo sarebbe mentre cade dalla scopa e si sfracella al suolo.
- E poi lei è sparita e dopo un po’ è scomparso anche lui e il giorno dopo non si parlavano più, - Nello sguardo pensieroso di Alice c’è quasi una nota di frustrazione ora. - Sono così curiosa.
- Tu sei sempre curiosa. 
- Tutti lo sono, - dice Alice. – Solo che io lo ammetto apertamente.
Alice ha un sorrisetto sicuro sulle labbra ora e sono abbastanza sicura che lo pensi davvero, che nella sua testa sia impossibile concepire il non essere particolarmente interessati alla vita amorosa degli altri. Lo capisco, è un po’ come quando io non riesco proprio a immaginare come alcune persone non trovino affascinante preparare pozioni, passare ore a tagliuzzare e mescolare e creare una magia senza nemmeno l’utilizzo di una bacchetta, in un modo così naturale e istintivo da dare l’impressione che persino un Babbano potrebbe farlo. Solo che alcune persone davvero lo trovano difficile e noioso e davvero altre persone non si lasciano coinvolgere dagli intrighi amorosi degli altri ed è questo il caso, specie se è coinvolto Potter, che è così palesemente in grado di provare amore solo per il suo riflesso allo specchio.
- Comunque sia, ho la ronda, - Cambio decisa argomento, alzandomi dalla poltroncina e porgendo il mio tema ad Alice. – Me lo porti tu in camera quando sali?
- Sì, ora vado, devo dormire almeno dieci ore prima di essere in grado di affrontare il rientro dalle vacanze con Mason, - Alice sbadiglia in quel suo modo bizzarro simile al ruggito di un leone, prima di alzarsi a sua volta e stiracchiarsi, gli occhi appena un po’ lucidi. - Notte, Lil. E salutami la ronda.
- Oh, taci.   
 


 
**********
 
- Frank.
Sto sfogliando distrattamente le pagine del manuale di Difesa, appollaiato comodamente sulla poltroncina più vicina al fuoco, quando una voce mi fa sobbalzare.
- Ehy, James.
Gli sorrido, chiudendo il libro, un dito tra le pagine a tenere il segno, ma James non pare nemmeno sentirmi e quando parla il suo tono è accigliato e vagamente accusatorio.
- Perché ti sei innamorato di Alice?
- Cosa?
- Voglio sapere, - sospira James, come se dovesse spiegare qualcosa di molto semplice ad un bambino particolarmente stupido e la cosa lo stesse spazientendo. - Perché un bel giorno hai deciso di innamorarti di una ragazza invece di non farlo.
Per qualche secondo l’unico rumore nella Sala Comune è quello del fuoco che sfrigola accanto a noi e quello del gruppetto di ragazzi che giocano a Sparaschiocco sul tappeto, ed io mi chiedo se devo rispondere davvero o se ora spunterà Sirius e mi farà un gavettone in faccia.
- Non credo di averlo deciso in realtà, - replico cautamente, sperando che questo sia quello che James vuole sentirsi dire. - È successo e basta.
- Ma certo, nessuno decide mai niente in questa scuola, - sbuffa James ed evidentemente non era quello che voleva sentirsi dire. Lo sapevo che dovevo andare dormire cinque minuti fa, quando sono saliti anche Mike e Daniel. – E quindi che hai fatto? Lo hai accettato e basta, finita così?
- Credo di sì.  
- Ma questo non ha senso, - insiste James ed io sono d’accordo con lui. - Perché non hai cercato di smettere?
- Smettere? Di essere innamorato di Alice, intendi? – Le mie sopracciglia si inarcano notevolmente, ma il mio Capitano annuisce convinto, spalancando leggermente gli occhi, come se fosse ovvio. – Perché non ne vedevo il motivo. Voglio dire, non lo vedo ancora, non c’è un solo motivo al mondo per cui io non dovrei essere innamorato di lei.
- Ti distrae dal Quidditch, - dice James immediatamente, a bassa voce e piuttosto velocemente, come se gli fosse semplicemente uscito dal cuore e probabilmente è così. – Ma d’accordo, vuoi essere innamorato di Alice, ho capito: contento tu, contenti tutti. Ora fingiamo per un attimo che tu non lo voglia.
- Ma io voglio.
- Sì, ma immagina di non volerlo.
- Non riesco a pensare ad un motivo per cui in via ipotetica potrei non voler essere innamorato di Alice, - Vorrei essere in grado di aiutare James con qualunque cosa lo affligga, davvero, ma è dal quarto anno che non immagino più la mia vita senza lei e tutto questo mi sta mandando in confusione.
- D’accordo, pensa a questo: lei è innamorata di Sirius e quindi tu non vuoi più essere innamorato di lei. Cosa fai?
- Alice è innamorata di Sirius? 
- No, Frank, è tutto in via teorica, - James scuote frenetico le mani come se stesse cercando di scacciare una mosca, lievemente esasperato. - Immagina solo che lei lo sia, che cosa faresti tu per...
- Sì, ma perché hai detto Sirius? E non, che so, Remus? – chiedo diffidente, studiando attentamente la sua espressione. - Perché credi che in via teorica Alice si innamorerebbe di Sirius?
- Ma che ne so, Frank, possiamo farla innamorare di Remus, se preferisci, non è quello il punto.
- Io preferirei che la mia ragazza non si innamorasse di nessuno dei tuoi amici, – ci tengo a puntualizzare, raddrizzandomi sulla poltroncina. Stavo tranquillamente ripassando Difesa in vista della prima lezione dell’anno, domani mattina, ed ora la mia immaginazione si ritrova ad essere forzata e spinta violentemente in scenari spiacevoli. 
- Perfetto, allora si innamora di Charlie Butler, il Tassorosso del quinto; lui non è mio amico, va bene? – vorrei far presente a James che il mio problema con tutta questa storia è il presupposto stesso che Alice debba innamorarsi di qualcuno che non sono io, amico suo o no, ma lui non mi lascia replicare e mi posa le mani sulle spalle, scuotendomi con forza. - Frank, Frankie, ascoltami. Devi solo immaginare. Immaginazione. Irrealtà. Via ipotetica. Quelle cose lì, ok? Ora, in questo mondo ipotetico e così lontano da quello vero, talmente lontano che tu smetti di focalizzarti sulla tua gelosia irrazionale e mi ascolti davvero, ecco, in questo mondo, cosa fai per smettere di essere innamorato di Alice?
D’accordo, concentrati, Frank.
Concentrati e dai a James la risposta che vuole, così poi smetterà di chiamarti Frankie e costringerti a immaginare la tua ragazza che se la fa con tutta Hogwarts e tu potrai andare a letto.
- Beh, se io volessi smettere di essere innamorato di Alice, - inizio pensoso, riflettendo seriamente sulla questione, gli occhi di James fissi su di me con attenzione. – Quello che farei sarebbe, come prima cosa, senz’altro, beh...oh, dannazione, James, ma che razza di domande fai? Ma ti pare che uno può semplicemente decidere di non essere più innamorato di un’altra persona? E i milioni di libri, poesie, canzoni, tutti che parlano della sofferenza dell’amore non corrisposto, sono tutti ebeti secondo te? Idioti che si divertono a continuare di proposito ad essere innamorati e non ricambiati? 
James ha fatto un salto all’indietro sulla sua poltroncina e ora mi guarda un po’ spiazzato. Fa per aprire bocca, ma questa volta sono io a prenderlo fermamente per le spalle, scuotendolo appena, non troppo forte però, perché i suoi capelli mi spaventano già così come sono.  
- È chiaro che non si può decidere come, quando, perché e di chi innamorarsi, lo sanno persino quelli del primo anno, - continuo deciso, accennando con la testa ad una bambina dall’altra parte della Sala. - Se vai da quella ragazzina del primo laggiù, quella con le treccine, scommetto che te lo dice anche lei che uno non può semplicemente smettere di essere innamorato di Alice! O di qualcun altro, voglio dire, in generale, certo.
- Sì, ok, ma non è così ovvio, - insiste James, convinto. -  La maggior parte della gente non sa come fare una finta Wronsky, ma io sì. E quella ragazzina con le treccine ti direbbe che è impossibile fare una finta Wronsky senza spaccarsi il collo, ma non è vero: alcuni giocatori di Quidditch più bravi degli altri possono. E allo stesso modo, solo perché la maggior parte della gente non riesce a smettere di essere innamorata di qualcuno, non significa che anche altri, particolarmente talentuosi e portati per la vittoria e il raggiungimento degli obbiettivi, non possano riuscirci.
James sembra profondamente convinto di quello che dice, come sempre d’altro canto, ma allo stesso tempo mi fissa con uno spasmodico bisogno di conferma negli occhi. Ed io poso il mio manuale di Difesa sul tavolino di fronte a me con un sospiro, perché è inutile imparare come difendersi dalle arti oscure quando il vero pericolo sono le crisi esistenziali delle dieci di sera dei miei compagni di Casa.  
- Posso elencarti diversi nomi di gente in grado di eseguire una perfetta finta Wronsky, tra cui tu, - replico pacato. - Ma non conosco nessuno che abbia stabilito a tavolino un piano per disamorarsi che sia effettivamente riuscito.
- Quindi quello che stai dicendo è che una persona si innamora, e basta, è finita? - James fa una mezza risata, a metà tra lo scettico e l’indignato. - Non importa quanto sia brava e fortunata e abile, non c’è niente che può fare per smettere di essere innamorata?
- È quello che penso.
- Beh, io lo trovo ridicolo.
- D’accordo, – accetto con un’alzata di spalle, perché se ascoltare i tentativi sistematici di James Potter di annientare l’amore è il modo in cui il mio millenovecentosettantasette ha deciso di iniziare, allora devo solo prenderlo così come viene.
- Come se poi smettere di essere innamorati fosse più difficile di eseguire una perfetta finta Wronsky, ma per favore.
- James.
- Mh?
- Non ti sei innamorato di Alice, vero?
 
*
 
Dopo aver rassicurato Frank che nessuno dei Malandrini ha in programma di rubargli la ragazza, decido di salire in camera, sbuffando tra me e me: Frank non è stato per niente d’aiuto. Nessuno in questa scuola lo è, meno tra tutti Charlie Butler, che è pure dannoso. Lui e le sue stupide farfalle.
Peter e Sirius stanno già russando, il che è ridicolo, perché di sotto ci sono bambini del primo anno che si occupano della loro vita sociale e la metà degli abitanti di questa stanza è invece già nel mondo dei sogni, mentre l’altra metà si divide tra Remus, che è ancora sveglio a leggere, ma comunque già nel letto, e me, unico raggio di lucidità in questo castello di folli. Restare innamorato, che razza di consiglio è? Privo di senso, totalmente, ma è quello che a modo loro mi stanno dando anche i miei Malandrini, con tutti i loro ridicoli Lo sa? Non lo sa? Ma lo sa lo sa? Lo sa davvero?
Il rumore dell’acqua che scorre copre il mio ennesimo sbuffo, mentre il getto caldo della doccia mi colpisce in pieno il petto, facendomi rilassare all’istante. Non è affar mio se nessuno in questo castello sa gestire un innamoramento indesiderato in modo astuto: che continuino pure a sospirare sulle loro cotte irrealizzabili, io non ho nessuna intenzione di farlo. Sono innamorato di Evans, d’accordo, mi sono distratto un attimo, un paio d’anni forse, ed è successo. Ok. L’unica ragazza che mi odia, un classico. Qualcuno lassù deve trovarlo molto divertente, ma la storia finisce qui. Non importa cosa dice Frank, io sono James Potter e se non voglio essere innamorato di Evans, e non lo voglio, allora io smetterò di essere innamorato di Evans. Semplice così.
Ho trovato il modo di diventare un Animagus a quindici anni e aiutato a farlo anche Peter che a malapena riusciva a trasfigurare una piuma, figuriamoci se non trovo il modo di smettere di pensare ad Evans e a Philips che si baciano davanti alla fottuta entrata della fottuta Sala Comune. Dannazione.
Spingo con uno scatto la manopola della doccia, restando immobile a gocciolare in mezzo al vapore.
Posso farlo, a partire da ora. Se adesso mi cancello dalla mente le braccia di Evans attorno al collo di Philips e il fastidio violento che mi provoca l’immagine, allora potrò rinfacciarlo a Frank e al resto dell’umanità per tutta la vita. Il muro della doccia è liscio e freddo contro il mio palmo bagnato e un brivido mi percorre la schiena, mentre le gocce continuano a scivolarmi piano sulla pelle. Proverò a me stesso che posso smettere di essere innamorato di lei e lo farò qui, nudo, in piedi nella doccia chiusa, in questo esatto momento. E lentamente i miei occhi si chiudono e alle labbra di Philips si sostituiscono le mie ed Evans non è più davanti al ritratto della Signora Grassa, è in piedi in un corridoio poco illuminato dei sotterranei, con le fiaccole che le accendono riflessi di fuoco sui capelli e le dita perse tra i miei. E le labbra scorticate e premute forte sulle mie sanno di sangue e non sembrano aver intenzione di lasciarmi libero tanto presto. Dannazione.
 





**********
 
- È la seconda volta questa settimana che ti becco fuori dalla Torre dopo lo scattare del coprifuoco, Philips.
La luce biancastra che esce dalla punta della mia bacchetta illumina distintamente il sorriso di Dean, disegnando riflessi chiari sui suoi capelli biondicci e rispecchiandosi negli occhi marroni appena socchiusi.                                                                                                                                                                                  
- Davvero? 
La sua voce è un sussurro appena percettibile nel silenzio del corridoio vuoto alle sue spalle e mentre mi si avvicina lentamente non sembra per niente pentito, in barba al nero e al blu che spiccano sulla sua cravatta perfettamente annodata.
- Già, – mi sento mormorare, mentre una parte di me cerca disperatamente di rendere importante la piccola spilla dorata appuntata sul mio petto che reca chiaramente la lettera P. P come Prefetto, P come Persona responsabile che fa rispettare le regole e che certamente non usa le ronde serali come scusa per incontrarsi in privato con ragazzi dal viso spruzzato di lentiggini e gli occhi grandi e scuri, P come Perché mai dovrebbe importarmi di una minuscola spilla dorata quando è così buio e si legge a malapena cosa c’è scritto sopra? - Sicuro di essere un Corvonero?
- Assolutamente, - dice Dean allargando il sorriso. – Sono solo stato traviato da cattive compagnie: è vero quello che dicono di voi Grifondoro, che...
Non so cosa dicano di noi Grifondoro nella Torre dei Corvonero, anche se non mi è difficile immaginarlo, perché le mie labbra hanno infine incontrato quelle di Dean, come tendono a fare piuttosto spesso ultimamente, dopo quella prima volta la sera della festa di Lumacorno: eravamo proprio di fronte al ritratto della Signora Grassa, che mi ha lanciato occhiate scandalizzate per giorni dopo, e non era davvero il momento, non era il caso e non era assolutamente nei piani di quella serata, ma è stato piacevole ed ha continuato ad esserlo anche nei giorni a seguire, per tutte le vacanze di Natale, perché le labbra di Dean sono sempre morbide e fresche contro le mie e sarebbe davvero un peccato non baciarle di tanto in tanto.
- Lily, - Ed io non rispondo, perché a volte Dean si limita a sussurrarmi il mio nome sulle labbra, ma questa volta lui continua. – Xeno mi ha chiesto dove stavo andando prima.
- Sì?
- Beh, le esatte parole sono state ‘Hai trovato il nido dei nargilli al sesto piano, vero? È lì che vai sempre?’, ma mi chiedevo...
- Se possiamo andare a cercarlo? – finisco io per lui, annuendo. - Perché non c’è, ho già controllato. E non guardarmi così, chiunque abbia mai rivolto la parola a Lovegood si è fatto incantare almeno una volta.
- Lo so, al secondo anno ho passato un intero pomeriggio a cercare il Ricciocorno Schiattoso dietro la capanna di Hagrid, - ammette subito Dean, passandosi imbarazzato una mano tra i capelli. E non lo fa apposta per scompigliarseli e darsi un’aria ribelle, è un gesto quasi inconscio che tradisce l’agitazione, è dolce e inconsapevole e mi fa sorridere automaticamente. - Ma quello che mi chiedevo è se, per dire, io gli avessi risposto di avere un appuntamento con la mia ragazza, questo sarebbe stato strano?
- Non esiste nulla che Lovegood troverebbe strano.
- Non Lovegood, tu. Lo troveresti strano?
- Dean, - dico lentamente, dopo qualche secondo di silenzio, di nuovo con quel sorriso che con lui non riesco mai a trattenere. - C’era davvero bisogno di tirare in ballo Lovegood per chiedermi se puoi definirmi la tua ragazza?
- No, quello ero semplicemente io che andavo nel panico. E quando sono nel panico tiro in mezzo Xeno, a volte, - Dean si schiarisce la gola, facendo vagare lo sguardo per il lungo corridoio in penombra, prima di riportare gli occhi dritti nei miei. – E questa invece sembri proprio tu che tergiversi per non rispondermi, dico bene?
- Può darsi. Tergiverso a volte. Mi piace tergiversare. Anche la parola stessa, ha un bel suono: tergiversare. Molto bello, sì, - annuisco tra me e me, tergiversando palesemente. Il mio ragazzo. Dean, il mio ragazzo. Il mio ragazzo Dean. Lily Evans e Dean Philips. Anche questo non suona male. Credo che possa andare, sì. Le labbra e le lentiggini e il modo in cui mi guarda sempre e il voler passare un sacco di tempo a baciarlo, l’ignorare la mia spilla da Prefetto per infrattarmi nei corridoi più sperduti, probabilmente fa tutto parte del pacchetto ‘avere un ragazzo’. E ora puoi prenderlo, Lily, oppure puoi buttarlo via. Una delle due, proprio ora, in questo esatto momento. Scegli. Le lentiggini o la spilla da Prefetto. - Dovrai abituartici, se vuoi essere il mio ragazzo.
- Credo di potercela fare, - Le labbra di Dean si aprono in un sorriso raggiante e anche questo fa parte del pacchetto ‘avere un ragazzo’. Mi piace questo pacchetto. Non tutti i pacchetti hanno occhi così grandi ed espressivi e tutte quelle lentiggini chiare e sorrisi così dolci e non tutti i pacchetti mi posano le mani sui fianchi in questo modo. Ottima scelta, Lily, ottima scelta: finalmente il mio cervello inizia a rendere anche sotto pressione e in poco tempo. - C’è altro?
- Alice, - annuncio, giocherellando distrattamente con i suoi capelli. Sono lisci e morbidi sotto le dita, il mio tocco li fa spostare per pochi secondi e poi tornano subito al loro posto. Persino i suoi capelli sono quelli di un Corvonero e mi piacciono davvero; sono ordinati e intelligenti, per quanto dei capelli possano esserlo: sanno qual è il loro posto e non cercano di sfuggirvi e di distruggere le leggi della gravità, perché riconoscono l’importanza della fisica nel mondo e sono così pienamente consci del loro ruolo, che li vuole lì, attaccati alla testa di Dean e non in un costante tentativo di fuga in ogni direzione, cosa che invece non si può dire di tutti i capelli al mondo. Probabilmente sono pochissime le persone che hanno il totale controllo dei loro capelli e Dean è una di quelle. - Ci costringerà a prendere parte ad un appuntamento a quattro con lei e Frank se scoprirà che sei passato da ‘Corvonero che bacio molto spesso’ a ‘Corvonero che definisco il mio ragazzo’.
- Non c’è problema, - sorride Dean con un’alzata di spalle. - Frank è ok e devo ancora cronometrare Alice per capire esattamente quante parole è in grado di pronunciare in trenta secondi.
Le mie labbra sono in procinto di replicare che il numero esatto dipende da innumerevoli fattori come l’argomento, l’interlocutore e il fatto che abbia o meno bevuto il suo caffè mattutino, ma poi le labbra di Dean replicano silenziosamente che a lui non importa poi molto di quanto veloce parli la mia amica e lo fanno posandosi sulle mie. E sì, continua ad essere piacevole, anche l’ennesima volta. Credo proprio che sarà sempre piacevole baciare Dean Philips.
- E niente più Madama Piediburro, – aggiungo in un sussurro deciso non appena lui si stacca da me, perché se c’è qualcosa che non è e non sarà mai piacevole, d’altro canto, è il ricordo di quei putti danzanti che mi attorniavano coi loro liuti luccicanti.
- Mi dispiace per quello.
- Lo so.
- Pensavo che a voi ragazze piacesse.
- Tazze a forma di cuori rosa e putti danzanti.
- Mi dispiace tanto.  
In pieno contrasto con le sue parole, Dean sorride ed io lo bacio di nuovo, perché ultimamente baciare Dean Philips è tutto quello che faccio. La mia spilla da Prefetto inizia a diventare sempre più pesante sul mio petto e per un attimo mi chiedo se è così che si sente Lupin per tutto il tempo, ma prima di tornare in Sala Comune tolgo dieci punti a Grifondoro e a Corvonero e la P sul mio distintivo smette di sembrarmi così accusatoria.
 
 








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Difesa Contro le Arti Oscure.
Non è così traumatica come prima lezione dopo le vacanze di Natale: tolto il fatto che non essere più libero di dormire fino a mezzogiorno è di per sé traumatico, sarebbe potuta andare peggio: avrebbe potuto essere Pozioni e invece è solo Difesa. È qualcosa che mi serve, difendermi, ora come ora. Difesa contro le labbra di Evans e Difesa contro la mia testa, ma tutto questo fa in qualche bizzarro modo parte delle arti oscure, quindi è ok: insegnatemi a difendermi dalle arti oscure e poi io mostrerò a tutti come ci si difende da una cotta indesiderata e non corrisposta. È un buon piano. Potrei persino ascoltare quello che sta dicendo il professore, se non fosse che è Mason e che la sua sola voce mi dà sui nervi. E disegnare un boccino d’oro sulla mia pergamena mi sembra qualcosa di molto più importante da fare in questo particolare momento della mia vita.
- Mi permetta di informarla, signor Potter, che questa è una scuola e questa è una lezione. E si dà il caso che lei sia tenuto ad ascoltarla, questa lezione.
E il professor Mason, naturalmente, ritiene fondamentale rompere le palle a me, in questo come in ogni altro momento della sua vita, perché non mi sopporta. C’è qualcosa di detestabile nella sua voce, nel modo in cui fa suonare viscida e sgradevole ogni parola, come se parlare gli provocasse la nausea. E quando hai un tale neo peloso proprio nel mezzo della faccia, dovrebbe essere il guardarti allo specchio a provocarti la nausea, no? Ma no, quello è perfettamente naturale e guai anche solo a proporgli di nasconderlo con un incantesimo: un mese di punizione per aver cercato di aiutarlo, bel ringraziamento. Fatto sta che quando articola il mio nome, la sua voce ha l’abitudine di suonare ancora più ripugnata e le sue labbra si muovono come se stesse masticando un limone. E perché se il mio nome sa di limone continua a ripeterlo, mh? Potrebbe semplicemente fingere che io non esista, e invece no, signor Potter di qua, signor Potter di là...
- Signor Potter.
Per l’appunto.
- Mi dica, professore.
Non so cosa sia più perforante tra il gomito ossuto di Remus che si fa rapidamente e violentemente strada tra le mie costole o lo sguardo affilato del professor Mason. Fortunatamente Sirius, pochi banchi più indietro, si esibisce nella sua sghignazzata idiota e gli occhi di Mason saettano fulminei verso di lui, lasciandomi la possibilità di riattivare le mie facoltà cerebrali.
- Volevo dire, ho capito, professore.
Visto che Mason ritorna all’istante a guardarmi come se stesse cercando di farmi evanescere con la sola forza del pensiero, mi sento in dovere di continuare a parlare.
- Ascolterò la sua lezione, - Godric santissimo, persino il suo neo abominevole mi sta fissando. - Professore.
Vorrei pronunciare anch’io il suo nome come se avessi un limone in bocca, ma immagino che sia una tecnica che si apprenda con l’età, con l’esperienza e con l’essere dei viscidi ed odiosi bastardi.
Non appena Mason mi dà le spalle per tornare alla sua postazione, ovviamente dopo un’ultima occhiata sprezzante alla mia persona, mi rilasso sulla sedia e rivolgo un sorrisetto a Remus, al mio fianco.
- Secondo te quanti punti mi toglie se trasfiguro il suo neo in un limone?
Le labbra di Remus restano immobili, ma i suoi occhi mi ordinano chiaramente di stare zitto e fermo. Nello stesso momento una pallina di pergamena mi colpisce la nuca e questo è il modo in cui Sirius mi informa che si sta annoiando; sto per voltarmi verso di lui per fargli una boccaccia, quando Mason riesce inaspettatamente ad attirare la mia attenzione.                 
- Ora, per quelli di voi che hanno ascoltato il mio breve riepilogo dei principali incantesimi di difesa le prossime due ore passeranno in modo più piacevole e potenzialmente meno doloroso rispetto agli altri, - E anche se non mi sta guardando direttamente, il tono compiaciuto con cui pronuncia l’ultima parola non lascia adito a dubbi su chi siano questi altri. - Se pensavate di tornare dalle vacanze natalizie e rilassarvi sui banchi, gli occhi da pesce lesso fissi su di me e il cervello scollegato, vi siete sbagliati di grosso: verrete messi alla prova oggi stesso e riceverete una valutazione ufficiale.
Nell’aula inizia a diffondersi un basso mormorio di protesta, ma basta un’occhiataccia di Mason per farlo morire sul nascere.
- Silenzio, - ordina inflessibile, l’aria di chi vorrebbe massacrarci tutti seduta stante ed io mi chiedo perché non ci sia anche un corso che ci insegni a difenderci dal professore di Difesa. - Le arti oscure non aspettano che voi vi siate ristabiliti dalla fiacchezza prima di piombarvi addosso. Nessuna creatura o mago oscuro si degnerà di darvi il minimo preavviso prima dell’attacco: io ve lo sta dando adesso, di diversi minuti, ed è più che sufficiente. Vediamo quanti di voi, ad oggi, sopravvivrebbero a un ambiente insidioso.
I miei compagni si lanciano occhiate vagamente preoccupate e un po’ perplesse, probabilmente in cerca di tale ambiente insidioso; non so cosa abbiano da cercare, quando siamo imprigionati in un’aula con i Serpeverde e Mason ed io non riesco a immaginare nulla di più insidioso di questo. E a rendere il tutto ancora più rischioso ci si metta la chioma rossa di Evans, che spicca a pochi banchi dal mio e che non è più così facile da evitare come lo è stata per tutte le vacanze di Natale, quando non ero costretto a passare la mattinata chiuso nella stessa stanza con lei.     
- A due e due attraverserete questa porta, bacchetta alla mano e nient’altro, - Mason indica con un cenno la porta alla sinistra della cattedra, che in teoria sarebbe l’entrata del suo ufficio e che nella pratica deve essersi divertito a trasfigurare in un modo per uccidere i suoi studenti del sesto anno. – Se vedo un’altra occhiatina complice scambiata col vostro compagno di banco vi manderò dentro da soli, e questa non è una prova da sostenere individualmente, di questo potete starne certi. Non aspettatevi di essere colti di sorpresa sempre quando siete in compagnia del vostro migliore amico: dovete imparare a fare gioco di squadra con chiunque nelle situazioni di pericolo. Ergo, scegliete la persona che meno sopportate in quest’aula.
Oh, ma a quel punto tutta la classe starebbe in coppia con te, sadico bastardo.
- E questo vuol dire che mi aspetto molte accoppiate Grifondoro-Serpeverde, non provate ad aggirarmi perché non sono nato ieri.
Chissà di che colore diventerebbe la sua faccia se mi andassi a mettere in coppia con Sirius. È qualcosa che andrebbe fatto, io credo, per la scienza o qualcosa del genere: sono disposto a sacrificarmi e a sacrificare anche Sirius; ma poi forse il cervello di Remus esploderebbe e non sarebbe carino. Con un sospiro, azzardo diffidente una sospettosa occhiata alla parte verde-argento dell’aula, dove i Serpeverde stanno facendo lo stesso con noi, ognuno congelato al proprio posto in preda ad una crisi esistenziale. Per una frazione di secondo incrocio gli occhi neri di Piton e subito entrambi spostiamo lo sguardo di colpo come se ci fossimo scottati, perché non esiste al mondo che io entri lì dentro con lui. Mason non è così attento ai suoi studenti, non sa davvero quale Serpeverde io o qualunque altro Grifondoro odiamo con un’intensità maggiore rispetto al classico odio di routine nutrito come regola di base per tutti loro: gli basterà non vedere due membri della stessa Casa insieme. Quindi, il meno peggio, forza. Prendi il Serpeverde meno odioso prima che lo facciano gli altri. Il problema è che non è così facile individuare un Serpeverde meno odioso: se dovessi trovare il più odioso, quello sì che sarebbe facile, ma non è come se potessi davvero guardare in faccia chiunque di loro senza ripensare a qualcosa di particolarmente abietto sulla loro persona.
Il silenzio carico di tensione che aleggia nell’aula viene improvvisamente spezzato dalla sedia di un Grifondoro che striscia a terra, mentre lui si alza e si dirige a testa alta verso la barricata nemica.
- Tu non mi piaci,  – annuncia Frank ad Avery, fissandolo dritto negli occhi.
- Tu ancora meno, - replica Avery gelido ed ora che si è alzato non sono più alti uguali, il che gli rende particolarmente facile guardare Frank dall’alto in basso, sovrastandolo.
- Perfetto, Avery e Paciock in coppia, - stabilisce Mason, vagamente annoiato. – E voialtri sbrigatevi o scelgo io.
Altri studenti si alzano incerti ed io sono già quasi arrivato al banco di Rosier, quando cambio improvvisamente idea; fare coppia con lui e poi affatturarlo e farlo sembrare un incidente continua a sembrarmi un’idea allettante, nonché l’unica cosa realmente giusta da fare, ma con la coda dell’occhio ho intercettato un movimento a pochi metri da me e le mie labbra hanno avuto un’altra idea, mettendola in atto senza nemmeno farla sondare al cervello.  
- Professore, - esclamo a voce alta, attirando su di me lo sguardo seccato di Mason, che non è mai particolarmente felice quando gli ricordo della mia esistenza su questa terra. - Evans mi odia. Più di qualunque Serpeverde in quest’aula.
- Non fatico a crederci, signor Potter, - commenta lui lentamente, prima di indicarmi a lei con un cenno del capo. - Signorina Evans, forza.
 
*
 

È appena successo qualcosa di tremendamente sbagliato in quest’aula. Ero letteralmente a due passi da Janice Baker, Prefetto di Serpeverde, che è una ragazza perfettamente a posto e che mi aveva già rivolto un conciliante cenno d’assenso, quando l’universo ha deciso di andare a rotoli. E ha deciso di avvisarmi che lo avrebbe fatto con la voce di Potter naturalmente, perché la voce di chi altro è più adatta della sua ad annunciare caos e disgrazie? Non ho realizzato subito cosa stava succedendo, in un primo momento mi è quasi venuto da sorridere, perché sentire Potter annunciare al mondo il mio odio per lui è semplicemente giusto e rilassante, perché certo che lo odio. Ma subito dopo Mason mi ha guardato e mi ha fatto cenno di raggiungere Potter e c’è così evidentemente qualcosa di sbagliato in lui e in questa scuola e nella mia vita e nell’intero cosmo. È qui che mi hanno portate tutte le mie scelte di vita? A dover raggiungere Potter? A dover entrare in un ambiente insidioso per fare gioco di squadra con lui? Sul serio? È per la torta della madre di Alice, per forza. Credevo di averla scampata e invece il destino viene a prendermi così, a distanza di due settimane dal giorno di Natale in cui ho aperto per sbaglio il pacco della mia amica e non ho poi avuto la forza di richiuderlo e rimetterlo al suo posto. E in fondo non era l’unico pacco, era solo una delle mille cose che la signora Prewett ha mandato alla mia amica e che sarà mai se la torta di mele me la sono mangiata tutta io per poi fingere che non sia mai arrivata? Non è stato l’esempio massimo di lealtà, certo, ma non credo comunque di meritarmi Potter per questo.
- Professore, - Credibile, Lily, faccia credibile, tono credibile, occhi credibili, persino il tuo naso deve essere credibile, da brava. Puoi farcela. Infinocchialo come se non ci fosse un domani e come se non fossi un Prefetto. – Non gli dia retta, sta scherzando: io e James, io e Jamie, noi siamo molto amici in realtà. La nostra intesa è perfetta e quindi non credo davvero che dovremmo lavorare insieme, lo dico solo per il bene dell’esercizio e...
- Signorina Evans, – ripete il professor Mason ed io mi trattengo a stento dal fargli notare che questo è semplicemente il mio nome e non può essere usato come argomento contro di me, indipendentemente dal tono con cui viene pronunciato. Ma non è così in realtà, perché Mason è il professore ed io la studentessa e questo vuol dire che se vuole chiudere la questione articolando semplicemente il mio nome, allora può farlo. E lo fa infatti, eccome se lo fa.
- Muovetevi voi, entro cinque secondi vi voglio tutti accoppiati, - aggiunge rivolgendosi ai miei compagni, prima di tornare a fissarmi. -  Forza, Potter ed Evans per primi. Davanti alla porta, ora.
Ma certo che siamo noi due i primi, perché Mason odia Potter e Merlino odia me.
È difficile convincere le mie gambe che muoversi in direzione della porta dell’ufficio di Mason sia la cosa giusta da fare, soprattutto perché Potter è già arrivato e riesco a sentire il suo sguardo soddisfatto su di me. Mi porto al suo fianco ed i miei occhi si fissano ostinatamente sulla porta chiusa di fronte a noi, ma quando il suo sussurro divertito mi giunge alle orecchie non ho bisogno di vederlo per sapere che sta sorridendo sornione.
- Credevo che Jamie fosse solo per i momenti di intimità, Evans.
Magari ora sentirò un dolore al petto e poi mi accascerò semplicemente a terra e morirò di morte naturale e questo sarebbe un così netto miglioramento della situazione presente.
- E ricordate, il voto è a squadre, - riprende il professore e se riesco ancora a sentire la sua voce vuol dire che non sono morta e che sono ancora intrappolata in questa situazione con Potter. - Non importa se ne uscite senza un graffio, se il vostro compagno muore, voi prendete il suo stesso voto: T per la precisione.
Nell’aula si leva un mormorio vagamente preoccupato, ma io sono abbastanza sicura che Mason intenda morire in via ipotetica, unicamente nell’ambito della prova e non in via totale e irreversibile. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma voglio essere ottimista, perché morire e prendere T non è accettabile.
- Non ti azzardare a morire, Potter, – sussurro estraendo la bacchetta, quando di solito congedarsi dalla vita è tutto quello che consiglierei all’individuo al mio fianco. Dannato gioco di squadra, vorrei proprio sapere chi l’ha inventato; chi ne ha bisogno, poi? L’individualismo, il cavarsela solo con le proprie forze, il non essere in coppia con Potter, queste sono le cose belle della vita.
- Non era nei miei piani per oggi, Evans. E per la cronaca, ho Eccezionale in Difesa, sei tu quella che rischia di rovinarmi la media.
- Anch’io ho Eccezionale.
- Sì, ma Mason mi odia: il mio Eccezionale vale molto di più.
Non credo che esistano Eccezionali più eccezionali di altri, ma d’altro canto è lampante che Mason nutre un odio spropositato nei confronti di Potter, che è poi il motivo per cui stiamo per entrare qua dentro per primi; lo capisco, anch’io odierei Potter se fossi un professore, o in generale se fossi un essere umano, cosa che in effetti sono e difatti lo odio.
- Silenzio voi due, - Il professor Mason ha chiaramente le idee un po’ confuse, perché fino ad ora è stato tutto un evviva il gioco di squadra, a morte chi non collabora, ed ora si arrabbia nel vederci comunicare. – E ora dentro, forza. Cercate di arrivare alla fine del percorso nel minor tempo possibile e...
Il professore sta ancora parlando quando Potter spalanca la porta di fronte a noi e ci entra di gran carriera: evidentemente deve ritenere qualunque cosa ci sia là dentro preferibile alla voce di Mason. Con un sospiro mi costringo a seguirlo, anche se seguire Potter va totalmente contro il mio istinto di sopravvivenza, e per un attimo il buio riempie il mio intero campo visivo ed io mi aggrappo all’idea di essere sul punto di svegliarmi nel mio baldacchino nella torre di Grifondoro. Poi il Lumos sussurrato di Potter mi giunge alle orecchie e il bagliore dorato della sua bacchetta mi induce a socchiudere gli occhi, accecata. Non appena mi abituo alla nuova visuale, lancio un’occhiata alle mie spalle, dove dovrebbe esserci la porta ancora aperta dell’aula, ma naturalmente è sparita e tutto quello che riesco a distinguere nella penombra sono le sagome indistinte di alberi lugubri e cespugli di rovi.
- Ci ha mandati nella foresta proibita? – azzardo perplessa, accendendo a mia volta la bacchetta e guardandomi attorno spaesata. Non trovo il senso di tutto questo, impedire agli studenti l’accesso alla foresta e poi farli piombare qui durante le lezioni: c’è una coerenza di fondo che manca palesemente, ma suppongo che il professor Mason sia troppo impegnato a cercare di uccidere le sue classi in tutta legalità per preoccuparsi anche di essere coerente.
- Non è la foresta proibita, – afferma Potter sicuro, studiando attentamente lo spazio attorno a noi, ed io evito di chiedergli come faccia a distinguere questo intrico di piante e fusti da una qualsiasi parte della foresta che circonda Hogwarts, perché in fondo che conosca alla perfezione qualcosa che ha proibita nel nome è esattamente quello che mi aspetto da Potter. Quando il suo sguardo si ferma su un punto a diversi metri da noi, seguo la traiettoria e mi ritrovo a fissare l’inizio di un sentiero sterrato e striminzito che si perde nel fitto della boscaglia; non ha per niente l’aria invitante ed è senz’altro il percorso che Mason ha preparato per noi.
- Di qua, – Subito mi dirigo decisa in quella direzione, la bacchetta alta di fronte a me, ma la voce contrariata di Potter mi induce a fermarmi.
- Vuoi seguire il sentiero, Evans?
Non so perché lo dica con quel tono, come se seguire il sentiero fosse l’idea più assurda di sempre e non l’unica cosa sensata da fare.
- Certo che voglio seguire il sentiero, Potter, - replico con tono ovvio, mentre lui mi guarda come se gli avessi annunciato di voler appiccare un incendio; se non fosse che con tutta probabilità Potter appoggerebbe l’idea di appiccare il fuoco agli alberi e scappare, anche solo per infastidire Mason. - Perché, tu no?
- No, - dice Potter ed io mi chiedo come questa prova possa andare a buon fine, quando quello che disgraziatamente è il mio compagno non me la lascia nemmeno iniziare. - Voglio dire, Mason si aspetta che noi seguiamo il sentiero, ce lo ha messo di fronte apposta: avrà preparato tutte le sue insidie lungo i margini, così da farcele subire una dopo l’altra fino alla fine. Ma se noi evitiamo il sentiero, evitiamo anche le  trappole.
La luce della sua bacchetta proietta riflessi giallastri sulle lenti rettangolari di Potter mentre lui mi fissa in attesa e non ha completamente torto; il sentiero è chiaramente la trappola delle trappole, ma allo stesso tempo non lo è affatto: è il presupposto da accettare per sostenere la prova, come il semplice attraversare la porta dell’aula, perché evitare il sentiero renderebbe semplicemente impossibile valutare le nostre abilità di difesa e aggirarlo è un modo come un altro per indispettire Mason. E non ho intenzione di prendermi una T perché James Potter si diverte a provocare il nostro professore di Difesa.
- Seguiremo il sentiero, Potter.
- Tu dici?
Il suo è il sorrisetto di chi si getterebbe in un burrone piuttosto che imboccare quel sentiero e darmela vinta; mi chiedo perché diavolo debba sempre trasformare tutto in una sfida, quando io sto solo proponendo di non inoltrarci a caso in una selva oscura che non conosciamo assolutamente e non morire di fame nel bosco evocato da Mason, che di sicuro non ci verrebbe a salvare prima di qualche anno.
- Facciamo così, - sospiro, sperando con tutto il cuore che il professore non ci stia guardando ora, perché questa non è esattamente la definizione stessa di gioco di squadra. – Sasso, carta o forbici: chi vince decide.
Potter accetta immediatamente, eccessivamente sicuro di sé; fa roteare con decisione la bacchetta per aria in contemporanea alla mia ed io so già come andrà a finire prima ancora che il foglio perlaceo che ha evocato si avvolga attorno all’immagine sfumata del mio sasso, stritolandola, perché sicuramente barare a giochi come questo è quello che ogni Malandrino ha imparato a fare nei primi cinque secondi ad Hogwarts. Ma non è un problema, perché io non mi chiamo James Potter e per me vincere non è il punto: nel momento stesso in cui le sue labbra si piegano in un sorriso trionfante ed ogni molecola del suo corpo si prepara a rinfacciarmi la vittoria, io scatto in avanti e gli strappo la bacchetta dalle mani, prima di iniziare a correre più veloce che posso verso il sentiero.
E se questi sono i riflessi di quello che si autoproclama il Cercatore più veloce di Hogwarts, beh, inizio a capire come Grifondoro abbia perso l’ultima partita.
 
*
 

Questo è stato incredibilmente antisportivo da parte di Evans.
Mentre il buio mi avvolge, ora che non ho più la mia bacchetta, mi annoto mentalmente di aggiungere questa sua slealtà alla lista infinita di motivi per cui è disdicevole essere innamorato di lei: ricordarla mentre corre via lasciandomi con l’aria tra le dita come un cretino mi aiuterà sicuramente a farmi passare questa cotta vergognosa, ne sono certo. Ma ora non è il momento di pensare al problema Evans in astratto, ora devo pensare al materialissimo problema Evans che scappa con la mia bacchetta nel momento in cui più di ogni altro ne ho bisogno per impedire a Mason di uccidermi e farlo sembrare un incidente. Dopo appena qualche secondo di immobile perplessità le sono dietro, solo vagamente conscio di come correre a tutta velocità lungo il sentiero della prova non sia probabilmente il modo migliore di stare in guardia dalle insidie sicuramente seminate lungo il tragitto. Dovrebbe interessarmi, potrebbe importarmi, se non fosse che sto correndo dietro ad un’altra persona, il che vuol dire che sono a tutti gli effetti nel bel mezzo di una gara, e quindi ciò che conta non è evitare di farmi uccidere, ma vincere. I capelli rossi di Evans che sbattono al vento si fanno sempre più vicini, così come il bagliore luminoso che esce dalle bacchette strette tra le sue dita e prima che lei possa seguire la svolta a sinistra del sentiero, la raggiungo e la supero, fermandomi per sbarrarle la strada con aria trionfante.
- Non riesco a credere che tu l’abbia fatto, - dico, ben attento a nascondere ogni traccia d’affanno nella mia voce. - Come puoi dormire la notte, Evans?
Un secondo prima Evans ha l’aria di voler dire qualcosa e l’attimo dopo ha l’aria di chi vuole attentare alla mia vita, perché la sua mano si alza di scatto e da entrambe le bacchette parte un getto di luce azzurra che punta proprio contro di me, mentre nell’aria si leva improvviso uno strano, lugubre, lamento prolungato. Il raggio azzurrino mi passa proprio accanto all’orecchio e quando mi volto di scatto c’è una sottile piuma nera che volteggia per aria e il rumore d’un battito d’ali che si allontana veloce nel buio. 
- Hai ragione, Potter. Quello che ho fatto a quell’Augurey è stato orribile: impedirgli di staccarti la testa, - Evans sospira melodrammatica, porgendomi la bacchetta. - Non ho idea di come riuscirò a guardarmi di nuovo allo specchio.
Non sono sicuro che un Augurey possa davvero staccare la testa ad un essere umano, ma d’altro canto non sono nemmeno sicuro di cosa sia un Augurey esattamente, così prendo la mia bacchetta senza ribattere, rigirandomela tra le dita.
- Pensavo odiassi la mia testa, – commento con un sorrisetto. Evans alza gli occhi al cielo e mi supera senza rispondere, la bacchetta alta di fronte a sé e lo sguardo che perlustra attento la vegetazione ai lati del sentiero. Subito la imito, guardandola di sfuggita.
È bella, d’accordo. Posso capire perché sia lei e non, ad esempio, Alice, che è tutto sommato carina, ma non ha quegli occhi così verdi da sembrare finti. I riflessi color sangue accesi dal bagliore dorato della bacchetta sui suoi capelli hanno un effetto vagamente ipnotizzante su di me, e ok, lo capisco, il rosso mi piace, è il colore della mia Casa e Evans ha dei bei capelli, questo è evidente. È il minimo che possa fare, avere bei capelli, quando i miei sono così fantastici. Probabilmente non c’è una sola ragazza ad Hogwarts o nel resto del mondo che abbia degli occhi più verdi dei suoi e questo non è nemmeno lontanamente un fatto positivo, perché il verde d’altro canto è il colore di Serpeverde, solo che il suo è più simile a quello dell’erba del campo da Quidditch che a quello acceso delle divise nemiche. E io l’erba del campo da Quidditch di solito la calpesto smontando dalla scopa, senza neppure farci caso, quindi, davvero, tutto questo non ha senso. Potrei capire se avesse gli occhi azzurri, come quelli di Lizzie, come il cielo limpido di quelle giornate perfette per un allenamento extra, quando mi alzo in volo e il vento mi solletica il viso e ogni cosa è al posto giusto. Quelli sono occhi seri, occhi di cui innamorarsi, occhi che non calpesterei scendendo dalla scopa. E però non sono gli occhi di Lizzie quelli che continuano a infilarsi nella mia testa anche quando lei non c’è e non sono gli occhi di Lizzie che mettono in crisi ogni mia convinzione e non sono gli occhi di Lizzie che mi fanno venire voglia di prendere a pugni il muro.  
Sono passati diversi minuti dall’ultimo attacco e probabilmente questo sarebbe il momento di spegnere il cervello e concentrarmi sulla prova, ma non riesco a farmene una ragione: non possono bastare dei bei capelli e dei begli occhi per fare questo a me, no? Quelli sarebbero abbastanza per Butler e i suoi amici Tassorosso, ma James Potter non si lascia fregare così facilmente. Lei deve aver fatto qualcosa, qualcosa di subdolo e malvagio e sleale, come correggermi il succo di zucca con l’Amortentia ogni mattina, sin dal quarto anno; questo ha senso, questo spiega come mai io non riesca a smettere di fissarla anche se dovrei guardarmi attorno per evitare di farmi mangiare la testa da bizzarri animali col nome buffo. Non mi piace l’idea della mia testa che viene mangiata, così come non mi piace essere innamorato di Evans e ho come l’impressione di non poter evitare nessuna delle due cose.
Mason ha fatto le cose per bene e ad un certo punto si alza persino un venticello freddo, che fa frusciare forte le piante accanto a noi e fa irrigidire lei, le dita serrate attorno alla bacchetta. L’Amortentia è una buona spiegazione, io credo: è un’ottima Pozionista, Lumacorno non fa che ripeterlo. Forse ha somministrato dell’Amortentia anche a lui e questo spiega la sua palese predilezione nei suoi confronti. Dev’essere colpa dell’Amortentia e di quelle labbra. Non vedo cosa ci stiano a fare lì sul suo viso, quando è così chiaro che sono del tutto fuori posto: quando una persona ha già dei capelli troppo rossi e degli occhi troppo verdi, piazzarci anche delle labbra così è privo di ogni logica, è strafare, è perdere l’occasione di metterci una bocca più sottile e anonima ed evitare a ragazzi come me di arrovellarcisi su più del dovuto, quando lei non è nemmeno la ragazza più bella di Hogwarts a ben vedere. C’è Kate Logan, che ha il fisico di una modella e lineamenti perfetti, capelli lunghi e color mogano che non hanno proprio nulla da invidiare a quelli di Evans; c’è Sherry Mills, che è il sogno erotico di ogni studente dal terzo anno in su, compresi quelli che ancora non sanno nemmeno cosa sia un sogno erotico, ma che sanno comunque che ha a che fare con quelle sue labbra carnose; c’è Marlene McKinnon, il cui seno è la causa principale della sconfitta di Corvonero contro Serpeverde di due anni fa, quando i diversi metri di distanza non sono bastati a evitare che il Portiere della squadra nera e blu si distraesse. E potrei continuare, perché Evans davvero non è la ragazza più bella di Hogwarts e glielo direi ora, con una punta di stizza, se non fosse che risulterebbe un po’ fuori contesto e lei già pensa che io sia pazzo. Azzardo un’altra occhiata con la coda dell’occhio nella sua direzione e a stento trattengo un sospiro frustrato, perché non è affatto la ragazza più bella di Hogwarts, questo è assodato, ma allo stesso tempo lo è. Le sue gambe fasciate dai calzettoni a righe rosso-oro della divisa non sono chilometriche come quelle di Sherry Mills, ogni centimetro della sua pelle sembra essere ricoperto di lentiggini come una di quelle bambine pestifere delle favole babbane e probabilmente Peter ha più tette di lei; a guardarla si direbbe che un pittore ubriaco si sia lasciato sfuggire di mano la tavolozza delle tempere ed ora lei si ritrova troppi colori in faccia, il rosso acceso dei capelli che fa a pugni con quel verde così intenso da risultare quasi ridicolo in contrasto con la pelle bianca spruzzata del rosa più scuro delle lentiggini. Non c’è alcuna misura o dosaggio e questo per una Pozionista come lei non è affatto coerente; e nonostante tutto è lei, non è Sherry Mills, non è Marlene McKinnon e di certo non è Peter, è lei e non vuole lasciarmi in pace.     
- Che stai facendo, Potter?
Per l’appunto.
- Non lo so, cosa sto facendo? – Aggrotto la fronte perplesso, perché sono abbastanza sicuro di non stare facendo nulla ora come ora.
- Sei in silenzio da più di tre minuti. Non ti ho mai visto stare zitto tanto a lungo, - Evans mi lancia un’occhiata vagamente sospettosa. - Quindi, cosa stai facendo?
 
*
 

Non è che non mi piaccia non sentire la voce di Potter, perché mi piace infatti, mi piace molto. Solo che preferirei non sentirla perché lui ha un bavaglio sulle labbra o perché l’Augurey di prima gli ha strappato la lingua con gli artigli, mentre così è solo inquietante, perché se Potter ha ancora la capacità di parlare e non lo fa, allora è probabile che presto succederà qualcosa di orribile e dannoso, perché è questo che accade di solito quando lui sta zitto troppo a lungo, come quella volta al terzo anno, quando si è seduto di fianco a me senza dirmi una parola e poi i miei capelli sono diventati viola.
- Sto pensando, Evans.
Non ha un’aria colpevole, solo molto assorta e vagamente assente, il che non è esattamente il massimo nel bel mezzo di una prova di Difesa.
- A cosa?
C’è qualcosa di risentito oltre le lenti rettangolari dei suoi occhiali ora e suppongo che sia per il tono vagamente scettico che ha assunto automaticamente la mia voce nel porgli la domanda. Ma non è colpa mia se lui ha la reputazione di quello che non pensa, no? No. È colpa sua che se ne va in giro tutto il tempo con un ghigno sulle labbra ad appendere la gente a testa in giù e parla sempre ad alta voce per attirare l’attenzione di tutti su di sé.
- A Sherry Mills, - replica con un’alzata di spalle, prima di passarsi una mano tra i capelli; deve avere una calamita nel palmo della mano ed una impiantata proprio al centro del cranio che spingono costantemente per riunirsi, perché non è possibile che senta davvero il bisogno di farlo così spesso. – Forse le chiederò di uscire. 
 So chi è Sherry Mills, perché Alice sa chi è Sherry Mills e di conseguenza anche io. E in fondo tutta la scuola sa chi è lei, perché quando entra in una stanza tutti gli individui di sesso maschile si voltano a guardarla ed è difficile non notarlo. So anche che durante le vacanze di Natale si è inaspettatamente fidanzata con un Tassorosso più piccolo e più anonimo di lei ed ora la componente maschile del settimo anno è in lutto.
- Sta con Butler.
Potter non sembra turbato dalla notizia e un sorriso sornione scaccia le ultime tracce dell’aria assente di poco prima. 
- Solo perché non l’ho ancora invitata io.
Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo, perché in fondo è colpa mia che l’ho risvegliato dal suo coma e ora lui sta solo facendo quello che James Potter fa di solito, ovvero essere odioso.
- A meno che non ci voglia venire tu ad Hogsmeade con me, - aggiunge con tono casuale qualche secondo dopo, scacciando con la mano un Doxy dall’aria inviperita appena sbucato dagli alberi. – O ci vai già con Philips?
- Ci vado con Dean, sì.
- Quindi state insieme o cosa?
Sono affari tuoi o cosa? È questo che penso subito ed è questo che sto per dire quando dei piccoli denti affilati si infilano nella mia spalla, oltre la stoffa del maglione, causandomi un gemito. Subito mi volto di scatto ed un attimo dopo quel bastardo di un Doxy finisce contro il tronco di un albero poco distante, preso in pieno dal mio Stupeficium.
- Ahia, cazzo, ahi.
Non c’è più un solo Doxy ad infastidire Potter ora, ma tre, ed io faccio appena in tempo ad alzare la bacchetta prima di rendermi conto di quanto sia effettivamente alto il ronzio che proviene dalla boscaglia. Troppo alto. Il mio libro di Cura Delle Creature Magiche fa appena in tempo a ricordarmi, da un punto molto remoto della mia mente, che i Doxy hanno l’abitudine di deporre fino a cinquecento uova alla volta e ora mi ricordo anche che il nostro professore di Difesa è una sorta di serial killer in incognito che odia gli studenti e quindi quella nube scura che sta uscendo dagli alberi è esattamente quello che sembra.
- Corri! – grido, solo per rendermi conto che in effetti Potter se l’è già data a gambe e mi ha distanziato di diversi metri. Bastardo infame.
- Sto corrrendo! – mi grida Potter in risposta, senza voltarsi e senza rallentare minimamente, come se non lo vedessi da sola adesso che lui sta correndo, mentre io cerco disperatamente di raggiungerlo, le risatine malefiche dei Doxy che si avvicinano sempre di più alle mie spalle. – Fuoco o acqua?
- Cosa?
- Fuoco o acqua, quei cosi, cos’è che li manda via?
- Non ne ho idea! – replico affannata, prima di schiaffeggiarmi forte il collo, dove un altro di quei mostriciattoli ha appena affondato le sue due file di dentini aguzzi. Per chi mi ha preso Potter? Ho scritto ‘esperta di Doxy in fronte’? D’accordo, so quanti denti hanno e quante uova depongono, so che sono della stessa famiglia delle fate e in quale anno sono stati inseriti nell’elenco delle creature fantastiche e so persino da chi, ma non so assolutamente nulla di utile, nemmeno un singolo incantesimo che sia in grado di metterne fuori gioco così tanti in una sola volta, né quale sia la loro debolezza. L’istruzione magica ha fallito ed io ne sono la prova vivente: se sopravvivrò mi ritirerò dagli studi e mi proporrò ad Hagrid come sua aiutante, così quando uno degli strani esseri che alleva mi staccherà la testa a morsi almeno non dovrò subire la perversa ironia di conoscere un sacco di informazioni inutili sul suo conto.
Potter sta ancora correndo di fronte a me quando io, senza smettere di scappare, mi volto indietro per capire tra quanti secondi esattamente sarò investita dallo sciame, ma quando torno a guardare davanti scopro che Potter non sta più scappando, ma che si è fermato e che la sua schiena non è una superficie piacevole contro cui schiantarsi.
- Evans, cazzo, no, – Lo sento imprecare, un attimo prima di rendermi conto che probabilmente Potter si era fermato perché non c’è più nessun posto dove andare, nessun sentiero da percorrere e nessun terreno da calpestare durante la nostra fuga. Se mi avesse avvisato, allora mi sarei fermata anch’io, ma lui è stupido e parla sempre tranne quando dovrebbe davvero farlo, così ora l’aria fredda mi sferza violentemente il viso, mentre precipitiamo entrambi a testa in giù nel vuoto. Usa la bacchetta, usa la bacchetta, grida una vocina nella mia testa; ora muoio, ora muoio, grida un’altra, molto più convincente ed in tutto ciò io riesco solo a rallegrarmi del fatto che almeno morirò tra atroci sofferenze una frazione di secondo dopo Potter, che non è la migliore delle prospettive, ma è comunque meglio che spiaccicarmi al suolo prima di lui e lasciare questa vita senza aver passato neppure un istante sapendo cosa significa vivere in un mondo senza James Potter. Mentre le vocine nella mia testa litigano tra loro, tuttavia, le mie dita decidono che non sono ancora pronte per morire e le sento stringersi forte attorno alla bacchetta, preparandosi a muoverla nel modo giusto e richiedendo la collaborazione delle labbra. Faccio appena in tempo ad aprire la bocca per pronunciare un qualche incantesimo, non necessariamente un Avada Kedavra con cui colpire Potter, che la mia pelle inizia a bruciare e formicolare tutta, in seguito all’impatto col suolo. Lo realizzo dopo qualche secondo che il suolo non è davvero un suolo, anche se per un attimo mi era parso altrettanto duro, e che è per questo che sono ancora viva, e quando il mio cervello suggerisce alle mie labbra di restare chiuse è troppo tardi, perché ho già provato a respirare qualcosa come mezzo litro d’acqua ed ora non mi resta che affogare. Ora muoio, ora muoio insiste la vocina di prima, che ha acquistato ancora più credibilità, il che è bizzarro, perché penseresti che non c’è una situazione più mortale di te che precipiti da una rupe, no? E invece te che ti stai strozzando con l’acqua e senti l’impulso di respirare e tossire al tempo stesso e non hai idea di quale sia il sopra e quale il sotto è persino peggio. C’è solo nero attorno a me ed io mi ritrovo a muovere braccia e gambe senza una logica e senza sapere se mi sto avvicinando alla superficie o al fondale, anche se con tutta probabilità sono ferma nello stesso posto. Sto iniziando a considerare le probabilità che Mason si decida a interrompere la prova ed evitare che io anneghi, quando un bagliore dorato si accende improvvisamente poco più in alto di me e un attimo dopo una figura si avvicina veloce. Non so perché Potter sembri così tranquillo e per nulla provato dall’incidente, come se gli capitasse tutti i giorni di essere spinto giù da una rupe e finire in un lago, e un’altra cosa che non so è perché se ne stia lì a fissarmi senza fare nulla per salvare la mia vita ed evitare una T ad entrambi. Sto per afferrare la sua dannata bacchetta ed infilargliela su per il naso, quando realizzo improvvisamente che sto tossendo, che riesco a sentire perfettamente il rumore che produco mentre lo faccio e che c’è dell’acqua che mi sgocciola sulla fronte e sul mento. E sto respirando.
Potter, la bacchetta illuminata ancora puntata su di me e la testa racchiusa a sua volta in una bolla d’aria, inarca le sopracciglia e mi guarda interrogativo, come ad assicurarsi che io abbia riacquistato il pieno possesso delle mie capacità mentali ed io annuisco decisa, iniziando subito a nuotare verso quella che ora riconosco come la superficie del lago. Ma delle dita mi bloccano stringendosi attorno al mio polso e Potter inizia a fare degli strani e frenetici gesti che non hanno alcun senso in nessuno dei mondi conosciuti, ma alla fine capisco comunque: non ci sono dentini aguzzi che ci trafiggono la pelle. Acqua, dunque, non fuoco: i Doxy non sanno nuotare.
Accendo la bacchetta a mia volta, riflettendo sul da farsi, quando Potter mi punta di nuovo la sua contro e poi mi si avvicina con una bracciata, infilando la testa nella mia bolla come se nulla fosse e sorridendomi allegro a pochi centimetri dalla faccia.
- Ehy, Evans, - mi saluta spensierato, e non lo sta per fare, non lo sta per fare, e invece lo fa: le dita della sua mano destra emergono veloci dall’acqua e si gettano tra i suoi capelli ancora sgocciolanti, incasinandoli ancora di più e schizzandomi alcune gocce addosso nel processo. - Sei viva?
- Potter, dannazione, esci dalla mia bolla.
- È la nostra bolla ora, - replica, quasi sfiorandomi il naso col suo, perché nessuno gli ha mai insegnato il concetto di spazio personale e lui non ha la minima idea di non potersene semplicemente andare in giro ad invadere quello altrui unendo bolle che dovrebbero restare divise. - Le ho fuse così posso sentire quello che dici. Ti ho visto muovere le labbra, ma...
- Lumos, ho detto Lumos e stavo parlando con la mia bacchetta, non con te.
- Gioco di squadra, Evans, - canticchia lui canzonatorio, prima di chinarsi a trafficare con la sua cintura. Ci metto qualche istante a capire cosa sta facendo, ancora a due centimetri da me, ed è a quel punto che provo a schizzarlo e farlo annegare, solo che la bolla respinge l’acqua e Potter può finire di sfilarsi i pantaloni in tutta calma. – Che c’è? – aggiunge poi innocente, vedendo la mia espressione. – È per nuotare meglio, non ho mica la gonna io. Ma se vuoi spogliarti anche tu, io non ho nulla in contrario.
Com’è successo? Questa mattina mi sono alzata, ho fatto colazione, sono andata a lezione di Difesa Contro Le Arti Oscure ed ora sono in un lago a due centimetri da James Potter in mutande che mi incita a spogliarmi a mia volta. Non è normale, no? Non dovrebbero succedere cose del genere in una scuola.
- Okay, - sospiro, gli occhi fissi in quelli nocciola di Potter, più vicini e grandi del solito, e probabilmente anche più inutili, dato che sembra aver perso gli occhiali durante la caduta. – Muoviamoci, d’accordo? Mason ha detto di raggiungere la fine del percorso il prima possibile e noi ci stiamo mettendo un’eternità.
Potter ha già la bocca aperta, pronto a dire qualcosa di cui non importa niente a nessuno, ma quando io lo spingo fuori dalla bolla e lui se la ritrova piena d’acqua è costretto a tacere, prima di puntarsi la bacchetta in viso e far comparire un’altra sfera d’aria. Compiaciuta di avere di nuovo la mia bolla privata, inizio a nuotare veloce, la bacchetta tesa di fronte a me ad illuminare la via. Per diversi minuti non succede nulla e inizia a sorgermi il dubbio che siamo finiti fuori dal percorso e che è per questo che non c’è nessun pericolo in questo lago, poi una luce rossastra alle mie spalle mi induce a voltarmi, giusto in tempo per vedere Potter affatturare un Avvincino dalle lunghe dita scheletriche strette attorno alla sua caviglia. Quello si ritrae immediatamente nei fondali scuri e sabbiosi ed io mi giro di nuovo, pronta a riprendere per la mia strada, solo che c’è una specie di orrida scimmia ricoperta di squame a sbarrarmela ora. Dev’essere un Kappa, a giudicare dalla forza con cui serra i denti sottili attorno al mio braccio: nel manuale di Difesa c’è scritto che questi esseri si nutrono principalmente di sangue umano ed ora posso confermare che è vero. Trattenendo una smorfia di dolore, mormoro uno Schiantesimo e il Kappa viene respinto lontano da me in un’onda violenta, solo che non mi stupisco di vederlo pronto a tornare all’attacco dopo pochi secondi, il muso sporco di sangue, perché c’è solo un modo per respingere un Kappa e non è questo. Fortunatamente Potter deve essersi distratto qualche volta dai suoi infiniti complotti con Black durante le lezioni di Mason e deve avergli prestato attenzione per sbaglio durante la lezione sui Kappa, perché prima che io possa evocare un Protego, un cetriolo trasfigurato vola oltre la mia spalla e colpisce la scimmia squamata proprio sul naso, mettendola in fuga all’istante. Potter nuota con un sorriso gongolante al mio fianco, alzando due dita in segno di vittoria mentre mi supera ed io ringrazio il fatto che siamo sott’acqua e non posso sentirlo mentre si loda da solo per la sua abilità. Il resto dell’attraversata acquatica passa più o meno tranquillamente, disturbato solo dall’attacco facilmente sventabile di due Kelpie e di qualche altro Avvincino, e dopo pochi minuti ci ritroviamo ad arrampicarci sulla riva. Tira un vento gelido che Mason si poteva proprio risparmiare, perché di certo non è magia oscura né nulla da cui dobbiamo imparare a difenderci, e che mi fa rabbrividire e stringere le braccia al petto, nell’inutile tentativo di assorbire un po’ di inesistente calore dai miei vestiti fradici e ghiacciati. I boxer neri di Potter sono appiccicati alla sua pelle in modo totalmente inappropriato e a giudicare dalla pelle d’oca che gli percorre i polpacci pallidi ora sente la mancanza dei suoi pantaloni. Non dovremmo perdere neppure un secondo ad asciugarci e cercare di arrivare alla fine del percorso nel minor tempo possibile, ne sono consapevole, ma quando Potter si china per trasfigurarsi dei nuovi pantaloni non protesto, approfittandone per puntarmi contro la bacchetta e godermi l’aria calda che ne esce. Mi ritrovo ad abbassare le palpebre e godermi questi pochi secondi di pace, cullata dal calore che mi accarezza dolcemente asciugando pian piano i miei vestiti grondanti, tutto questo fino a quando non avverto una lieve puntura proprio a lato del collo, nello stesso punto in cui poco fa mi ha morso un Doxy. Dev’essere semplicemente il pizzico di prima che si fa sentire, perché quando apro gli occhi non vedo nulla oltre a Potter che è ancora impegnato nella trasfigurazione, così li richiudo subito beata, tornando alla mia unica momentanea ragione di vita: il getto caldo che esce dalla bacchetta e mi fa credere per un attimo di essere sotto la doccia bollente del mio dormitorio e non intrappolata nella fantasia omicida di Mason insieme a Potter. E funziona, sto così bene che quasi mi sembra di galleggiare dolcemente per aria.
- Evans? Che diavolo...
Se non fosse che sto galleggiando, nel senso letterale del termine, come scopro non appena apro gli occhi, risvegliata dalla voce perplessa di Potter. Mi guarda dal basso, il collo piegato verso l’alto e gli occhi spalancati fissi nei miei, ancora mezzo chinato nell’atto di infilarsi i suoi nuovi pantaloni. C’è un momento di immobile perplessità da parte di entrambi, perché non è una cosa normale che una persona inizi a levitare senza motivo e serve del tempo per accettarlo. Poi il mio corpo si allontana ulteriormente dal suolo e Potter si sporge verso di me, allungando una mano ad afferrare la mia e reggendosi i pantaloni solo con l’altra. Le sue dita mi stringono forte, ma la forza invisibile che mi attira verso l’alto non si blocca e la mia mano inizia a scivolare dalla sua. C’è questo interminabile momento, in cui Potter sposta lo sguardo dalla sua mano che sta perdendo la presa su di me a quella che invece regge ancora i pantaloni, come per soppesare le priorità; infine pare decidere che non lasciarmi partire per orbite sconosciute ha la precedenza sul non andare in giro in mutande, così porta in alto anche l’altra mano e mi afferra deciso per un polso, mentre i pantaloni gli ricadono sulle caviglie. È a quel punto che il vento mi spinge deciso tutta a sinistra come se fossi un palloncino senza peso, e Potter, che continua a stringermi forte e continua ad avere i pantaloni arrotolati alle caviglie, inciampa e finisce a terra, ancora appeso a me. E poi la mia forza di gravità all’incontrario fa staccare dal suolo anche lui e questa è la fine, passerò il resto dei miei giorni a orbitare per l’universo con James Potter.
- Evans, che stai facendo?
- Sto levitando, Potter, non si vede?
- E perché?
Già, perché? È qualcosa che dovrebbe accadere a lui questa: se dal nulla i suoi piedi si staccassero da terra e lui iniziasse a galleggiare per aria io non mi stupirei, anzi, noterei a malapena la differenza, perché in fondo che Potter è un pallone gonfiato è cosa nota e sono certa che il suo ego è abbastanza potente da sconfiggere la forza di gravità. Ma io cos’ho fatto per tramutarmi in un dannato palloncino? La mia mente inizia a ripercorrere velocemente le mie scelte passate che possono avermi condotto a questo, mentre l’erba scura si fa sempre più lontana man mano che continuo a prendere quota, con Potter appeso a me in maniera instabile e fastidiosa. E poi ricordo quel paragrafo di tre righe scarse sul manuale di Difesa, quello che aveva all’interno espressioni come insetto piccolissimo e scarsa pericolosità, che mi hanno indotto a non leggerlo con attenzione, ma ora che ci penso anche parole come vertigini e levitazione e forse non avrei dovuto prendere il Billywig così sotto gamba. Scarsa pericolosità un corno, stupido libro. Se avesse scritto almeno discreta pericolosità forse mi sarei degnata di leggere la parte dedicata al contro incantesimo e non sarei ormai a una decina di metri dal suolo.
- Ma sai solo andare in alto, Evans? – si informa Potter, che ha un’aria curiosa ed eccitata che non si addice per niente ad uno che è aggrappato in malo modo ad un palloncino umano a diversi metri da terra. – Non riesci, che so, a sterzare o ad aumentare la velocità?
- Mi hai preso per la tua scopa, Potter?
- No, certo che no, la mia scopa sa curvare: è una Tornado, - dice lui fiero, perché evidentemente non ha ben chiaro che l’unica cosa che si frappone tra lui e una picchiata con atterraggio mortale sono io. – E questo è ancora meglio, stai volando senza scopa! Come fai?
Nello sguardo di Potter c’è una chiara punta di invidia ora e questa è la prova definitiva che è completamente fuori di testa; mi fissa come un bambino a cui viene sventolato il più bel regalo di Natale di sempre sotto il naso e dato che non è in grado di non esprimere la sua eccitazione anche in maniera fisica, inizia ad agitarsi e per poco la sua presa non scivola dal mio polso.
- Attento, Potter, - lo redarguisco, perché non mi prenderò una T perché lui non ha il minimo istinto di sopravvivenza. – Non puoi tenerti alle gambe? Mi stai spezzando il polso.
Potter non se lo fa ripetere e ora il peso del suo corpo e della sua testa montata ricade solo sulle mie ginocchia. Poi il calzettone sinistro della mia divisa, tirato su fin quasi alla coscia, cede improvvisamente sotto la sua presa e scivola veloce fino alla caviglia, portando Potter giù con lui. Già me lo vedo spiaccicato al suolo, con Mason che mi dà T e tutta la scuola che mi accusa di averlo fatto cadere apposta, ma dopotutto non è così pessimo in quanto a riflessi e dopo un attimo le sue dita sono contro la pelle nuda della mia gamba. Siamo quasi a venti metri da terra quando lui incrocia il mio sguardo, rivolgendomi un sorriso sornione dal basso.
- Lo sai, Evans, se mi vuoi sotto la tua gonna, basta chiedere.
E in fondo basterebbe un piccolo calcetto, un lieve Stupeficium e niente più Potter per tutta la vita. Che sarà mai una T in Difesa in fondo? Non è colpa mia se la sua stupidità aumenta con la quota, no?
Poi lui decide di tentare il suicidio da solo, togliendomi l’imbarazzo della premeditazione: il suo sguardo viene attirato improvvisamente da una macchia dorata che sfreccia di fianco alla mia gamba e lui si sporge di colpo, reggendosi con una sola mano e lanciandosi di lato, un braccio teso davanti a sé e lo sguardo concentrato di un cane che punta la preda.
- Potter, sei fuori di...
- Di qua, di qua, Evans! – esclama lui agitato, dandosi forti spinte di lato col petto come a cercare di manovrarmi. – Dai, sta scappando!
Decido di non far notare a Potter che non posso scegliere come spostarmi nell’aria, perché è inutile fare notare le cose alle persone pazze, e seguo perplessa la traiettoria del suo sguardo ossessivo: c’è un piccolo uccellino dorato a pochi metri da noi, con ali piccole e sottili come quelle di un coleottero che sbattono frenetiche e gli consentono di spostarsi a una velocità impressionante. I suoi occhietti rossi ci sondano sospettosi da lontano per qualche secondo, poi lui sparisce dalla mia vista e Potter tenta un’altra mossa suicida, allungando il braccio con uno scatto che ci fa ondeggiare pericolosamente entrambi per qualche secondo; continuo a non vedere l’uccellino, ma ora una piuma dorata volteggia a poca distanza dalle dita di Potter.
- Dannazione, Evans, c’ero quasi, - si lamenta frustato, perlustrando frenetico lo spazio attorno a noi. – Come faccio a prenderlo se tu non ti muovi per niente?
- Non sono la tua scopa, Potter, - ribadisco seccata, chiedendomi perché io mi ritrovi a doverlo sottolineare, quando ho sempre pensato che le differenze tra me e una scopa fossero pienamente visibili ad occhio nudo. - Se fossi un oggetto sarei un palloncino, ok? E quello non è un boccino d’oro, che ti è preso?
- È un Golden Snidget, Evans, non vedi? – dice Potter quasi scandalizzato, gli occhi che si muovono di scatto da un punto ben preciso ad un altro, come se lo stesse ancora seguendo con lo sguardo. – Quando il boccino d’oro ancora non esisteva, i Cercatori dovevano acchiappare lui.
Penso sempre di aver scavato abbastanza a fondo nella biblioteca di Hogwarts per saperne quanto i miei compagni purosangue sul mondo magico, poi immancabilmente uno di loro se ne esce con storie assurde che a quanto pare è scontato tutti conoscano e realizzo che non è così, non ancora. Potter ha smesso di parlare e continua a fissare a distanza l’uccellino, con l’aria di chi non ha altro da aggiungere ed evidentemente è convinto di aver già spiegato il suo precedente attacco di follia. Non so nemmeno da dove iniziare a esprimere il mio disappunto, se dalla totale barbarie di dare la caccia per puro divertimento a un uccellino che se ne sta per i fatti suoi o dal fatto che lui decida di mettersi a giocare a Quidditch ora, tra tutti i momenti possibili.
- Beh, li hanno inventati i boccini adesso, sì? – domando retorica, con ben chiara in mente l’immagine di Potter che si mette in mostra con quella sua pallina dorata in ogni angolo del castello. – Lascia stare il Golden Snidget e aiutami a trovare un modo per scendere da qui.
- Non posso, Evans, - replica lui, gli occhi ridotti a fessure puntati alla nostra sinistra, le labbra premute forte l’una contro l’altra. – Mi sta sfidando.  
Come vorrei essere davvero un palloncino ora: almeno potrei bucarmi e sfracellarmi al suolo, trascinando con me quest’idiota.
- Nessuno ti sta sfidando, Potter, piantala di vedere sfide ovunque.
- Certo che mi sta sfidando, è nella sua natura. Guardalo, continua a volarmi attorno e a fissarmi, - insiste, mentre io sondo lo spazio attorno a noi e rifletto dubbiosa se sia una cosa da Cercatori, il fatto che lui riesca a seguire i suoi movimenti e io no, o se si stia semplicemente immaginando tutto e il Golden Snidget se ne sia andato da un po’. Propendo per la seconda in effetti. - Ma è sleale e vigliacco, si tiene sempre ad almeno un centimetro fuori dalla mia portata.
Diversi minuti dopo, Potter ha un’aria sinceramente ferita e tradita in volto e ancora non riesce a capacitarsi del fatto che il Golden Snidget sia infine volato via, sottraendosi alla competizione; dovrei essere più stupita di così del fatto che quell’uccellino grande come un’unghia abbia dimostrato più buonsenso di Potter, ma in realtà non lo sono per niente.
- Quindi tu sei sicura di non poterti spostare in avanti, giusto?
 - Sono sicura, sì, - confermo con un sospiro, perché l’unica cosa di cui non posso dirmi certa al momento è quanto ancora reggeranno le mie gambe, prima di staccarsi semplicemente all’altezza delle ginocchia e precipitare a terra con Potter. – Piuttosto, quante possibilità ci sono che tu conosca il contro-incantesimo per il pizzico di un Billywig?
- Sei stata punta da un Billywig? Perché non l’hai detto subito, Evans? – Potter mi punta immediatamente contro la bacchetta con aria trionfante e per un attimo i miei istinti omicidi nei suoi confronti svaniscono totalmente, perché sta per togliermi dalla mia condizione di palloncino umano e questo è fantastico; poi lui mormora qualcosa, una luce viola mi illumina per un secondo ed infine stiamo tutti e due precipitando ad una velocità considerevole. Ed è questo che succede quando Lily Evans non odia James Potter dunque, muoiono entrambi spiaccicandosi al suolo: che i posteri prendano nota.
 
*
 

Stiamo precipitando di nuovo, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, e questo è divino. L’aria fredda mi sbatte forte contro il viso e mi agita i capelli, mentre le mie dita scivolano via dalla pelle morbida delle gambe di Evans e si abbandonano al vento, tese verso l’alto; è incredibilmente rilassante e mentre stendo le braccia gettando la testa all’indietro, mi concedo per un attimo di abbassare le palpebre, consegnandomi senza remore alla sensazione assoluta del volo, proprio come quando mi lancio in picchiata con la mia Tornado prima di afferrare il boccino. Farlo senza scopa è persino meglio ed accentua ulteriormente la sensazione di abbandono e totale libertà della caduta, ma d’altro canto accentua anche il pericolo di morte, e morire senza pantaloni non sembra la cosa più dignitosa da fare, così stringo appena le dita attorno alla bacchetta e do un lieve colpetto verso il basso. L’erba fresca ed umida mi solletica il collo, mentre la mia schiena affonda dolcemente in quello che fino a qualche secondo fa era un terriccio compatto e che ora ha la consistenza di un cuscino imbottito e molleggiante. Apro gli occhi nella notte illusoria di Mason proprio mentre vengo fatto rimbalzare in alto e subito decido di approfittarne per rimettermi in piedi con un salto agile, così da impressionare Evans, solo che Evans non è ancora atterrata ed è esattamente sopra di me, troppo impegnata a cercare di uccidermi per lasciarsi impressionare. Ora ti schiaccia, mi comunica con lucidità disarmante una vocina all’interno della mia testa ed io non posso che darle ragione, perché la terra che ho reso molleggiante e divertente mi sta spingendo proprio verso Evans, che invece è spinta verso di me dalla forza di gravità e questa non può che essere la fine per il mio bellissimo naso. Poi Evans si blocca semplicemente per aria, a pochi centimetri da me, e io finisco con le ginocchia e i palmi a terra, perché la possibile morte per schiacciamento mi ha distratto dal mio proposito di essere affascinante ed atletico. Un’altra persona potrebbe avere un’aria ridicola al mio posto, inginocchiata a terra con le mutande al vento e le dita affondate nell’erba, ma probabilmente non è il mio caso, perché raramente assumo un’aria ridicola e se anche ora lo stessi facendo, Evans non potrebbe comunque vedermi. Lei d’altro canto è piuttosto ridicola, i capelli mossi che quasi sfiorano il suolo e la caviglia appesa per aria, vittima del suo stesso Levicorpus. Mentre mi rialzo, sfrego le mani l’una contro l’altra nel tentativo di ripulirle e cerco allo stesso tempo di imprimermi nella mente l’immagine di Evans a testa in giù a pochi metri da me: credo che possa aiutarmi nel mio proposito di smettere di provare questa cosa disdicevole per lei, perché cosa mai potrebbe spingere una persona astuta a lanciarsi un Levicorpus da sola? Solo che lei è a testa in giù e la sua gonna è scivolata verso il basso scoprendo la parte superiore delle sue cosce per qualche secondo di troppo, prima che le sue mani scattino a rimetterla a posto ed io per un attimo mi dimentico perché esattamente non posso essere innamorato di lei.
- Lo sai, Evans, esistono un sacco di incantesimi in grado di bloccare una caduta per il verso giusto, - la informo con un sorrisetto, osservandola rimbalzare a sua volta a terra dopo aver annullato la fattura. - Così, per la prossima volta. 
- Beh, lo so, - dice lei, mentre i suoi capelli provano chiaramente il contrario, perché non starebbero cercando di sfuggire dalla sua testa in un modo molto simile ai miei se lei non si fosse affatturata da sola. – È solo il primo incantesimo che mi è venuto in mente nella foga, forse perché qualcuno a caso non fa che gridarlo per i corridoi.
- Lieto di essere sempre nei tuoi pensieri, Evans.
Lei alza gli occhi al cielo per l’ennesima volta da che siamo qui ed io devo fare forza su me stesso per non puntarci la bacchetta contro e incollarle le palpebre, in modo che smettano di sottolineare costantemente il loro fastidio per la mia presenza. Non che ad Evans servano davvero gli occhi o le parole per comunicarmi quanto la secchi l’avermi attorno, come ricordo non appena ci rimettiamo in marcia: è il modo in cui cammina automaticamente e con una certa fretta dalla parte opposta del sentiero, il più distante possibile da me, come se fossi una qualche sorta di buco nero che risucchia lo spazio e il tempo ed ogni altra cosa attorno a sé e lei non volesse essere aspirata a sua volta; è il suo sguardo che tende sempre ad evitarmi con cura, saltando da una parte all’altra della sua visuale senza soffermarsi neppure per una frazione di secondo su di me, nemmeno fossi un fottuto Basilisco. Non ti pietrificherò se incroci i miei occhi, vorrei dirle, ma a quel punto la sua mascella si tenderebbe e gli angoli delle sue labbra si contrarrebbero in modo impercettibile, come accade ogni volta che sente la mia voce, perché basta quella per suscitare in lei un istintivo moto di fastidio. È tutto qui, come sempre, il modo universale in cui ogni singola parte di lei mi detesta, più o meno consciamente, ed è talmente evidente che mi ritrovo di nuovo a dare dello stupido a Frank e anche ai miei Malandrini, che non fanno che lanciarmi occhiate scettiche da Natale, come se io mi stessi cimentando in qualcosa di assurdo, quando, sul serio, cosa dovrei fare? Smettere di essere innamorato di Evans è l’unica mossa possibile, è lampante, perché l’alternativa, restare innamorato di Evans, è così palesemente un’idea stupida. Come potrebbe qualcuno anche solo prenderla in considerazione, quando lei non riesce nemmeno a condividere la mia stessa aria? Se non fosse proprio lei, se non fossi proprio io, potrei soppesare la faccenda, considerare ogni opzione, ma è lei e sono io e semplicemente non può essere, perché lei non vuole. Lei non lo vorrà mai e quindi perché dovrei volerlo io? Sarebbe stupido e controproducente da parte mia.
E James Potter non è né stupido né controproducente e soprattutto non si è appena trovato di fronte un ragno grande quanto un cavallo. Una delle tre affermazioni è chiaramente falsa e vorrei essere stupido e controproducente in questo momento, ma non è così, mentre d’altro canto la cosa mostruosa qui davanti ha zampe spesse quanto il mio braccio ed alte come me, ognuna ricoperta da un folto strato di peluria nera dall’aria urticante. È quella dannata peluria scura che si confonde con la notte ciò che mi preoccupa maggiormente, ancora più che la dimensione assurda del ragno, perché è sbagliato, semplicemente, non dovrebbe essere così che vanno le cose al mondo: ci sono gli animali e poi ci sono gli insetti. E gli insetti non dovrebbero avere diritto nemmeno a un singolo pelo sui loro corpi orribili e sulle loro zampette sottili che si contorcono sempre senza motivo, come se i loro proprietari vivessero in perenne agonia. Dirò di più, se fosse per me gli insetti non avrebbero nemmeno il diritto all’esistenza e sparirebbero semplicemente nel nulla, tornando nel luogo orribile da cui provengono, un qualche inferno di un universo alternativo in cui sono accettabili tutti quei mostriciattoli disgustosi e zampettanti, ragni in primis. C’è un solo fatto positivo riguardo ai ragni, ed è che non volano e di solito sono considerevolmente più piccoli di me, cosa che mi permette di allontanarmi da loro senza il timore di essere raggiunto e rifugiarmi in zone sicure finché Sirius non smette di sfottermi e fa il suo dovere di migliore amico. Non c’è Sirius ora e quella cosa d’altro canto è grande come un miliardo di ragni cuciti insieme, è probabilmente la regina di tutti gli aracnidi e se mi voltassi e iniziassi a correre mi inseguirebbe e mi divorerebbe, infilzandomi con quelle sue orribili tenaglie appuntite. Muoversi è fuori discussione, perché cose orribili accadono ai maghi che si muovono di fronte a ragni giganti e d’altro canto non credo che il mio corpo collaborerebbe se io provassi a spostarlo: gli infiniti occhietti gialli del ragno, grandi quanto palline da tennis, mi inchiodano a terra ed io riesco a malapena a respirare.
C’è una porta alle spalle del ragno, noto distrattamente, una porta che spunta dal nulla proprio nel bel mezzo del sentiero, e quella è senz’altro la fine del percorso, solo che se Mason pensa che io farò un passo verso quella bestia immonda per raggiungere l’aula, allora è chiaramente pazzo. Un’altra persona pazza è Evans, che mi ha appena superato e si dirige guardinga ma decisa verso l’orribile mostro dei mostri, ignara che muoversi è tutto quello che non bisogna fare di fronte ad un aracnide di quelle dimensioni; quella cosa la divorerà ora, è così evidentemente l’unico epilogo possibile a questa situazione. Ed in fondo non è un brutto epilogo, rifletto: Evans che viene mangiata non è necessariamente un male, perché se lei sparisse tra le fauci di quella cosa e venisse poi digerita, smettendo di esistere, allora io non sarei più innamorato di lei e forse rivedrei persino la mia opinione sui ragni. Solo che il mostro non sembra trovare Evans appetitosa, perché non ha ancora iniziato a masticarla, ed anzi, quando lei fa un passo nella sua direzione, pare decidere di non trovare nemmeno più consona la veste di ragno e inizia a mutare forma quasi all’istante, restringendosi ed allungandosi fino ad assumere le sembianze di una figura incappucciata.
Il vento fa ondeggiare il manto scuro di quello che, ora mi è chiaro, è solo un dannato Molliccio e non la regina degli aracnidi, ed io sento le mie membra rilassarsi: non so perché Evans si sia irrigidita ora, mentre fissa la maschera argentea che spunta da sotto il cappuccio scuro, quando quello è solo un uomo. Non comprendo la sua esitazione, perché dagli esseri umani ci si può difendere, a differenza che dai ragni: puoi muoverti e persino lanciare incantesimi, non sei costretto a immobilizzarti e reggere il loro sguardo molteplice ed agghiacciante. Sto per alzare la bacchetta, quando la figura solleva lentamente una mano pallida e stringe le dita attorno al bordo della maschera perlacea, nell’atto di sfilarsela; è a quel punto che Evans scatta come se fosse stata punta e il Riddikulus risuona chiaro e senza esitazione tra gli alberi. Il manto scuro si accascia improvvisamente al suolo come svuotato ed io lo supero immediatamente, puntando di tutta fretta alla porta davanti a noi, perché il mio molliccio si è appena trasformato in un ragno di fronte ad Evans ed è improvvisamente di vitale importanza uscire da qui il prima possibile.
- Potter.
Ecco.
Trattengo un sospiro, le dita serrate attorno alla maniglia già abbassata.
- Sì, Evans, quello era il mio molliccio e no, non è divertente.
- Lo è in realtà, ma non è questo il punto. Non è come se fosse una grande rivelazione, sai: c’ero anch’io al terzo anno quando Black ti ha inseguito per tutta la Sala Comune con quel ragno finto.
Ma certo che c’era anche lei, perché a quanto pare quel giorno, in quell’esatto momento della giornata, in quell’esatto punto del castello, c’erano tutti; l’intera scuola raggruppata casualmente nella Sala Comune di Grifondoro giusto in tempo per assistere alla mia pubblica umiliazione con sadico tempismo.
- Qual è il punto allora?
- Sei ancora in mutande, Potter, - dice Evans con aria molto seria e molto ironica allo stesso tempo e non mi è ben chiaro come ci riesca. - Credevo volessi saperlo, prima di entrare in un’aula piena di Serpeverde.  
- Oh.
- Già.
- Evans.
- Sì?
- Non era finto.
I suoi occhi si assottigliano appena, le labbra si piegano in una smorfia divertita e mentre apro la porta  e vengo investito dal calore luminoso dell’aula e dalla voce puntigliosa di Mason, penso che dopotutto posso concedermi di restare innamorato di Evans ancora per un po’. Qualche giorno al massimo e poi, checché ne dica Frank, rimetto tutto a posto.
 
 
 
 






 

 

   
 
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